Il profilo etnico di Paolo Sizzi

Tavola craniometrica sizziana

Sono un maschio bergamasco (dunque lombardo) 38enne, abile, normodotato, eterosessuale, sano e senza allergie od intolleranze alimentari. Digerisco il lattosio senza problemi, il che è sintomo di nordicismo (e stando ad un test genetico ho il gene preposto alla lattasi).

Fisicamente, sono 1 metro e 80 centimetri per 70 chilogrammi, ectomorfo, mesoschelico e relativamente longilineo dunque; moderatamente dolicocefalo, dal viso lungo e stretto (leptoprosopo), biondo cenere scuro con capelli mossi e riflessi dorati, occhi azzurri alquanto infossati, fronte bassa e inclinata con arcata sopraccigliare discretamente pronunciata, naso leptorrino (lungo, stretto e diritto) dalla radice alta, zigomi accentuati, mascella e mento non marcati, filtro tra naso e bocca considerevole, labbro inferiore carnoso, nessun prognatismo.

Lateralmente si evince una testa lunga e medio-bassa con occipite curvo non arrotondato, orecchie dal lobo semi-attaccato e sporgenza sopraorbitale. Collo lungo e snello con pomo d’Adamo in vista.

Il cranio è abbastanza grande, allungato, con volta cranica medio-bassa e osso occipitale sporgente; tempie non arrotondate e – visto dall’alto in norma verticale – appare di forma piuttosto pentagonoide e compresso ai lati. La volta cranica è cilindrica, vista di profilo. Non presento bozzo occipitale.

La carnagione è bianco-rosea, la peluria scarsa e bionda, la barba rada e rossiccia ma crespa, non morbida. Non ho efelidi.

Il fisico è appunto segaligno, con ossa lunghe e robuste, spigolose, ma con più nervo che muscolo. Mani e piedi lunghi con dita affusolate nel caso delle prime. Le dita dei piedi paiono di fattezze “romane”. Il sesso è normoconformato, in linea coi parametri europidi.

Possiamo quindi dire che, tutto sommato, sono dal punto di vista sub-razziale un caucasoide bianco nordo-mediterranide con minori influssi arcaici di tipo cromagnonoide orientale (in gergo, ‘kurganoide’), un fenotipo, di base, non atipico per la Padania e le aree alpine limitrofe (con propaggini mitteleuropee e toscane/corse). L’aria pseudo-slava ravvisata da alcuni è sicuramente frutto delle diluite asprezze balto-cromagnonoidi.

Guardando me, viene naturale pensare ad una fusione fra il settentrionale tipo “ligure” autoctono (atlanto)mediterranide e quello celtico di tipo nordico, irrotto a partire dall’Età del ferro (ma anche prima) in Lombardia, dall’Europa centrale. Solitamente esso è definito Keltic Nordid. I tratti kurganoidi non sono da ascrivere a influssi slavi (inesistenti nella Bergamasca) ma a qualcosa di barbarico o di più remoto (conservatosi nelle Alpi).

Le caratteristiche nordidi sono corroborate dal gruppo sanguigno continentale, probabilmente indoeuropeo, A+, dalla tolleranza al lattosio, dagli ottimi livelli di vitamina D e dai rami famigliari paterno e materno in cui i tratti nordici sono mescolati con caratteristiche alpinidi (nel caso materno) e cromagnonoidi/dinaridi (nel caso paterno).

Mia madre, originaria dell’Isola brembana, è alpinoide mentre mio padre, originario della Val di Scalve, era piuttosto cromagnonoide e dinaroide. Ho inoltre due sorelle fondamentalmente alpinoidi, la prima con influssi dinaridi.

Dal test dell’ADN effettuato, si evince che la linea paterna (R1b-U152) è di origine indoeuropea, italo-celtica, ed è la più diffusa in Lombardia e Toscana (e Corsica); nello specifico, il clade Z36 (che è poi il mio) è di origine celtica/gallica e trova la sua massima distribuzione proprio nel cuore lateniano della Cisalpina. La linea materna è H1m, aplogruppo indigeno derivato da H1, che è il più ricorrente nell’Europa occidentale, di origine paleolitico-mesolitica. H1m è stato identificato in alcuni resti vichinghi di Orcadi e Svezia e, stando alla sua moderna diffusione, pare concentrato per lo più nell’Europa nordoccidentale.

A livello autosomico (non sessuale), invece, rientro perfettamente nel cosiddetto Bergamo sample, campione accademico (HGDP) di granlombardi provenienti dal Bergamasco.

Mi permetto di consigliare anche a voi un test genetico dal prezzo abbordabile, in particolar modo 23andMe, che feci io. La genetica delle popolazioni non si vede ma nel nostro sangue portiamo la stratificazione etno-razziale del nostro albero, che è poi responsabile, in parte, anche del nostro aspetto fisico. Censire geneticamente la popolazione indigena delle Lombardie è una cosa che mi emoziona al solo pensiero.

L’antropologia razziale, o razziologia, comprende antropologia fisica (craniologia e antropometria), genetica delle popolazioni, genealogia, araldica, onomastica, tutte nobili branche del nostro scibile che ci permettono di sapere di più circa le nostre radici, ma comprende anche l’etno-antropologia.

Altre caratteristiche interessanti che possono offrire questi test sono quelle relative ai tratti ereditati, alla salute, alle parentele genetiche con altri utenti testati e alle percentuali di specie umane arcaiche. Senza contare che, per quanto riguarda la schiatta, lo studio è assai approfondito. Altresì, vi è la possibilità di scaricare i propri dati grezzi per caricarli su siti terzi (come Gedmatch) e analizzare i propri risultati in maniera più approfondita.

La propria appartenenza etno-razziale ha risvolti anche sullo spirito, sulla mente e l’indole, sulle nostre inclinazioni; ‘razza’ non è solo dato biologico, materiale, ma anche culturale, spirituale, senza per questo scadere nel razzismo e nel suprematismo (che non sono esclusiva dei bianchi, sia chiaro).

La vecchia antropologia d’anteguerra, poco scientificamente, soleva collegare alle “sottorazze” fenotipiche delle qualità animiche e caratteriali. Volendo fare questa operazione, per mero diletto, potrei dire che l’unione dei tratti nordici e mediterranei mi porta ad essere una persona abbastanza diretta, scabra, leale, onesta, genuina, intrisa di ideali alti e nobili, assai attaccata alle proprie radici e alla propria identità e rispettosa dell’ordine e della tradizione (qualora permeati di aristocrazia vera e propria e di retroterra indoeuropeo). E le asprezze kurganoidi mi donano una pennellata propriamente ariana (non da intendere nell’accezione hitleriana, si capisce, ma in ottica kurganita).

Disprezzo la massificazione e l’individualismo libertino, il conformismo, la standardizzazione, il quieto vivere, la sterile non-vita basata unicamente su fatturato, consumismo ed edonismo, oltre che sullo sterile appagamento dei bassi appetiti umani, e non mi ritengo per nulla una marionetta nelle mani dei pifferai magici. Disprezzo inoltre il cinismo relativista.

Sono senz’altro imbevuto di mentalità bergamasca alpina, che è un po’ rude, gretta, bigotta e testarda, misoneista, ma di certo non sono uno di quei classici padani che pensa solo al lavoro (e al mito dell’imprenditoria), ai soldi e allo stile di vita borghese o da bifolco arricchito, mentre i “foresti” e lo Stato tricolore gliela fanno sotto al naso. Diciamo pure che rielaboro, in maniera originale, il temperamento orobico.

Non mi sento chiamato o “eletto” (come qualcun altro), ma credo di essere un tipo umano piuttosto insolito nella propria ruvida genuinità foriera di disprezzo per la massificazione, nel proprio anticonformismo, nel proprio rifiuto e disprezzo per la modernità devastatrice, la mondanità e il becero andazzo di questi tempi che appiattisce tutto sul profitto e sul superfluo. Come soglio dire:

A só mia s-cèt de chès-ce tép de lögia.

Tendo ad essere nettamente anti-mondano, non ho amicizie nutrite e compagnie, ma non ho problemi col gentil sesso e avverto l’importanza di mandare avanti la stirpe, per sfuggire agli orrori moderni di una Lombardia e di un’Europa nella morsa dell’auto-genocidio spensierato, sebbene non la viva come un’ossessione. Mi rifugio nell’etnonazionalismo, nell’identitarismo e nel tradizionalismo duri e puri, senza alcun compromesso ideologico con lo status quo. Dobbiamo recuperare la nostra perduta eredità ariana/indoeuropea, conciliandola con la nobiltà delle radici romano-cristiane.

Ariana, sì; se parlare di arianesimo, razzialmente, appare oggi fuorviante e un po’ forzato, parlarne caratterialmente e spiritualmente non lo è, perché abbiamo lingue indoeuropee, siamo intrisi di cultura e mentalità indoeuropee, portiamo cognomi e nomi di tradizione ariana, e geneticamente e fisicamente spesso riaffiorano i tipici tratti dell’Ariano, anche nell’Europa occidentale e meridionale. E guardate che ‘Ariano’ non è una bestemmia, è l’etnonimo indoeuropeo, un tempo diffuso in tutto lo spazio indogermanico.

Siamo bianchi, europei, di retaggio ario, lo possiamo tranquillamente dire senza incorrere in anacronismi, neonazismi, ridicolaggini; tuttalpiù i problemi deriverebbero dagli stomachini deboli di progressisti, liberali, cristianucci all’acqua di rose e minoranze poco democratiche, che in Occidente diventano lobby.

E, in fondo, dobbiamo sforzarci di essere degni dei nostri padri almeno dentro, se vogliamo salvare le nostre patrie e l’Europa, perché solo un eroico sforzo collettivo etnonazionalista porterebbe alla vittoria e alla salvazione del nostro continente, e della nostra agonizzante civiltà, bisognosa di palingenesi.

In noi dovrebbe rivivere il piglio guerriero dei nostri antichi padri indoeuropei: Celti, Veneti, Galli, Romani, Longobardi. Senza tralasciare, naturalmente, la più nutrita parte della nostra identità genetica e fisica, biologica, che è certo preindoeuropea. Ma da questo punto di vista importa essere europidi.

L’arianesimo è il modello etnoculturale che ha fatto l’Europa giunta sino a noi, e di cui dunque dobbiamo andare fieri. Ogni popolo europeo deve superare le proprie tare, riscoprirsi indogermanico, e darsi da fare concretamente per il benessere etnico e spirituale della propria gente.

Nel caso bergamasco e lombardo va temperata la suddetta mentalità “alpina” che, in negativo, porta gli uomini a saziarsi solo di lavoro, di guadagno, di fatturato, di placide sicurezze, di mentalità meschina, coniglia, conformista e “trasgressiva” solo in peggio, nel caso giovanile (tabacco, alcol, droghe, sesso amorale, calcio vissuto come ragion di vita, divertimento sterile e deleterio, adesione acritica alle sciocche mode d’oltreoceano).

E va abbandonata la mentalità cattolica modernista (che non ha nemmeno più nulla a che vedere con la religione), corroborata dal Concilio Vaticano II, che è la cagione del relativismo, del cosmopolitismo, dell’assistenzialismo, dell’egualitarismo suicida, della castrazione dell’indole combattiva che fu dei nostri padri, in cambio dell’orrida mentalità masochista che vede nei nemici gli amici e nei patrioti i nemici.

Io provengo da una famiglia prevalentemente di mentalità “alpina” laddove si intendano le virtù e i valori (onestà, laboriosità, morigeratezza, pragmatismo, genuinità, rustico attaccamento alle origini e alle tradizioni), certo intensificata dall’età anagrafica e dal ceto sociale; mio padre e mia madre sono originari di famiglie contadinesche arcaiche, umili e semplici, ove contavano solo la Chiesa, il lavoro massacrante, e il nucleo ricco di prole, e cioè la norma della vecchia Bergamasca. Sono orgoglioso dei miei natali, ma so anche, comunque, riconoscere i limiti della tempra montanara e colonica, che sono del resto la cagione della cattività tricolore e globalista.

Ciò che i nostri genitori e nonni, bisnonni, trisnonni, avi hanno subito per colpa di certo clero e della classe agiata “guelfa” parassitaria (i vari “marchesi” paesani), ci insegna come la religione non possa prescindere dal rispetto del popolo e della patria, pena la trasformazione in oscurantismo e sfruttamento, a vantaggio di soggetti dannosi al benessere comunitario. E si vede ancor meglio oggi, dove la Chiesa postconciliare, dopo aver rinnegato quella precedente, ci beffa riempiendoci di allogeni da mantenere e subire, con tanto di untuosa retorica terzomondista.

Solo con l’autodeterminazione del proprio popolo ci si autorealizza, senza perder di vista la propria identità e senza perdersi, liquefarsi nel mare del nulla globalista e postmoderno, che punta alla totale standardizzazione cosmopolita per la distruzione non dell’individualismo ma di quello che viene sprezzantemente bollato come “particolarismo”; da chi vuole un mondo omologato, livellato, tritato, senza sangue, senza suolo, senza spirito dobbiamo sempre guardarci, poiché sono soggetti che vogliono lasciare il nostro continente senza più speranza di salvarsi da questo olocausto indotto.

Alcune noterelle sul cognome Sizzi

Blasone dei Sizzo de Noris

Sizzi è un raro [1] cognome bergamasco peculiare della Val di Scalve (tributaria orobica della Val Camonica), le cui origini sembrano però da attribuire al paese di Gandino, in Val Seriana, come ramo della famiglia Rudelli [2]. Secondo alcuni studiosi di araldica (Passerini [3], Tettoni-Saladini [4]) il casato sarebbe di origine toscana, Firenze per la precisione, ma la connessione non è documentata. Il cognome Sizzi (con la forma primigenia, unica, Sizi) è presente, scarsamente, tra il capoluogo toscano e Prato ma a tutta evidenza è un ceppo indipendente da quello bergamasco.

Sizzi potrebbe essere il frutto di un patronimico derivato da una versione ipocoristica di nomi germanici in *sig- (‘vittoria’) [5] che, come in tedesco, o meglio, in antico alto-tedesco, esprime l’ipocorismo, sulla base di leggi fonetiche, mediante la particella -zz- [6]; nella fattispecie, il nome abbreviato è Sizzo, che può essere confrontato con altri vezzeggiativi medievali di origine teutonica quali Frizzo, Azzo, Sigizzo, Uzzo, Wizzo, Gozo e via dicendo, testimoniati da fonti documentarie della Germania meridionale; fra i nomi tedeschi contemporanei vengono in mente Heinz, Fritz, Götz ecc. [7]. Diversi cognomi padani e toscani, frutto della forte impronta culturale – soprattutto longobarda – lasciata dalle élite germaniche, possono essere ricondotti al fenomeno in oggetto: citiamo Frizzi, Albizzi, Opizzi, Oppizzi, Obizzi, Azzi a mo’ d’esempio.

Sizzo è dunque riconducibile a Sighard o Sigfrid, tanto che, come si diceva, si trova anche oltralpe, sparso per la Germania centromeridionale, segnatamente in Turingia dove c’è un Sizzo capostipite della medievale casata di Schwarzburg, ed un principe ottocentesco del medesimo casato, anch’egli chiamato Sizzo [8]. Interessante notare come sia in Germania che in Toscana [9] Sizzo (o Sizo) proceda da Sigizo, ipocoristico già segnalato nelle note.

I Sizzi toscani, di stirpe notabile, sono probabilmente derivati dai Sizi (da Sizo/Sizio, altro vezzeggiativo germanico come abbiamo visto), ed erano una tra le prime famiglie storiche fiorentine, originaria di Fiesole e dunque del contado, imparentata coi Medici, proprietaria di torri e chiese, ricca di consoli e di parte guelfa (vedi segnatamente la testimonianza di Luigi Passerini indicata nelle note, reperibile su Google Libri).

Dante Alighieri cita i Sizi pure nella Commedia, per bocca dell’avo Cacciaguida, come una, per l’appunto, delle famiglie più antiche e illustri della prima cerchia di Firenze, grazie alle origini e al loro impegno consolare:

Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
era già grande, e già eran tratti
alle curule Sizii e Arrigucci.

(Paradiso XVI, 106-108)

Il blasone dei Sizi è «losangato di rosso e d’oro» [10] e quello dei Sizzi fiorentini «d’argento, alla banda alata di rosso» [11]. Il primo è visionabile qui, mentre del secondo non ho trovato traccia. L’argento (e prima ancora il bianco), comunque, era tradizionale colore guelfo; rosso ed oro sono, invece, classici colori nobiliari.

Secondo lo storico Lorenz Böninger vi fu, sul finire del ‘300, un’immigrazione di artigiani tedeschi nella città di Firenze tra cui dei “Sizzi” assimilati al tessuto etnoculturale e sociale della città toscana. Nel suo testo [12] egli dedica un capitolo apposito al successo professionale e all’integrazione di tre famiglie ritenute, appunto, di origine teutonica: Riccardi, Sizzi e Frizzi. Se questa tesi è concreta il cognome “Sizzi” sarà una toscanizzazione del casato originale (visto che i Sizi/Sizzi fiorentini esistevano già nel XII secolo). Potrebbe essere la riprova di un antroponimo germanico alla base della cognominazione ma, sicuramente, non vi è alcun legame tra il ceppo bergamasco e questi immigrati d’oltralpe.

Non si può escludere, comunque, che il mio cognome possa essere derivato, forse più verosimilmente (nonostante la radicata moda onomastica medievale di gusto germanico), dal nomen latino Sittius, (vedi la gens romana Sittia), il cui oscuro etimo potrebbe venir accostato a qualche significato connesso alla siccità, all’aridità, alla sete e dunque in senso lato alla brama [13]. Fra l’altro, i toponimi Siziano (Pavia) e Sizzano (Novara) credo siano da ricondurre al gentilizio latino in oggetto (anche alla luce della classica desinenza prediale latina -anus). Inoltre, per il Bergamasco, un atto del 1184 relativo alla località di Isola di Fondra (Val Brembana) ci tramanda il nome di un certo Sizio, evidentemente radicato anche nel nostro territorio [14].

In toscano esiste, curiosamente, il termine sizio [15], che indica un lavoro sedentario (vedi tedesco Sitz ‘seggio’), oppure un lavoro penoso (rifacendosi, in questo caso, all’espressione evangelica del Cristo in croce «Sitio» ossia «Ho sete»). Un’altra voce toscana interessante è sizza [16], “soffio di tramontana”, dal latino sidus ‘freddo’. Ma queste ultime voci si confanno, chiaramente, ai Sizzi gigliati; nel caso bergamasco, il mio, il casato Sizzi deve il suo nome sicuramente ad un patronimico, germanico o latino che sia.

Stando alle testimonianze incrociate di Passerini, Tettoni-Saladini e dell’Archivio di Stato di Firenze (interpellato anni orsono), il capostipite dei Sizzi fiorentini fu un certo Sizzo, della famiglia dei Sizi (le cui radici affondano almeno nel XII secolo), console di Firenze nel 1201. Quello bergamasco, come detto più sopra, era un membro della casata dei Rudelli, separatosi nel basso Medioevo. Si veda l’opera di Tullio Panizza citata nelle note. Rudelli è un tipico [17] cognome bergamasco, che suppongo derivato dal gentilizio romano Rutilius il cui significato va rintracciato letteralmente nel colore rosso o biondo scuro della capigliatura [18].

Dopo la battaglia di Montaperti del 1260, in cui i ghibellini senesi sconfissero i guelfi fiorentini, pare che alcuni Sizzi gigliati, stando alla testimonianza di Passerini e Tettoni-Saladini, ma anche di Roberto Ciabani [19], prendessero la via dell’esilio trapiantandosi altrove (persino in Francia) dandosi alla mercatura. Non ci sono comunque documenti che attestino la presenza di questi esuli toscani nel Bergamasco. Il fatto che il mio cognome sia presente a Bergamo e a Firenze – sebbene in ceppi distinti e indipendenti – può essere, qualora sia di etimo germanico, attestazione del prestigio goduto dai Longobardi tanto in Lombardia quanto in Toscana, e infatti diversi cognomi presenti nella prima ritornano nella seconda (forse pure per fenomeni migratori lombardi medievali [20]).

Ho notato che vi sono dei Sizzi anche a Taranto ma, documentandomi in passato, grazie alla testimonianza di alcuni di loro ho scoperto che non sono dei Sizzi reali (bergamaschi o fiorentini) bensì Ziz giuliani (di Pola) italianizzati durante il fascismo e trasferitisi in Salento nel secondo dopoguerra. Il loro cognome originario dovrebbe essere un etnico riferito alla Cicceria, regione storica del Carso terra degli istroromeni [21].

Dall’orobica Valgandino i Sizzi, derivati dai Rutellis de Noris (Rudelli e Noris sono ancor oggi cognomi squisitamente bergamaschi), si spostarono, sul finire del ‘300, a Brescia (ramo estinto) e a Trento – venendo ascritti alla nobiltà imperiale come Sizzo de Noris – dove tuttora risiede un conte discendente del vescovo-principe di Trento Cristoforo Sizzo de Noris. Le vicende dei Sizzo trentini sono state ricostruite, come ricordato supra, dall’araldista tridentino Tullio Panizza, nelle opere citate in calce all’articolo.

Non ho notizie di legami del mio ceppo famigliare paterno con questa aristocratica prosapia; come è noto chi, oggi, porta un cognome “illustre” lo ha ereditato biologicamente, con tutta probabilità, da coloni più che dai nobili medesimi. Ricordo solamente che in famiglia circolava una diceria di un prozio sacerdote (don Ariele Sizzi) relativa ad una lontana origine austro-ungarica, sicuramente motivata dai Sizzo de Noris di Trento (che però sono, appunto, originari del Bergamasco).

Ad ogni modo, io discendo dai Sizzi rimasti in Val Seriana, che poi verso l’800 si trasferirono in Val di Scalve, a Vilminore, e non so dire, come accennato, se questi fossero nobili spiantati o valligiani un tempo al servizio dei Sizzi patrizi. I Sizzi seriani sono documentati come una delle famiglie laniere del territorio di Gandino, parliamo del XVI secolo [22]. Bisognerebbe condurre serie e approfondite ricerche d’archivio per saperne di più. Comunque sia la provenienza etno-geografica è fuor di dubbio. Panizza riporta anche le oscillazioni grafiche del cognome Sizzo de Noris: Sicci, de Siciis, Sitius, Sitz, Siz, Sizo, Sizzi, Sizza.

In apertura ho inserito il blasone dei nobili trentini, riportato da Tettoni-Saladini e così descritto: «ancora di nero a 2 marre su scudetto di argento su – aquila di nero su oro – barca con albero e bandiera bifida svolazzante a destra recante 2 bambini nudi che si danno la mano tutto di argento su mare fluttuoso di azzurro su azzurro». Direi che l’aquila nera su sfondo dorato è un chiaro tributo al Sacro Romano Impero.

Per concludere la vicenda dei Sizzi bergamaschi diremo che, una volta estintosi il ramo gandinese, alcuni degli scalvini – divenuti artigiani – presero la via del Milanese e della pianura bergamasca; tra quest’ultimi mio nonno, divallato alla volta di Brembate di Sopra (pochi giorni prima del disastro della diga del Gleno, 1 dicembre 1923, a quanto sembra) dopo aver sposato una donna di Azzone, sempre in Val di Scalve. Impiantatisi a Brembate, i Sizzi si dedicarono, oltre al mestiere di artigiani, alla coltivazione e all’allevamento e, ovviamente, proliferarono. La mia famiglia nasce dunque dall’incontro fra le Orobie e l’Isola bergamasca.

Infine, una curiosità genetica di cui avrò modo di riparlare: come già dissi in passato, il mio lignaggio paterno (determinato dall’aplogruppo Y R1b-U152 (scoperto con il test di 23andMe) clade Z36 (celtico di La Tène [23][24], appurato grazie ad YSEQ) è diffusissimo nella Lombardia etnica (il bacino del Po) segnatamente orientale dove registra il suo picco “italiano” [25]. Anche questo depone a favore di un’origine indigena dei Sizzi bergamaschi, per quanto, da umanista, vedere un’omonimia nei Sizii fiorentini citati da Dante nell’acme paradisiaca del suo capolavoro letterario abbia indubbiamente un certo fascino [26].

[1] Vedi Gens Labo e Cognomix.
[2] Le notizie circostanziate sui Sizzi bergamaschi e i Sizzo de Noris sono tratte da Tullio Panizza, Famiglie nobili trentine d’origine bergamasca. In: Bergomum – A. 8 (1933) e Tullio Panizza, Secondo contributo alla storia di famiglie nobili della Venezia Tridentina di origine bergamasca. In: Bergomum – A. 9 (1934).
[3] Luigi Passerini, Memorie storiche intorno alla famiglia fiorentina dei Sizzi, Milano, 1855.
[4] Leone Tettoni, Francesco Saladini, Teatro araldico ovvero raccolta generale delle armi e delle insegne gentilizie delle più illustri e nobili casate che esisterono un tempo e che tuttora fioriscono in tutta l’Italia, Milano, 1847.
[5] Vedi Cognomix.
[6] Si vedano queste fonti reperite su Google Libri, dove si suggerisce che il vezzeggiativo Sizzo derivi da Sigizo, a sua volta diminutivo di Sigfrid.
[7] ibidem 
[8] Sizzonen
[9] Cfr. questa ricerca su Google Libri.
[10] Ceramelli Papiani 
[11] ibidem
[12] Die deutsche Einwanderung nach Florenz im Spätmittelalter, Leida, 2006, opera citata dal primo volume de La mobilità sociale nel Medioevo italiano, di Lorenzo Tanzini e Sergio Tognetti (Viella, 2016), presente su Google Libri.
[13] Dizionario Latino Olivetti
[14] Cenni storici
[15] Dizionario Etimologico Online
[16] ibidem
[17] Gens Labo
[18] Rutilio
[19] Le famiglie di Firenze, Bonechi, 1992. Tra i Sizzi toscani val la pena ricordare Francesco, astronomo fiorentino avversario di Galileo.
[20] Leonardo Rombai, Geografia storica dell’Italia, Le Monnier, 2002, p. 189.
[21] Nota di Marino Bonifacio di Trieste sulla Rivista Italiana di Onomastica, anno XXV (2019).
[22] Museo della Basilica di Gandino
[23] Eupedia
[24] «The Z36 sub-clade has also been associated with Celtic populations; as it occurs in moderately high frequencies, approximately 30-40%, in Italy including, Liguria and Lombardy, France, southwestern Germany (specifically Baden-Württemberg), and western Switzerland» Tratto da Mallory J. Anctil, Ancient Celts: A reconsideration of Celtic Identity through dental nonmetric trait analysis, 2020, consultabile qui.
[25] «Northwestern Italy has a very high percentage of haplogroup R1b (around 70 %) with the highest proportions in the area of Bergamo […]. In this pre-alpine region […] the percentage of individuals with haplogroup R1b-U152 is around 50 % […]. This local present day hotspot for haplogroup R1b-U152 fits quite well the ancient habitats of Celtic cultures» Tratto da questo studio di Martin Zieger e Silvia Utz, che cita quello di Grugni et al. 2018 in cui, per la Bergamasca, si danno le seguenti stime di R-U152: 46,2 per le valli e 53,2 per la pianura. Globalmente, R1b raggiunge l’80,8% nelle valli orobiche (il 70,9% in pianura).
[26] Ricordiamo, per completezza, che l’aplogruppo R-U152 è ben rappresentato anche in Toscana dove, tuttavia, è più probabile una sua filiazione villanoviana (vedi il collegamento ad Eupedia citato alla nota 23). In Lunigiana (che tecnicamente non è Toscana, bensì crocevia tra Liguria ed Emilia) sarà invece, più probabilmente, segnale ligure apuano, come suggerito da questo studio di Bertoncini et al. 2012. U152 è, genericamente, ritenuto una mutazione legata a genti protostoriche centroeuropee che irradiarono, pure verso sud, culture che potremmo definire italo-celtiche. In tale novero rientrano Celti, Liguri, Italici e Veneti, anche nella loro fase embrionale.