Note politiche

Sizzi

La mia visione politica è solidamente ancorata al credo völkisch. Non può esistere una politica fatta di compromessi, trasformismi e ribaltoni in tale ottica proprio perché prima di darsi a quest’arte ci sarebbe l’impellente necessità di riabituare la popolazione ai sani dettami etnonazionalisti, ormai sepolti sotto metri di letame liberale e progressista.

Gli stessi soggetti (meta)politici che animavo in precedenza, a differenza della galassia pataccara leghistoide, prima di imbarcarsi in avventure elettorali e amministrative decisero, assai saggiamente, di informare, formare e catechizzare i lombardi, per farli sentire tali, per acculturarli, per svolgere tra di essi una doverosa e costruttiva attività “missionaria” che mai nessun movimento/partito s’è preso la briga di condurre, essendo tarantolato dall’ansia elettorale e dalla fame di voti, poltrone e stipendi dorati.

La visuale indipendentista, maturata nel 2006 e relegata in soffitta (per fallace realpolitik) dal 2014 fino all’estate 2021, è fondamentale e più che mai attuale, doverosa per sgombrare il campo da ogni equivoco circa l’inesistente italianità della Grande Lombardia. La mia visione politica è assai realista e concreta e prima dello strumento governativo avverte tutta la necessità di rieducare i lombardi; ma l’obiettivo finale rimane la liquidazione della Repubblica Italiana e la totale autoaffermazione della nazione grande-lombarda, anche se ora può parere utopico.

Prima, comunque sia, si fa cultura, dottrina, propaganda ideologica e identitaria – lombardista nel nostro caso – e poi, se si hanno tutte le carte in regola, si può intraprendere la carriera politica. Farlo prematuramente sarebbe un suicidio per tutte le parti coinvolte. Però è chiaro: un soggetto politico ben avviato non deve più sottrarsi alla pugna e deve scendere in campo concretamente, dandosi da fare per la nazione lombarda, altrimenti la politica rimarrà sempre tra le grinfie dei plutocrati e degli utili idioti.

Ciò nonostante ho ben chiaro che tipo di politica io voglia per la Lombardia e l’Europa e non può che essere etnonazionalista e comunitarista, del tutto aliena dalle classiche politiche bizantine, liberali o progressiste, attuali. Degne dunque della repubblica che rappresentano, dell’occupazione italiana delle Lombardie.

Una delle tipiche tare della politica mediterranea orientale, ma ormai globale, è quella del compromesso, del cavillo, dell’inciucio, del cosiddetto politicamente corretto basato sulla perversa logica del do ut des, che ha un tremendo fortore mafioso.

Oggi la politica occidentale funziona così: americani ed ebrei, dunque israeliani, hanno sempre ragione, pertanto tutto il resto – a partire dall’Europa ridotta a Ue (ossia a cagna al guinzaglio dei ricchi padroni) – deve ruotare attorno ai loro capricci; non c’è alcuna possibilità di fare politica realmente basata sui bisogni del popolo amministrato, si deve sempre e solo sottostare ai dettami che provengono da oltreoceano, filtrati dagli enti supini come, appunto, l’Unione Europea e gli stati-apparato ottocenteschi, nati per strozzare le genti europee in favore del danaro, delle logge, delle mafie e degli interessi di pochissimi a scapito di moltissimi.

Sicché, chi decide di far politica deve ingoiare tutta una serie di rospi che portano inevitabilmente al crollo del proprio partito, se radicale, ma in compenso alla poltrona sicura per il politicante maneggione di turno, che ben si adatta ai vizi dei potenti. Camerieri in giacca e cravatta lautamente stipendiati.

Io sono del tutto nemico di una squallida politica simile; da lombardista, etnonazionalista, socialista nazionale non posso che avere in ispregio il compromesso e la modernità amministrativa che gira attorno al soldo e si dimentica del popolo; proprio per questo ritengo che prima di far politica si debba fare metapolitica, militanza con le mani libere (ma col cervello nel cranio, ovviamente) volta all’educazione degli elettori di domani, che oggi non sono altro che pecoroni, o figli di pecoroni, abituati a dire sempre di sì ai capricci dei poteri forti in cambio del classico panem et circenses.

Non auspico una dittatura, ci mancherebbe, ma vorrei che il dibattito politico non fosse inficiato dal dogmatismo liberale e socialdemocratico che pone mille paletti, mille tabù, mille bavagli a proposito di delicate e scottanti tematiche d’attualità, e che si configura – quello sì – come un regime dispotico. Si parla sempre, e sempre a sproposito, di libertà, e poi si finisce puntualmente con le censure, le leggi liberticide, le denunce con condanne, il tutto semplicemente perché si rivendica la libertà di pensiero e d’espressione che dovrebbe essere uno dei valori più cari di questa corrotta società “illuminista” e democratica.

Sappiamo però bene che l’Illuminismo non sia affatto sinonimo di libertà, semmai di semi-libertà all’interno di un regime carcerario che dura dal ‘700, salvo brevi luminose parentesi. E non parliamo delle rivoluzioni borghesi (o bolsceviche): scaturite da presupposti rispettabili – sbarazzarsi, cioè, dei parassiti – non sono state altro, nella loro degenerazione, che uno strumento anti-tradizionale nelle grinfie dei soliti noti. I padri “nobili” di antifascismo e antirazzismo vanno rintracciati in questi foschi periodi di egualitarismo sanguinario.

Non c’è spazio, oggi, per gli identitari seri in questa politica fatta mercimonio, una politica infida, mafiosa, massonica, vassalla del mondialismo e dei ricchi sfondati senza alcun merito e qualità. Ma è ora che gli identitari seri si diano da fare per poter, un domani, avere seriamente voce in capitolo.

Rivendico una visione politica schiettamente etnonazionalista, che nel caso lombardo traghetti l’attuale, inventata, Regione Lombardia dallo status quo italiano di artificiale entità amministrativa senza storia a motore insubrico di un’unificazione nazionale panlombarda che si batta per la libertà da Roma e dalla baracca euro-levantina del tricolore (così come da ogni altro ente sovranazionale che tiene l’Italia per le gonadi).

L’indipendenza è la tappa finale, cui si spera di approdare dopo aver posto le basi dell’irredentismo grande-lombardo: Insubria, Piemonte (e Val d’Aosta), Emilia, Orobia, Liguria, Romagna per la Lombardia occidentale “gallo-italica”, Veneto, Rezia cisalpina (Trentino e Alto Adige, cioè il vero Tirolo), Friuli e Venezia Giulia (storica, il Quarnaro è il confine naturale) per la Lombardia orientale reto-venetica. Questo per capirci; la distinzione canonica sizziana, come sapete, è quella tra Lombardia etnica e Grande Lombardia.

C’è una bella distinzione tra indipendentismo e famigerato “handipendentismo”: il primo è la sacrosanta battaglia di una nazione per l’affrancamento da una malata e corrotta entità statuale senza storia (Lombardia ∼ Repubblica Italiana), il secondo è una pagliacciata libertaria alla leghista, o alla progressista, fondata su tragicomiche rivendicazioni pseudo-nazionali dove l’oggetto del contendere è spesso una patetica micronazione. Gli stati-apparato vanno liquidati, ma non certo per fare spazio ad un’Europa ridotta a spezzatino in stile Liechtenstein, San Marino, Lussemburgo.

L’esempio negativo della Lega Nord è emblematico, anche perché funzionale all’inflazione e alla banalizzazione di tematiche altrimenti importantissime. A cosa sono serviti trent’anni di servaggio repubblicano (spesso governativo), nonostante una marea di proclami smargiassi prima autonomisti, poi federalisti, poi secessionisti, e ritorno? Dopo la farsa elettorale padanista, infatti, ecco di nuovo il federalismo, poi la devolution (termine molto padano, devo dire) e il federalismo solidale (?), tutto questo finalmente negato da una patetica svolta italianista dettata dal più becero opportunismo poltronaro. A che sono serviti, dicevamo? A nulla, se non a ridicolizzare l’istanza identitaria doverosamente indipendentista. Il leghismo, oltretutto, è sempre stato un fenomeno libertario, ora pitturato di rosso ora di nero a seconda della convenienza politica, del tutto avulso dall’etnonazionalismo (dunque dal razionale culto di sangue, suolo, spirito).

I furbastri verdoni (già, il verde, pacchiana trovata mercatistica) hanno però ottenuto – alle spalle dei cosiddetti “militonti” e dell’elettorato boccalone – poltrone, incarichi, ministeri, stipendi dorati, lauti vitalizi, ricche prebende, agevolazioni danarose d’ogni genere, scandalose immunità e la missione, per loro, è più che compiuta. Da qualche anno, per sopravvivere, colmano il vuoto lasciato dalla dipartita di Alleanza Nazionale nella destra italiana, anche se devono fare i conti col postfascismo meloniano, che è il vero erede di Almirante e Fini. Che triste epilogo, il “carroccio”…

Salvini ha definitivamente sgombrato il campo dagli equivoci padanisti della Lega, ma la situazione fu da subito evidente a tutti coloro che avevano un minimo di sale in zucca: la degenerazione italiana fu cagione dello stesso Bossi, uno che non disdegnava di circondarsi di “terroni” assorbendone il malcostume. Quelli con la cravatta verde – un po’ come oggi i pentastellati – dovevano conciare Roma per le feste rivoluzionandola, ma è stato l’esatto contrario: l’icastica immagine di un Umberto invalido, ingozzato di rigatoni dagli italici Alemanno e Polverini, è il ritratto perfetto della Lega Nord.

La scomparsa del leghismo vecchia scuola è un bene, perché non è mai stato nulla di genuinamente lombardista, anti-italiano, indipendentista. A livello locale, sicuramente, la Lega può anche aver avuto qualche merito, e alcuni personaggi vicini ad essa non sono stati degli imbecilli (penso a Gilberto Oneto). Oggi non esistono più partiti di peso che si occupino – anche se in maniera approssimativa e cialtronesca – dell’autodeterminazione grande-lombarda; ma, come dicevo sopra, prima occorre informare, rieducare, formare i popoli lombardi tramite l’acculturazione e la presa di coscienza della propria genuina identità, altrimenti è tutto inutile.

Esistono diversi soggetti politici padano-alpini che si occupano, senza la benché minima base ideologica e culturale, di fumosa indipendenza (per questioni meramente economiche, si capisce); sono gli orfani della Lega bossiana, fondamentalmente, che animano patacche e liste-civetta finalizzate ad ottenere qualche poltrona e nulla più. Oppure sono associazioni un po’ più serie, ma velleitarie, che ricalcano alcune realtà straniere per accreditarsi agli occhi dell’europeismo di Bruxelles, eleggendo a proprio campo d’azione regioni inventate dall’odiata Roma. L’indipendentismo privo di solido retroterra culturale (lombardista, nello specifico) è inutile e non farà altro che ricalcare gli errori “padani”, impelagandosi senza via d’uscita nelle solite faccende finanziarie.

Per carità, lasciamo perdere i replicanti leghisti e battiamoci, invece, per una vera e propria rivoluzione culturale etnonazionalista, che sia l’anticamera di una futura azione politica genuinamente indipendentista, non più fondata su finte nazioni, regioni artificiali, macroregioni di comodo ma sull’unica nazione dei popoli cisalpini, che è la Lombardia. E, naturalmente, giustificata non, o perlomeno non solo, da banali pretese pecuniarie (per quanto importanti) ma da ragioni etniche, culturali, linguistiche, geografiche, ambientali, antropologiche, storiche, civili, spirituali, folcloriche e così via.

Abbiamo tremendamente bisogno, anzitutto, di cultura militante, e poi, se tutto va per il verso giusto, di politica militante dura e pura che tenga in non cale la modernità e si batta con ogni mezzo per i diritti sacrosanti della Lombardia indipendente e di un’Europa confederale, imprigionate in gabbie amministrative e sovranazionali antistoriche che le opprimono in maniera inaccettabile.

Valori sacri come il sangue, il suolo, lo spirito (inteso come identità e tradizione) non possono essere negoziati, perché non si può negoziare sulla libertà e sulla vita degli europei. È una questione di civiltà, una civiltà ormai da troppo tempo violentata dal regime antifascista che tiranneggia il continente, soprattutto ad occidente, riannodandosi all’infame mentalità contemporanea che è il frutto del 1789.

La politica deve finalmente essere radicale, rinnovata da una salutare palingenesi, perentoria, e deve attingere da forze fresche che sappiano conciliare a meraviglia la formazione spirituale con quella fisica, partendo dal presupposto che si debba avere le carte in regola anche da un punto di vista etno-razziale. Altrimenti tanto vale rimanersene a casa a poltrire in pantofole, piuttosto che fare danni su danni che, naturalmente, si ripercuotono sul popolo e non sui politicanti di turno.

Servono uomini, servono lombardi, non polentoni, “italiani del nord” o “padani” (intesi in accezione legaiola). Vogliamo davvero farla finita con il perverso sistema-Italia (e il mendace concetto di nazione italiana) e il nefando sistema-mondo? Benissimo, dimostriamolo rivoluzionando la politica stessa sennò, davvero, la si smetta di bestemmiare il nome lombardo e si vada ad ingrassare le file dei partiti italiani di destra-centro-sinistra, tutti uniti nel leccare e riverire i padroni, essendo emanazione della rivoluzione borghese partita dalla Francia (altra finta nazione, sebbene non ai livelli demenziali dell’Italia).

Pertanto, prima si crei la base mediante cultura e attiva militanza metapolitica, mediante dottrina etnonazionalista, e poi e solo poi, se tutto va per il verso giusto, si scenda in politica come se si scendesse in battaglia, perché mentre si va al mercato delle vacche la gente ci rimette ogni giorno di più, schiacciata com’è da immigrati, regimi antifascisti e mondialisti, squali, rossi annacquati, preti degeneri, tasse, riforme suicide, reati d’opinione e via dicendo.

Prima lombardi, poi politici, non il contrario, altrimenti è davvero la pietra tombale dell’autodeterminazione etnica. Allo stesso modo, prima l’etnonazionalismo, poi le politiche economiche, sennò sembra che ogni scelta partitica debba venire dettata dal soldo e dal materialismo consumistico: la Lombardia non è la Regione Lombardia, la si smetta di confondere colpevolmente le due cose, come se l’unica cosa che contasse per davvero fosse il fatturato.

La vita è guerra, signori; traccheggiare in giacca e cravatta è solo opportunismo auto-genocida e credo sia davvero il caso che la Lombardia riveda il suo pantheon ideale: dall’eroe imprenditoriale, all’eroe patriottico, in senso lombardista, ovviamente.

Simbologia

Esporremo ora bandiere e simboli della Lombardia etnica e della Grande Lombardia, al fine di rendere onore al retaggio etnoculturale e storico delle genti lombarde, dando degna rappresentanza al carattere nazionale cisalpino. Ci soffermeremo anche sull’Europa, nell’ottica di una grande famiglia confederale che costituisca, con la Russia o in alleanza con essa, un impero “euro-siberiano” incarnato da genti indigene accomunate da un lignaggio inimitabile, che dall’epoca mesolitica, passando per quella neolitica, sbocca nella straordinaria epopea indogermanica. Il mastice “imperiale” è dato dalla razza europide/bianca.

Il punto di vista lombardista si concentra più sulla comune eredità etnica delle Lombardie che sul particolare regionale, sulla lombardità quindi, perché la nazione è una ed è la (Grande) Lombardia. Nonostante ciò, esso difende e promuove anche la salvaguardia delle specificità locali di ogni suddivisione territoriale storica, al netto di inutili campanilismi o di ridicoli micro-indipendentismi. L’etnonazionalismo lombardo, il lombardesimo, va dal Monviso al Nevoso, dal Gottardo al Cimone, come recita il motto dell’associazione politico-culturale Grande Lombardia.

Vale anche qui il discorso relativo alla questione linguistica: vogliamo preservare la naturale varietà ma al contempo promuovere la presa di coscienza panlombarda che porti ad un’unificazione nazionale sotto l’egida del lombardesimo (e in senso linguistico del milanese classico volgare, principe dei nostri idiomi), a partire ovviamente dalla Lombardia etnica. Il fiorentino letterario (l’italiano), lingua franca straniera, andrebbe gradualmente eliminato in favore del lombardo (il milanese puro, appunto), accostandolo alle lingue locali indigene (varianti “gallo-italiche”/lombarde, ligure, veneto, ladino in senso lato).

Ecco la nostra proposta di vessillo panlombardo, sia etnico che grande-lombardo, un vessillo inquartato che unisce la guelfa Croce di San Giorgio (già bandiera della capitale ideale Milano e della Lega Lombarda) alla ghibellina Croce di San Giovanni Battista (già bandiera della capitale morale Pavia e dell’esercito del Sacro Romano Impero); queste due croci medievali sono diffusissime nelle città della Grande Lombardia, per ragioni storiche e identitarie, e rappresentano dunque al meglio le anime della nostra terra: quella comunale e nazionale, ossia il particolare, e quella imperiale, ossia l’universale (ovviamente in accezione europea). Anche il cromatismo biancorosso “alpino” è assai ricorrente nelle terre padano-alpine.

Croci lombarde

In alternativa si potrebbe pure pensare ad una soluzione grafica di questo tipo:

Croci lombarde 2

Insostituibile insegna della lombardità è il Ducale visconteo, tradizionalmente associato all’Insubria (Lombardia transpadana occidentale). Noi lo inquadriamo come stemma lombardo, che accosta mirabilmente il simbolo per antonomasia del nostro popolo, ossia il longobardo Biscione, l’azzurra vipera di cui esistono reminiscenze persino a Benevento (col tocco dal gusto crociato grazie al nemico moresco ingollato), a quello latino-germanico dell’Aquila imperiale, ossia dell’Europa più alta e nobile in cui ci riconosciamo, e di cui la Lombardia fa degnamente parte. La nostra terra è, infatti, anello di congiunzione tra mondo mediterraneo e mitteleuropeo.

Ducale visconteo

Simbolo della Lombardia transpadana occidentale (Insubria) è la Scrofa semilanuta, un emblema celtico/gallico che risale ai tempi di Belloveso e della fondazione sacrale di Milano (in cui si inserisce anche il tempio dedicato a Belisama, che sorgeva dove oggi si trova il Duomo; la Madonnina ha, non a caso, reminiscenze di quella dea celtica, nonché della romana Minerva). Il cinghiale è un classico animale totemico dei Celti.

Scrofa semilanuta

Come simbolo della Lombardia transpadana orientale (cosiddetta Orobia) abbiamo pensato ad una ruota solare camuna in versione di swastika, simbolo tratto dalle incisioni rupestri della Val Camonica. Una variante certo più nobile della famosa rosa camuna inflazionata dalla regione del Pirellone, grazie al palese rimando astrale e solare e al cromatismo sacrale indoeuropeo. Ne esistono due versioni, ideate da Paolo Sizzi: la prima, scelta dal Nostro come emblema del lombardesimo, riprende l’originale inclinazione astronomica dell’incisione di Carpene, la seconda, riportata qui sotto, allinea le coppelle per formare una croce greca, rimandando così alle Croci lombarde e al disco solare ario-europeo. Lo sfondo grigio simula la parete rocciosa ma è anche un tributo al colore sociale lombardista (sebbene plumbeo).

Swastika camuno

Oltre al petroglifo di Carpene ne esiste un altro ben noto, che è quello di Paspardo, il cui andamento è destrogiro, anziché levogiro:

Swastika camuno 2

Classico emblema della Lombardia subalpina (cosiddetto Piemonte, o meglio, Taurasia) è il Drapò, la bandiera con la Croce di San Giovanni Battista e le ornature azzurro sabaudo, rimembranza del ramo piemontese del Ducato di Savoia. Il tema dei vessilli e degli scudi crociati è davvero un topos della simbologia storica lombarda, e non solo in accezione cristiana: la croce è un antichissimo simbolo solare ispirato alla spiritualità e alla cosmologia ariane.

Drapò

L’aquila degli Este, e dell’antico Ducato di Modena e Reggio, può rappresentare la Lombardia cispadana (cosiddetta Emilia, o meglio, Boica). Tale vessillo si ricollega all’origine longobarda degli Estensi, originatisi dagli Obertenghi, medievali signori della Grande Lombardia occidentale.

Aquila estense

La Croce di San Giorgio è divenuta simbolo famoso grazie innanzitutto a Genova e alla Liguria repubblicana, e in seconda battuta grazie a Milano e alla Lega Lombarda, anche se più facilmente viene associata all’Inghilterra. Per quanto tale vessillo sia inequivocabilmente legato al cristianesimo cattolico e al guelfismo, sarà utile ricordare come San Giorgio fosse una figura guerriera particolarmente cara ai Longobardi, assieme ovviamente a San Michele, grazie ad una interpretazione cristiana delle bellicose divinità germaniche. Il negativo del Sangiorgio, invece, ossia la ghibellina Croce di San Giovanni Battista, riprende la Blutfahne imperiale, bandiera da guerra del SRI.

Sangiorgio

Per la Romagna (o Senonia) vediamo positivamente questo bipartito rosso-dorato, cromatismo romano e imperiale, che fa da sfondo al galletto e alla caveja, due simboli romagnoli classici: il galletto è animale solare e totemico dei Galli Senoni, mentre la seconda è un’asta d’acciaio conficcata un tempo nel timone dei carri della Romagna trainati dai buoi, accompagnata da alcuni ornamenti tradizionali di origine pagana o cristiana.

Caveja

Il famoso Leone alato di San Marco, vessillo del Veneto e prima ancora della Serenissima, nella versione con libro chiuso e spada sguainata, a simboleggiare quasi la necessità delle Lombardie di tornare a combattere per la difesa della propria vera identità e per la libertà delle proprie terre.

San Marco

L’aquila fiammeggiante di San Venceslao rappresenta la Rezia cisalpina (ossia il Trentino e il Tirolo originale), un antico simbolo medievale già insegna del Principato vescovile di Trento. Non siamo ostili ai germanofoni cisalpini (e ad ogni altra minoranza alpina) ma da lombardi difendiamo innanzitutto l’eredità retica, romanza e celto-germanica del Tirolo propriamente detto, cioè la sua porzione meridionale, grande-lombarda.

Aquila di San Venceslao

Per il Friuli (o Carnia) vediamo bene l’antico vessillo del Patriarcato di Aquileia, che tradizionalmente presenta sfondo blu; per distinguerlo da quello estense della Lombardia cispadana, opteremmo per la versione da guerra della bandiera friulana, ove l’aquila campeggia su sfondo rosso.

Aquila friulana

Infine, per la Venezia Giulia storica (che noi denominiamo Istria), ecco il classico simbolo della capra istriana, un antichissimo emblema che risale all’epoca romana e rappresenta territori crocevia fra Veneti, Illiri e Celti.

Capra istriana

Merita una citazione il povero sole delle Alpi (o sole celtico), il cui significato è stato inflazionato dalle pagliacciate propagandistiche, e mercatistiche, della vecchia Lega Nord. Il simbolo, già studiato da Gilberto Oneto, è uno squisito emblema celtico/celto-ligure alpino-padano, rivisitato dai Longobardi e dall’arte cristiana. Esprime il culto solare indoeuropeo e l’armonia che i Celti instauravano con la natura e il ciclo delle stagioni, nonché della vita e della morte, e della rinascita (primaverile). È un simbolo beneaugurale che irradia la gioia di vivere celtica, contrapposta alle tenebre ctonie e lunari esemplificate da drappi neri, teschi, iettatori, prefiche, corna e catafalchi dal sapore levantino che tanto piacciono a certe latitudini… Appare più sensato rosso che verde “padano”, riprendendo così la peculiare colorazione biancorossa cisalpina. Un motivo similare compare in altre culture antiche europee come, ad esempio, in area gallica transalpina, lungo l’Appennino e presso gli Etruschi.

Sole celtico

Ci venga concesso un cenno allo stemma della città di Bergamo, il capoluogo sizziano, che affonda le proprie radici nel Medioevo comunale:

Sole raggiante orobico

Lo scudo sannitico bipartito (in origine palato), ha il classico cromatismo nobiliare rosso-dorato tipico della romanitas, in cui il rosso rappresenta il sangue del popolo e l’oro le messi bergamasche e la feracità del suolo orobico. Lo scudo è racchiuso in un cerchio blu, raffigurante il cielo, a sua volta inglobato in una raggiera similare alla più nota Razza viscontea, un simbolo cristologico volto a rappresentare Gesù come sole di salvezza e redenzione, e l’autonomia politica del comune bergomense.

Seppur le intenzioni di chi ha fatto questo stemma siano state cristiane, è interessante rivedere in esso anche un rimando indoeuropeo alla solarità, al celeste, al mondo uranico di valori alti e spirituali che hanno caratterizzato la religiosità e l’etica dei nostri arii padri. Valori che, del resto, il cristianesimo ha ampiamente assorbito e fatti propri.

Anche lo stemma della Provincia di Bergamo è particolare, oltre che molto caro alle genti bergamasche:

Provincia di Bergamo

Chiaramente ispirato al simbolo e ai colori tradizionali del comune orobico, fonde due stemmi nobiliari bergamaschi, quello dei Bersani (con l’Aquila imperiale nera) e dei Camozzi (con il cervo in corsa). Il cervo è l’animale simbolo della terra bergamasca e riecheggia il culto alpino e celtico di Cernunnos. Già che ci siamo ricordiamo che il toponimo di Bergamo deriva, con tutta probabilità (e come già suggeriva il Mommsen), dal nome del dio celtico Bergimus, secondo alcuni divinità dei monti e delle alture (radice protoceltica *bherg- ‘colle, monte’), secondo altri, come l’archeologo Angelo Ardovino, della magia e delle fasi lunari, affine al gallico transalpino Ogmios.

Prima di venire all’ambito europeo val la pena spendere qualche parola per il simbolo di Grande Lombardia, analogo a quello del precedente Movimento Nazionalista Lombardo, entrambi concepiti dal Sizzi:

Logo MNL
Logo GL

Si chiama Croce lombardista e consiste, fondamentalmente, nell’integrazione della Croce di San Giorgio panlombarda e comunale con la ruota solare indoeuropea, fondendo così le due croci tradizionali care ai lombardisti, tanto di valenza pagana quanto cristiana (le due anime della civiltà europide). Nel logo di Grande Lombardia questa simbologia di partenza viene arricchita da un altro cerchio che racchiude la Croce precedente andando a costituire una rinnovata insegna lombardista nata dall’armonica unione tra Sangiorgio e Sangiovanni – anch’esso panlombardo ma imperiale – mediata dal disco solare indogermanico. E così l’abbraccio tra Lombardia etnica e Grande Lombardia suggella l’estensione del progetto lombardista a tutta la nazione storica lombarda, che a sua volta si inscrive nella grande famiglia imperiale europea.

A coronare la nobiltà e il prestigio del simbolo la pennellata rosso-bianco-nera mutuata dai colori sacri degli Indoeuropei che, peraltro, ben si sposano con quelli classici lombardi. Nel vecchio logo dell’MNL si può vedere come i cerchi concentrici formino la bandiera della Tradizione, un vessillo che, unito alla ruota solare, crediamo sia il miglior candidato a costituire un’ipotetica insegna “euro-siberiana”, espressione dell’impero confederale d’Europa.

Croce solare
Swastika

La ruota, o croce, solare (la banalmente detta “celtica”) rappresenta alla perfezione i tipici simboli di tradizione indoeuropea, relativi alle più antiche radici della nostra grande patria europide dunque, intrisi di quella visione solare ed uranica che era caratteristica delle genti ariane e che ha plasmato il nostro continente fecondando il suo retroterra più arcaico (continentale e mediterraneo). Ricorda da vicino lo swastika, emblema ariano principe, che nonostante la strumentalizzazione antifascista simboleggia il sole, l’energia vitale, i movimenti astrali, la fortuna ed è carico di positività.

Bandiera della Tradizione

Il cromatismo ariano succitato rappresenta, come detto, la bandiera della Tradizione, molto cara ad ogni identitario völkisch ed indoeuropeista. Tale drappo riflette la tipica tripartizione funzionale della società ariana costituita da sfera militare, sfera spirituale e sfera rurale, che si rispecchia anche nel pantheon dei principali credi indoeuropei. In base a ciò noi possiamo ravvisare nel rosso il sangue indogermanico versato sui campi di battaglia dai nostri padri, nel bianco il luminoso spirito della gentilità accolto dalla religiosità cattolica tradizionale, nel nero l’ubertoso suolo europeo inscindibilmente legato alla razza. Cosicché chi difende questi colori, e questi valori, difenderà anche il popolo, la sua cultura, la sua terra.

Una citazione d’obbligo merita la classica Aquila bicipite imperiale nera su sfondo dorato, simbolo di Occidente e Oriente europei, possibile “stemma” dell’Eurussia, le cui origini affondano nel passato romano, bizantino, celto-germanico, mitteleuropeo e russo.

Aquila bicipite imperiale

Per chiudere ecco una rassegna di altri importanti simboli solari ariani, tra i più noti, che sono espressione di nazioni riconducibili a precisi ambiti geografici e storici, ma che non vogliono essere bandiere di Stato; esso, come sappiamo, deve coincidere con la (vera) nazione e in questo senso ogni (vera) patria europea ha il diritto all’autodeterminazione e ad organismi statuali indipendenti dagli apparati mondialisti di matrice illuminista, massonica, giacobina o liberale e antifascista. Va da sé che l’adozione di bandiere nazionali spetti alle nazioni interessate.

Per l’Iberia il Lauburu. Simbolo sia basco che celtiberico dalla evidente valenza solare e astrale, ma anche relativa al ciclo vitale. Appare molto affine allo swastika, anche nel significato (destrogiro e levogiro).

Lauburu

Per la Gallia la triscele. Racchiude in sé il potere del numero perfetto tre, che si manifesta attraverso le tre spirali e rappresenta il ruotare delle energie, naturalmente anche in accezione solare. Come nel caso di altri emblemi solari il significato varia a seconda dell’orientamento del simbolo, ed è stato riadattato dal cristianesimo per simboleggiare la solarità del Cristo e il mistero della Trinità.

Triscele

Per la Britannia la triquetra. Un altro simbolo celtico molto famoso, la cui valenza è analoga alla triscele e rappresenta le tre forze naturali (terra, aria, acqua) e i tre gradi dell’evoluzione dell’esistenza (vita, morte, rinascita), aspetti di un unico ente che è il tutto.

Triquetra

Per la Germania il sole nero. Si tratta di una variante germanica dello swastika con eguale simbologia solare, dunque; può rappresentare una ruota dell’anno grazie ai suoi dodici raggi che rimandano all’andamento del sole con il susseguirsi dei mesi. Per quanto associato alle SS, questo emblema è assai arcaico e risale alla storia teutonica antica.

Sole nero

Per la Scandinavia il Valknut. Legato al paganesimo germanico e norreno, ha una valenza similare a quella della triquetra e si collega intimamente agli attributi odinici, nonché ai guerrieri caduti in battaglia e accolti nel Valhalla.

Valknut

Per il Balticum il Tursaansydän. Presso i popoli finnici e, soprattutto, baltici i simboli affini allo swastika sono assai importanti (vedi anche il lettone Pērkonkrusts) poiché rappresentano l’importante eredità ariana che riguarda il loro areale. Il simbolo in questione ha un uso beneaugurale e pare che si connetta anche al martello rotante di Thor, ma pure ai fulmini del dio Perkūnas, divinità comune a tutti i popoli dell’areale baltico.

Tursaansydän
Pērkonkrusts

Per la Slavia le mani di Dio. Un simbolo tratto dal paganesimo slavo e ricorrente in Polonia, sovente accostato allo swastika e ad altri simboli solari.

Mani di Dio

Per la Russia il Kolovrat. Simbolo pagano molto legato alla Russia etnica, riferito ad una divinità solare slava e avente medesimo significato del più noto swastika.

Kolovrat

Per la Balcania la croce solare. Anche questo è un classico simbolo, non solo balcanico (vedi Armenia), dal chiaro riferimento solare e astrale, legato al ciclo della vita e all’eternità, e mostra legami etnici con Daci, Traci e Illiri.

Croce solare

Per l’Ellade il sole di Verghina. Emblema della Macedonia ellenica è probabilmente correlato alla dinastia di Alessandro Magno e al pantheon olimpico, e porta con sé una squisita valenza uranica.

Sole di Verghina

Vi è, infine, l’Italia (etnica), dalla Toscana a Malta e dalla Corsica all’arcipelago di Pelagosa. Per questo areale s’era pensato al cosiddetto “fiore a sei petali”, affine al sole delle Alpi, un simbolo presente nel mondo etrusco, tra i Dauni della Puglia, nell’antica Roma e in altre aree italiche. Tuttavia, l’emblema/vessillo ideale per le terre della Saturnia tellus, ossia la genuina Italia, è il seguente:

Aquila repubblicana

Unisce l’Aquila di Roma, animale sacro a Zeus e Giove, ad altri simboli della classicità italico-romana quali il fascio repubblicano (di origine etrusca), il serto di alloro, la dicitura SPQR e il cromatismo rosso-dorato. Non conosciamo l’autore ma questa bandiera (in parte ispirata alla bandiera da combattimento della RSI) potrebbe benissimo rappresentare i popoli della reale penisola, gli Italiani etnici, lasciandosi alle spalle le bandiere tricolori, brutta copia del drappo giacobino d’oltralpe, che sono soltanto l’espressione senza storia degli interessi di pochissimi ai danni delle nazioni, quelle vere.

L’Europa

Europa

Presentiamo, brevemente, il quadro etnonazionale dell’Europa, ossia le realtà etniche e culturali precipue del contesto continentale, dove per ‘etniche’ si intendono i grandi popoli storici prodotto della fusione di sangue e suolo, il cui spirito ha potuto plasmare un vero e proprio profilo nazionale. Gli Stati europei, soprattutto occidentali, sono semplici contenitori burocratici di genti spesso disparate, come la Repubblica Italiana dimostra.

‘Etnia’, insomma, designa l’interazione tra biologia e cultura (da cui la lingua e la mentalità, ad esempio), e viene inquadrata in un consesso storico e civile, a tutti gli effetti nazionale, che la racchiude mirabilmente. La grande famiglia comune è quella dell’Europa plurimillenaria di razza europide/bianca, forgiata da popolazioni ariane, Greci, Romani, pensiero classico e gentilità, Celti, Germani, Slavi (e altri minori), cristianesimo soprattutto cattolico, migrazioni barbariche ed importanti fenomeni storico-culturali e socioeconomici, ahinoi non sempre positivi (dall’Umanesimo all’Illuminismo, dal Rinascimento alle rivoluzioni contemporanee).

Per Europa si intende qui il continente europeo, grande spazio geografico e fisico coeso dai suddetti popoli e fenomeni, dalla genetica, dall’antropologia, dalla religione cristiana, dall’arianizzazione, e pure da quella nobile idea imperiale che va da Roma sino a Mosca, passando per il Sacro Romano Impero di matrice germanica ma riscopritore delle glorie romane e latine (come di quelle greco-elleniche, nel caso di Bisanzio).

La cartina riassuntiva allegata in apertura illustra le succitate realtà etnonazionali del nostro continente, che sono poi le vere nazioni europee, e che sono meritevoli di Stati indipendenti dalle finte entità statuali nazionali, di ispirazione giacobina, che tutti noi conosciamo. I futuribili e auspicabili Stati potrebbero anche essere organizzati su base federale, la scelta spetta ai popoli interessati. Nel caso grande-lombardo i precipui gruppi etnoculturali sono due: Lombardi etnici (con gli altri “gallo-italici” periferici) e le cosiddette “Venezie”. Si può discutere dell’opzione federalista, ma la nazione lombarda è solo una, con alcune minoranze storiche europidi compatibili.

Chiariamo ancora una volta: la Grande Lombardia include Nizzardo, Valle d’Aosta, Tirolo meridionale (Alto Adige) e Venezia Giulia irredenta in quanto parte del continuum geografico cisalpino, sebbene abitati da popoli minoritari alloctoni, ma pure perché territori storicamente legati alle genti lombarde. I confini geografici sono sacri, anche perché di fronte alle barriere fisiche c’è poco da discettare.

Elenchiamo ora le etno-nazioni individuate nella mappa suesposta:

Penisola iberica

  • Galizia (in blu)
  • Spagna (in arancione chiaro)
  • Catalogna (in violetto)
  • Paese basco (in viola)

Penisola (lato sensu) appenninica

  • Lombardia (in rosso)
  • Italia (in verde)
  • Sardegna (in giallo)

Hexagone

  • Francia (in marroncino)
  • Bretagna (in celeste)
  • Arpitania (in giallo)
  • Occitania (in rosa)

Germania

  • Bavaria (in blu)
  • Svevia (in verde)
  • Sassonia (in bordò)
  • Olanda (in arancione)

Isole britanniche

  • Inghilterra (in giallo)
  • Scozia (in blu)
  • Cambria (in violetto)
  • Irlanda (in verde)

Scandinavia

  • Norvegia (in verde)
  • Svezia (in giallo)
  • Danimarca (in azzurro)
  • Islanda (in rosso)

Slavia

  • Polonia (in verde)
  • Cechia (in azzurro)
  • Slovacchia (in rosa)
  • Rutenia (in arancione chiaro)
  • Bielorussia (in marroncino)

Balticum

  • Finlandia (in rosa)
  • Estonia (in grigio chiaro)
  • Lettonia (in verde chiaro)
  • Lituania (in arancione)

Russia

  • Russia europea (in blu)
  • Alania (in grigio scuro)

Carpazia

  • Ungheria (in grigio chiaro)
  • Romania (in bordò)

Penisola balcanica

  • Slovenia (in viola scuro)
  • Croazia (in giallo)
  • Serbia (in arancione)
  • Bulgaria (in verde)
  • Albania (in azzurro)
  • Grecia (in viola)

A corredo della cartina etnonazionale, si allega quella linguistica (le mappe sono state realizzate da Adalbert Roncari). Più sotto la legenda.

Europa linguistica

Lingue indoeuropee

  • Greco (in rosso)
  • Romanzo occidentale (in giallo)
  • Romanzo orientale (in arancione; il sardo viene, più propriamente, classificato come romanzo meridionale)
  • Germanico occidentale (in blu)
  • Germanico settentrionale (in azzurro)
  • Celtico (in marrone)
  • Albanese (in rosa)
  • Baltico (in viola)
  • Slavo meridionale (in verde marcio)
  • Slavo occidentale (in verde chiaro)
  • Slavo orientale (in verde)
  • Iranico (in marroncino)

Lingua basca (in grigio chiaro)

Lingue caucasiche (in verde acqua)

Lingue turche (in grigio)

Lingue uraliche (in grigio scuro)

Lingue mongoliche (in violetto)

La sistemazione ideale dell’Europa modellata alla lombardista (e, cioè, all’etnonazionalista, oltretutto rispettosa dell’etnolinguistica) è la grande confederazione imperiale “euro-siberiana”, dall’Atlantico a Vladivostok, che racchiuda tutte le nazioni europee unite dal collante razziale bianco, ovverosia europide. La geopolitica eurasiatica ha un senso se assume carattere indoeuropeo, fermo restando che la Federazione Russa è un continente a sé e che si può pensare anche ad una divisione dei blocchi: Europa da una parte, Russia e Siberia dall’altra. Ciò che conta è contrastare l’unipolarismo americano, smantellare Ue e Nato e sviluppare un robusto cameratismo biologico e spirituale tra gli indigeni bianchi eurasiatici, nel nome della solarità indogermanica e della comune lotta alla inevitabile degenerazione globalista (immigrazionismo, società multirazziale, relativismo, occidentalismo e sistema plutocratico/capitalistico).