Note religiose

Paolo

Ho già affrontato il tema religioso nel precedente articolo sul mio pensiero filosofico (qui), ma ora riprendo la questione nel dettaglio. Il sottoscritto è, infatti, nato e cresciuto in una realtà famigliare e sociale paesana in cui la componente cattolica è (o era) fondamentale, e che di certo ha segnato profondamente la sua formazione.

Da secoli la Bergamasca è considerata un po’ come “l’anticamera del Vaticano”, non solo per la mitologia del “papa buono” di Sotto il Monte (che dista pochi chilometri da Brembate di Sopra, dove risiedo) ma anche perché assai radicato è il tradizionalismo cattolico espresso dalla terra orobica, una terra alquanto rustica e contadina (un tempo, perlomeno).

Il fatto ilare è che, prima del Concilio di Trento, le cose non dovevano essere esattamente così: vuoi per la tradizione medievale ghibellina (a differenza di Milano e Brescia), vuoi per le eresie che attraversavano il nostro territorio precedentemente alla Controriforma, vuoi anche per la tolleranza della Serenissima proprio nel Bergamasco fu possibile una consistente immigrazione di protestanti (e capitali) svizzeri, il che la dice lunga. Negli ultimi secoli, tuttavia, la Chiesa orobica è diventata assai potente ed influente, rendendo Bergamo una delle città più “bianche” e “reazionarie” della Cisalpina.

Anche in tempi recenti, nonostante la sciagurata svolta ecumenista del Concilio Vaticano II, l’Orobia rimane nota per lo zelo cattolico dei suoi figli più conservatori, particolarmente quelli che, quanto me, sono nati in famiglie vetuste della prima metà del ‘900, le cui origini affondano nell’humus povera e semplice del contado bergamasco tra le due guerre mondiali. Naturalmente anche a Bergamo e suo territorio, oggi, la presa del cattolicesimo è alquanto ridimensionata, nonostante l’alone di perbenismo da sacrestia rimanga; l’imponente seminario vescovile che domina la Città Alta è semivuoto.

I miei genitori – classe ’35 il padre e ’45 la madre – sono stati allevati a suon di imperativi morali cattolici, famigliari e lavorativi: cà-césa-laurà, laurà-césa-cà, in cui “ol Signùr” rimane sempre al centro delle preoccupazioni e degli interessi. Per carità, ottimo antidoto ai veleni della modernità (e dell’antifascismo), se non fosse che i preti ci marciavano (assieme alla bògia, l’epa, dei marchesi). Ho ancora impressi gli aneddoti paterni e materni sulla meschinità del clero dell’epoca – e sul parassitismo dei “nobili” – e per quanto non mi reputi certo un (neo)giacobino prendo le distanze dallo spirito vandeano: il binomio trono-altare non mi fa impazzire, anzi…

Dicevo, ho sempre riconosciuto il ruolo per certi versi positivo della triade vernacolare succitata; il culto della casa sprona all’endogamia famigliare proficua e al radicamento nel territorio, il che comporta attaccamento ai propri natali; il culto della religione cattolica allontana i grilli dalla testa della gioventù e contribuisce ad acquisire uno stile di vita sobrio e austero; il culto del lavoro allontana gli spettri dell’assistenzialismo e del lassismo che imperversano nel vero sud europeo (cioè nell’Italia etnica, per capirsi) suscitando le mafie, il familismo amorale e il profitto parassitario e truffaldino.

Però, si capisce, vi sono anche delle controindicazioni: il culto della casa può rendere ottusi, misoneisti, campanilisti, misantropi (individualisti in senso negativo, insomma); il culto della Chiesa – di questa Chiesa – rende schiavi del nefasto mito “giudaico-cristiano” e del malato universalismo postconciliare; il culto del lavoro – e del fatturato – intossica il lombardo facendogli credere che si viva per lavorare (e non che si lavori per vivere), cosicché i furbastri se ne approfittano e noialtri facciamo la figura degli asini da soma ignoranti, bifolchi e succubi del sistema che ci frega ormai da decenni, dopotutto per il nostro disinteresse politico o per il gretto conformismo unionista.

Insomma, è una questione di equilibrio e razionalità e di ridimensionamento del concetto di ‘culto’, che si addice invece, pienamente, alla patria. La nazione (la Lombardia) non può essere messa in discussione ed è ciò che deve rappresentare, per tutti i lombardi, la priorità, il bene inestimabile da difendere con le unghie e con i denti, il valore fondamentale che unisce, invece di dividere. Mi si consenta l’inciso sotto, a questo proposito.

La mia idea di Grande Lombardia non avrà nulla da spartire con quella di un ipotetico antifascista “lombardista”, però è suggestivo pensare che, finalmente, pure chi ha idee politiche agli antipodi delle mie possa guardare non più alla finta patria dalle Alpi alla Sicilia ma a quella vera dal Monviso al Nevoso e dal Gottardo al Cimone. Il concetto storico di Lombardia e il sentimento nazionale lombardo non sono l’elucubrazione di un pensatore o di un partito/movimento (che ne hanno l’esclusiva), sono la verità che tutti i lombardi dovrebbero riconoscere ed abbracciare, a prescindere dalle ideologie. Detto questo, il lombardesimo (inteso come etnonazionalismo lombardo) è una cosa ben precisa e per nulla inclusiva, ma la patria lombarda non è una fantasia o una proprietà intellettuale del sottoscritto. Ci possono essere diversi modi di essere lombardisti anche se, forse un po’ narcisisticamente, in questi anni ho rivendicato l’appellativo per me e per i miei sodali.

Torniamo a noi. Il credo famigliare delineato più sopra è profondamente intriso di alpinismo (antropologicamente parlando), risente cioè della mentalità tipicamente alpina, con le sue virtù ma anche i suoi bravi vizi: bigottismo, grettezza, feticismo del lavoro e del denaro, parsimonia esondante nella taccagneria, cocciutaggine scontrosa che però, spesso, svanisce di fronte al pungolo delle gerarchie – che se ne approfittano delle paure del popolino nostrano – dando luogo alla più bieca omologazione.

La Chiesa contemporanea sfrutta a meraviglia queste innate debolezze lombarde: se un tempo il clero si dilettava nel tenere immersi i poveracci nell’ignoranza più crassa e nell’oscurantismo, funzionali al suo arricchimento parassitario, oggi flagella i loro figli col terzomondismo e con quella melassa ecumenista e sincretica tesa ad accattivarsi le simpatie del mondialismo e del sistema (un sistema, paradossalmente, ateo, progressista e del tutto secolarizzato dalle ingordigie plutocratiche di una certa matrice).

A conti fatti la moderna religione cattolica non preserva affatto dall’auto-genocidio degli Europei, anzi, lo fomenta! Risulta peggiore dell’ortodossia in questo e in pari con gli eretici nordici: il luteranesimo ha spalancato le porte al delirio suicida dell’Europa settentrionale, imitato con zelo proprio dalla Chiesa postconciliare varata da Roncalli e Montini (è curioso come la distruzione del cattolicesimo sia avvenuta per opera di un tandem bergamasco-bresciano).

‘Cattolico’ significa ‘universale’, essendo la Chiesa di Roma erede dell’ideale imperiale romano, ma la coloritura che il Concilio Vaticano II ha dato al concetto di universalismo non è altro che un pervertimento di stampo progressista. ‘Universale’ non significa meticcio, cosmopolita, pluralista, relativista, arlecchinesco (in tutti i sensi), giudaizzato, tutti aggettivi che si confanno al cristianesimo cattolico uscito dal triennio da incubo 1962-1965.

Il sottoscritto, come ho già avuto modo di dire, è rimasto cattolico credente fino al 17 marzo 2009 anche se praticante smisi di esserlo nell’ottobre 2008. Questo distacco scaturì da un generale prolasso religioso principiato nella primavera del 2006 proprio quando mi avvicinai alla dottrina etnonazionalista.

Fino ad allora ero stato, a partire dai 14 anni, un cattolico duro e puro, gran bigotto, assiduo frequentatore di chiese e oratori, spietato nemico di blasfemia, ateismo, agnosticismo, modernismo, sincretismo, deviazionismi, eresie, sette e ostile agli altri credi, tra cui quelli neopagani (che non confonderei col paganesimo originale). Naturalmente, ma quello ancora oggi, ostile anche al degrado morale e spirituale delle giovani generazioni che mi circondavano. Più che intimamente cristiano ero esteriormente cattolico, insomma.

Prima dei 14, il mio cammino religioso non fa testo essendo frutto dell’educazione famigliare impartita dall’alto a tutti quelli della mia generazione, ma sicuramente acuita, nel mio caso, dall’anziana natura dell’ambiente domestico e sociale da cui provengo. La mia famiglia diede alla Chiesa due sacerdoti: un prozio e uno zio paterni. E anche dal lato di mia madre vi sono un sacerdote spretato e una suora.

Nel 2006, dunque, la svolta che mi portò nel giro di tre anni a piantare in asso la fede cattolica e tutti gli annessi e connessi. Abbandonai il cattolicesimo, il cristianesimo, e la religione medesima, perché stanco del mondo clericale “impreziosito” dal terzomondismo egualitarista; stanco di un credo che bollavo come semitico, e dunque all’Europa estraneo; stanco della superstizione, del bigottismo, dell’oscurantismo che promanano dalla religione in generale e dal cattolicesimo in particolare (questo ciò che credevo allora).

Con il 17 marzo 2009, giorno simbolico di San Patrizio (ovverosia il compromesso tra cristianesimo e paganesimo autoctono), divenni gradualmente anticristiano, irreligioso, empio tanto che feci del razionalismo identitario un nuovo credo, al fine di preservare l’identità e la tradizione genuine (per i parametri dell’epoca), senza più inquinamenti “giudeo-cristiani” e islamici.

Ho già ricordato come mi sia lasciato alle spalle questo periodo di furore ideologico giovanile (durato una decina d’anni), sorta di ribellione culturale ad un passato asfittico fatto di educazione cattolica maldigerita e mai vissuta come qualcosa di veramente genuino e cristiano. Tra l’altro non abbandonai la Chiesa per divenire neopagano, ma per sviluppare un punto di vista amorale (con riferimento alla filosofia di vita cristiana) mirato alla critica di ogni fenomeno religioso, sebbene – per coerenza etnicista – benevola nei riguardi dei credi tradizionali precristiani.

Oggi, pur non essendo religioso, riconosco tranquillamente la mia formazione cattolica, difendo il tradizionalismo tanto gentile quanto cristiano e prendo le distanze da quanto andavo dicendo sino all’estate 2019; maturando definitivamente (sono alla soglia degli -anta) posso conciliare l’anima pagana dell’Europa con quella cattolica, anche perché la solarità ariana della prima è confluita nella seconda. Il cattolicesimo cui mi riferisco, ovviamente, è quello preconciliare, e la gentilità che ho in mente è quella vera, precristiana. Il nuovo corso della Chiesa è uno snaturamento del cattolicesimo, e il neopaganesimo nient’altro che una pagliacciata modernista.

Non sono molto interessato alla spiritualità, non è il mio campo, tuttavia riconosco l’importanza culturale della religione nella vita identitaria di una comunità; a patto che non si metta di traverso in campo politico. Il cristianesimo cattolico alla Wojtyla mi ha attossicato, ma sarebbe sbagliato fare di tutte l’erbe un fascio sparando a zero su ogni culto (legato alla Lombardia e all’Europa, ovviamente). Nutro stima e simpatia per la religione tradizionale eurocentrica, perché marcia stando al passo col nazionalismo etnico, senza anteporvi stupidaggini irrazionali e buoniste che sono frutto dell’opportunismo di chi vuole sopravvivere inciuciando con la modernità. Difendo i valori spirituali, religiosi, culturali ereditati dall’epoca ariana, che sono certamente in linea coi valori razziali, ancorché filtrati dall’ottica greco-romana (quindi cattolica).

La paccottiglia postconciliare esalta la fantomatica componente giudaica del cristianesimo, rinnegando la classicità e l’eredità indoeuropea che sono alla base del credo cattolico. Il cristianesimo non è un’eresia dell’ebraismo, i fratelli maggiori dei cristiani non esistono, le radici giudeo-cristiane dell’Europa sono un mito a cui giusto il papa polacco (non per niente) e i suoi accoliti possono credere seriamente. E gli ebrei restano gli uccisori del Cristo, i deicidi, con buona pace del mio pingue conterraneo riformista.

Gli innumerevoli elementi gentili mutuati dal cattolicesimo smentiscono ogni macabra fantasia di ammucchiate ebraiche. La liturgia, il calendario, la gerarchia ecclesiastica, il culto dei santi, le festività precipue e minori, il marianesimo (oggi decisamente eccessivo e invadente, sempre per cagione del polacco), gli antichissimi riti, le preghiere, la figura del pontefice (!), l’adozione del latino sono tutti elementi gentili ricoperti di vesti cristiane. Che cos’è il cattolicesimo se non l’insegnamento di Gesù di Nazareth innestato sulla precedente religio romana? Per non parlare della scolastica, del tomismo, dell’apologetica che sono debitori del pensiero filosofico greco, sviluppatosi in contesti pagani. Possiamo concepire il cristianesimo senza mondo classico greco-romano?

E che dire della centrale figura del Cristo? Gesù era, certo, di formazione mosaica ma la sua figura storica scolora in quella sacrale della solarità indogermanica, tanto da venire accostato a diverse deità orientali venerate da popoli ariani. Il suo Natale è quello del Sole Invitto, la sua Pasqua di Risurrezione è la rinascita primaverile della natura osservata con sensibilità cosmologica dalla religiosità dei nostri arii padri. Il Dio (trinitario) di Gesù Cristo non è il dio dei moderni giudei e dei musulmani: i primi praticano un credo medievale raccogliticcio avulso dal mosaismo “positivo” del Nazareno, i secondi praticano un’eresia del cristianesimo.

Il concetto di “religioni abramitiche” è una delle tante baggianate pressapochistiche che piacciono alla galassia modernista – nata su internet – dei vari neopagani, new age, wicca, amanti di magia ed “energia” e chi più ne ha più ne metta, le cui fissazioni e conclusioni nichilistiche non sono poi molto diverse da quelle dei liberal. Come si può mettere la cristianità cattolica, dunque la romanitas, sullo stesso piano di chi crede nel Talmud e nella cabala o nel Corano? Di chi si circoncide, per costumanze desertiche, e ha una forte connotazione etnica semitica? Di chi è intriso di Medio Oriente e in Europa è un corpo estraneo?

Gli ebrei non sono “fratelli maggiori”, perché il cristianesimo non è un prodotto dell’ebraismo (che, ripetiamo, per come lo conosciamo oggi è un culto medievale) e accostare chi mise a morte Gesù con chi ne ha abbracciato il credo è blasfemo (e poi, gli ebrei, prima di essere dei praticanti di una religione sono un insieme di popoli accomunati dalla matrice semitica; un cattolico europeo sarà fratello di costoro?). E i maomettani non sono “fratelli minori”, perché il loro culto desertico, totalmente estraneo all’Europa, sebbene eresia del cristianesimo non è fondato sul Dio di Gesù Cristo (per non parlare, anche qui, del bagaglio culturale levantino e della natura etnica e razziale della stragrande maggioranza dei credenti musulmani).

Mi fa molto divertire l’islamofilia anticristiana di alcuni ambienti neonazisti e neofascisti (nostalgici delle gesta filo-arabe degli originali, che avevano un senso ben preciso): da una parte fissati fino alla malattia con tutto ciò che è nordico, biondazzurro, gelido dall’altra con una fascinazione femminea per le scimitarre e la mitica “virilità guerriera” dei seguaci di Maometto, più semitici e desertici degli stessi israeliti. Come se poi cristianesimo ed ebraismo fossero, appunto, la stessa cosa e come se l’Europa cattolica fosse stata imbelle, castrata, matriarcale ed effeminata… Ricordo anche, a questi soggetti, che la simbologia solare ariana (nonché l’iconografia della croce) è stata assorbita dalla cristologia; ai giudei le stelle a sei punte, ai musulmani le stelle e le mezzelune.

Qualcuno dice che Gesù di Nazareth era ebreo: gli avete scattato delle foto che attestino la sua supposta fisionomia armenoide od orientalide? Oppure lo avete sottoposto ad un test genetico? Magari, già che ci siete, sposate anche tutto il resto del repertorio antirazzista della sinistra petalosa che va dal “Gesù profugo” al “Gesù alternativo” (con le varie diffamazioni empie dei bestemmiatori variopinti). Gesù, per chi crede, era anche Dio, e Dio non può avere caratterizzazione etnica o razziale. Se, comunque, qualche tizio anticristiano del XXI secolo ha i suoi raw data di 23andMe me li dia che li carico su Gedmatch. Sempre che alla storicità di Gesù Cristo questi personaggi ci credano perché mentre gli danno dell’eresiarca ebreo dicono che non sia mai esistito…

Sarcasmo a parte, dico queste cose non solo pensando alla scomposta galassia neopagana (in cui, peraltro, possono anche esserci persone e associazioni rispettabili) ma pure a ciò che io stesso asserivo anni fa, in buonafede ma con indubbia superficialità e fanatismo. L’intento era quello di essere il più coerente possibile con l’etnonazionalismo völkisch e il nativismo, ma non resi un buon servigio alla causa schiettamente identitaria: non si può concepire un’Europa senza cristianesimo, e scristianizzarla equivarrebbe ad assecondare le empie brame del sistema-mondo (e di chi lo manovra), non certo quelle di 4 gatti “gentili”. Altresì, è una sciocchezza reputare il cristianesimo un corpo estraneo, non solo perché radicato nel nostro continente da quasi duemila anni ma anche perché, a ben vedere, non è un corpo estraneo, come già ricordato. Ovviamente, concepisco il cristianesimo esclusivamente in chiave cattolica tradizionalista: gli ortodossi sono scismatici, i protestanti eretici, i postconciliari giudaizzati.

Il mio punto di vista è quello di un laico che, nonostante le tentazioni razionaliste e anticlericali estreme del passato, riconosce l’importanza storica e culturale della religione, a patto che di religione cattolica genuina si tratti. Le altre, per quanto mi riguarda, non hanno alcuna legittimità in Lombardia. Posso tollerare una rinascenza pagana, perché affonda le radici nel passato precristiano celtico, gallo-romano, germanico, ma sono assai scettico sulla fattibilità e la serietà dell’impresa. Anche perché dovrebbe comunque essere un qualcosa che si inserisca nell’alveo del patriottismo lombardo, ed è facile per chi si professa pagano e anticristiano tracimare nella solita isteria antifa che accusa la società tradizionale forgiata dai nostri padri (che erano soprattutto cattolici, prima che gentili) delle peggiori nefandezze.

Sapete com’è: si comincia con le accuse al “monoteismo desertico” e si finisce per sposare i deliri dell’immondezzaio woke d’oltreoceano tra femminismo, antifascismo, antirazzismo, omofilia e piagnistei scomposti che puntano il ditino contro la proterva figura patriarcale del “privilegiato maschio bianco cis- eterosessuale cristiano normodotato”, il tutto condito dal delirium tremens di asterischi, pronomi e schwa. In questo, mi spiace dirlo, ma il paganesimo presta assai più il fianco del cattolicesimo (pure contemporaneo) alla barbarie postmoderna, con le sue ambiguità bisessuali, matriarcali, libertine, relativiste.

Sono, dunque, laico ma non ateo, laicista, pluralista, inclusivista e con soggetti stile Uaar non voglio avere nulla a che fare. Sogno uno Stato etnico lombardo non certo teocratico o confessionale ma che riconosca le radici gentili e cristiane della Lombardia e riconosca dignità e legittimità, in patria, soltanto alle forme indigene di religiosità: cattolicesimo (romano e ambrosiano, latino) e rinascita pagana. Il Vaticano ce lo siamo giocato e, salvo improbabili restaurazioni, meno ficca il naso nei nostri affari interni meglio è. Non ci serve a nulla un papa che fa da carabiniere al sistema, anche se di tanto in tanto si ricorda, stancamente, della tradizione e della lotta al relativismo. Non disdegno, a tal proposito, il progetto di una Chiesa nazionale lombarda autocefala, che sia per davvero tradizionalista e nemica giurata dei veleni della modernità, nonché della Roma che conosciamo.

Allo stesso modo non vorrei che qualche “druido” improvvisato mettesse i bastoni tra le ruote al lombardesimo in nome di chissà quale fola politeista, facendo le veci degli anemici preti castrati dal CVII. Ragazzi, va bene tutto, anche il ricostruzionismo (se proprio ci tenete) ma la politica non può andare al guinzaglio di una fede religiosa, che deve occuparsi di tutt’altro. Il credo assoluto della mia idea di entità statuale grande-lombarda è il sangue, il suolo, lo spirito, dove lo spirito attinge senz’altro alla cultura ariana e romano-cristiana ma senza indugiare nel confessionalismo. Non serve una teocrazia per liquidare il marasma progressista e democratico e condannare ogni forma di rilassatezza dei costumi in materia di etica, bioetica e famiglia.

E dico questo non per lisciare il pelo alla società occidentale secolarizzata, che dal dogmatismo e dall’oscurantismo della Chiesa di secoli e secoli fa è passata al dispotismo “illuminato” dell’assolutismo areligioso. Oggi, nel mondo occidentale (concetto che aborro, io sono lombardo, europeo, bianco, non un affiliato alla succursale europeista degli Usa), si irride e discrimina chi crede in Dio mentre ci si prostra di fronte all’idolo dei diritti umani e civili, prostituendosi al peggior conformismo ateo e laicista. I sommi sacerdoti dello scientismo e del liberticidio vigilano grifagni, a suon di “mancinate”.

A questo punto qualcuno potrebbe chiedermi se, in definitiva, sono credente oppure no, e in cosa. Non mi pongo troppo il problema; essendo argomento personale, complesso, intimo e nobile al momento non vi è una risposta netta, posso dire di considerarmi alla ricerca, senza pregiudizi atei, per quanto la mia sensibilità spirituale sia debitrice della formazione cattolica (anche perché non mi sono mai accostato ad altre religioni) e mi sia rappacificato con le origini. Ma nella Chiesa attuale non mi riconosco.

La religione è un fatto importante, ma non fondamentale ai fini della politica  e del governo di una nazione. Esiste un’eredità spirituale europea – laica – che abbraccia la cura militare e sportiva del corpo, lo studio, il lavoro (per vivere) e soprattutto la cura dottrinale, ideologica, culturale, politica della propria mente, della propria indole, della propria anima; oggi più che mai sarebbe necessario riviverla affinché gli europei tornino guerrieri, padroni di se stessi e della propria terra, ed indomiti avversari vittoriosi della superstizione mondialista (genocida ed auto-genocida) e del relativismo anti-identitario. L’attuale religiosità occidentale, fondamentalmente incarnata dal cattolicesimo (l’eresia luterana e calvinista non fa testo), sta perdendo il mordente spirituale e proprio per questo scende a patti col regime per riguadagnare terreno, con conseguenze disastrose. Ma la soluzione è la tradizione, non la blasfemia.

Note filosofiche

Lo sguardo di Sizzi sul mondo

Non ho particolari autori di riferimento se non la natura: il sangue, il suolo, lo spirito, me stesso. Non credo ci sia bisogno di ispirarsi a qualcuno per maturare una propria visione del mondo e prendere posizione nei vari campi che ci stanno a cuore; spesso basta il buonsenso, ma è chiaro che questo deve essere corroborato da una buona cultura generale e, soprattutto, da una visuale personale sulla vita che passi anche per l’esperienza quotidiana del contatto sociale.

In questo senso gli autori e studiosi classici dell’area etnonazionalista, identitaria e tradizionalista sono assai preziosi, soprattutto se al centro dell’azione (meta)politica mettono il sangue. Più che per me, lo dico per le giovani generazioni, oggi facili prede di cattivi maestri che si fanno alfieri della temperie mondialista.

La mia attuale visione filosofica della vita e del mondo, la mia Weltanschauung, nasce da un percorso di maturazione che mi ha portato dall’impostazione cattolica postconciliare delle origini, spesso banalmente reazionaria e bigotta, all’amore per la verità che solo le dottrine völkisch sanno infondere compiutamente.

Prima, diciamo fino ai 22 anni, il mio mondo ruotava, un po’ prosaicamente, attorno ai valori della triade Dio-patria-famiglia, laddove Dio sta per il Dio di Gesù Cristo (in chiave cattolica annacquata), la patria sta per un’Italia neoguelfa (campanilista e regionalista, dunque) e la famiglia sta per la famiglia cattolica tradizionale timorata di Dio.

Per carità, va detto che crescendo con questi valori ho preparato il terreno alla mia visione del mondo rinnovata, e ho vissuto un’adolescenza e una prima gioventù integerrime di fronte alle tentazioni mondane della corruzione che nascono dal tipico nichilismo e relativismo dell’ambito giovanile occidentale.

La fede cattolica – ancorché postconciliare – tramandata dai vecchi mi ha sicuramente preservato dai veleni del mondo (non solo quelli blasfemi, s’intende) e a suo modo mi ha consentito poi di spiccare il volo verso lidi più seriamente tradizionalisti e anti-mondani, nonché coerenti con la mia genuina indole identitaria; pertanto non mi sento di rinnegare nulla della mia formazione etica e spirituale, ed è stato un bene crescere fino ad un certo punto cattolico “da manuale”; se non fossi stato educato cattolicamente e in maniera conservatrice, forse, oggi sarei in pasto al neomarxismo, al liberalismo, all’indolenza totale, al pecoronismo qualunquista, all’epicureismo.

La mia personale esperienza cattolica (forse più esteriore che intima) mi ha indubbiamente instradato verso i valori maturi che oggi difendo a spada tratta e che vorrei infondere e tramandare ai posteri. Sarò sempre grato a mio padre, mia madre, i miei vecchi per l’educazione ricevuta e non oso immaginare cosa sarei oggi se fossi cresciuto in una famiglia borghese al passo coi tempi, “illuminata”, lacerata da separazioni e divorzi e, soprattutto, da principi ispirati alla moderna temperie liberal e antifascista.

È sicuramente una questione più culturale che religiosa, perché genuinamente cristiano, in fondo, non lo sono mai stato; all’epoca mi son sempre dichiarato una sottospecie di crociato in perenne lotta con la dilagante corruzione modernista che fa scempio tra i giovani. Ed in questo, sicuramente, l’educazione famigliare è stata fondamentale perché la spartana mentalità alpina dei miei consente di mantenersi integri di fronte alla depravazione, e conservatori (nel giusto) di fronte all’eradicazione dell’identità e della tradizione. Tuttavia, va detto, i miei genitori non hanno mai approvato gli estremismi del sottoscritto, segno di una certa autonomia sizziana rispetto all’impostazione classica della famiglia.

Staccandosi dal cordone ombelicale del pensiero famigliare, è avvenuta la mia maturazione, frutto di meditazione, riflessione e presa di coscienza davanti alle sfide del futuro che mi e ci attendono. Oggi, come sapete, rigetto l’anticristianesimo, ma per una decina di anni decisi di assumere un punto di vista ostile alla religione cristiana, allora accusata di essere un corpo estraneo anti-europeo contrapposto al pensiero völkisch. Ma era un’esagerazione controproducente: a ben vedere non esiste contraddizione tra fede cattolica romana (o ambrosiana) tradizionalista – preconciliare – ed etnonazionalismo.

Nel 2009 ritenni necessario abbandonare la fede cristiana perché la giudicai inconciliabile con l’ideologia razzialista e nazional-sociale, preferendovi un tradizionalismo paganeggiante più in linea con le radici precristiane dell’Europa; volli essere coerente con il radicalismo völkisch adottando il solito repertorio neopagano che accusa, in maniera indistinta, il cristianesimo di essere una fede “abramitica” scaturita dall’ebraismo, di avere lo stesso dio dei giudei, di fondarsi su una figura (Gesù Cristo) di origine ebraica e di adottare una morale buonista, ecumenista, progressista, terzomondista, egualitarista, immigrazionista per nulla indoeuropea.

Per inciso: sono accuse, quasi del tutto, campate per aria, provenienti da ambienti troppo spesso pagliacceschi che riciclano in salsa tragicomica le argomentazioni nicciane o nazionalsocialiste, senza oltretutto distinguere tra le varie forme di cristianesimo e tra cattolicesimo tradizionale e modernista. La cosa, forse, più singolare è che mentre accusano il cristianesimo di essere irrazionale, superstizioso, fanatico e oscurantista (come pidocchi sessantottini qualsiasi) ricostruiscano – non si sa bene su che basi – un credo abbandonato dagli stessi gentili e interrotto da quasi 2000 anni; credo che, oltretutto, non era certo più razionale della fede cristiana, tra mitologia, politeismo, sacrifici umani, baccanali, orge ed eccessi di ogni tipo. Per non parlare della critica alla religione cristiana di essere molle, disfattista, masochista, femminea, smentita non solo dalle tendenze bisessuali, omosessuali, pederastiche e matriarcali del mondo classico ma pure dalla storia, antica e recente, dell’Europa cattolica (od ortodossa).

Ai tempi, il sottoscritto non ci andò troppo per il sottile, anche perché profondamente disgustato dagli scempi postconciliari di una Chiesa sradicata, scesa a patti con il sistema mondialista, che lo indussero a rompere con gli ambienti parrocchiali. Pur non aderendo a gruppi di ispirazione neopagana, o convertendosi alle pasticciate credenze da essi propugnate, simpatizzai per le pulsioni identitarie in chiave gentile, sviluppando una forma di irreligiosità verso il monoteismo “straniero”. Tuttavia, rigettai l’ateismo militante, dal puzzo marxista, e l’agnosticismo dei borghesi.

Col senno di poi, posso dire che distaccarsi dal cattolicesimo postconciliare (e dallo stantio bigottismo provinciale) fu più che comprensibile, in quanto scelta meditata a lungo e non certo frutto di un colpo di testa. Ma sull’anticristianesimo paganeggiante meglio stendere un velo pietoso; o si è l’imperatore Flavio Claudio Giuliano o qualsiasi attacco postmoderno alla fede in Cristo finisce per diventare un favore agli anticristiani per antonomasia, che non sono certo quattro spostati neopagani. Rispetto la gentilità, non la sua parodia modernista (plasmata su internet), senza dimenticare che lo spirito solare ariano è confluito nel cattolicesimo romano. Le storture “cattoliche” che abbiamo sotto agli occhi oggi sono il prodotto del Concilio Vaticano II: Paolo IV, Pio V, Pio XII non possono essere confusi con Roncalli, Wojtyla e Bergoglio.

Certo, i valori tradizionali del cattolicesimo non sono solo quelli patriarcali, conservatori, identitari, guerrieri, eurocentrici (oggi rinnegati dalle sciagure bergogliane, principiate col mio famigerato conterraneo) ma anche quelli più squisitamente evangelici come l’amore, la pace, il perdono, la carità sebbene lo stesso Cristo non fosse di certo un pacifista e un buonista amante dei compromessi. Fermo restando che amore e perdono, o carità, hanno senso tra singoli, non tra Stati, e che la politica nazionale di un Paese deve essere ispirata al patriottismo, non al catechismo.

E per quanto riguarda le bubbole delle “radici giudaico-cristiane”, dei “fratelli maggiori” e del “cristianesimo eresia dell’ebraismo” basti dire che la fede cristiana è stata plasmata nel mondo greco-romano (Europa), che accostare giudaismo e cristianesimo è ossimorico e che il concetto corrente di ebraismo è qualcosa di medievale; ai tempi di Gesù (che nemmeno era un locutore dell’ebraico) aveva un senso parlare di tradizione mosaica, non di ebraismo, una religione moderna basata su Talmud, cabala e Torah (che non è la Bibbia). Cristo era ebreo? Gli avete scattato foto o fatto un esame dell’ADN? Inoltre, per un cristiano, la vera fede è quella nel Dio (trinitario) del Nazareno, l’unica alleanza tra il divino e l’umano è la nuova ed eterna Alleanza e il vero popolo “eletto” è quello cristiano. I giudei, uccidendo Gesù, si sono chiamati fuori da tutto questo. In che modo, dunque, il cristianesimo sarebbe un prodotto del giudaismo?

Personalmente, allo stato attuale delle cose, sebbene mi sia pacificato con le mie radici, non mi ritengo religioso, praticante, cristiano e per quanto di formazione cattolica il mio punto di vista non risente di influenze clericali, anche perché ho una concezione laica (non laicista) della politica. Va da sé che in Lombardia sarei disposto a tollerare solo il cattolicesimo tradizionale e una rinascenza pagana dei culti precristiani indigeni (anche se sono alquanto scettico al riguardo) e che la mia idea di laicità non ha nulla a che vedere con le cretinerie giacobino-massoniche dei liberali e dei democratici. Le radici dell’Europa affondano nella gentilità ariana e nella romanitas cristiana, non nell’Illuminismo, nelle rivoluzioni borghesi, nel giudeo-bolscevismo e nell’europeismo di cartapesta defecato dall’antifascismo.

Ad ogni modo, dopo i 22 anni, abbandonando gradualmente la fede cattolica (postconciliare) e la visione politica banalmente reazionaria e conservatrice, mi sono concentrato di più sulle verità di scienza, non di fede: l’uomo e la natura. Capiamoci: non l’essere umano inteso come apolide animale planetario (l’unico animale a non avere razza, stranamente) ma come uomo europeo plasmato dalla natura continentale.

Gli uomini non sono di certo tutti uguali, sono suddivisi in razze, che a loro volta sono suddivise in sottorazze, ibridazioni fenotipiche, etnie e quel che a me sta a cuore è la situazione europea, segnatamente cisalpina, che è il territorio di competenza della Grande Lombardia delineata dal sottoscritto sin dal 2006.

Inizialmente, più che sentirmi lombardo, tendevo a rinchiudermi nel guscio del campanilismo bergamasco che non rinnega l’italianità. Il localismo esasperato, in un certo senso, è un sottrarsi alle responsabilità maggiori etnonazionali, senza peraltro mettere in discussione l’innaturale baracca del tricolore.

Ora invece, grazie al percorso di crescita che mi ha consentito di maturare una visione comunque indipendente rispetto al retaggio famigliare (religioso e anche filosofico-politico), posso dirmi lombardista ed etno-europeista, assumendo posizioni eurasiatiste focalizzate su di un cameratismo “imperiale” tra Europa occidentale, Europa orientale e Federazione Russa. L’impero confederale degli europidi va mantenuto, assieme ai buoni rapporti con tutti gli individui di razza bianca, non rinnegati, sparsi per il globo.

Al centro della mia visione filosofica c’è l’Europa, rappresentata dal sangue e dallo spirito e concretizzata nelle sue comunità etnonazionali e nel loro suolo patrio, che unendosi al sangue della stirpe ne ha plasmato il carattere, l’indole, la cultura, la civiltà. Questo non per razzismo o suprematismo bianco, ma per coscienza identitaria.

Tutto deve ruotare attorno al concetto di identità che significa insieme di caratteristiche fisiche e genetiche tipiche di un gruppo di popoli e trasmissibili per via ereditaria; un concetto che include sangue-suolo-spirito, la triade tradizionalista che preferisco, essendo “Dio-patria-famiglia” inflazionata dal pensiero clerico-fascista. Non che la spiritualità, il patriottismo e il patriarcato siano superflui o scontati, anzi! Dipende però da come vengono inquadrati perché il sottoscritto non si riconosce nella reazione, nel nazionalismo italiano e nel fascismo. Nell’ottica etnonazionalista – la mia – il dato religioso e spirituale (pagano e cattolico) rientra in sangue-suolo-spirito, e così patria e famiglia, ispirate alla vera identità e alla vera tradizione (cioè senza degenerazioni tricolori, mediterraneo-levantine e fascistoidi).

“Identità” significa concretezza, contrapposta a tutte le balle di comodo religiose, politiche, filosofiche atte a giustificare la globalizzazione, il multirazzialismo, il relativismo, il pluralismo genocida che distrugge l’Europa in cui i veri identitari credono. E a giustificare anche finte nazioni, come l’Italia, che sono funzionali al sistema mondialista e allo status quo.

Se non ci basiamo sul razionale, ripeto, razionale culto dell’Europa come continente plasmato dalla razza europide e dai popoli di identità biologica europea – figli di sangue e suolo natii – e dunque su una sorta di etno-razionalismo, su cosa vogliamo poggiare la nostra filosofia di vita? Sulle menzogne del politicamente corretto, del buonismo e di religioni moderniste piegate al volere dispotico del sistema-mondo? La razionalità, e il realismo, non sono in contraddizione coi valori spirituali, fondamentali per evitare di farsi risucchiare dal positivismo e dal materialismo zoologico. Fede e ragione sono compatibili, e il connubio potrebbe evitare tanto i fanatismi teocratici da Medio Oriente quanto le degenerazioni atee e laiciste (non meno feroci dell’oscurantismo clericale).

Chi vuole vivere per davvero, nel pieno senso del termine, esalta la genuina identità e tutti i suoi ideali e valori; chi vuole lasciarsi vivere, invece, esalta acriticamente il pervertimento dell’universalismo (che, di base, non è cosmopolitismo nichilista) e il conseguente annientamento di ciò che viene sprezzantemente liquidato come particolarismo, dunque la verità e la natura di una nazione. È il quieto vivere delle amebe standardizzate ed imbastardite dall’idolatria consumista e capitalista, nemica non solo dell’uomo – e dei suoi principi più sacri – ma anche dell’ambiente naturale che lo circonda, del pianeta terra. E, purtroppo, nessuno si sottrae a questa satrapia globalista, tantomeno la Chiesa stravolta dalla rivoluzione dolciastra di Giovanni XXIII che ha barattato col volemosebbene la coerenza di un cattolicesimo tradizionalista nemico giurato della modernità.

Alla luce di tutto ciò, diciamocelo: se Roma non rinnegherà il CV II l’ipotesi di una Chiesa nazionale lombarda autocefala – parte comunque del mondo religioso latino – non sarebbe idea poi così peregrina e balzana.