Le ragioni di una battaglia

Tra 2019 e oggi ho cercato di conciliare la tradizione cattolica con l’ideologia lombardista, approdando all’idea di una Chiesa nazionale ambrosiana: un cattolicesimo lombardo, cioè, de-semitizzato, lontano da Roma e sublimato dal retaggio indoeuropeo della gentilità autoctona. Ho scritto diversi articoli, in merito a tale posizione, (vedi, ad esempio, i punti 14 e 15 del manifesto programmatico) e non ho nulla da rinnegare, nulla di cui vergognarmi, tanto che tali pezzi resteranno sul blog, a mo’ di percorso graduale verso la verità indiscutibile. Anzi, quanto vergato può offrire ancora spunti valevoli di riflessione, a chi, come me, si interroga su patria e spiritualità. Tuttavia, è giunto il momento di consegnare questi scritti alla storia, guardando al futuro, e non più al passato. O, meglio, guardando sì ad un ben preciso passato ma proiettandosi in un futuro che sia schiettamente e genuinamente identitario.

Ho infatti deciso di riabbracciare le posizioni spirituali del prisco lombardesimo, quello nato dal pensiero del sottoscritto nel 2009, completando il quadro del ritorno integrale alle origini. Ebbene, dichiaro ufficialmente che visione del mondo lombardista e cristianesimo, anche cattolico e ambrosiano, non sono compatibili, in virtù di un necessario ed impellente recupero della coerenza primigenia. I valori cristiani, l’universalismo, le radici semitiche, la Bibbia e il Vangelo, la filosofia di vita cattolica, nonché la Chiesa stessa, non possono in alcun modo conciliarsi col lombardesimo, essendo quest’ultimo etnonazionalista, razzialista, comunitarista, europeista in senso völkisch e votato all’esaltazione razionalista di sangue e suolo.

Razionalismo, esatto. Un razionalismo, diciamo pure ateo, che si coniuga con l’etnicismo dando vita all’etno-razionalismo, pilastro dell’ideologia lombardista. Perché la ragione, signori, deve essere il nostro faro, senza naturalmente esondare nello scientismo, nell’Illuminismo, nel giacobinismo e in quell’ateismo o laicismo progressisti che incensano, sulla falsariga del cristianesimo, il cosmopolitismo relativista, certo intriso di irreligiosità apolide ma francamente giudaizzante. Personalmente non mi ritengo credente, pur essendo di formazione cattolica e avendo alle spalle una famiglia religiosissima, ma non sposo in alcun modo il “pensiero” acido del satanismo o dell’empietà figlia del 1789. Mi dico ateo, non ateista, sebbene ritenga che la religione sia un retaggio del passato che si può tranquillamente abbandonare.

Nelle riflessioni di questi circa 5 anni, avevo ritenuto che la soluzione ideale al problema spirituale e religioso, relativo alla Lombardia, fosse l’edificazione di una Chiesa nazionale ambrosiana, depurata dal semitismo ed esaltata dalle radici gentili e ariane; una sorta di soluzione di comodo per conciliare le due anime dell’identitarismo nostrano ed europeo, in una con il ritorno all’indipendentismo e all’etnonazionalismo radicale. Ma, ora, credo che tale trovata sia di difficile applicazione, oltreché poco seria: non ha alcun senso preservare il cristianesimo cattolico se si sente la necessità di nobilitarlo con la gentilità. Tanto vale recuperare la seconda in toto, se vogliamo sul serio intavolare un discorso spirituale e religioso maturo e logico.

E, infatti, giungo alla conclusione che l’unica forma di religiosità accettabile, nel contesto lombardo e lombardista, sia il paganesimo, chiaramente ripulito dal lato pagliaccesco del neopaganesimo, dalle tentazioni anti-tradizionali (vale a dire di ripudio di valori sacri trasversali quali patriarcato, eterosessualità, monogamia, virilità, conservatorismo nel giusto) e da quelle sfumature “sataniche” che propongono un anticristianesimo demenziale che va a braccetto con ideologie antifasciste, libertarie, radicali. Il lombardesimo deve essere anticristiano, diciamolo tranquillamente e serenamente, ma solo ed esclusivamente nel seguente verso: rifiuto dell’universalismo, rifiuto dei principi evangelici, rifiuto delle indubbie radici mediorientali della religione di Cristo, rifiuto del clero (peraltro compromesso da omosessualità e, quindi, pedofilia).

Inutile prenderci in giro, signori: il nazionalismo etnico, il razzialismo, l’etnicismo biologico non sono compatibili con il credo cristiano coerente, a meno che si voglia davvero fare salti mortali rasentando il ridicolo, e il suicidio. Accettiamolo con molta calma, e smettiamola di inventarci Cristi e Madonne ariani, solari, europei. Innegabile che il cristianesimo, segnatamente cattolico, abbia abitato (o parassitato) strutture e modelli di origine gentile, greco-romana od orientale (indo-persiana), ma l’essenza della religione fondata dall’ebreo Gesù di Nazareth prende le mosse dalla Palestina, ha ereditato appieno il retaggio giudaico e mira ad un dio straniero – dal punto di vista europeo – che è lo stesso dell’ebraico e dell’islamico.

Uno può inventarsi tutto ciò che vuole, e può infilare il cattolicesimo nel letto di Procuste del neopaganesimo, ma se siamo disposti a tollerare la fede in Cristo soltanto per degli echi paganeggianti, rigettando (come feci io) il lignaggio mosaico e biblico, alla lunga avremmo a che fare con un’impresa patetica, tragicomica, assurda. Come dicevo, si fa prima a riconciliarsi con la gentilità, sebbene questa, oggi, sia pressoché inesistente e priva di tradizione e cammino iniziatico, ancorché esistano dei gruppi e dei movimenti che, rifacendosi ai culti tradizionali, tentano di rivitalizzare la fede negli antichi dei. Opera che, sinceramente, non mi interessa.

Epperò, ribadisco: l’unica forma di religiosità tollerabile deve essere la gentile, chiaramente contestualizzata nell’ambito lombardo. Un recupero, dunque, dei culti indoeuropei di Liguri, Celti, Veneti, Galli, Gallo-Romani, Longobardi, che siano assolutamente fedeli e leali con il lombardesimo e la nazione lombarda, e quindi con lo Stato granlombardo, e che non finiscano per impelagarsi con il ciarpame new age che puzza di femminismo, sessualità ambigua, degenerazione modernista varia. Capisaldi comunitari quali la società patriarcale, i legami eterosessuali e monogami, il tradizionalismo famigliare non si toccano nella maniera più totale. E va da sé, oltretutto, che tale gentilità non debba in alcun modo divenire teocratica e ostacolare l’etnonazionalismo panlombardo.

In una Lombardia ideale, libera, unita e sovrana, può esserci spazio soltanto per una religione, o un credo, che combatta la dissoluzione universalista, egualitaria, umanitaria, fatta propria appieno dal cristianesimo, che ha in odio i vincoli di sangue e i legami schiettamente identitari. L’unico culto tollerabile è un prodotto culturale e spirituale indogermanico ed europeo, etnicista e razzialista, creato dagli europei per gli europei, dai lombardi per i lombardi. Non si tratta, ovviamente, di perseguitare i cristiani o di scristianizzare in maniera blasfema il territorio, anche perché sarebbe ridicolo negare l’importanza dell’eredità cattolica, giunta sino a noi grazie ai nostri avi. Ma i nostri avi, prima di essere cristiani, erano gentili, non va dimenticato.

Do per scontato che la condanna del cristianesimo (cattolico, ortodosso, protestante e settario) sia percepita come parallela a quella di tutte le religioni vieppiù esotiche, prime fra tutte ebraismo e islam. Il lombardesimo primigenio esprimeva critica e condanna nei confronti del monoteismo abramitico e dei suoi valori ma non tanto per lusingare il paganesimo, quanto per una sete di coerenza e di radicalità che ponesse la Lombardia sopra ad ogni cosa, in nome dell’etno-razionalismo. Finalmente, il lombardesimo riabbraccia gli albori, puntando tutto su di un salutare integralismo etnico e razziale, prendendo le distanze dal cristianesimo e da ogni altro frutto culturale di matrice esotica. Il lombardesimo si attesta su posizioni atee e agnostiche, ma in un senso ben preciso e diversissimo, agli antipodi rispetto al punto di vista relativista: archiviamo la religione ritenendo accettabile soltanto quella davvero tradizionale, indigena, ma smarcandoci del tutto dalla spazzatura dei philosophes, cioè di coloro che avversavano il cristianesimo erigendo al suo posto un demoniaco feticcio egualmente universalista.

Grande Lombardia

GL

Il 6 novembre 2013, data mediana tra equinozio d’autunno e solstizio d’inverno, nel suggestivo scenario medievale del Castello Visconteo di Pavia (la capitale morale lombarda), nasceva l’associazione politica Grande Lombardia, continuazione del fu Movimento Nazionalista Lombardo.

Ne uscii nell’aprile 2014 per via del desiderio, di allora, di recuperare la cornice italica, in chiave etnofederale, e prendere le distanze dall’indipendentismo, ma è stata un’esperienza degna di nota che ha certamente avuto il suo senso e rappresentato una tappa formativa del mio pensiero etnicista. Dopo essermi, nell’autunno 2021, riconciliato con le mie origini ideologiche, ne ho ulteriormente rivalutato la portata, confermando la natura rivoluzionaria del lombardesimo.

Nell’estate del 2013, il Movimento Nazionalista Lombardo, fondato da Adalbert Roncari e dal sottoscritto, fu sciolto per poter dare spazio a questo nuovo progetto lombardista, che senza rinnegare le posizioni di partenza le ha estese alla Lombardia storica orientale (nel Medioevo il termine ‘Lombardia’, come sappiamo, designava in buona sostanza la maggior parte del territorio “italiano” settentrionale).

Come MNL ci eravamo soffermati sulla Neustria longobarda, fondamentalmente, vale a dire Val d’Aosta, Piemonte, “Svizzera” lombarda, Regione Lombardia, Emilia fino al Panaro e altri brandelli di territorio padano appartenenti oggi a varie realtà amministrative; con GL si allargò il discorso lombardista all’Austria longobarda, ossia Trentino, Lombardia venetizzata e Friuli, escludendo per ragioni etno-storiche il Tirolo primigenio (ossia quello meridionale), il bacino dell’Isonzo, l’Istria, l’Emilia al di là del Panaro, la Romagna e le coste venete con l’entroterra.

Allo stesso modo escludemmo la Liguria dalla parte occidentale perché poco e tardi longobardizzata e, inoltre, quasi del tutto mediterranea a differenza del territorio lombardo etnico (che sarebbe un po’ anello di congiunzione fra Mediterraneo ed Europa centrale), e così Bolognese e Ferrarese, adriatici e solo all’ultimo conquistati dai Longobardi.

In un secondo momento integrammo anche i territori periferici suddetti, perché comunque parte del contesto geografico, storico, linguistico, culturale e politico alto-italiano (per capirsi), della Cisalpina, e per ragioni di logica e razionalità: che senso avrebbero una Liguria, una Romagna, un Alto Adige e una Venezia lagunare e giuliana indipendenti, staccati dal grosso del territorio padano-alpino e subcontinentale?

L’associazione politica Grande Lombardia, sorta nell’antica capitale longobarda, è stata fondata dall’Orobico, dal sepriese Adalbert Roncari (attuale presidente), dal pavese Achille Beltrami, dal friulano Ludovic Colomba e dall’oltrepadano Alessandro Poggi, e si propone di affrancare, mediante l’etnonazionalismo lombardo (lombardesimo), il sentimento identitario di tutte le genti cisalpine, che possono dirsi lombarde perché sviluppatesi dalla Langobardia Maior (e ‘Lombardia’ deriva da questo); logicamente, non si trattava di fare i germanisti e i nordicisti ma di preservare l’identità storica dei lombardi, che è il risultato della fusione tra Celti, Galli, Goti e Longobardi, senza dimenticare popoli come Liguri, Reti, Etruschi, Veneti antichi e Romani che hanno contribuito all’edificazione della Lombardia o, meglio ancora, della Grande Lombardia, che dà il nome al movimento.

Le posizioni di GL non sono mai state indipendentiste tout court, perché abbiamo sempre pensato che l’indipendenza sia un mezzo, non il fine, e perché l’enfasi lombardista è stata sempre posta, anzitutto, sulla questione etnica, biologica, antropologica, culturale, ambientale, storica. Altresì, l’etnonazionalismo, nel caso grande-lombardo, presuppone l’indipendentismo, ma non viceversa, come i separatismi storici europei dimostrano. Chi ha avuto modo di visitare il sito di Grande Lombardia avrà notato che l’impostazione non è secessionista, anche perché negli anni scorsi, durante la mia fase italianista, cercai di stabilire un contatto tra il gruppo lombardista superstite ed EreticaMente – per cui scrivevo – al fine di sviluppare una collaborazione.

Oggi GL è, per così dire, ibernata, attiva come pagina su Facebook ma per il resto dormiente; il sito non è più stato aggiornato. Chi ne fa parte (penso circa una decina di persone) ha sicuramente posizioni indipendentiste e anti-italiane, seppur il fine principale sia sempre stato quello dell’autodifesa etnoculturale e territoriale totale (vedi alla voce ‘comunitarismo’). Va da sé che la collocazione ideale della Grande Lombardia nella visione lombardista, e questo sin dagli albori, stia nella liberazione dal giogo tricolore. Io stesso, distaccandomi dalla passata esperienza patriottarda volta al tentativo di conciliare la Lombardia con l’Italia romana, mi sono riassestato su posizioni nettamente indipendentistiche, perché i palliativi, i brodini, i pannicelli caldi non sono consoni ad un’ideologia radicale, decisamente schierata contro il mondialismo (alimentato anche da Roma).

Grande Lombardia, indi, abbraccia le terre dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali e da quelle Centrali all’Appennino settentrionale (cioè lombardo), accomunate dall’eredità innanzitutto gallica cisalpina romanizzata e in secondo luogo dall’impronta longobarda, che ha caratterizzato tutto il cosiddetto nord vero e proprio della Repubblica Italiana; nel Medioevo, se un transalpino doveva varcare le Alpi era solito dire: «Vado in Lombardia» (d’altro canto, nello stesso periodo, il termine ‘Italia’ designava più il centro-nord che il sud, ma questo per motivi di prestigio e di antico retaggio politico romano).

I territori inizialmente estromessi sono stati poco e tardi longobardizzati (Liguria, Padova, Bologna e Ferrara) o per niente colonizzati dai Longobardi (Romagna e coste venetiche), oppure appartengono geograficamente e storicamente alla Lombardia allargata (Tirolo meridionale, Isonzo, Istria) ma etnicamente sono popolati da, tecnicamente, allogeni (bavari, sloveni, croati). Perciò, nei primevi intenti di GL, la cartina grande-lombarda escludeva le coste liguri, le Romagne (Emilia orientale, Romagna e terre gallo-picene), il Veneto costiero al di sotto di una immaginaria linea delle risorgive, il mondo retico cisalpino germanofono a nord del confine etnico di Salorno e la Venezia Giulia storica oggi inglobata da Slovenia e Croazia.

Ricordo con simpatia i bei tempi in cui il duo Sizzi-Roncari, inebriato dal purismo continentale e terragno, discriminava i popoli settentrionali costieri e lagunari in nome di una talassofobia “longobarda” da impenitenti consumatori di burro e strutto, contrapposta agli amanti “bizantini” dei boccioni d’olio d’oliva, del pomodoro, dei latticini di pecora e capra in odore di intolleranza al lattosio. Il Panaro come confine enogastronomico e zootecnico, confortato dalla storica dicotomia tra Langobardia e Romandiola, fu per anni uno dei pezzi forti delle rivendicazioni lombardiste. Eravamo tutti più giovani.

Ad ogni modo, la tenzone identitaria grande-lombarda è rivolta alle realtà galloromanze cisalpine longobardizzate e, dal Medioevo, ritenute lombarde (e qui si pensi a chi costituì la Lega originale, la Societas Lombardiae). Città come Trento e Verona, in antico, parlavano lombardo e non è affatto peregrino affermare che la porzione di Regione Veneto inclusa nelle allora cartine lombardiste (quella continentale, in pratica) sia stata venetizzata dalla Serenissima, spezzando quel continuum linguistico che doveva esserci in tutta la Cisalpina – Dante docet – grazie alla sovrapposizione di Celti e Longobardi latinizzati.

Il movimento Grande Lombardia prende, dunque, le mosse dalla realtà etno-culturale e geografica genuina della Lombardia, lo zoccolo duro, unendo le due Lombardie storiche, occidentale e orientale, nel nome della loro comune eredità e delle sfide presenti e future che le attendono.

L’esperienza lombardista precedente, quella del Movimento Nazionalista Lombardo, è stata una sorta di laboratorio, di cammino preparatorio al grande salto di qualità che punta a riunire tutti i lombardi sotto l’insegna della Croce lombardista (GL unisce, nel suo vecchio simbolo, le due croci alpino-padane storiche, integrandole alla ruota solare indoeuropea che rappresenta la grande famiglia continentale d’Europa), dello swastika camuno e del Ducale visconteo, del Biscione; Grande Lombardia è un movimento politico, ma anche culturale, che non punta ai voti, alle poltrone, ai quattrini, ma ai lombardi e alle lombarde in senso etnico e storico, che vogliono battersi per l’affrancamento, la difesa, la promozione e l’autoaffermazione, innanzitutto identitaria, delle genti in questione.

Questa battaglia è tanto comunitarista, ruralista, solidarista quanto ispirata ad un salutare razionalismo che non ripudi lo sviluppo, il progresso (scientifico, si capisce), la tecnologia (come potremmo?) ma dia ad essi un volto sociale e nazionale mirato al benessere della collettività lombarda, senza anarco-individualismi o sterili passatismi. Proiettare la Grande Lombardia nel futuro, onorando il passato, e concretizzando un presente di sacrosante lotte metapolitiche. Gli scopi statutari e programmatici di GL combaciano coi miei, per quanto l’associazione sia, ad oggi, ferma. Mi distacco, solamente, dal vecchio punto relativo alla critica indiscriminata nei riguardi del cattolicesimo, ovviamente tradizionale – confuso con forme spurie di cristianesimo, ebraismo e islam – e alla scristianizzazione, che all’epoca condividevo ma da cui poi ho preso le distanze. Oggi sono convinto che, religiosamente parlando, l’ideale sia una fusione della gentilità precristiana cisalpina con il cattolicesimo ambrosiano, dando vita ad una Chiesa nazionale l0mbarda.

Nella primavera del 2014 sentii l’esigenza, suggestionato dall’antichità italica, latina, romana, di ampliare il mio sguardo estendendolo al quadro panitaliano, cercando di conciliare la visuale lombardista – mai rinnegata – con quella di un italianismo etnofederale supportato dalle glorie di Roma antica e da altre esperienze comuni (la civilizzazione etrusca, l’Italia augustea, l’epopea longobarda, l’italianizzazione linguistica). Portai avanti per sette anni quest’ottica ma fu un periodo in cui la preponderante componente etnonazionalista necessitava di una certa coerenza, e la realtà dei fatti non poteva essere nascosta o distorta dall’ideologia; dopo gli ardori iniziali, il mio italianismo si assestò su posizioni culturali e civili, recuperando quasi in toto l’enfasi sugli aspetti genuinamente nazionali, ossia lombardi. Sicché, venendo meno nell’estate 2021, sulla scorta di nuovi dati biologici e scientifici, la bontà dello zelo patriottico all’italiana, mi sono riavvicinato con convinzione alle origini, impugnando nuovamente, e senza compromessi, la bandiera del lombardesimo.

Per chi pone la triade sangue-suolo-spirito al di sopra di tutto è impossibile, alla lunga, conciliare l’inconciliabile, e la dirompente forza dell’etnicismo avrà il sopravvento su ogni proposito meramente culturale o storico. Fermo restando che, sebbene con mille forzature, l’Italia può essere ritenuta una sorta di civiltà eterogenea, il concetto di cultura italiana è del tutto moderno, artificiale e disomogeneo, basato sulla lingua toscana e su elementi comuni a molte altre realtà europee. Cattolicesimo, romanità e ambito neolatino sono un po’ pochino per parlare di nazione italiana dalle Alpi alla Sicilia…

Una cosa da me rivalutata, dopo la fine del periodo italianista, pertinente al progetto originale di GL, è l’inserimento della Lombardia in una sorta di macroregione gallo-teutonica centro-europea, cuore della civiltà continentale. Abbiamo molti elementi in comune con l’arco alpino, soprattutto nelle stesse aree alpine grandi-lombarde, e anche se la Pianura Padana – per non dire delle coste – si avvicina più alla Toscana o alla Provenza che alla Svevia e alla Baviera, il medievale spazio carolingio d’Europa andrebbe rivitalizzato. Detto questo lasciamo pure perdere le macroregioni europee e concentriamoci sulla nostra realtà etnonazionale, quella lombarda, anche se di certo il cuore europeo, cui la Cisalpina appartiene, rappresenta la papabile classe dirigente euro-siberiana.

Il potenziale originario di Grande Lombardia era importante e interessante soprattutto in direzione comunitarista, per sviluppare quel salutare attaccamento alla stirpe e alla terra, quella genuina solidarietà tra connazionali, quel robusto senso montanaro e contadino, terragno oserei dire, che contraddistingue i lombardi. Ma la Lombardia è anche le città, l’economia, l’industria, le eccellenze, la qualità, la ricchezza frutto del duro lavoro e il lombardesimo non ignora tutto questo, anzi, vuole dargli la giusta rilevanza, comunque in un contesto di etnonazionalismo e visione nazional-sociale.

Parlo di lombardesimo, cioè dell’ideologia da me plasmata, e che fu il motore dottrinario dell’MNL e di GL; per quanto il primo non esista più e non faccia parte, da anni, della seconda resta il fatto che gli unici movimenti/associazioni cui mi sia sentito legato sono ovviamente quelli da me fondati, e di cui conservo con soddisfazione ed orgoglio ottimi ricordi.

Quando, nel 2014, mi sganciai dall’ambito indipendentista non rinnegai, comunque, la difesa seria e razionale dell’identità e della tradizione lombarde che continuai a sentire, negli anni seguenti, come le più vicine a me: prima ero bergamasco e lombardo e poi, italiano. E mi sembra naturale. Davo a quell'”italiano” una valenza linguistica, culturale e civile, più che propriamente nazionale (e, dunque, etnica), e va da sé che l’italianità della Lombardia – come della Sardegna, per dire – sia una finzione, un orpello retorico patriottardo. Gli italiani sono gli indigeni centromeridionali della Repubblica, tutti gli altri sono italiani, sostanzialmente, sulla base di un pezzo di carta e della burocrazia statolatrica romana. E non mi si venga a dire che: «Gnè gnè gnè, parli italiano anche tu!», perché questa è soltanto la lingua di Firenze, e se l’adopero è solo per educazione, comodità, convenienza e comprensione. A cà Siss si favella in bergamasco, e solamente in tempi recenti il toscano è diventato la lingua corrente delle Lombardie. D’altronde, anche gli irlandesi parlano inglese, senza essere inglesi.

L’esperienza del Movimento Nazionalista Lombardo

Movimento Nazionalista Lombardo

Nella prima fase del lombardesimo radicale, ebbi modo di dare vita, assieme ad altri camerati lombardi, a due movimenti politico-culturali, di cui uno tuttora esistente: il Movimento Nazionalista Lombardo, defunto, e Grande Lombardia. Qui tratterò del primo.

Tutto ebbe inizio verso la fine di aprile del 2008. Il mio primo approccio con la politica militata risale ad allora, quando decisi di schierarmi attivamente dalla parte del Fronte Indipendentista Lombardia, partito nato due anni prima e conosciuto grazie ad un forum etnonazionalista, poi chiuso per via delle solite ingerenze.

Ciò mi permise di entrare in contatto con alcuni giovani in gamba desiderosi di battersi per il bene della Lombardia, in particolar modo con Adalbert Roncari. Egli non era un tesserato del Fronte ma, quanto me, conosceva alcuni suoi esponenti.

La mia esperienza frontista, tuttavia, durò praticamente un mese e non produsse, chiaramente, nulla di che; questo perché nel giugno 2008 il FIL, guidato da Max Ferrari, confluì nel solito cartello regionalista pataccaro, questa volta denominato Lombardia Autonoma e capeggiato da uno dei principali legaioli pataccari in circolazione: Roberto Bernardelli.

Essendomi tesserato per l’etnonazionalismo e l’indipendentismo, mandai tutto a quel paese e aspettai tempi migliori, rimanendo in contatto con altri ex frontisti con cui decisi di collaborare, al fine di creare un serio soggetto identitario lombardista.

Questa fase transitoria durò un biennio e nel 2009 conobbi il sunnominato Adalbert Roncari, luinese classe 1988, con cui fu subito intesa. Ne nacque un confronto sincero e schietto che corroborò il reciproco cameratismo, al punto di consolidarsi in una irremovibile posizione etnonazionalista, nonostante il resto dei soggetti con cui si imbastiva il progetto identitario scivolasse inesorabilmente verso il trasversalismo e l’opportunismo politico.

E fu così che, nell’agosto 2010, noi e la combriccola di “indipendentisti-e-basta” giungemmo in rotta di collisione e ognuno andò per la sua strada; questo anche perché i benpensanti non riuscivano a tollerare le posizioni un po’ estreme del sottoscritto, palesate attraverso i miei blog.

Liberati dal fardello politicamente corretto decidemmo, il sottoscritto e il Roncari, di stendere un nostro personale progetto lombardista, abbandonando al loro destino gli ex frontisti da cui poi, per la cronaca, nel settembre 2011, nacque pro Lombardia Indipendenza, movimento assestatosi su posizioni lib-dem e sterilmente indipendentiste, sulla falsariga dei movimenti separatisti storici europei. Ci attivammo subito, altresì, contattando ipotetici compagni di viaggio che potevano tornare utili alla bisogna.

Punti fondamentali del nostro programma erano il panlombardismo, che riunisse tutti i popoli lombardi etnici (insubrici, alpini, orobici, cenomani, padani, subalpini), l’identitarismo etnico – che puntasse all’autodifesa totale dei lombardi, ma anche dei mittel e degli europei – e la caustica critica al cristianesimo, nel quadro di un ridimensionamento filo-pagano dei monoteismi “abramitici”. All’epoca ero fresco fresco di rottura col cattolicesimo e smanioso di dare concretezza a quella che ritenevo una piena coerenza völkisch. Il tutto racchiuso in una Weltanschauung schiettamente etnonazionalista, lombardista e, ovviamente, indipendentista (cioè anti-italiana).

Nome pensato per il soggetto fu “Grande Lombardia”, affinché fosse chiaro da subito il nostro afflato panlombardo, in senso storico ed etno-geografico; simbolo la Croce lombardista, l’integrazione della lombarda Croce di San Giorgio con l’indogermanica ruota solare; esordio ufficiale previsto per il 21 dicembre 2010, capodanno astronomico e vigilia dello sciagurato annus horribilis 2011, anniversario dei 150 anni di baraccone statolatrico d’Italia.

Qualcosa però andò storto e due mesi prima di tale data, il 21 ottobre, la questura di Bergamo vide bene di spedirmi a casa due tizi della digos e due della polizia postale per farmi le pulci e rendermi nota l’indagine per istigazione all’odio razziale e vilipendio a mezzo internet.

Era da mettere in preventivo, chiaramente: da mesi ormai progressisti, liberali, pretaioli, antifascisti assortiti giuravano di farmela pagare per i miei “incendiari” scritti, non avendo nulla di meglio a cui pensare.

Il progetto lombardista ebbe, così, una battuta d’arresto, e io e Roncari decidemmo di attendere tempi più proficui, lasciando che le acque si chetassero.

Nel gennaio-febbraio 2011 riprendemmo in mano il progetto senza mutarlo dal punto di vista ideologico, dottrinale, programmatico, mantenendo come simbolo la Croce lombardista, arricchendola tramite l’impiego del sacrale cromatismo tripartito di origine indoeuropea rosso-bianco-nero, ma cambiando il nome del soggetto in un più concreto ed esplicito “Movimento Nazionalista Lombardo”; in fondo, la vera Lombardia è la Grande Lombardia, e la REGIONE “Lombardia” non è che un troncone di nazione lombarda, neutralizzato, rattrappito e italianizzato fino all’infiltrazione mafiosa.

Presidente nazionale dell’MNL Adalbert Roncari, segretario nazionale il sottoscritto, per evitare problemi (essendo il Sizzi indagato ufficialmente e, successivamente, sotto processo). A ranghi serrati, giungemmo ad una decina di associati militanti, stante la difficoltà ovvia nel reperire tesserati attivi.

Capisaldi ideologici dell’MNL, un movimento metapolitico (senza intenti meramente politici), erano il lombardesimo etnonazionalista, il razionalismo che sempre, puntualmente, manca ad ogni soggetto identitario tricolore o legaiolo, la critica al fanatismo religioso – prestato alla militanza – e ad un certo tipo di metafisica, in particolar modo a quelli di ispirazione semitica.

Insomma: sangue e suolo, popolo e razza, identità e tradizione (slegata dal confessionalismo), i binomi vincenti del Movimento Nazionalista Lombardo (in cui credo ancora, si capisce).

Esso venne alla luce nella luinese Valtravaglia, già parte del nobile contado longobardo del Seprio, il 6 maggio 2011, data mediana tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’estate, con i suoi due padri fondatori Roncari e Sizzi; lo scenario uno splendido ambiente naturale poco sopra il Verbano, con tanto di sacre farnie, la cascata della Froda (toponimo celtico) e massi erratici con incisioni solari. Nella sella del Pian Nave, nel comune di Porto Valtravaglia, vicinissima al luogo della fondazione dell’MNL, i nostri antichi padri celtici festeggiavano con roghi e ruote lignee ricoperte di fronde e incendiate il solstizio d’inverno.

Colore sociale dei nostri vessilli e delle nostre divise, impiegati non per scimmiottare corpi paramilitari del passato ma per dare un senso d’appartenenza ad ogni associato e un salutare tocco d’ordine e disciplina al movimento, il grigio plumbeo, colore asettico, razionale, spartano, “prussiano”, che nulla ha a che vedere con il grigiore conformistico, bensì con la virile morale indoeuropea.

Il Movimento Nazionalista Lombardo era un soggetto metapolitico che lottava per l’affrancamento del sentimento nazionale lombardo, riunendo sotto le proprie insegne tutti gli orgogliosi patrioti lombardi; bramavamo la salvazione e la vittoria della Lombardia mediante lombardesimo, nazionalismo etnico, razionalismo, ed indipendentismo mai e poi mai staccato dall’identitarismo Blut und Boden.

Per noi l’indipendenza era un mezzo per raggiungere la totale autoaffermazione lombarda, e non lo sterile fine da perseguire con la bassa cucina politica fatta di compromessi e vittimismo, e trasversale a cani e porci (magari antifascisti).

Tale soggetto durò pochi anni, come si può immaginare, dal 2011 all’autunno 2013, e poté fare solo iniziative simboliche. Essendo esordienti e sparpagliati, con pochi soldi, militanti, risorse – e con idee del tutto impopolari – non si poteva fare altrimenti.

Ciò nonostante facemmo la nostra brava propaganda multimediale, e discretamente noto divenne il canale YouTube lombardista che aprimmo, con le famose “video-prediche” realizzate dal sottoscritto. Qualche spezzone di quei filmati circola ancora in rete.

Venni anche intervistato, come sapete, per il Post di Sofri e Le invasioni barbariche della Bignardi, su La7, esponendomi in prima persona. Il camerata Adalbert preferì una posizione più defilata, concentrandosi su scritti di carattere economico e scientifico pubblicati sui canali ufficiali dell’MNL.

Nell’aprile del 2013, in seguito alla condanna in primo grado per i noti (e ridicoli) fatti ideologici legati a miei blog personali, decisi di togliermi dal movimento per lasciare spazio agli altri contubernali ed evitare di andare a pesare sulle sorti dello stesso, dovendo poi badare ai miei affari giudiziari.

L’associazione si sciolse, comunque, nell’estate di quell’anno e nell’autunno confluì in Grande Lombardia, un nuovo soggetto politico lombardista aperto anche alla Lombardia storica orientale, il Triveneto. Di GL parlerò in un altro articolo.

Nonostante questa esperienza sia durata poco, e sia stata di scarso peso, costituisce comunque una tappa del mio percorso formativo ed è servita a farmi un’idea circa la militanza e l’organizzazione di un movimento politico-culturale. Altresì, a suo modo, fu un’iniziativa rivoluzionaria poiché la Lombardia ha profondamente bisogno del lombardesimo e sono convinto, nel mio piccolo, di aver plasmato e promosso un’ideologia originale, innovativa e, per l’appunto, degna di memoria.

Del Movimento Nazionalista Lombardo, confluito in Grande Lombardia, rimane vivido il ricordo romantico del lombardesimo dei primordi, con l’enfasi etnonazionalista posta sul contesto della Lombardia etnica, e di quello zelo giovanile fatto di sano particolarismo culturale che mi ha portato a gustare intensamente gli aspetti peculiari della mia Urheimat.

Una cosa che faccio a tutt’oggi, chiaramente, inserita nell’ambito grande-lombardo, ma che allora era arricchita da quel rituale völkisch tradizionale condiviso che in un certo senso mi manca, ora, non essendo in alcun soggetto metapolitico, politico o anche solo culturale. Rimango, come è noto, vicino alle posizioni di Grande Lombardia ma per il momento marcio individualmente.

Forse, il retrogusto nazisteggiante del primo movimento lombardista può averne un po’ inflazionato l’efficacia; non si può certo negare che l’MNL abbia raccolto suggestioni nazionalsocialiste. D’altro canto, l’etnonazionalismo affonda le proprie radici in quell’humus etnicistico peculiare dell’epoca a cavaliere tra ‘800 e ‘900 in ambito germanico, debitore del romanticismo Blut und Boden e delle dottrine razziste (razziste in senso originale, si capisce, razziologiche). Oggi dobbiamo, certamente, adoperarci per nuovi modi di testimoniare l’identitarismo, ma senza rinnegare quei principi perenni basati sulla triade sacrale di sangue, suolo, spirito e sull’arianesimo, inteso come recupero e riscoperta del retaggio indoeuropeo. Hitler non ha inventato nulla.

Le plumbee casacche, il saluto lombardista, la simbologia potrebbero anche evocare certi scenari novecenteschi ma in quello stentoreo Salut Lombardia! elevato ai notturni cieli insubrici dal sottoscritto e dai sodali, attorno a crepitanti falò solstiziali, vi era, e vi è, tutta la dirompente potenza del nazionalismo etnico finalizzato all’affrancamento e all’autodeterminazione della nostra vera patria. Non certo l’artificiale Italietta giacobino-massonica, o antifascista, ma la terra di Celti, Galli e Longobardi, la Lombardia.

I 50 punti programmatici del lombardesimo

Swastika camuno

Voglio proporvi il programma, in 50 punti, della visione lombardista, elaborato dal sottoscritto a partire dalla Weltanschauung di Grande Lombardia (che fu stesa da me e dal camerata Roncari diversi anni orsono). Al momento non faccio parte di alcun movimento o associazione ma rimango idealmente vicino alle posizioni dei due soggetti lombardisti storici da me fondati, GL appunto e il primigenio Movimento Nazionalista Lombardo. Queste due associazioni hanno raccolto la mia personale riflessione principiata nel lontano 2006, corroborata dal contributo scientifico del contubernale sepriese.

Ho suddiviso i 50 capisaldi in 10 aree tematiche differenti, onde evitare di elencarli banalmente in sequenza. Questo programma si ispira, principalmente, alla dottrina che sta alla base dell’ideologia lombardista, e cioè all’etnonazionalismo: l’interesse della Comunità nazionale lombarda (intesa come insieme di individui accomunati da medesima etnia, lingua, cultura, territorio e storia) deve essere l’obiettivo fondamentale e generale delle attività del settore pubblico, partendo dal presupposto che l’etnicità è l’elemento imprescindibile della Patria e, di conseguenza, di uno Stato degno di questo nome.

Tenendo conto del fatto che l’uomo è un animale sociale e che l’obiettivo di ogni essere vivente è massimizzare nel lungo periodo la trasmissione di geni il più possibile simili ai propri, l’idea lombardista (molto centrata su ragione e natura), in materia di sistema sociopolitico, è quella di un’entità – un etnostato – che sappia regolamentare la vita comunitaria su principi di cooperazione e solidarietà, in nome del senso d’appartenenza etnoculturale: senza di esso i legami comunitari verrebbero meno, lasciando il posto alla disgregazione operata da fenomeni migratori, meticciato e società multirazziale.

L’individualismo è, dunque, nemico dei destini della Nazione che solo abbracciando uno spirito comunitarista può porsi al riparo dai mortali rischi rappresentati dalla degenerazione del pensiero liberale (già di per sé un cancro) che cagiona egoismo, opportunismo e decadimento edonista su vasta scala. Il connubio nazionale e sociale è garanzia di successo per l’intera collettività lombarda, troppo spesso vittima – a livelli quasi patologici – delle seduzioni dell’arido profitto.

Veniamo ora ai 50 punti programmatici. Buona lettura.

I – Politiche etniche

1) Diffusione del concetto di Lombardia etnica, terra cisalpina racchiusa dal bacino padano e caratterizzata dalla stratificazione identitaria celto-ligure, gallo-romana, longobarda, dalla presenza degli idiomi lombardi (ovvero galloromanzi cisalpini) e dall’azione unificatrice della Lega Lombarda e del Ducato visconteo. Essa è il fulcro della Nazione ed è, per questo, meritevole di particolare tutela e di un preciso riconoscimento giuridico. Sua Capitale naturale è Milano.

2) Diffusione del concetto di Grande Lombardia (che è, sin dal Medioevo, la Lombardia lato sensu), sovrapposizione della Langobardia Maior alla Gallia Cisalpina, corroborata dalla geografia subcontinentale e dalla natura di anello di congiunzione tra Europa mediterranea e centrale. È, altresì, parte della Romània occidentale. Suoi confini irrinunciabili sono le Alpi, le acque del Mar Ligure e dell’Alto Adriatico e l’Appennino Tosco-Lombardo (limite meridionale che combacia con la barriera etnolinguistica, e nazionale, Massa-Senigallia). La Capitale è Milano.

3) Definizione e preservazione dell’etnia lombarda e grande-lombarda, mediante l’integrazione di ius sanguinis e di ius soli, affinché nazionalità e cittadinanza finalmente coincidano. Secondo i criteri lombardisti è lombardo colui che ha quattro nonni biologici, logicamente europidi, cognominati alla lombarda, e la cui famiglia risieda in Lombardia almeno dal 1900.

4) Promozione della pratica endogamica tra le popolazioni grandi-lombarde, tollerando blandi apporti di genti compatibili (le alpine, fondamentalmente). Condanna di meticciato e ibridazione extra-europide: le unioni miste vanno dissuase, anche tramite la creazione di leggi ad hoc. L’etnia (grande)lombarda va rinsanguata, bloccando eziandio l’italianizzazione che ha cagionato un genocidio “democratico” dei lombardi etnici.

5) Blocco totale dell’immigrazione e conseguente rimpatrio degli allogeni. Nel novero rientrano anche immigrati europei incompatibili, italiani etnici, israeliti, genti nomadi. Il fenomeno più drammatico rimane quello dell’italianizzazione (ossia della meridionalizzazione), che ha letteralmente travolto la Grande Lombardia occidentale riducendo a minoranza gli indigeni delle città del cosiddetto “triangolo industriale”.

II – Politiche comunitarie

6) Introduzione di “Opzioni” per le minoranze alloctone storiche presenti nella Cisalpina (occitani, arpitani, alemanni, bavari): ritorno in patria o assimilazione e fedeltà alla Grande Lombardia. Nel caso di sloveni e croati (e della sparuta minoranza istroromena) la prima opzione è preferibile, essendo popolazioni poco compatibili con quelle padano-alpine. La Lombardia appartiene ai lombardi, e su questa inconfutabile verità deve fondarsi la ragion d’essere di un futuro Stato lombardo.

7) Lombardizzazione delle aree grandi-lombarde periferiche quali Valle d’Aosta, Alpi Occidentali, Nizzardo, Liguria, Romagne, lagune, Tirolo primigenio (che è quello meridionale), Slavia friulana, bacino dell’Isonzo, Istria, Fiume con la soppressione degli statuti autonomi e il rimpatrio forzato dei soggetti eversivi. La Grande Lombardia, ossia la Cisalpina, è lo spazio “vitale” di un solo ethnos: quello lombardo.

8) Difesa della cultura, delle tradizioni, del carattere nazionale delle Lombardie, di quella “Comunità di Popolo” che costituisce il mastice di uno Stato per davvero sociale, nazionale e, dunque, comunitario. Va eliminato il pernicioso culto del fatturato caro a molti, troppi lombardi, che è la fonte di ogni masochismo antipatriottico. La ricchezza della Lombardia è il frutto plurisecolare di una mentalità del lavoro spiccatamente continentale, ma l’identità sovrasta il danaro.

9) Difesa della famiglia naturale e patriarcale fondata sul legame eterosessuale, monogamo e fecondo di uomo e donna, rafforzato da fedeltà, rispetto, solidarietà e dalla contemplazione degli innati ruoli del maschile e del femminile, garantita dalla tradizione. In mancanza di una (contenuta) prole biologica sì all’adozione di orfani europidi compatibili con la Grande Lombardia.

10) Isolazionismo nei riguardi del terzo mondo e delle aggressive economie emergenti (anche per scopi sanitari); promozione di una perentoria politica di controllo delle nascite nel sud del pianeta; lotta alla globalizzazione e cessazione di ogni ingerenza straniera (Vaticano incluso) negli affari nazionali; edificazione di un cameratismo razziale europide previa liquidazione dell’imperialismo atlanto-americano; creazione di un organismo confederale “eurusso” per la difesa degli interessi comunitari delle genti bianche autoctone.

III – Politiche culturali

11) Elezione del milanese classico volgare (emendato) – il principe degli idiomi lombardi – a lingua nazionale della Lombardia etnica e della Grande Lombardia, grazie alla natura linguistica centrale ed incontaminata del ramo insubrico. No a esperanto in tredicesimi, koinè senza storia, caos dialettale e soluzioni alla svizzera (ossia peculiari di una nazione inesistente). Il milanese è la miglior espressione linguistica del mondo galloromanzo cisalpino.

12) Promozione e tutela delle lingue locali, da impiegare in ambito cantonale accanto al lombardo (ovvero al milanese classico). I parlari transpadani occidentali e orientali, subalpini, cispadani, romagnoli (quelli tassonomicamente “gallo-italici”, ossia lombardi), così come quelli liguri, veneti, retoromanzi (friulano, ladino, romancio), meritano salvaguardia, nel rispetto dell’unità nazionale.

13) De-toscanizzazione linguistica della Grande Lombardia, attuata mediante il graduale abbandono del fiorentino letterario (l’italiano) e il recupero di ortografia, vocabolario, nomi, cognomi, toponimi originali, nel quadro di una rinnovata lombardizzazione del territorio nazionale. Scuola e università, a supporto di famiglia e Comunità, avranno il compito di educare i giovani lombardi all’amore per il milanese e le altre lingue lombarde e/o cisalpine, assieme alla riscoperta della nostra cultura e letteratura.

14) Riconoscimento del cattolicesimo apostolico di rito latino (romano e ambrosiano), ovviamente tradizionale, quale religione ufficiale della futura Repubblica Lombarda; nessun rapporto con il papa, fintanto che la Chiesa di Roma non disconoscerà il Concilio Vaticano II, pertanto l’idea di una Chiesa nazionale lombarda non va trascurata. Tolleranza per la rinascenza gentile indigena di matrice preromana e gallo-romana, o germanica. Messa al bando di tutti gli altri culti.

15) Etno-razionalismo come “mistica del sangue” della Grande Lombardia. Accanto alla difesa della tradizione cattolica e pagana, contro la piaga dell’ateismo e del laicismo di sinistra, la simbiosi tra etnicismo e razionalismo (che rievoca filosoficamente l’etnonazionalismo), volta a preservare la Comunità lombarda dalle degenerazioni della metafisica apolide.

IV – Politiche statuali

16) Indipendenza e piena sovranità della Grande Lombardia da raggiungersi con tutti i mezzi leciti, previa creazione di una “macroregione” amministrativa che associ ogni Popolo lombardo alla battaglia autoaffermativa della Lombardia etnica. Adozione delle Croci padano-alpine (Sangiorgio e Sangiovanni, bandiera nazionale), magari corredate dallo Swastika camuno (emblema del lombardesimo), e del Ducale visconteo (Biscione e Aquila imperiale, stemma nazionale).

17) Creazione di una Repubblica presidenziale (grande)lombarda fondata sui dettami dell’etnonazionalismo, del socialismo nazionale e del comunitarismo, ossia di un etnostato. No a federazioni e autonomie: lo Stato lombardo rappresenterebbe, alfine, Popoli affratellati dalle comuni origini cisalpine. Lo strumento del decentramento – in un contesto tutto sommato omogeneo e geograficamente ben definito – rischierebbe solamente di fomentare sciocchi egoismi campanilistici e micro-sciovinismi.

18) La Capitale amministrativa, economica e linguistica della Grande Lombardia è Milano, quella morale è Pavia. La suddivisione politica della Repubblica Lombarda consterebbe di 14 cantoni etno-lombardi a cui ne vanno aggiunti altri 15 del restante territorio cisalpino, raggruppati in 9 regioni create per meri fini statistici e demografici (Transpadana occidentale, Transpadana orientale, Subalpina, Cispadana, Romagna, Liguria, Veneto, Rezia cisalpina, Carnia e Istria).

19) De-italianizzazione della Grande Lombardia, conseguenza del processo indipendentista. Assieme al rimpatrio degli allogeni e degli italiani etnici, e alla liquidazione di ogni residuo tricolore, i concorsi, l’impiego pubblico e i posti-chiave vanno riservati ai soli lombardi. Gli immigrati regolarizzati in precedenza vanno incentivati affinché lascino la Lombardia, raggiungendo accordi con le loro terre d’origine (a cominciare dall’Italia) e stimolando il ricongiungimento famigliare al di fuori dei confini cisalpini. La questione della prole ibrida è tema alquanto problematico.

20) Uscita della Grande Lombardia da Unione Europea, euro, Nato, Onu, enti mondialisti e sovranazionali e dagli organi cosmopoliti nemici della sovranità popolare ed economica delle Nazioni. Come riportato al punto 10 è auspicabile la promozione di un cameratismo “imperiale” europide a partire dalle realtà dell’arco alpino. Contestualmente, va promossa una politica irredentista in quei territori grandi-lombardi oggi sotto entità straniere affinché vengano aggregati alla loro madrepatria: Moncenisio, Valle Stretta, Monginevro, Nizzardo, Briga e Tenda (RF); Montecarlo (MC); Sempione, Canton Ticino, Mesolcina, Val Bregaglia, Val Poschiavo, Val Monastero (CH); Goriziano, Litorale, Carso, parte della Carniola interna (SLO); Istria, Fiume, Quarnaro (HR); San Marino (RSM).

V – Politiche giuridiche

21) Espulsione di banche internazionali, multinazionali, lobby straniere; uscita dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e da ogni organizzazione internazionale, dunque apolide; condanna di sionismo ed internazionalismo; smantellamento delle basi atlantiste e cacciata dell’invasore americano (e del suo ascaro italico); gestione nazionale delle emergenze sanitarie (farmaci, vaccini, dispositivi di protezione individuale vanno prodotti in Patria per conto dello Stato), fermo restando che l’isolazionismo verso le terre esotiche rimane fondamentale.

22) Creazione di forze armate e di polizia composte di soli lombardi e istituzione di una Guardia Nazionale Lombarda; ritorno in patria delle forze d’occupazione italiane. Oltre che dalle minacce interne, la sicurezza della Comunità nazionale deve essere garantita anche da eventuali aggressioni esterne, istituendo la leva obbligatoria. Si deve assicurare, altresì, una salda stabilità politica, sociale ed economica ad una vera Europa delle Nazioni e sviluppare un’adeguata opera di opposizione alla globalizzazione e allo status quo mondialista.

23) Separazione dei tre poteri fondamentali tipica dello Stato di diritto: esecutivo assegnato ad un Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini con sistema maggioritario a doppio turno; legislativo spettante ad un’unica Assemblea parlamentare, “federale”, eletta direttamente dai cittadini con sistema proporzionale (unicameralismo); giudiziario attribuito ad una Corte Suprema eletta anch’essa direttamente dai cittadini con sistema sempre proporzionale.

24) Lotta senza quartiere a mafie e criminalità organizzata, terrorismo, eversione, massoneria, sette segrete, usura con particolare pervicacia nei riguardi di ogni delitto mirato ad angariare, danneggiare e tradire la Comunità nazionale. Liquidazione del precipuo serbatoio del crimine: l’immigrazione. Non va, tuttavia, punita severamente soltanto la bassa manovalanza ma anche, e soprattutto, i suoi mandanti in giacca e cravatta.

25) Pena capitale per i reati più gravi e odiosi quali mafia, terrorismo, stragismo, alto tradimento, disastro, epidemia, pedofilia, bancarotta fraudolenta; castrazione chimica per gli stupratori; lavori forzati per i detenuti comuni; costruzione di nuove carceri e rimpatrio dei delinquenti alieni minori. Lo Stato deve garantire, oltre alla sicurezza e al benessere dei cittadini, il disincentivo alla violazione delle regole, la certezza e l’adeguatezza della pena, il risarcimento dei danni e l’efficace rieducazione di chi ha sbagliato, laddove utile e possibile.

VI – Politiche socioeconomiche 

26) Socialismo nazionale e comunitarismo: riforma del mercato e lotta alla ricchezza parassitaria favorita dal capitalismo; fine della speculazione internazionale e abolizione di certi strumenti finanziari (come i derivati); equiparazione della tassazione sulle rendite finanziarie a quella sul reddito da lavoro; inserimento di strumenti redistributivi che consentano a tutti di esprimere le proprie capacità.

27) Inserimento di equità e giustizia nel sistema tributario con l’adozione di una tassazione basata sull’effettiva capacità contributiva e sul criterio fondamentale del “chi inquina paga”. Solo il comunitarismo è etico e sostenibile nel lungo periodo, contro la crescita illimitata e l’inevitabile degenerazione edonistica e consumistica del capitalismo; la mentalità individualista occidentale è iniqua, corrotta, devastatrice e cagione di gravissimi problemi di stabilità sociale, politica, economica e ambientale.

28) Riforma perentoria del sistema monetario che assicuri la sovranità monetaria ed economica alla Nazione, strappandola dalle mani dei banchieri internazionali (e apolidi). Liquidazione di euro e lira italiana in favore dell’introduzione della valuta grande-lombarda: danee e ghell.

29) No ad assistenzialismo, elevati sussidi di disoccupazione, alti livelli di sindacalizzazione ed eccessivi ostacoli alla circolazione dei lavoratori che riducono l’efficienza del mercato del lavoro premiando solamente i fannulloni; occorrono, piuttosto, corporativismo e nazionalizzazione delle grandi industrie di interesse cruciale per il Paese. Sì a politiche protezioniste e dirigiste, nella consapevolezza che è la Nazione a legittimare lo Stato, non viceversa.

30) Riorganizzazione della previdenza sociale (stante il continuo aumento della speranza di vita): riforma del sistema pensionistico su reali criteri di necessità e di merito, favorendo il passaggio graduale alla pensione tramite la possibilità di convertire contratti di lavoro a tempo pieno in contratti di lavoro a tempo parziale, in parte defiscalizzati una volta raggiunta una certa età.

VII – Politiche educative

31) Gestione della res publica affidata alle mani di un’aristocrazia (nel senso etimologico del termine) lombarda, a impronta maschile, debitamente formata in accademie specifiche, sulla base di stringenti criteri di merito, qualifiche, conoscenze ed etica consolidata. Alla luce di ciò si esprimono dubbi riguardo l’universalità dell’elettorato attivo e, soprattutto, passivo. La democrazia occidentale è a forte rischio fallimentare per via della manipolazione delle menti più fragili da parte di alcune cricche opportuniste.

32) Riforma totale del sistema educativo a partire dal suo organo basilare, la famiglia naturale, fino a quelli più complessi, come le università e le accademie. Urge una studiata e corretta educazione psichica, fisica e culturale dell’individuo, affinché la scuola sia palestra di orgoglio patrio. L’istruzione è cruciale per un pieno sviluppo della persona e, in particolare, per l’acquisizione consapevole di uno stile di vita sano ed equilibrato.

33) Creazione di istituzioni sociali di Stato per la (ri)educazione della gioventù, che sottraggano alla Chiesa postconciliare, e agli oratori, la formazione civile delle nuove generazioni; in questo senso esiste una questione spinosa da risolvere con una necessaria opera di bonifica: il legame tra omosessualità e pedofilia/pederastia di seminari e ambienti ecclesiastici. Scioglimento di scout, associazionismo cattolico modernista e, soprattutto, di quello antifascista: gli insegnamenti impartiti da istituzioni antinazionali risultano malsani e innaturali, essendo slegati dal culto della vera identità e della vera tradizione.

34) Creazione di un servizio di coscrizione obbligatoria, alternativo a quello civile, che funga anche da istituzione sociale di supporto allo sviluppo morale del giovane uomo. Per le ragazze servizio civile obbligatorio o possibilità di svolgere attività di leva in qualità di ausiliarie; le forze armate e di polizia devono assumere carattere squisitamente virile, ma ci può essere spazio per un ausiliariato militare femminile.

35) Salvaguardia della salubrità del proprio ambiente, dell’alimentazione e dello stile di vita, presupposto alla base della salute di ogni persona, controllabile dall’individuo stesso: cruciale importanza va data all’opera di educazione e sensibilizzazione di tutta la popolazione, col fine di far comprendere ai membri della Comunità nazionale che sono i principali responsabili del proprio stato di salute (a tutto vantaggio, così, anche della sanità pubblica).

VIII – Politiche agricole e ambientali

36) Lotta alla sovrappopolazione, una delle peggiori piaghe della Grande Lombardia. La densità demografica della Nazione lombarda è di circa 220 ab./km², un altissimo sovrappopolamento, con esiziali ricadute su Comunità e ambiente; situazione ancor più drammatica se consideriamo la Lombardia etnica, basti pensare alla spaventosa densità dell’attuale Regione Lombardia, 418,85 ab./km²! I milioni di allogeni dilagati nel territorio cisalpino hanno drasticamente peggiorato un quadro già di per sé (in talune aree) problematico. L’immigrazione comporta, inevitabilmente, distruzione.

37) Econazionalismo, ruralismo, comunitarismo. Difesa dell’ambiente dall’insostenibile furto di suolo, da cementificazione ed industrializzazione selvaggia (nuove residenze per immigrati, capannoni, centri commerciali, discariche), agricoltura convenzionale e allevamento industriale, inquinamento e traffico da terzo mondo, bomba demografica allogena. Il contatto con l’ambiente rurale permette di ritrovare la dimensione naturale dell’uomo promuovendo la riscoperta di valori e virtù oggi dimenticati per far spazio al feticcio del progresso.

38) Eco- ed etno-sostenibilità, per combattere l’alienazione delle masse urbane, il cui sviluppo ipertrofico è nemico del suolo lombardo incontaminato. In molte regioni d’Europa i terreni agricoli non sono più sufficienti ad alimentarne gli abitanti, e le sostanze di sintesi impiegate dall’agricoltura convenzionale stanno distruggendo la fertilità naturale dei campi, compromettendo così la sicurezza alimentare delle future generazioni. L’uomo ha plasmato la cultura e la civiltà, ma non è un essere estraneo alla natura e alle sue leggi.

39) Misure di tutela dell’agricoltura tramite il blocco del consumo di suolo, il ritorno ad un’agricoltura naturale – sostenibile nel tempo – e il raggiungimento di un’autarchia alimentare almeno dell’80%. Va garantito cibo sano e sicuro per noi e i nostri figli, senza compromessi. Anche la zootecnia deve sbarazzarsi dei metodi industriali ed intensivi dell’allevamento canonico, ne va della nostra salute.

40) Salvataggio e tutela della biodiversità tramite il controllo e l’eradicazione delle specie aliene dannose e l’aumento delle aree destinate alla natura selvaggia. Il sistema capitalista e la società dei consumi hanno portato alla distruzione di importanti ecosistemi e di significativi elementi di biodiversità. Il bioma temperato della Grande Lombardia va preservato dall’imbastardimento esotico di flora, fauna e popolazione indigena.

IX – Politiche energetiche 

41) Combinazione di sviluppo delle fonti di energia rinnovabili e sostenibili (non semplicemente alternative, come gli scisti bituminosi) e riduzione degli sprechi e delle inefficienze del consumo. No al nucleare e al ritorno al carbone: soluzioni effimere (vedi penuria di uranio) e dall’impatto ambientale devastante (vedi problema, tuttora irrisolto, della gestione delle scorie radioattive). Il superamento del picco di estrazione del petrolio, seguito dal picco di estrazione del gas naturale, saranno un problema concreto, negli anni a venire.

42) Sviluppo di moderni ed efficienti sistemi di trasporto pubblico basati sulla rete ferroviaria e ripristino della tipica rete lombarda di canali navigabili, per il rilancio del trasporto fluviale (anche dello stesso Po). Argine al traffico su gomma e alla costruzione di dannose autostrade. Il settore aeronautico, come quello automobilistico, ha una resa energetica problematica, per via dei grandi costi.

43) Raggiungimento di soddisfacente efficacia ed efficienza dei servizi erogati dallo Stato, archiviando la fallimentare esperienza della Repubblica Italiana; per usare una battuta, Roma impone tasse “svedesi” in cambio di servizi “albanesi”, martoriando le finanze dei lombardi per poi beffarli con un terziario modellato sulle disfunzioni dell’Italia etnica.

44) Aiuti mirati e ben congegnati destinati al settore secondario e terziario affinché siano assistite quelle aziende che decidono di abbandonare la prospettiva del mero profitto e del “basta tirare avanti” per agire in maniera eticamente responsabile, seguendo un percorso di continua innovazione nel segno della sostenibilità. Non è desiderabile, inoltre, lasciare carta bianca agli agenti economici; piuttosto, occorre sviluppare una salda rete di alleanze europee che puntino al raggiungimento di una buona autarchia economica a livello continentale (senza rinunciare alla propria sovranità nazionale, ovviamente).

45) La ricerca scientifica di base è un elemento imprescindibile per sostenere il miglioramento della conoscenza e della qualità della vita nel tempo. La ricerca deve essere adeguatamente finanziata e sostenuta, anche con incentivi che inducano i giovani a scegliere percorsi di studio scientifici. Tutto questo sarà però effimero finché la scienza non potrà finalmente esprimersi liberamente, essendo oggi costretta a seguire i diktat delle lobby di influenza mondialista, che non si fanno scrupoli nel ricattare gli scienziati per garantire la loro posizione di rendita.

X – Politiche demo-sanitarie 

46) Lotta ad individualismo, femminismo, omosessualismo e a ciò che mina le fondamenta della famiglia naturale, a guida patriarcale, e della solidarietà comunitaria, compromettendone il funzionamento e, dunque, l’equilibrio e il benessere. Va difesa senza compromessi, in particolar modo, l’innocenza dell’infanzia. No ad unioni e diritti “civili”, adozioni omosessuali, propaganda omofila, teorie del “genere” e ad una bioetica asservita al mercato e al capitalismo, alla vita (surrogata e manipolata in laboratorio) come oggetto di consumo e capriccio borghese.

47) Incentivi per la crescita demografica indigena (in linea con i criteri di ecosostenibilità e di contenimento della secolare sovrappopolazione padana): sostegni alle famiglie, contrasto alla disoccupazione giovanile, garanzie e migliorie per il benessere e la sicurezza dei lavoratori. Molto dipende, tuttavia, da educazione e valori: lo Stato deve supportare economicamente e socialmente le giovani coppie ma deve anche promuovere responsabilizzazione mediante famiglie e Comunità, stimolando nei ragazzi e nelle ragazze una salutare presa di coscienza patriottica.

48) Aborto consentito in casi di stupro (allogeno, in particolare), pericolo di vita della madre, anomalie gravi del feto; eutanasia consentita nei casi irreversibili, laddove una vita normale sia compromessa e il malato sia terminale o in stato vegetativo. Serve una forma di razionalismo bioetico, rispettoso della sensibilità religiosa ed individuale ma dotato di robusto buonsenso giustificato dalla lucidità scientifica.

49) Adozione spontanea di alcune piccole misure eugenetiche a fini preventivi (si sottolinei, preventivi) e terapeutici. Non esistono vite degne ed indegne di essere vissute, biologicamente, ma i comportamenti responsabili volti al benessere presente e futuro della Comunità sono servigio di carattere sociale e patriottico. Occorre rivalutare la riapertura dei manicomi o di altri istituti specifici per gestire soggetti problematici, asociali, inabili, onde evitare ricadute che impattino sull’armonia della collettività nazionale.

50) Lotta spietata al commercio, allo spaccio e al consumo di qualsiasi tipo di droga, sia per eradicare questa piaga criminale che per educare i giovani, soprattutto, indirizzandoli sulla retta via. Al contempo, predisposizione di forti disincentivi finalizzati al contrasto del fumo e del tabagismo, così come all’abuso di alcol e all’alimentazione a base di cibo spazzatura. Infine, condanna di prostituzione e pornografia, in particolare – si capisce – qualora tali fenomeni, già di per sé deplorevoli, si intreccino alla delinquenza.

Da un punto di vista meramente biologico, le analisi genetiche fanno ritenere che la giusta scala di aggregazione sociale, nel caso dell’uomo, sia quella della sottospecie, e cioè della razza; nella realtà entrano, tuttavia, in gioco altre variabili da prendere in considerazione, perché noi non siamo solo le informazioni genetiche (e fenotipiche) che portiamo ma anche l’ambiente in cui viviamo e le informazioni non biologiche (lingua, storia, cultura, ecc.) che abbiamo collettivamente ereditato dalla nostra società. Fermo restando che, sia geneticamente che fisicamente, vi sono ben note differenze anche a livello di sub-subspecies.

La nostra identità è, dunque, l’unione di etnia, territorio e cultura, indipendentemente dalle entità amministrative che attualmente ci riguardano e che auspichiamo di lasciarci alle spalle quanto prima in maniera attiva. Autoaffermazione, affrancamento del sentimento nazionale, preservazione dell’etnia (che si fonda su sangue e spirito), difesa del suolo patrio e battaglia per la libertà: questo ciò che il lombardesimo vuole per la Grande Lombardia.

Manifesto lombardista

Swastika camuno destrogiro

Non abbiamo particolari autori di riferimento o citazioni preferite, poiché riteniamo che la propria filosofia di vita genuina nasca semplicemente dalla natura e da ciò che da essa trae sussistenza: il sangue, il suolo, lo spirito. Una menzione d’obbligo va, tuttavia, ad alcuni importanti autori etnonazionalisti come Federico Prati, Silvano Lorenzoni, Harm Wulf, Flavio Grisolia, Gilberto Oneto e Gualtiero Ciola, che Paolo Sizzi scoprì nel 2006, assieme agli studiosi classici dell’area identitaria e antropologico-identitaria cisalpina ed europea. Parliamo, fondamentalmente, di ambienti nostrani vicini al GRECE d’oltralpe e alle “nuove destre” völkisch.

Paolo Sizzi è un identitario lombardista, un indipendentista dalla coscienza razzialista e un nazionalista etnico sangue e suolo, ovviamente europeo e dunque europide (che se vogliamo si può rendere con caucasoide bianco), ex segretario della disciolta associazione metapolitica Movimento Nazionalista Lombardo ed ex presidente di quella denominata Grande Lombardia, tuttora esistente. Si ritiene, nel suo piccolo, teorico del lombardesimo e padre fondatore dell’etnonazionalismo lombardo militante.

Pertanto la nostra Weltanschauung völkisch, nei vari ambiti dell’esperienza umana lombarda ed europea, non può che concretizzarsi secondo i seguenti dettami:

Stirpe: l’etnia lombarda, la patria grande-lombarda e la schiatta europea (sub-subspecie europide) vanno preservate materialmente e spiritualmente. La loro riproduzione va incentivata mediante politiche sociali adeguate, volte non al razzismo ma alla salvaguardia di comunità sempre più a rischio di estinzione. L’immigrazione va bloccata e deve lasciare il posto ad un naturale rimpatrio, se non vogliamo che l’Europa esploda.

Territorio: il suolo va salvaguardato dall’inquinamento, dalla cementificazione e dalla sovrappopolazione cagionati dall’immigrazione – e dalla sua speculazione – e dalla globalizzazione. Difendiamo la nostra terra poiché non v’è sangue senza suolo e, a maggior ragione, non v’è suolo senza sangue. Riscopriamo il contadinato e la montagna per prenderne coscienza, per conoscere realmente noi stessi e le nostre cisalpine genti, e le specie autoctone, animali e vegetali, che caratterizzano il nostro habitat; purtroppo, quanto gli autoctoni umani, esse subiscono il mortale parassitismo del sistema mondialista.

Cultura: la cultura è prodotto dello spirito inteso come indole ed intelletto, ragione; americanizzandosi, diviene corruzione, spazzatura, carcassa dilacerata da avvoltoi ideologici cosmopoliti. Essa va protetta e promossa in tutte le sue forme linguistiche, artistiche, letterarie, folcloriche, culinarie, sportive, scongiurando così la fossa comune rappresentata dallo stato-apparato giacobino e massonico e dalla società livellata e multirazziale. Un importante ruolo culturale e identitario, ma anche economico, deve altresì essere ricoperto dai viaggi formativi, che portino alla ri-scoperta da parte dei lombardi medesimi e degli europei, della realtà paesaggistica, storica, artistica, architettonica della nostra nazione, che non è seconda a nessuno.

Tradizione: la nostra identità etnica e territoriale passa per la tradizione indigena genuina, che nasce nella notte dei tempi e giunge sino a noi. Solo una società identitaria e patriottica può conservarla integra e tramandarla sana e salva ai posteri, affinché non rinneghino mai col cosmopolitismo apolide le proprie vere radici (che non sono certo “giudeo-cristiane” o illuministe ma europee, indoeuropee, gentili e romano-cristiane).

Famiglia: il nucleo base della società è la famiglia, quella vera, secondo natura, costituita da padre, madre e prole endogamica, rispettosa dei propri anziani, ossia la sua coscienza. È bene che il matrimonio sussista e che il divorzio sia via via sconfitto. I figli hanno diritto a crescere in una famiglia unita e solida, non disintegrata dal vizio, e sappiamo bene quanto abbiamo bisogno di figliolanza autoctona per sgominare la denatalità nostrana. Chi decide di sposarsi deve farlo nel rispetto della propria comunità: libertà è fare il bene del popolo, non soddisfare egoisticamente i propri bassi appetiti. Tutto il resto non è famiglia ma surrogato, blasfema parodia del sacro caposaldo comunitario, preso sempre più di mira dalla sovversione consumistica e relativista.

Società: la società di una nazione, per essere sana e ordinata, dev’essere gerarchizzata aristocraticamente (nel senso etimologico, un governo dei migliori) e basata sulla meritocrazia völkisch. Le ideologie perverse vanno sconfitte affinché non corrompano le istituzioni facendole precipitare negli inferi dell’anarchia o anche solo della “democrazia” in chiave plutocratica od oclocratica, dunque democrazia all’antifascista. La società, la comunità, non è una mera invenzione umana, ma il frutto dell’armonica fusione tra uomo e natura, e dei legami che da essa nascono.

Governo: auspichiamo una Lombardia presidenziale e nazional-sociale indipendente dall’Italia, dalla Ue e dalla Nato, e da ogni organismo sovranazionale, e un impero eurusso confederale, in cui le vere nazioni europee siano finalmente padrone di se stesse, sganciate dal carrozzone funebre americano. Accettiamo di buon grado quelle forme democratiche di autodeterminazione in cui il popolo sia davvero degno di partecipare alla vita politica della patria: la democrazia gettata in pasto a cani e porci non serve a nulla; i diritti bisogna guadagnarseli e la precedenza spetta agli autoctoni (gli altri vanno rimpatriati). Urgono governi identitari e aristocratici (ossia affidati ai migliori, non ai blasonati parassiti), autorevoli e ferrei, nemici della putrefazione globalista, che agiscano in maniera determinata non per fini personali ed egemonici ma per il benessere dei popoli lombardi ed europei; questi, allo stato attuale delle cose, sono sempre più minacciati dall’estinzione, dall’auto-genocidio fomentato dalle democrazie borghesi al guinzaglio dell’occidentalismo americano, e dalla conseguente impotenza.

Etica: sbarazziamoci della ipocrita morale borghese, progressista, liberale, ed universalista (ossia finta), che ha ammorbato la nostra etica ariana e romano-cristiana preconciliare al punto da castrarci ed annichilirci con le favole antifasciste tanto amate dal mercato e dalle banche. L’etica lombardista (ossia etnonazionalista) ed europeista völkisch, liberata da tale zavorra, deve promuovere una società forte, battagliera, identitaria, fedele ai comandamenti ispirati dal solare spirito indoeuropeo: sangue e suolo, ossia patria e natura. La nazione secondo la verità della tradizione, per il bene stesso di chi la compone.

Sessualità: difendiamo l’eterosessualità – dunque la salutare normalità – e una ferma morale sessuale ispirata a sobrietà e morigeratezza, no alla propaganda omofila e all’esaltazione degli atteggiamenti anti-tradizionali (che spesso sfociano nella perversione e nella promiscuità), come la spazzatura pornografica e le unioni esogamiche. Il sesso torni ad essere inquadrato anche come riproduzione, altrimenti siamo destinati alla tomba. Non è nostra intenzione criminalizzare l’omosessualità, ma vogliamo stroncare la sua squallida esibizione e la sua equiparazione all’eterosessualità, soprattutto quando si tratta di nozze, figli e valori identitari. Un conto è l’omosessuale, un altro l’omosessualismo.

Donna: le femmine d’ogni età e censo siano rispettose della tradizione indoeuropea e cattolica che le vuole fedeli all’uomo (non diciamo sottomesse in senso semitico), alla famiglia, alla nazione. Rigettino il femminismo e ritornino ad essere devote mogli, feconde madri e virtuose e patriottiche figlie, perché è la natura stessa che lo vuole. E gli uomini si battano a spada tratta per la protezione delle proprie donne, facili prede sia ideologicamente che materialmente dell’edonismo. Ognuno rispetti il suo innato ruolo sociale, altrimenti è la fine. Badate che è complementarità, non maschilismo. La parità, chiaramente, è ciarpame ideologico progressista.

Gioventù: le giovani generazioni imparino a sentirsi parte integrante della nazione, perché futuro di essa. La corruzione giovanile è la morte precoce delle speranze di una società rigenerata e finalmente libera da ogni veleno ideologico e non solo (fumo, alcol, droga), sparso dai cattivi maestri. I giovani ritornino all’ordine salutare come savi figli, disciplinati atleti e combattenti, esemplari studenti e lavoratori, indefessi etnonazionalisti araldi del radioso domani, il cui credo vada ad una patria benedetta dai principi gentili e cattolici.

Anzianità: i nostri vecchi non vanno abbandonati o dirottati verso badanti straniere e ospizi, ma difesi e valorizzati. Grazie a loro noi siamo qui, oggi, lombardi ed europidi, essi custodiscono le nostre radici e la nostra memoria, e dimenticarli è dunque tradimento e crimine. Siano essi coscienza popolare e guida spirituale per tutti noi e siamo noi sostegno della loro vecchiaia, contro ogni sopruso terzomondista che li vuole relegare in fondo alle preoccupazioni delle politiche socialdemocratiche, più che sociali.

Infanzia: diamo alle donne e alle famiglie la possibilità di decidere di abortire, qualora si profili una grave situazione di disabilità, il frutto di uno stupro o un serio pericolo alla salute della madre, ma non sdoganiamo l’aborto incondizionato, rischiando di farlo divenire un capriccio più che una necessità estrema. Difendiamo i nostri figli da ogni forma di barbarie, sia essa abortismo, macelleria genetica, violenza, pedofilia, pedo-pornografia, sfruttamento, e castighiamo in modo esemplare coloro che osino violare l’infanzia.

Sanità: massimo impegno per una sanità moderna, progredita ed efficiente, ma soprattutto messa al servizio del popolo e non degli interessi delle logge e delle case farmaceutiche. Isolazionismo nei confronti del terzo/quarto mondo e delle aggressive economie emergenti anche per scopi sanitari. Ripensamento di aborto ed eutanasia, e di altre misure sanitarie atte ad aiutare la popolazione, ma condanna della bioetica asservita all’individualismo e al consumismo: l’essere umano non è una merce. Spietata lotta al fumo, all’alcolismo, alle droghe, al cibo-spazzatura (“casualmente” americano), al gioco d’azzardo e ad ogni vizio, sempre indotto dal sistema, peraltro, per fare mercato.

Scienza: la ricerca scientifica deve essere volta al miglioramento dell’uomo e della terra, e ad eliminare il marcio cancerogeno, evitando i deliri dello scientismo. Perciò deve essere sempre aiutata e sovvenzionata. Tutti i campi dello scibile umano interrompano ogni sudditanza ideologica in favore dei poteri mondialisti e del loro terrorismo conformistico. La scienza non dev’essere manipolazione al servizio dei corrotti potentati, ma libero e laico strumento a disposizione dell’uomo, che l’ha plasmata per sé e per il dominio razionale del globo.

Religione: il cristianesimo cattolico preconciliare, segnatamente ambrosiano, va salvaguardato in quanto patrimonio storico, culturale, spirituale di Grande Lombardia ed Europa; non così per giudaismo e islam, corpi estranei semitici ben poco compatibili con lo spirito europeo, e per le varie eresie e sette cristiane. L’ortodossia può essere stimata per il piglio battagliero, ma resta scismatica. Il cattolicesimo romano, oltretutto, è debitore della gentilità romana, e dobbiamo tenerne conto. Tempo di controbattere culturalmente a chiese mondialiste (Vaticano incluso), sette, eresie, sinagoghe, moschee, templi di culti esotici, riti new age e tossiche baggianate wiccasuperstizioni varie, oroscopi, maghi e ciarlatani, tutta roba che non fa altro, inoltre, che fomentare il popolo all’auto-genocidio multirazziale. Discorso diverso per il paganesimo autoctono rinascente, soprattutto se portato avanti su binari culturali e senza pretese teocratiche. Meglio ancora una salutare mistica del sangue ispirata alla visione del mondo indoeuropea. La tradizione cristiana e la gentilità sono compatibili con l’Europa (e la ragione), altri credi no. Diffidate sempre, altresì, di chi vi parla di “radici giudeo-cristiane”.

Scuola: l’istruzione d’ogni ordine e grado, dagli asili alle università, dovrebbe ispirarsi all’identitarismo (non oscurantista, beninteso), affinché la gioventù sia ampiamente acculturata in nome della natura, e preservata così dal plagio e dalla corruzione dell’educazione politicizzata voluta dalle logge atlantiste o dai finti comunisti salottieri. La scuola, come tutte le istituzioni e i servizi, è innanzitutto rivolta agli autoctoni e così dovrebbe essere per il personale. Sbarazziamoci della statolatria italiana fondata sul monopolio ausonico dell’impiego pubblico; l’indipendentismo deve regolare, una volta per tutte, i conti con Roma affinché la pubblica amministrazione grande-lombarda sia appannaggio dei nativi. L’erudizione non va affossata, deve mirare all’eccellenza, perché rivolta a chi, un domani, diverrà la classe dirigente del Paese. Senza più tricolore e giogo italo-romano le Lombardie potranno finalmente risorgere.

Media: basta con l’informazione schiava di partiti, cialtroni, ideologie globaliste, gruppi di pressione e del politicamente corretto, che si dimostra discriminatoria nei confronti dell’identità, soprattutto lombarda; i mezzi di comunicazione devono essere liberi, ma non libertari, e quindi devono dare spazio adeguato anche al razionale culto del sangue e del suolo, sempre al servizio del popolo e della nazione e mai delle cricche, perché solo così l’informazione si emancipa dal giogo ideologico e plutocratico dei parassiti per farsi araldo di natura e verità.

Giustizia: troppo importante è la sicurezza di lombardi ed europei per lasciarsi andare all’ipocrita pietismo pezzente. Un individuo, nel momento in cui delinque, deliberatamente ripudia i suoi doveri e quindi rinuncia anche ai suoi diritti. Nelle nostre terre dovrebbero rimanere, ovviamente imprigionati, i delinquenti autoctoni. La maggioranza dei criminali che imperversano e affollano le nostre carceri, ormai, è immigrata, e andrebbe rispedita al mittente addebitandogli le spese, se si tratta di delinquenti comuni. Saremmo favorevoli all’introduzione della pena di morte per i reati più gravi e ripugnanti, nonché contro la nazione lombarda e le sue genti, ai lavori forzati per tutti i detenuti e alla castrazione/sterilizzazione per gli stupratori. La durata della carcerazione non basta, ci deve essere certezza della pena materiale, e le spaventose condizioni delle carceri italiane si risolvono con altre carceri, con pene più severe e col rimpatrio dei criminali stranieri (naturalmente, prima di questo, va fermata l’immigrazione). La giustizia, per essere tale, va rifondata da capo a piedi e resa dura, davvero esemplare e rieducativa. Le forze dell’ordine devono essere del posto e avere più mezzi a disposizione e stipendi più alti, per contrastare ed annientare a dovere il crimine in ogni sua forma, per il bene della comunità. Snelliamo le patrie galere, normalizziamole, e apriamo magari manicomi (anche interni al carcere) in cui sistemare gli psicopatici.

Difesa: la Grande Lombardia deve dotarsi di forze armate proprie, autoctone ed indipendenti, come le forze di polizia e una papabile guardia nazionale, e re-introdurre l’obbligo di leva; l’Europa deve fare altrettanto per conservare autonomamente la propria sovranità (non parlo dunque di Ue), espellendo le basi americane e costituendo un consorzio “imperiale” dalla Galizia agli Urali. L’Europa deve divenire “Grande Europa” tramite la fraterna alleanza con la Russia e tornare ad essere l’inespugnabile fortezza armata dei secoli addietro. Sì alla virtuosa mentalità militare, no all’atlantismo e al pacifismo, per evitare una società agonizzante in balia della degenerazione americanizzante.

Lavoro: lavoro europeo agli europei, lavoro lombardo ai lombardi, basta immigrazione calamitata da affaristi senza scrupoli, che svendono il territorio o delocalizzano la produzione nel secondo/terzo mondo per lucrare sulla manodopera. E basta mafie che rubino l’occupazione agli autoctoni riservandola ai migranti. Il fenomeno mafioso, fra l’altro, può essere eradicato facendo rientrare gli italiani e troncando i legami tra squali nostrani (?) e cosche ausoniche. Serve un unico sindacato nazionale, su basi sociali e nazionali (e magari corporativistiche), che tuteli tutti i lavoratori, gli artigiani, e le piccole e medie imprese con politiche dirigiste nazionalistiche. Il lavoro rende liberi, ma solo se esso è etno-sostenibile ed eco-sostenibile, quanto lo sviluppo industriale, e contrario ad ogni accumulazione di ricchezza parassitaria.

Industria: autarchia all’europide, dirigismo, protezionismo e nazionalizzazione delle grandi industrie di rilevanza strategica nazionale. Ricetta vincente per proteggere il lavoro, l’industria e l’economia del continente dalla slealtà straniera e delle economie emergenti, ma anche da quella delle squallide multinazionali “europee”. Non si dimentichi mai che lo sviluppo economico ed industriale del Paese, cioè della Lombardia, deve andare di pari passo con la salvaguardia del popolo e della natura, con il benessere di tutta la collettività indigena. In questo senso vanno ripensate le politiche demografiche e lo stesso radicamento di stabilimenti, capannoni ed onnipervasivi centri commerciali; la sovrappopolazione e la cementificazione, assieme all’inquinamento dell’aria, sono vere piaghe in ambito padano-alpino.

Economia: no al bolscevismo, no al liberismo, no al capitalismo. Sì al dirigismo da parte degli Stati fondati su vere nazioni, come la Lombardia, alla nazionalizzazione dei servizi principali e delle grandi industrie, come ricordato sopra, e ad un’economia su basi sociali e nazionali, che metta le proprie risorse finanziarie a servizio della causa patria. No all’Europa oligarchica e plutocratica dei servi dei pescecani, e quindi no all’Unione Europea; sì invece all’Europa delle nazioni comunitarista, nazional-sociale e confederata in entità statuali dal tessuto etnico omogeneo, per promuovere fratellanza e solidarietà anche a livello internazionale (cioè europeo), senza più bisogno di farsi mettere sotto da gendarmi e banchieri del globo, ma anche senza rinunciare alla propria sovranità monetaria nazionale.

Infrastrutture: si deve ri-costruire l’ovvio dinamismo di una nazione ricca e progredita, perché industriosa, come la Lombardia con il consenso e il benessere del popolo e della natura. Pertanto, alleggeriamo i trasporti e il traffico eliminando ogni grave fonte di inquinamento, spesso dovuta all’eccessivo numero di antidiluviani mezzi di individui (anche forestieri) incapaci di guidare, drogati e ubriachi, cagione di stragi automobilistiche; fermiamo la cementificazione selvaggia e il disboscamento (o l’esproprio di terreni e campi per costruire strade e ipermercati) e affidiamoci di più a trasporti pubblici, aerei, ferroviari, fluviali (sfruttando adeguatamente il Po ad esempio, e le altre vie idriche padane), utilizzando mezzi ecologici nei centri storici delle città, liberandoci da tutto quel tipico degrado mediterraneo fatto di traffico “indiano”, catorci, ritardi, ingorghi, smog, incidenti, fallimenti societari dei mezzi pubblici, strade da terzo mondo e sporcizia. Vogliamo emulare Roma, Napoli e Palermo? Inoltre, come suaccennato, è chiaro che contenendo gli immigrati e il traffico pesante su gomma, il traffico stesso, disastri ed inquinamento si riducano drasticamente e le infrastrutture divengano più vivibili e a misura d’uomo, comunitarie, sicure, senza più mine vaganti rappresentate anche dal gravissimo fenomeno della pirateria stradale, frutto di alcol e droghe, ma come detto anche dell’immigrazione selvaggia, unita ad una rete viaria obsoleta. La gestione statale romana delle terre granlombarde è disastrosa.

Energia: investiamo sulle energie rinnovabili e pulite, sul sole, sull’acqua, sul vento, sul biocombustibile, sul metano, sull’idrogeno; rigettiamo il nucleare e tutte le bombe ecologiche, e non solo. Sdoganiamo l’agricoltura naturale, ed impariamo finalmente a rispettare l’ambiente, il nostro habitat, che ci ha plasmato rendendoci grandi, rendendo l’Europa il continente più sviluppato ed equilibrato del globo, anche da un punto di vista demografico. A questo proposito ribadiamo il no a immigrazione, che cagiona distruzione etno-culturale (per tutti, poiché il meticciato è un disvalore che fa comodo solo a chi ci guadagna economicamente), criminalità e sovrappopolazione, ed invito al controllo delle nascite, perché smodate, del terzo/quarto mondo. Più contraccezione e meno slogan pietistici, laggiù: se non si hanno i mezzi, non si può figliare come conigli. Lo dico anche per l’elevata mortalità. Urge una ragionevole decrescita.

Immigrazione: argomento scottante, perché profondamente intrecciato a meticciamento, multirazzialismo e criminalità, oltre che allo sconvolgimento del tessuto etnico originale di un territorio. No all’immigrazione, clandestina e non; rimpatrio di ogni allogeno; punizione esemplare per chi gestisce le “tratte”, lucrandoci a scapito degli europei. Non esiste nessuna integrazione, ma solo la disintegrazione dei nostri valori, della nostra identità, di noi stessi e della nostra comunità. La società multirazziale è la tomba degli europei, ma anche degli altri popoli della terra. Possono essere tollerati, inizialmente, tetti per i migranti europei, anche se la cosa migliore è aiutare nelle proprie terre, in nome della solidarietà europea, le nazioni che restano indietro e soprattutto il meridione dell’Italia etnica, ma in questo caso l’aiuto va unito al necessario piglio italico per sanare una volta per tutte quel disgraziato territorio dalle svariate piaghe che lo affliggono. Il centrosud della Repubblica Italiana ha subito la sciagurata unità ottocentesca, pertanto va aiutato, a patto, però, che accetti l’indipendenza delle Lombardie e il ricollocamento degli ausonici emigrati quassù.

Europa: la Lombardia deve sempre contribuire al benessere e all’unità geopolitica e strategica di tutta l’Europa (Europa =/= Ue), segnatamente dell’area centromeridionale, alpina per così dire, e l’Europa tutta, con la sua vicinanza e il suo aiuto, non deve mai abbandonare la Lombardia, soprattutto nelle sue battaglie identitarie e indipendentiste (in cui si spera di contare sulla collaborazione degli Stati europei che hanno accorpato territori storici lombardi, come Nizzardo, “Svizzera” lombarda, Venezia Giulia storica). Urgono politiche europeiste völkisch per farla finita con Ue, Nato, Onu e globalizzazione unipolare americana, e per dare così vita alla vittoriosa e salvifica “Grande Europa”, all’Eurussia imperiale. Sì all’Europa confederale delle nazioni nel nome della comune eredità indoeuropea, no all’Unione d’Eurolandia fatta di banche e “massoneria” internazionalista mondiale.

Estero: via da Nato e Onu, buoni rapporti con le realtà indoeuropee eurasiatiche, cameratismo planetario tra europidi. No alle ammucchiate sovranazionali, e ben vengano invece relazioni strategiche geopolitiche mirate alla difesa dell’Europa, dei suoi popoli, dei suoi valori, per la sconfitta totale di schemi ormai superati, o inutili e dannosi, quali giudeo-bolscevismo, capitalismo, mondialismo e di dottrine politiche ed economiche che non hanno più nulla da darci (marxismo, fascismo, nazismo hitleriano). Oggi l’accento va posto più che mai sull’identità e sulla sua salvaguardia, e sull’unica ideologia che, per davvero, rema dalla sua parte: l’etnonazionalismo (e il socialismo nazionale, con il comunitarismo e il corporativismo che ne conseguono).

Sangue e suolo, popolo e razza (intesa come insieme armonico di valori biologici, etnici, spirituali), identità e tradizione. La Grande Lombardia, finalmente affrancata dal mondialismo in ogni sua declinazione burocratica e tecnocratica, deve fondarsi su questi immortali principi, che sono alla base, oltretutto, di uno Stato veramente e seriamente etnonazionale.

Per la libertà e la sovranità dei popoli granlombardi e il trionfo dell’Europa rinnovata, non scordiamoci mai di chi siamo e donde veniamo, perché solo così la verità e il bene, a cui diciamo tanto di tenere, possono manifestarsi definitivamente, squarciando le letali nebbie dell’ignoranza, che ci impediscono di capire dove andiamo.

Salut Lombardia – Ave Evropa

Il lombardesimo

Razza viscontea

Il lombardesimo è l’identitarismo etnico sangue-suolo-spirito lombardo, di cui Paolo Sizzi si sente, nel suo piccolo, l’iniziatore e il pioniere; viene teorizzato nel triennio 2006-2009, dopo essere giunto in contatto con gli ambienti etnonazionalisti padano-alpini ispirati agli scritti völkisch di Federico Prati e altri. Diciamolo subito: quando il Sizzi parla di Lombardia intende, ovviamente, l’intero nord dell’attuale Repubblica Italiana (Lombardia etnica e Grande Lombardia), la cosiddetta Cisalpina o Padania.

È l’ideologia di fondo del Movimento Nazionalista Lombardo (fondato nel 2011), disciolto due anni dopo per approdare a Grande Lombardia, associazione politica lombardista fondata, quanto il primo, dal Sizzi e da Adalbert Roncari, camerata della prima ora dell’Orobico. GL allarga la visuale del lombardesimo estendendola a tutte le Lombardie storicamente intese, ossia alla Lombardia primigenia di marca altomedievale (già Gallia Cisalpina e Langobardia Maior).

Nonostante dalla primavera del 2014 all’autunno del 2021 abbia adottato una visuale italianista etnofederale, il Sizzi ha conservato con fierezza l’etnicismo lombardo, decidendo alfine di riabbracciarlo totalmente, essendo la Lombardia una nazione in fieri, animata da un’etnia a tutti gli effetti, coesa dalle tre lombardità storiche (Lombardia etnica, Lombardia linguistico-culturale, Grande Lombardia) che la distinguono dagli altri areali nazionali ed etnoculturali ad essa contigui. Per non parlare della grande distanza che la separa dal sud dell’Italia etnica, o dalla Sardegna.

Il lombardesimo, e l’etnonazionalismo in genere, affondano le proprie radici nel retroterra culturale dei movimenti völkisch germanici sorti a cavallo tra ‘800 e ‘900 in area mitteleuropea, movimenti sicuramente imbevuti di romanticismo Blut und Boden ma anche, a loro modo, di quel realismo che deriva dal “culto” della natura e che li smarca da tutte le utopie cosmopolite, borghesi, plutocratiche, le stesse che manovrano come marionette gli Stati-apparato ottocenteschi, privi di qualsivoglia accezione etnica e genuinamente nazionale.

Dall’incontro fra il sangue della stirpe e il suolo patrio nasce lo spirito che è linfa vitale e faro della nazione, ciò che illumina ed eleva il dato biologico, altrimenti ridotto a lettera morta. In questo senso la Lombardia rispetta tutti i criteri fondamentali alla base dell’identità nazionale: eposethoslogosgenostopos, da cui l’ethnos, per dirla con l’antropologo Carlo Tullio-Altan. Aggiungiamoci l’oikos, interrelato al topos e al genos, che rappresenta il concetto stesso di comunità, anche come famiglia e focolare domestico, come casa.

È proprio nel caso del lombardesimo che questo etno-razionalismo trova ampio spazio, permettendogli di non rimanere fossilizzato su ideologie del passato, riprendendone, bensì, gli aspetti sempre attuali e aggiungendovi l’elemento di originalità e di (salutare) modernità rappresentato dall’armonico amalgama di identitarismo e tradizionalismo, etnicismo, razionalismo, appunto, e lotta senza quartiere a progressismo e conservatorismo parassitario (destra feudale e liberismo sono incompatibili con la dottrina nazional-sociale e comunitaria lombardista, e lo stesso vale, a maggior ragione, per l’antifascismo).

È il concetto di identità etno-razziale e territoriale, quindi biologica e culturale, a non tramontare mai, l’essenza più intima dell’Europa insomma, non certo movimenti novecenteschi che, riproposti oggidì, rischiano di dare vita a tragicomiche caricature degli originali. Essere lombardi è, innanzitutto, un fatto fisico e genetico, concreto e materiale, innegabile. Naturalmente esistono diversificazioni interne: ad esempio, anche il Veneto è Grande Lombardia ma ha un suo profilo identitario peculiare distinto da quello lombardo-etnico.

Il sangue non è tutto, chiaramente. La nazione lombarda è tale non solo per un comune aspetto antropogenetico ma anche per la continuità territoriale padano-alpina e per la condivisione di mentalità, indole, spirito che nei secoli ha forgiato la comunità etnonazionale grande-lombarda. La Lombardia è l’unico Paese dei lombardi.

Il lombardesimo prescinde da centralismi, regionalismi, autonomismi, federalismi e secessionismi, ossia da questioni riguardanti strettamente la politica e l’ordinamento dello Stato; esso è, anzitutto, ideologia militante, formazione culturale e azione metapolitica, che pongono al di sopra di tutto il sangue del popolo, il suolo dei padri, lo spirito nato dall’incontro dei primi due. Va da sé che la coerenza e la sete di radicalità lo inseriscano nel quadro dell’indipendentismo anti-mondialista, per liquidare l’innaturalità dell’italianismo dalle Alpi alla Sicilia, e di un europeismo indogermanico “imperiale” che non abbia nulla a che vedere con l’Unione Europea (e la Nato con gli Usa).

Al di là di ciò il fulcro lombardista è la ferrea volontà etnonazionalista di affrancamento dell’identità storica nazionale delle Lombardie, che conservano una facies etno-culturale unica all’interno del panorama europeo, e che nulla c’entra con le plaghe italiche originali, quelle dalla linea Massa-Senigallia in giù, per capirsi.

A tutt’oggi, punti fermi del lombardesimo, portati avanti non solo da chi scrive ma anche dall’associazione (meta)politica Grande Lombardia, sono i seguenti:

Etnonazionalismo – Il vero e serio nazionalismo, basato sul sangue, sul suolo, sullo spirito di un popolo, e non sulle invenzioni massoniche e giacobine che animano i finti Stati nazionali come l’Italia e i contemporanei dell’Europa occidentale, le cui insegne sono repliche del tricolore francese. Di conseguenza, l’etnonazionalismo lombardo non può che essere indipendentista e votato all’affrancamento della Grande Lombardia dal giogo italiano. Altresì, l’etnofederalismo (o nazional-federalismo) può essere un’opzione solo tra fratelli, nel quadro grande-lombardo, sebbene personalmente ritenga il decentramento – in un contesto relativamente omogeneo – pericoloso. Gli statuti autonomi vanno aboliti.

Irredentismo – La liberazione dal giogo straniero di quelle terre lombarde che non sono state ancora ricongiunte al grosso della nazione, vale a dire Nizzardo, “Svizzera” lombarda, Venezie restanti (Istria e dintorni), per citare le principali. Il tutto in un contesto imperiale, confederale, “euro-siberiano”. Chiaramente, l’emancipazione più urgente è quella dalla Repubblica Italiana e dall’occupazione delle forze mondialiste.

Identitarismo – La difesa dell’identità lombarda è amore per la propria stirpe, la propria terra, e la propria cultura, non è odio, e non lo è nemmeno la salvaguardia identitaria militante della propria nazione, che si realizza opponendosi alla globalizzazione, alla società multirazziale, all’immigrazione, all’italianismo artificiale e all’europeismo cialtronesco targato Ue, a ben vedere tutte magagne che avversano lo stesso concetto genuino di nazione. Se tuteliamo i nostri beni e prodotti perché non tutelare anche chi li ha concepiti e realizzati?

Tradizionalismo – Recupero e difesa delle tradizioni popolari che rischiano l’estinzione, dalle religioni tradizionali (precristiana e cattolico-romana, ambrosiana) al folclore, dalla cura delle lingue locali – milanese classico (il lombardo per antonomasia) su tutte – alla genuina mentalità contadina o montanara. Tradizionalismo è anche e soprattutto l’attaccamento agli immortali valori spirituali (indo)europei oggi minacciati dal pluralismo e dal relativismo, assorbiti nel tempo dal cristianesimo latino. Il patriarcato, l’eterosessualità, l’endogamia, la spiritualità sono seme di rinascita identitaria e tradizionale, nel segno della vera identità europide.

Etnicismo – Lo studio dell’antropologia umana, fisica e della genetica delle popolazioni, al fine di riscoprire le proprie radici e approfondire la conoscenza di noi stessi, dei nostri avi e dell’Europa. La cultura è alla base di tutto, sconfigge l’oscurantismo anti-identitario e anti-comunitario e corrobora l’attaccamento alle proprie origini, soprattutto oggi che gli europei/europidi sono in via d’estinzione. Altresì, occorre sviluppare una visione razzialista, che non significa razzista: riconoscere l’esistenza delle razze umane, battersi per preservarle (ciascuna nel proprio habitat naturale) anche mediante endogamia e rinvigorimento della natalità indigena, e promuovere una necessaria separazione continentale, indispensabile per sconfiggere il dispotismo mondialista e ogni nefasto prodotto della globalizzazione.

Econazionalismo – La salvaguardia del suolo che deve assolutamente andare di pari passo con quella del sangue, altrimenti lo sterile ambientalismo progressista consegna la nostra terra alle storture del sistema-mondo e della società multirazziale, che della natura sono mortali nemici (non conoscendo questa le menzogne del politicamente corretto e delle ideologie “democratiche”). L’immigrazione disgrega il tessuto etno-sociale originale del territorio e devasta anche (quanti non ci pensano) l’ambiente circostante (cementificazione, sovrappopolazione, inquinamento). La Lombardia etnica è stata ed è, per l’appunto, teatro di questa barbarie. Se si preserva l’habitat naturale bisogna anche salvaguardare chi lo popola da millenni; in caso contrario l’ecologismo diventa insopportabile ipocrisia salottiera.

Panlombardismo – L’identitarismo lombardo che riunisce sotto le sacre insegne lombardiste tutti i territori etno-geo-linguisticamente lombardi, alpino-padani, galloromanzi cisalpini, dunque Insubria, Orobia, Emilia, Piemonte, Valle d’Aosta, allargando successivamente lo sguardo e il campo d’azione a ciò che è Grande Lombardia, ossia l’intera Padania, a partire dal resto dei territori gallo-italici, cosiddetti.

Razionalismo – Il salutare culto della ragione, non come assolutismo illuminista-rivoluzionario (di fatto irrazionale), che culmina nel materialismo zoologico occidentale e nel positivismo, ma come faro che ci guida e illumina nelle scelte di tutti i giorni, sbarazzandosi così di ogni superstizione, o sentimentalismo, che zavorrano la Lombardia mortalmente e si rivelano incoerenti con una visione genuinamente identitaria, in quanto indoeuropea. Tempo di mettere giudaismo, islam, eresie varie del cattolicesimo e ciarpame new age alla porta e di ridurre a zero l’ingerenza postconciliare negli affari di Stato, investendo massicciamente su scuola, università, ricerca e naturalmente cultura. Tagliare i ponti con la Roma contemporanea, anche spiritualmente: guardiamo con simpatia all’ipotesi di una Chiesa nazionale lombarda che si ispiri al cattolicesimo ambrosiano, tradizionalista.

Socialismo – Socialismo nazionale, naturalmente, la lotta non più di classe e universale ma identitaria applicata alla nazione, la Lombardia nel nostro caso. Tutti devono concorrere al benessere della società, nella convinzione che libertà non è fare quel che si vuole ma promuovere il bene della comunità nazionale, dei popoli lombardi. No al capitalismo, all’affarismo, al consumismo e all’edonismo, a liberalismo/liberismo/libertarismo, alla vita per il lavoro (invece del contrario) e al feticcio del fatturato, e a tutto quello che ruota attorno all’individualismo e ai suoi bassi appetiti borghesi, minando le fondamenta di una grande famiglia nazionale unita, coesa e solidale. E no anche all’altra faccia della medaglia, al progressismo, che non è altro che trotskismo “laico”, ossia ecumenismo, classismo ipocrita al contrario, fra connazionali, ed internazionalismo sradicatore. La Lombardia ai lombardi, non solo come buonsenso identitario ma anche come interruzione dello sfruttamento dell’immigrazione da parte di coloro a cui fa comodo (industriali senza scrupoli, plutocrati, cosiddetti “moderati”, socialdemocratici, assistenzialisti, preti postconciliari).

Comunitarismo – Il robusto spirito d’appartenenza promosso a partire dalle comunità locali, luoghi dove prendere coscienza delle proprie origini granlombarde e sviluppare l’identitarismo, fondamentale per lottare coerentemente e raggiungere la salvazione e la liberazione delle Lombardie. La promozione della solidarietà e del mutuo soccorso tra connazionali, agevolata dal radicamento etnonazionale, aiuta a ritrovare il contatto non solo umano (e famigliare) ma anche con la natura e l’ambiente incontaminato, proponendo modelli di vita eco- ed etno-sostenibili. Dallo spirito comunitario, la famiglia naturale e tradizionale, patriarcale, lombarda, base della società; una società fedele al proprio passato ma rivoluzionaria nei confronti del presente occidentale, sana e rinsanguata da giovani eroi del quotidiano. Servono una Lombardia e un’Europa dei forti, non dei furbi. I vincoli biologici e socioculturali di razza, sottorazza ed etnia sono sacri ed inviolabili.

Ruralismo – Il modo migliore per assaporare direttamente sangue e suolo, entrando in contatto con la natura, promuovendo il contadinato e adoperandosi per edificare una famiglia endogamica, con prole, che possa trovare il tempo di immergersi nella dimensione ideale per ogni uomo, di cui la Grande Lombardia è ricca grazie a monti, colline, boschi, campagne, laghi e coste. Lo scenario naturale, assieme ad agricoltura, allevamento e caccia e pesca (responsabili), aiuta a recuperare la sfera più intima di ogni lombardo; da sempre il nostro Paese (quello vero) è identificato col mondo rurale, e dobbiamo esserne orgogliosi.

Indoeuropeismo – Tradizionalismo culturale di stampo ario (ossia indoeuropeo, per chi non lo sapesse), per onorare coloro che hanno plasmato, soprattutto spiritualmente e culturalmente, la nostra grande famiglia europide. La mentalità e l’etica dei nostri avi indoeuropei, soprattutto Celti e Veneti (ma anche Romani e Longobardi), mostrano la via, una via caratterizzata da ethos patriarcale, conservatore nel giusto, virile, battagliero, solare, incline alla politica, alla filosofia, alla vita militare e di studio, e all’interesse, dunque, per la propria comunità nazionale, anche per poter promuovere una società aristocratica (nel senso etimologico del termine) che un domani si occupi seriamente del governo della nazione grande-lombarda liberata, avendo a proprio favore, finalmente, il merito.

Europeismo völkisch – Non più l’europeismo unionista consueto, fatto di Stati senza nazione e spina dorsale, ma un patriottismo europide etnico e confederale che possa studiare un disegno di consorzio “imperiale” con o alleato della Russia e in buoni rapporti col mondo eurasiatico indoeuropeo (senza più enti sovranazionali e mondialisti a minare la sovranità nazionale), ma anche con le comunità bianche sparse per la terra che rifiutano il globalismo all’americana. Basta unioni che europee sono solo di nome, sì invece ad un sacro consesso “euro-siberiano” dove nazioni omogenee, altamente identitarie, costituiscano la base di una rinascita dell’intramontabile sogno imperiale/ghibellino nato con Roma, naturalmente in chiave contemporanea e razzialmente compatta. L’Europa non deve e non può abdicare al proprio ruolo di culla della civiltà e per farlo, se necessario, deve saper adottare anche un punto di vista isolazionista nei riguardi del terzo/quarto mondo e delle aggressive economie emergenti.

Presidenzialismo – Una repubblica lombarda basata sull’elezione di un solo presidente, che sia capo dello Stato e del governo, eletto direttamente dai lombardi senza intralci parlamentari. La scelta al popolo sovrano. Niente più soluzioni all’italiana con tanto di costituzione antifascista, con governi tecnici (ossia plutocratici), primi ministri non eletti e culto liberticida di presidenti non voluti direttamente dal popolo, che nonostante il prestigio simbolico vengono venerati come monarchi illuminati passibili di lesa maestà.

Dirigismo – Logica conseguenza del socialismo nazionale, dove le redini della grande industria strategica, dell’economia, del mercato, e della sovranità monetaria (liquidazione dell’euro) vengano direttamente impugnate dallo Stato, che deve dettare la linea da seguire e che unico può, se eretto come si deve, garantire gli interessi nazionali granlombardi. Non statolatria e dispotismo, ma salubre nazionalizzazione e doveroso protezionismo, con interesse per soluzioni corporative. La Lombardia deve conquistare autorità e sovranità, in nome dell’originalità della sua identità nazionale.

Cristianesimo e paganesimo – Le uniche due forme di religiosità accettabili, cattolicesimo romano (preconciliare) e gentilità ariana. Giusto salvaguardare le radici romano-cristiane (non quelle, fantomatiche, giudeo-cristiane), ma anche le primigenie, ossia le pagane, senza arrivare a scontri confessionali: lo Stato deve rimanere laico, che non significa ovviamente ateo, laicista e pluralista. Lecito il recupero culturale della religiosità tradizionale legata alla gentilità precristiana (celtica, romana o germanica), senza però dimenticare che il cammino iniziatico di questi culti si è interrotto millenni fa. La spiritualità può tranquillamente conciliarsi col razionalismo, perché la prima è riflessione, meditazione, contemplazione ma anche edificazione collettiva di una religione civica nazionale. Naturalmente, non vi è contraddizione con il punto razionalista precedente, se si tratta appunto delle religioni pagane genuinamente identitarie e legate etnicamente alla Lombardia, e della cristianità cattolica, radicata da duemila anni nel nostro Paese e debitrice della gentilità indogermanica. La fede, ad ogni modo, non deve intralciare le politiche etnonazionaliste, ma fare il bene della patria.

Questi punti rispecchiano la personale visione del mondo sizziana delineatasi concretamente dal 2006 in avanti, nel periodo, cioè, in cui il Nostro ha cominciato ad interessarsi seriamente di politica, metapolitica e cultura. Nel tempo s’è raffinata ed evoluta in un pensiero più serio, razionale e concreto, pronto a spiccare nuovamente il volo verso l’indipendentismo – dopo la parentesi italianista etnofederale – doverosamente etnonazionale, non certo liberale o progressista. Destra? centro? sinistra? vuote etichette senza alcun significato: conta la Lombardia, e chi la incarna per vincoli biologici, territoriali e culturali (etnici e nazionali).

Ora di dire basta alle menzogne, né Italia né Padania leghista, è giunto il momento dell’autoaffermazione nazionale della Lombardia, quella etnica e storica, vera, racchiusa nel bacino idrografico del Po ma proiettata nel suo naturale spazio vitale cisalpino, all’interno di un quadro “eurusso” dove i destini dei popoli e delle comunità etnoculturali vengano comunque prima di qualsivoglia forma di Stato. In questo senso sarebbe basilare un’intesa tra tutte le realtà nazionali dell’arco alpino. La nazione giustifica lo Stato, non viceversa, e se questo non aderisce a stringenti criteri identitari va messo in discussione. La Repubblica Italiana è da archiviare in quanto entità multietnica priva di carattere nazionale. Al suo posto, in ambito padano-alpino, deve sorgere una repubblica che rappresenti degnamente le due principali anime della Grande Lombardia: quella occidentale, celto-ligure, e quella orientale, reto-venetica, comunque accomunate dalla gallo-romanità e dall’epopea longobarda e lombarda in senso medievale.

Solo il lombardesimo può salvare la Lombardia rendendola di nuovo Grande, mediante la sapiente opera etnonazionalista di rivoluzione nella riorganizzazione territoriale e amministrativa delle nostre terre padano-alpine; l’etnonazionalismo völkisch in chiave lombardista non ha nulla da spartire con le cialtronerie padaniste o con le sceneggiate neofasciste/neonaziste, perché si tratta di non rinunciare alla nostra realtà etno-razziale, declinata in senso panlombardo, e alla sua legittima difesa totale, così come al legittimo diritto di autodeterminazione anti-mondialista del sovrano popolo lombardo.

Ci lasciamo alle spalle il banale italianismo per riconciliarci a pieno regime con la rivoluzione lombardista, pur non avendo mai abbandonato e rinunciato alla doverosa battaglia comunitarista volta a salvaguardia, preservazione e realizzazione biologiche ed etniche dei Lombardi, un insieme di genti affratellate e distinte dagli italiani e dagli altri europei. A che giova dimenarsi nell’amorfa massa sovranista quando possiamo essere, con rinnovato fervore, gli araldi di una dottrina originale, da noi stessi plasmata e divulgata? Ma, soprattutto, perché impantanarsi nell’italianità quando il nostro sangue, il nostro suolo, il nostro spirito parlano lombardo?