Per l’indipendenza della Grande Lombardia

Qualcuno mi chiedeva un commento circa il primo sì all’autonomia differenziata, recentemente passato al Senato; si attende ora il voto alla Camera. E, già qui, stiamo parlando di apparati dell’entità italiana. L’ennesima trovata propagandistica della Lega, dopo secessione, devolution, federalismo solidale, sembra riscuotere successo anche presso alcuni indipendentisti lombardi, che vedono in essa un tentativo di disgregazione della compagine tricolore, forse dimentichi dei trascorsi “padani”. Ben sapendo che ogni iniziativa volta a fiaccare – seriamente – il nazionalismo e l’unionismo italiani va accolta positivamente, resta però il fatto che la Lega (ex) Nord è membro di un governo capeggiato dalla destra italianista, che farebbe di tutto per ostacolare un razionale identitarismo cisalpino. Ma, allo stesso tempo, la medesima Lega a trazione salviniana ha in non cale il nazionalismo etnico panlombardo, digiuna com’è di principi völkisch, e forse ci si scorda che il declino leghista comincia proprio col secessionista (a parole) Bossi. Mica col “capitano”, che è stata la logica conseguenza dei fallimenti del genio di Cassano Magnago. Non è la prima volta che via Bellerio propone soluzioni volte al decentramento, ma al di là del loro successo o meno sorge un interrogativo: i leghisti hanno a cuore l’identità nazionale padano-alpina o soltanto i danari? La sensazione è che nemmeno sappiano dove stia di casa la prima, zavorrati come sono di retorica patriottarda da Libro Cuore.

L’autonomia riguarda le regioni create da Roma, come la stessa “Lombardia”, e cioè vuoti contenitori privi di vera connotazione etnoculturale, non a caso targati tricolore. Qui bisogna capire che non abbiamo bisogno di autonomismi, regionalismi, campanilismi che spezzano l’unità etnonazionale della Grande Lombardia – peraltro motivati, appunto, da questioni fiscali – bensì di coesione, unione, spirito comunitario che vadano oltre il dato economico, per quanto importante. Non esistono regioni settentrionali (nord di cosa, oltretutto?), esiste la Lombardia etnica e storica, che abbraccia l’intera Padania. I pannicelli caldi leghisti li lascio a chi ormai, da decenni, è parte integrante del sistema italiano e delle sue disfunzioni, perché la Lega è ascaro di quello che simpaticamente chiamo fascio-terronismo. Non aspettatevi nulla di buono da chi, per sopravvivere, ha imparato il mestiere del romanissimo voltagabbana, perché sarà sempre schierato con il mortale avversario della libertà cisalpina. L’autonomia differenziata sarà anche un colpo al centralismo italico, che tanto irrita i progressisti e i patrioti ausonici (ma, dopotutto, è il solito teatrino alla romana), ma alla (vera) Lombardia serve ben altro, e solo il lombardesimo può assicurarglielo. Che poi, il problema non è il centralismo romano: è Roma, e dunque l’Italia. Vera identità, vera tradizione, vero nazionalismo in nome delle nostre radici e dei nostri padri, di questo abbisogniamo. Ché del regionalismo tricolore, dei baracconi politico-amministrativi plasmati da Roma, del cialtronesco autonomismo governativo il lombardista non sa che farsene.

Grande Lombardia

GL

Il 6 novembre 2013, data mediana tra equinozio d’autunno e solstizio d’inverno, nel suggestivo scenario medievale del Castello Visconteo di Pavia (la capitale morale lombarda), nasceva l’associazione politica Grande Lombardia, continuazione del fu Movimento Nazionalista Lombardo.

Ne uscii nell’aprile 2014 per via del desiderio, di allora, di recuperare la cornice italica, in chiave etnofederale, e prendere le distanze dall’indipendentismo, ma è stata un’esperienza degna di nota che ha certamente avuto il suo senso e rappresentato una tappa formativa del mio pensiero etnicista. Dopo essermi, nell’autunno 2021, riconciliato con le mie origini ideologiche, ne ho ulteriormente rivalutato la portata, confermando la natura rivoluzionaria del lombardesimo.

Nell’estate del 2013, il Movimento Nazionalista Lombardo, fondato da Adalbert Roncari e dal sottoscritto, fu sciolto per poter dare spazio a questo nuovo progetto lombardista, che senza rinnegare le posizioni di partenza le ha estese alla Lombardia storica orientale (nel Medioevo il termine ‘Lombardia’, come sappiamo, designava in buona sostanza la maggior parte del territorio “italiano” settentrionale).

Come MNL ci eravamo soffermati sulla Neustria longobarda, fondamentalmente, vale a dire Val d’Aosta, Piemonte, “Svizzera” lombarda, Regione Lombardia, Emilia fino al Panaro e altri brandelli di territorio padano appartenenti oggi a varie realtà amministrative; con GL si allargò il discorso lombardista all’Austria longobarda, ossia Trentino, Lombardia venetizzata e Friuli, escludendo per ragioni etno-storiche il Tirolo primigenio (ossia quello meridionale), il bacino dell’Isonzo, l’Istria, l’Emilia al di là del Panaro, la Romagna e le coste venete con l’entroterra.

Allo stesso modo escludemmo la Liguria dalla parte occidentale perché poco e tardi longobardizzata e, inoltre, quasi del tutto mediterranea a differenza del territorio lombardo etnico (che sarebbe un po’ anello di congiunzione fra Mediterraneo ed Europa centrale), e così Bolognese e Ferrarese, adriatici e solo all’ultimo conquistati dai Longobardi.

In un secondo momento integrammo anche i territori periferici suddetti, perché comunque parte del contesto geografico, storico, linguistico, culturale e politico alto-italiano (per capirsi), della Cisalpina, e per ragioni di logica e razionalità: che senso avrebbero una Liguria, una Romagna, un Alto Adige e una Venezia lagunare e giuliana indipendenti, staccati dal grosso del territorio padano-alpino e subcontinentale?

L’associazione politica Grande Lombardia, sorta nell’antica capitale longobarda, è stata fondata dall’Orobico, dal sepriese Adalbert Roncari (attuale presidente), dal pavese Achille Beltrami, dal friulano Ludovic Colomba e dall’oltrepadano Alessandro Poggi, e si propone di affrancare, mediante l’etnonazionalismo lombardo (lombardesimo), il sentimento identitario di tutte le genti cisalpine, che possono dirsi lombarde perché sviluppatesi dalla Langobardia Maior (e ‘Lombardia’ deriva da questo); logicamente, non si trattava di fare i germanisti e i nordicisti ma di preservare l’identità storica dei lombardi, che è il risultato della fusione tra Celti, Galli, Goti e Longobardi, senza dimenticare popoli come Liguri, Reti, Etruschi, Veneti antichi e Romani che hanno contribuito all’edificazione della Lombardia o, meglio ancora, della Grande Lombardia, che dà il nome al movimento.

Le posizioni di GL non sono mai state indipendentiste tout court, perché abbiamo sempre pensato che l’indipendenza sia un mezzo, non il fine, e perché l’enfasi lombardista è stata sempre posta, anzitutto, sulla questione etnica, biologica, antropologica, culturale, ambientale, storica. Altresì, l’etnonazionalismo, nel caso grande-lombardo, presuppone l’indipendentismo, ma non viceversa, come i separatismi storici europei dimostrano. Chi ha avuto modo di visitare il sito di Grande Lombardia avrà notato che l’impostazione non è secessionista, anche perché negli anni scorsi, durante la mia fase italianista, cercai di stabilire un contatto tra il gruppo lombardista superstite ed EreticaMente – per cui scrivevo – al fine di sviluppare una collaborazione.

Oggi GL è, per così dire, ibernata, attiva come pagina su Facebook ma per il resto dormiente; il sito non è più stato aggiornato. Chi ne fa parte (penso circa una decina di persone) ha sicuramente posizioni indipendentiste e anti-italiane, seppur il fine principale sia sempre stato quello dell’autodifesa etnoculturale e territoriale totale (vedi alla voce ‘comunitarismo’). Va da sé che la collocazione ideale della Grande Lombardia nella visione lombardista, e questo sin dagli albori, stia nella liberazione dal giogo tricolore. Io stesso, distaccandomi dalla passata esperienza patriottarda volta al tentativo di conciliare la Lombardia con l’Italia romana, mi sono riassestato su posizioni nettamente indipendentistiche, perché i palliativi, i brodini, i pannicelli caldi non sono consoni ad un’ideologia radicale, decisamente schierata contro il mondialismo (alimentato anche da Roma).

Grande Lombardia, indi, abbraccia le terre dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali e da quelle Centrali all’Appennino settentrionale (cioè lombardo), accomunate dall’eredità innanzitutto gallica cisalpina romanizzata e in secondo luogo dall’impronta longobarda, che ha caratterizzato tutto il cosiddetto nord vero e proprio della Repubblica Italiana; nel Medioevo, se un transalpino doveva varcare le Alpi era solito dire: «Vado in Lombardia» (d’altro canto, nello stesso periodo, il termine ‘Italia’ designava più il centro-nord che il sud, ma questo per motivi di prestigio e di antico retaggio politico romano).

I territori inizialmente estromessi sono stati poco e tardi longobardizzati (Liguria, Padova, Bologna e Ferrara) o per niente colonizzati dai Longobardi (Romagna e coste venetiche), oppure appartengono geograficamente e storicamente alla Lombardia allargata (Tirolo meridionale, Isonzo, Istria) ma etnicamente sono popolati da, tecnicamente, allogeni (bavari, sloveni, croati). Perciò, nei primevi intenti di GL, la cartina grande-lombarda escludeva le coste liguri, le Romagne (Emilia orientale, Romagna e terre gallo-picene), il Veneto costiero al di sotto di una immaginaria linea delle risorgive, il mondo retico cisalpino germanofono a nord del confine etnico di Salorno e la Venezia Giulia storica oggi inglobata da Slovenia e Croazia.

Ricordo con simpatia i bei tempi in cui il duo Sizzi-Roncari, inebriato dal purismo continentale e terragno, discriminava i popoli settentrionali costieri e lagunari in nome di una talassofobia “longobarda” da impenitenti consumatori di burro e strutto, contrapposta agli amanti “bizantini” dei boccioni d’olio d’oliva, del pomodoro, dei latticini di pecora e capra in odore di intolleranza al lattosio. Il Panaro come confine enogastronomico e zootecnico, confortato dalla storica dicotomia tra Langobardia e Romandiola, fu per anni uno dei pezzi forti delle rivendicazioni lombardiste. Eravamo tutti più giovani.

Ad ogni modo, la tenzone identitaria grande-lombarda è rivolta alle realtà galloromanze cisalpine longobardizzate e, dal Medioevo, ritenute lombarde (e qui si pensi a chi costituì la Lega originale, la Societas Lombardiae). Città come Trento e Verona, in antico, parlavano lombardo e non è affatto peregrino affermare che la porzione di Regione Veneto inclusa nelle allora cartine lombardiste (quella continentale, in pratica) sia stata venetizzata dalla Serenissima, spezzando quel continuum linguistico che doveva esserci in tutta la Cisalpina – Dante docet – grazie alla sovrapposizione di Celti e Longobardi latinizzati.

Il movimento Grande Lombardia prende, dunque, le mosse dalla realtà etno-culturale e geografica genuina della Lombardia, lo zoccolo duro, unendo le due Lombardie storiche, occidentale e orientale, nel nome della loro comune eredità e delle sfide presenti e future che le attendono.

L’esperienza lombardista precedente, quella del Movimento Nazionalista Lombardo, è stata una sorta di laboratorio, di cammino preparatorio al grande salto di qualità che punta a riunire tutti i lombardi sotto l’insegna della Croce lombardista (GL unisce, nel suo vecchio simbolo, le due croci alpino-padane storiche, integrandole alla ruota solare indoeuropea che rappresenta la grande famiglia continentale d’Europa), dello swastika camuno e del Ducale visconteo, del Biscione; Grande Lombardia è un movimento politico, ma anche culturale, che non punta ai voti, alle poltrone, ai quattrini, ma ai lombardi e alle lombarde in senso etnico e storico, che vogliono battersi per l’affrancamento, la difesa, la promozione e l’autoaffermazione, innanzitutto identitaria, delle genti in questione.

Questa battaglia è tanto comunitarista, ruralista, solidarista quanto ispirata ad un salutare razionalismo che non ripudi lo sviluppo, il progresso (scientifico, si capisce), la tecnologia (come potremmo?) ma dia ad essi un volto sociale e nazionale mirato al benessere della collettività lombarda, senza anarco-individualismi o sterili passatismi. Proiettare la Grande Lombardia nel futuro, onorando il passato, e concretizzando un presente di sacrosante lotte metapolitiche. Gli scopi statutari e programmatici di GL combaciano coi miei, per quanto l’associazione sia, ad oggi, ferma. Mi distacco, solamente, dal vecchio punto relativo alla critica indiscriminata nei riguardi del cattolicesimo, ovviamente tradizionale – confuso con forme spurie di cristianesimo, ebraismo e islam – e alla scristianizzazione, che all’epoca condividevo ma da cui poi ho preso le distanze. Oggi sono convinto che, religiosamente parlando, l’ideale sia una fusione della gentilità precristiana cisalpina con il cattolicesimo ambrosiano, dando vita ad una Chiesa nazionale l0mbarda.

Nella primavera del 2014 sentii l’esigenza, suggestionato dall’antichità italica, latina, romana, di ampliare il mio sguardo estendendolo al quadro panitaliano, cercando di conciliare la visuale lombardista – mai rinnegata – con quella di un italianismo etnofederale supportato dalle glorie di Roma antica e da altre esperienze comuni (la civilizzazione etrusca, l’Italia augustea, l’epopea longobarda, l’italianizzazione linguistica). Portai avanti per sette anni quest’ottica ma fu un periodo in cui la preponderante componente etnonazionalista necessitava di una certa coerenza, e la realtà dei fatti non poteva essere nascosta o distorta dall’ideologia; dopo gli ardori iniziali, il mio italianismo si assestò su posizioni culturali e civili, recuperando quasi in toto l’enfasi sugli aspetti genuinamente nazionali, ossia lombardi. Sicché, venendo meno nell’estate 2021, sulla scorta di nuovi dati biologici e scientifici, la bontà dello zelo patriottico all’italiana, mi sono riavvicinato con convinzione alle origini, impugnando nuovamente, e senza compromessi, la bandiera del lombardesimo.

Per chi pone la triade sangue-suolo-spirito al di sopra di tutto è impossibile, alla lunga, conciliare l’inconciliabile, e la dirompente forza dell’etnicismo avrà il sopravvento su ogni proposito meramente culturale o storico. Fermo restando che, sebbene con mille forzature, l’Italia può essere ritenuta una sorta di civiltà eterogenea, il concetto di cultura italiana è del tutto moderno, artificiale e disomogeneo, basato sulla lingua toscana e su elementi comuni a molte altre realtà europee. Cattolicesimo, romanità e ambito neolatino sono un po’ pochino per parlare di nazione italiana dalle Alpi alla Sicilia…

Una cosa da me rivalutata, dopo la fine del periodo italianista, pertinente al progetto originale di GL, è l’inserimento della Lombardia in una sorta di macroregione gallo-teutonica centro-europea, cuore della civiltà continentale. Abbiamo molti elementi in comune con l’arco alpino, soprattutto nelle stesse aree alpine grandi-lombarde, e anche se la Pianura Padana – per non dire delle coste – si avvicina più alla Toscana o alla Provenza che alla Svevia e alla Baviera, il medievale spazio carolingio d’Europa andrebbe rivitalizzato. Detto questo lasciamo pure perdere le macroregioni europee e concentriamoci sulla nostra realtà etnonazionale, quella lombarda, anche se di certo il cuore europeo, cui la Cisalpina appartiene, rappresenta la papabile classe dirigente euro-siberiana.

Il potenziale originario di Grande Lombardia era importante e interessante soprattutto in direzione comunitarista, per sviluppare quel salutare attaccamento alla stirpe e alla terra, quella genuina solidarietà tra connazionali, quel robusto senso montanaro e contadino, terragno oserei dire, che contraddistingue i lombardi. Ma la Lombardia è anche le città, l’economia, l’industria, le eccellenze, la qualità, la ricchezza frutto del duro lavoro e il lombardesimo non ignora tutto questo, anzi, vuole dargli la giusta rilevanza, comunque in un contesto di etnonazionalismo e visione nazional-sociale.

Parlo di lombardesimo, cioè dell’ideologia da me plasmata, e che fu il motore dottrinario dell’MNL e di GL; per quanto il primo non esista più e non faccia parte, da anni, della seconda resta il fatto che gli unici movimenti/associazioni cui mi sia sentito legato sono ovviamente quelli da me fondati, e di cui conservo con soddisfazione ed orgoglio ottimi ricordi.

Quando, nel 2014, mi sganciai dall’ambito indipendentista non rinnegai, comunque, la difesa seria e razionale dell’identità e della tradizione lombarde che continuai a sentire, negli anni seguenti, come le più vicine a me: prima ero bergamasco e lombardo e poi, italiano. E mi sembra naturale. Davo a quell'”italiano” una valenza linguistica, culturale e civile, più che propriamente nazionale (e, dunque, etnica), e va da sé che l’italianità della Lombardia – come della Sardegna, per dire – sia una finzione, un orpello retorico patriottardo. Gli italiani sono gli indigeni centromeridionali della Repubblica, tutti gli altri sono italiani, sostanzialmente, sulla base di un pezzo di carta e della burocrazia statolatrica romana. E non mi si venga a dire che: «Gnè gnè gnè, parli italiano anche tu!», perché questa è soltanto la lingua di Firenze, e se l’adopero è solo per educazione, comodità, convenienza e comprensione. A cà Siss si favella in bergamasco, e solamente in tempi recenti il toscano è diventato la lingua corrente delle Lombardie. D’altronde, anche gli irlandesi parlano inglese, senza essere inglesi.

50) No alla droga

Lotta spietata, soprattutto a livello culturale, contro il commercio e lo spaccio delle droghe di qualsiasi tipo. Far capire ai giovani che l’effimero stato di euforia ha ripercussioni devastanti sulla loro salute, causando al contempo l’arricchimento di criminali senza scrupoli, è fondamentale. Sempre in ottica di tutela del benessere individuale e collettivo, predisposizione di forti incentivi contro il tabagismo. Responsabilizzazione sul consumo di alcol: le bevande alcoliche sono parte della nostra cultura (la coltivazione della vite ha anche plasmato il nostro paesaggio) e non sono problematiche se consumate moderatamente, ma l’abuso va assolutamente evitato. La questione relativa al contrasto di commercio, spaccio e consumo di droga è un dovere legale e morale che lo Stato deve assumersi, sia per sradicare questa piaga criminale che per educare i giovani, indirizzandoli lungo la retta via. Ma noi lombardisti siamo contrari anche al fumo, un pessimo vizio che corrompe l’uomo, in tutti i sensi, e al consumo di cibo spazzatura: l’uno e l’altro sono pure fonte inesauribile di guadagno da parte di lobby e multinazionali.

La nostra lotta alla perversione non riguarda soltanto le sostanze: infatti, siamo altresì ostili alla prostituzione e alla pornografia, così come all’ipersessualizzazione della società, e dunque al vizio che distorce e snatura il sesso portando i giovani e le giovani alla rovina (anche in questo caso a tutto vantaggio di cricche poco raccomandabili). La condanna lombardista verte, soprattutto, sui sordidi intrecci del commercio carnale con la delinquenza, e basti pensare, in tal senso, alla tratta sessuale di donne allogene e alla pedo-pornografia. C’è anche da dire che l’erotizzazione, senza per forza di cose andare a parare nella criminalità, produce effetti riprovevoli e deleteri in termini di mercimonio del corpo femminile – ancorché, sovente, del tutto voluto dalle ragazze, come novella moda virtuale – e di corruzione dei costumi da parte di ambo i sessi. È necessario dunque riscoprire comportamenti virtuosi, il che non significa bigotti e sessuofobici, che destinino l’intimità alla cornice delle relazioni sane tra uomo e donna, pensando anche alla necessità di rinsanguare l’esausta fertilità padano-alpina. Superfluo dire che parliamo di tutto questo in chiave eterosessuale; tutto il resto, in quanto devianza, non può essere contemplato.

49) Eugenetica

Consentire l’adozione spontanea di alcune piccole misure eugenetiche a fini preventivi (si sottolinei, preventivi) e terapeutici. Non esistono vite degne o indegne di essere vissute, biologicamente parlando, ma i comportamenti responsabili volti al benessere della comunità sono servigio di carattere sociale e patriottico. Occorre rivalutare la riapertura dei manicomi (anche criminali) o di altri istituti specifici per gestire soggetti problematici, asociali, inabili, onde evitare ricadute che impattino sull’armonia della collettività nazionale. Siamo possibilisti, inoltre, di fronte ad aborto ed eutanasia, qualora intrapresi per il bene soprattutto comunitario. Un’altra emergenza da gestire, sebbene non riguardi la Lombardia direttamente (ma indirettamente, dati i flussi migratori massicci, sicuramente sì), è quella relativa al tasso di fertilità del sud del pianeta, che ha raggiunto livelli insostenibili: urge, pertanto, una perentoria politica di controllo delle nascite, anche per tutelare l’ambiente medesimo. La natalità esorbitante del terzo/quarto mondo è una vera e propria bomba demografica, che va disinnescata il prima possibile, date le ricadute negative sulla stessa Europa, approdo di una marea di disperati. Oltretutto, lo ribadiamo: l’immigrazione di massa non risolve problemi, li crea, pure agli stessi migranti, e di fronte alla miseria imperante non sarebbe il caso di riprodursi senza posa.

Tornando all’eugenetica – termine, mi rendo conto, che può ingenerare spiacevoli fraintendimenti -, c’è da dire che il lombardesimo non vuole assolutamente misure drastiche e amorali, o coatte, ci mancherebbe, ma soltanto atteggiamenti responsabili dei futuri genitori, di fronte all’opportunità di accurati controlli volti alla salute della progenie. Chiaramente parliamo di adozione spontanea, per quanto caldeggiata, il che significa che una coppia può tranquillamente decidere, ad esempio, di dare alla luce un figlio handicappato, pur sapendo che la donna porta in grembo un feto disabile, o deforme. È un argomento estremamente delicato, e non vogliamo certo entrare a gamba tesa in decisioni che, peraltro, non ci riguarderebbero (da un punto di vista esterno). Ma, allo stesso tempo, non vediamo nulla di male nel promuovere – in maniera naturale – una coscienza patriottica che punti all’integrità preventiva della stirpe, anche perché l’invalidità è una condizione dolorosa, per i malati e i famigliari. Il malato non è la malattia ma, bando all’ipocrisia, sappiamo bene quanta sofferenza comporti una vita resa ostica da handicap. Una cosa, tuttavia, deve essere chiara: massimo rispetto e comprensione per i disabili, anche per quanto concerne il supporto delle famiglie e netta condanna di ogni forma di disprezzo e discriminazione. Chi ha la fortuna di essere sano e abile deve essere grato all’esistenza, e questo equivale a servire, con l’esempio, la propria comunità.

48) Bioetica

Aborto consentito in casi di stupro (allogeno, in particolare), pericolo di vita della madre, anomalie gravi del feto. Eutanasia consentita nei casi irreversibili, laddove una vita normale sia compromessa e il malato sia terminale o in stato vegetativo. Serve una forma di razionalismo bioetico, rispettoso della sensibilità religiosa ed individuale ma dotato di robusto buonsenso, giustificato dalla lucidità scientifica. Siamo nettamente ostili ad una bioetica asservita al mercato e al capitalismo, che riduce la vita umana (surrogata e manipolata in laboratorio) ad oggetto di consumo e capriccio borghese; aborto ed eutanasia possono essere giustificati dal bene supremo, che è quello della comunità nazionale, e naturalmente da casi limite, ma in nessun modo devono venire sdoganati se impiegati per becero individualismo e se, dunque, non sono strettamente necessari e umanamente comprensibili. Viviamo in un mondo occidentale in cui ormai queste pratiche vengono servite sul comodino ed il confine tra aborto ed omicidio, ed eutanasia e suicidio è davvero molto labile. Noi siamo assolutamente contrari alla macelleria di laboratorio e, di conseguenza, a mezzi terapeutici piegati al volere del singolo scriteriato o, magari, di uno Stato che ha perso di vista l’etica.

Il razionalismo, che ispira la dottrina lombardista, implica che la vita vada vissuta se degna di essere vissuta. Qualcuno potrebbe chiederci chi decide quando essa sia degna o indegna; ebbene, la risposta più naturale è sempre quella dettata dal benessere comunitario, unito a quello dell’individuo: una vita è degna di essere vissuta quando non diviene un doloroso fardello per sé e gli altri, e quando non si trova a doversi misurare con una condizione irreversibile. Capiamoci, noi lombardisti non siamo a favore di soluzioni coatte, da parte dello Stato, ma sarebbe bene che l’entità statuale guidi, con la propria saggezza, le decisioni di una famiglia che si trovi alle prese con casi disperati. In questo senso la legalizzazione dell’eutanasia non sarebbe una bestemmia, perché ispirata al bene della collettività, ma anche al sollievo della famiglia e del malato. E lo stesso discorso vale per l’aborto: va legalizzato, e caldeggiato, quando non diviene strumento di scelleratezza anarco-individualista ma, al contrario, si fa pratica sanitaria razionale e votata al comunitarismo. Insomma, sì alla scienza (non allo scientismo), ma uno stentoreo no alle derive in stile radical-pannelliano e femminista.

47) Gestione demografica

Per quanto la Grande Lombardia sia sovrappopolata e una riduzione della popolazione sia cosa buona e giusta, l’attuale tasso di fertilità degli indigeni ha raggiunto un livello troppo basso per l’autosostentamento della nazione. Per questo motivo vanno predisposti adeguati sostegni alle famiglie con figli, contrastando la precarietà giovanile e riducendo il costo degli affitti. Dall’altro lato è anche importante stimolare nei ragazzi e nelle ragazze una salutare presa di responsabilità circa le loro azioni. Servono incentivi per la crescita demografica indigena, naturalmente in linea con i criteri di ecosostenibilità e di contenimento della secolare sovrappopolazione padana: sostegni alle famiglie appunto, contrasto alla disoccupazione giovanile, garanzie e migliorie per il benessere e la sicurezza dei lavoratori. Molto dipende, tuttavia, da educazione e valori; lo Stato deve supportare economicamente e socialmente le giovani coppie ma deve anche promuovere responsabilizzazione mediante famiglie e comunità, facilitando così una salutare coscienza patriottica, fondamentale per garantire un futuro roseo alla nostra nazione.

Certamente, resta il problema della densità demografica, peggiorata dall’immigrazione di massa dall’Italia meridionale e allogena in genere. La sovrappopolazione è una delle peggiori piaghe della Cisalpina, soprattutto occidentale, se pensiamo che la densità demografica globale del nostro territorio è di circa 220 ab./km², un altissimo sovrappopolamento, con esiziali ricadute su comunità e ambiente. Situazione ancor più drammatica se consideriamo la sola Lombardia etnica, basti pensare alla spaventosa densità dell’attuale Regione Lombardia, 418,85 ab./km²! I milioni di allogeni dilagati nel territorio cisalpino hanno drasticamente peggiorato un quadro già di per sé (in talune aree) problematico. Proprio per tale ragione le stime lombardiste parlano di una popolazione massima sostenibile di 4 milioni di abitanti, anche se forse la cifra, concepita dal camerata Roncari, è un po’ troppo al ribasso. Diciamo dunque che l’ideale sarebbe tra i 5 e i 10 milioni, con una densità demografica massima sostenibile attorno ai 30 ab./km². Il blocco dell’immigrazione, i rimpatri e i ricollocamenti, il controllo delle nascite garantirebbero una situazione il più possibile vicina all’optimum granlombardo.

46) Sanità pubblica

Basta code interminabili negli ospedali e attese di un anno per una visita o, peggio ancora, per un esame o un intervento urgente. Bisogna riportare la sanità pubblica – naturalmente lombarda – a fornire prestazioni decenti dando, ovviamente, la precedenza agli indigeni. Vanno, altresì, predisposti adeguati piani di gestione di possibili future pandemie, facendo tesoro dell’esperienza del coronavirus. Le emergenze sanitarie, infatti, vanno gestite a livello nazionale, senza demandare ad organizzazioni mondialiste esterne, e allo stesso modo farmaci, vaccini, dispositivi di protezione individuale vanno prodotti in patria, per conto dello Stato. Inaccettabile che la nazione rinunci alla presa in carico di delicatissime questioni relative alla sanità pubblica, lasciando campo libero a lobby farmaceutiche e organismi sovranazionali. E, a proposito di pandemie, deve essere chiaro che un punto fondamentale è rappresentato dall’isolazionismo nei riguardi delle terre esotiche e del terzo mondo, da cui solitamente provengono malattie altamente contagiose e sovente letali. La lotta alla globalizzazione e alle ingerenze straniere, negli affari della nazione lombarda, va portata avanti anche in campo sanitario, visto il rischio di altre pandemie.

Dobbiamo imparare a ragionare da lombardi e da europidi, ponendo così le basi per un solido cameratismo bianco che si concretizzi nel progetto euro-siberiano. La difesa degli interessi nazionali e comunitari delle genti europee è fondamentale, soprattutto oggi, e lo sviluppo di una salda rete di alleanze continentali può rappresentare una grandissima opportunità per i nostri popoli, anche di fronte ad emergenze come quella del covid. La sanità pubblica, risollevata dalle macerie dell’esperienza tricolore, può essere potenziata grazie alla promozione di uno stile di vita sano, che passi per la salubrità del proprio ambiente e dell’alimentazione, responsabilizzando l’individuo stesso (molti comportamenti sbagliati possono essere corretti dalla condotta virtuosa del singolo, senza appesantire le strutture e la macchina sanitaria). Cruciale importanza va data, dunque, all’opera di educazione e sensibilizzazione di tutta la popolazione, col fine di far comprendere ai membri della comunità nazionale che sono i principali responsabili del proprio stato di salute (a tutto vantaggio, come detto, anche dell’apparato pubblico). È assolutamente indispensabile, infine, che il sistema sanitario sia adeguatamente finanziato per garantirne efficacia ed efficienza e che consenta una rapida e semplice risoluzione e gestione delle pratiche burocratiche, consentendo un trattamento telematico delle stesse.