29) Razionalizzazione dei sussidi pubblici

No ad assistenzialismo, elevati sussidi di disoccupazione (chi perde il lavoro può averlo garantito nelle opere pubbliche), alti livelli di sindacalizzazione ed eccessivi ostacoli alla circolazione dei lavoratori, che riducono l’efficienza del mercato del lavoro premiando solamente i fannulloni. Occorrono, piuttosto, corporativismo e nazionalizzazione delle reti infrastrutturali e delle industrie strategiche, di interesse cruciale per il Paese. Sì a politiche protezioniste e dirigiste, nella consapevolezza che è la nazione a legittimare lo Stato, non viceversa. L’evidenza empirica ci mostra, insomma, che elevati sussidi pubblici riducono, come detto, l’efficienza del mercato del lavoro, premiando il parassitismo (come accade a certe latitudini, grazie alle magagne e alle falle del sistema-Italia); è assai utile, dunque, liberalizzare (termine a me, Sizzi, spiacevole, ma che qui serve a rendere l’idea) il funzionamento del mercato del lavoro stesso, mantenendo, ovviamente, i necessari controlli sulla sua efficienza. Potrebbe sembrare contraddittorio, con i richiami al socialismo nazionale, ma qui si vuole semplicemente sostenere che il mondo del lavoro ha bisogno di strumenti agili, duttili ed efficaci, per permettere che l’economia circoli regolarmente.

Detto questo, non vi possono essere, comunque sia, degli equivoci sulla volontà lombardista di controllare, tramite lo Stato, le infrastrutture e le grandi industrie strategiche, mediante nazionalizzazione. Lo Stato granlombardo coinciderebbe con la nazione, e proprio per tale ragione sarebbe affatto diverso dalla Repubblica Italiana, entità statuale senza etnia e nazione modellata sulle tare e i difetti atavici del cosiddetto centrosud. Alla luce di ciò, lo Stato deve agire nella vita pubblica per il bene della nazione stessa, ancorché con razionalità e logica, e in questo senso va interpretato il paragrafo precedente, che non è in contraddizione con comunitarismo, socialismo nazionale, protezionismo (e, dunque, dirigismo). Il mondo del lavoro padano-alpino ha bisogno di emendarsi dalle scorie italiche e di venire corroborato da mirati interventi pubblici, soprattutto laddove vi sia un interesse di ordine nazionale. Non dobbiamo ricadere negli sciagurati errori di Roma, anche perché la realtà cisalpina è ben diversa da quella italiana. Dove serve, quindi, va promossa una struttura snella e virtuosa del mercato del lavoro, impedendo che il demerito, la pigrizia, il parassitismo prendano il sopravvento; non c’è bisogno che l’organismo politico controlli le piccole e medie imprese, giusto per capirsi. I lombardi non sono italiani, e non hanno di certo quelle pecche che sono peculiari di popoli incompatibili col nostro.