La visione filosofica di Paolo Sizzi

Ho già avuto modo di discutere, su questo blog, circa la mia visione del mondo e il mio punto di vista filosofico, ma alla luce dei recenti sviluppi relativi al recupero del lombardesimo integrale ho deciso di riprendere la questione. Si tratta quindi di uno scritto, quello che vado a proporre, che vuole essere integrazione e rettifica parziale dei precedenti, per quanto concerne la questione metafisica e religiosa. Chiarisco subito che il sottoscritto, in questi anni, pur avendo mutato atteggiamento nei riguardi della spiritualità, è rimasto sostanzialmente lo stesso e cioè uno scettico, per quanto di formazione cattolica. Detto ciò, l’articolo non si focalizza solo su questo ma abbraccia a tutto tondo la visione sizziana.

Ho un approccio decisamente improntato al razionalismo, al realismo e ad una sorta di materialismo identitario che pur non credendo in alcunché di metafisico ritiene che si possa parlare di spirito, come insieme di elementi culturali, civili, caratteriali, mentali e artistici di un popolo. La ragione è il faro che deve guidare l’uomo europeo lungo il cammino della propria esistenza, ma senza sbocchi relativisti e nichilisti: l’esaltazione razionale di sangue, suolo e spirito è quanto contraddistingue il lombardesimo e, dunque, colui che l’ha plasmato, il qui presente.

Tale visione va sotto il nome di etno-razionalismo e, come anticipato, fa da sfondo alla stessa ideologia lombardista. Avremo modo di riparlarne. Esaltare razionalmente il sangue della nazione, il suolo patrio e lo spirito della propria gente significa rimettere al centro di tutto etnia e razza, fatto oggi più che mai cruciale, in un mondo piegato e piagato dalla globalizzazione. Serve infatti un vigoroso recupero di un identitarismo e un tradizionalismo che sappiano dare forma alle aspirazioni patriottiche della Lombardia e della vera Europa, anche per contrastare efficacemente tutto quello che è nemico dei connotati peculiari della nostra civiltà. Sizzi ritiene dunque basilare perseguire una logica etnonazionalista, che del resto è quanto lo caratterizza dal lontano triennio 2006-2009.

Da allora comincia ad abbozzarsi il pensiero definitivo di Paolo sul mondo, sull’uomo, sull’esistenza, sul senso della vita e sul significato dell’identità. Distaccandosi dall’ambito cattolico, che ha forgiato il giovane Sizzi, perciò dal contesto per così dire reazionario, ecco che il Nostro si avvicina a quella mistica del sangue che delinea il concetto di razza. Razza come subspecies biologica, nel nostro caso caucasoide europea, europide, ma razza anche come ulteriore suddivisione etnica, pensando alla Lombardia. Ed è chiaro che non si tratta soltanto di tassonomia biologica e antropologica, ma anche di specifica culturale, perché certamente il sangue ha bisogno del supporto dello spirito per ascendere. La lezione dei nostri padri indoeuropei non viene vanificata.

Ritengo che l’esistenza dell’uomo europeo, che si differenzia da quello di altre latitudini (e in questo c’è il ripudio di umanitarismo ed egualitarismo), debba concentrarsi sugli elementi identitari e tradizionali proprio per cercare di uscire dal marasma che attualmente sconvolge il nostro continente; un marasma di matrice progressista, ma pure liberale, in cui nulla ha più senso, a meno che alimenti la sconfinata epa del grande capitale e del sistema-mondo. L’uomo europeo, viene perciò risucchiato dal vortice mondialista e completamente svuotato, per venir poi rimpinzato di ciarpame modernista e anti-identitario volto alla celebrazione di tutte quelle nefandezze che sono state partorire dal ‘700.

Certo, Paolo non è affatto credente o religioso, o meglio, crede nel valore del sangue congiunto a quello del suolo, pertanto potrebbe parere che idealmente si ricolleghi per davvero ai “lumi”, ma non è assolutamente così. Partendo dalla fondamentale triade di sangue, suolo, spirito ecco che l’Orobico plasma una dottrina e un senso dell’esistenza volti a quanto di più prezioso abbiamo, e che è la cifra identitaria della Lombardia, dell’Europa, della razza bianca: non abbiamo bisogno di dei, religioni e paradisi – mere creazioni dell’uomo – sapendo che la ragione prima e ultima della nostra vita deve essere la realizzazione etnica e razziale dell’individuo e della sua comunità.

E questa dialettica individuo-comunità è fondamentale, poiché il primo non può sussistere senza patria, nazione, famiglia, e la seconda ha bisogno dell’individuo, degli individui, per poter essere considerata una collettività incentrata sui valori e i principi etnicisti. Come si sarà capito, insomma, Sizzi pone molta enfasi sui criteri di nazionalità, etnia e razza, proprio perché fondamentali al fine di edificare l’identità e la fisionomia antropologica e culturale di un popolo. Criteri che si basano sulla realtà, la concretezza, la materialità dell’essere popolo, patria, nazione, pur tenendo in considerazione ciò che chiamiamo spirito. Esso nasce dall’incontro di sangue e suolo e rappresenta tutti quegli elementi “umanistici” che contribuiscono alla formazione di una coscienza identitaria, e di uno spirito di appartenenza.

Lasciando dunque perdere la metafisica, e concentrandoci su razionalismo e realismo, abbiamo così l’opportunità di esaltare un materialismo identitario che il detrattore potrebbe chiamare zoologico ma che in realtà incarna il significato più intimo dell’essere uomini e donne, come parte di una comunità. Poiché la materia, quanto di concreto e visibile, sensibile, deve essere quella solida certezza su cui erigere l’edificio dell’etno-razionalismo, ben sapendo che possiamo fare a meno di tutte le speculazioni filosofiche astratte che non conducono a nulla, o che fanno parte soltanto di un passato che oggi non ha più nulla da dirci e darci.

D’altra parte, anche l’uomo è un animale, un essere vivente, e come tale ha diverse razze. Razze che si legano a concetti di civiltà, cultura e spirito per come lo abbiamo delineato, perché, pur essendo un animale, l’uomo può contare sulla ragione, sul linguaggio, sulla cultura, sulla civiltà appunto, che sono ciò che lo elevano dalla condizione ferina. Dobbiamo credere in ciò che è percepibile grazie ai nostri sensi, che si può spiegare e dimostrare scientificamente, e che può essere appunto compreso dal nostro intelletto: esistere allude alla possibilità di esperire, e di sperimentare, pertanto di conoscere. Parliamo, comunque sia, di un intelletto che, assieme ai gradi di civiltà, varia da popolo a popolo perché è inutile prenderci in giro con l’egualitarismo: le capacità logico-matematiche variano in base ad etnia e razza, e le genti della terra non possono essere livellate in nome di un assurdo relativismo antropologico.

Non esiste alcun disegno divino dietro l’universo, il pianeta, gli esseri, gli uomini, la vita, ed è certo il caso che ci ha voluti, qui ed ora, al mondo. Ma nonostante questo non dobbiamo affatto abbandonare i capisaldi di identità e tradizione poiché ci permettono di dirigere la nostra esistenza sulla retta via, che è quella che porta al coronamento etnonazionalista. La verità assoluta esiste, e discende dal sangue; e in nome di tale verità dobbiamo dare forma a tutto ciò che è liquido ed instabile perché l’uomo deve dominare la natura, grazie alla ragione, e avere così la facoltà di imprimere al globo un indirizzo finalmente razionale. Solo così la vita sarà degna di essere vissuta, esorcizzando la sua apparente assurdità, rimettendo al centro di tutto il dato antropologico (appunto come risultante di sangue, suolo, spirito) e lottando per la salvaguardia di ciò che può permetterci di divenire idealmente immortali, nel segno della comunità: la continuazione della stirpe.