I 50 punti programmatici del lombardesimo

Swastika camuno

Voglio proporvi il programma, in 50 punti, della visione lombardista, elaborato dal sottoscritto a partire dalla Weltanschauung di Grande Lombardia (che fu stesa da me e dal camerata Roncari diversi anni orsono). Al momento non faccio parte di alcun movimento o associazione ma rimango idealmente vicino alle posizioni dei due soggetti lombardisti storici da me fondati, GL appunto e il primigenio Movimento Nazionalista Lombardo. Queste due associazioni hanno raccolto la mia personale riflessione principiata nel lontano 2006, corroborata dal contributo scientifico del contubernale sepriese.

Ho suddiviso i 50 capisaldi in 10 aree tematiche differenti, onde evitare di elencarli banalmente in sequenza. Questo programma si ispira, principalmente, alla dottrina che sta alla base dell’ideologia lombardista, e cioè all’etnonazionalismo: l’interesse della Comunità nazionale lombarda (intesa come insieme di individui accomunati da medesima etnia, lingua, cultura, territorio e storia) deve essere l’obiettivo fondamentale e generale delle attività del settore pubblico, partendo dal presupposto che l’etnicità è l’elemento imprescindibile della Patria e, di conseguenza, di uno Stato degno di questo nome.

Tenendo conto del fatto che l’uomo è un animale sociale e che l’obiettivo di ogni essere vivente è massimizzare nel lungo periodo la trasmissione di geni il più possibile simili ai propri, l’idea lombardista (molto centrata su ragione e natura), in materia di sistema sociopolitico, è quella di un’entità – un etnostato – che sappia regolamentare la vita comunitaria su principi di cooperazione e solidarietà, in nome del senso d’appartenenza etnoculturale: senza di esso i legami comunitari verrebbero meno, lasciando il posto alla disgregazione operata da fenomeni migratori, meticciato e società multirazziale.

L’individualismo è, dunque, nemico dei destini della Nazione che solo abbracciando uno spirito comunitarista può porsi al riparo dai mortali rischi rappresentati dalla degenerazione del pensiero liberale (già di per sé un cancro) che cagiona egoismo, opportunismo e decadimento edonista su vasta scala. Il connubio nazionale e sociale è garanzia di successo per l’intera collettività lombarda, troppo spesso vittima – a livelli quasi patologici – delle seduzioni dell’arido profitto.

Veniamo ora ai 50 punti programmatici. Buona lettura.

I – Politiche etniche

1) Diffusione del concetto di Lombardia etnica, terra cisalpina racchiusa dal bacino padano e caratterizzata dalla stratificazione identitaria celto-ligure, gallo-romana, longobarda, dalla presenza degli idiomi lombardi (ovvero galloromanzi cisalpini) e dall’azione unificatrice della Lega Lombarda e del Ducato visconteo. Essa è il fulcro della Nazione ed è, per questo, meritevole di particolare tutela e di un preciso riconoscimento giuridico. Sua Capitale naturale è Milano.

2) Diffusione del concetto di Grande Lombardia (che è, sin dal Medioevo, la Lombardia lato sensu), sovrapposizione della Langobardia Maior alla Gallia Cisalpina, corroborata dalla geografia subcontinentale e dalla natura di anello di congiunzione tra Europa mediterranea e centrale. È, altresì, parte della Romània occidentale. Suoi confini irrinunciabili sono le Alpi, le acque del Mar Ligure e dell’Alto Adriatico e l’Appennino Tosco-Lombardo (limite meridionale che combacia con la barriera etnolinguistica, e nazionale, Massa-Senigallia). La Capitale è Milano.

3) Definizione e preservazione dell’etnia lombarda e grande-lombarda, mediante l’integrazione di ius sanguinis e di ius soli, affinché nazionalità e cittadinanza finalmente coincidano. Secondo i criteri lombardisti è lombardo colui che ha quattro nonni biologici, logicamente europidi, cognominati alla lombarda, e la cui famiglia risieda in Lombardia almeno dal 1900.

4) Promozione della pratica endogamica tra le popolazioni grandi-lombarde, tollerando blandi apporti di genti compatibili (le alpine, fondamentalmente). Condanna di meticciato e ibridazione extra-europide: le unioni miste vanno dissuase, anche tramite la creazione di leggi ad hoc. L’etnia (grande)lombarda va rinsanguata, bloccando eziandio l’italianizzazione che ha cagionato un genocidio “democratico” dei lombardi etnici.

5) Blocco totale dell’immigrazione e conseguente rimpatrio degli allogeni. Nel novero rientrano anche immigrati europei incompatibili, italiani etnici, israeliti, genti nomadi. Il fenomeno più drammatico rimane quello dell’italianizzazione (ossia della meridionalizzazione), che ha letteralmente travolto la Grande Lombardia occidentale riducendo a minoranza gli indigeni delle città del cosiddetto “triangolo industriale”.

II – Politiche comunitarie

6) Introduzione di “Opzioni” per le minoranze alloctone storiche presenti nella Cisalpina (occitani, arpitani, alemanni, bavari): ritorno in patria o assimilazione e fedeltà alla Grande Lombardia. Nel caso di sloveni e croati (e della sparuta minoranza istroromena) la prima opzione è preferibile, essendo popolazioni poco compatibili con quelle padano-alpine. La Lombardia appartiene ai lombardi, e su questa inconfutabile verità deve fondarsi la ragion d’essere di un futuro Stato lombardo.

7) Lombardizzazione delle aree grandi-lombarde periferiche quali Valle d’Aosta, Alpi Occidentali, Nizzardo, Liguria, Romagne, lagune, Tirolo primigenio (che è quello meridionale), Slavia friulana, bacino dell’Isonzo, Istria, Fiume con la soppressione degli statuti autonomi e il rimpatrio forzato dei soggetti eversivi. La Grande Lombardia, ossia la Cisalpina, è lo spazio “vitale” di un solo ethnos: quello lombardo.

8) Difesa della cultura, delle tradizioni, del carattere nazionale delle Lombardie, di quella “Comunità di Popolo” che costituisce il mastice di uno Stato per davvero sociale, nazionale e, dunque, comunitario. Va eliminato il pernicioso culto del fatturato caro a molti, troppi lombardi, che è la fonte di ogni masochismo antipatriottico. La ricchezza della Lombardia è il frutto plurisecolare di una mentalità del lavoro spiccatamente continentale, ma l’identità sovrasta il danaro.

9) Difesa della famiglia naturale e patriarcale fondata sul legame eterosessuale, monogamo e fecondo di uomo e donna, rafforzato da fedeltà, rispetto, solidarietà e dalla contemplazione degli innati ruoli del maschile e del femminile, garantita dalla tradizione. In mancanza di una (contenuta) prole biologica sì all’adozione di orfani europidi compatibili con la Grande Lombardia.

10) Isolazionismo nei riguardi del terzo mondo e delle aggressive economie emergenti (anche per scopi sanitari); promozione di una perentoria politica di controllo delle nascite nel sud del pianeta; lotta alla globalizzazione e cessazione di ogni ingerenza straniera (Vaticano incluso) negli affari nazionali; edificazione di un cameratismo razziale europide previa liquidazione dell’imperialismo atlanto-americano; creazione di un organismo confederale “eurusso” per la difesa degli interessi comunitari delle genti bianche autoctone.

III – Politiche culturali

11) Elezione del milanese classico volgare (emendato) – il principe degli idiomi lombardi – a lingua nazionale della Lombardia etnica e della Grande Lombardia, grazie alla natura linguistica centrale ed incontaminata del ramo insubrico. No a esperanto in tredicesimi, koinè senza storia, caos dialettale e soluzioni alla svizzera (ossia peculiari di una nazione inesistente). Il milanese è la miglior espressione linguistica del mondo galloromanzo cisalpino.

12) Promozione e tutela delle lingue locali, da impiegare in ambito cantonale accanto al lombardo (ovvero al milanese classico). I parlari transpadani occidentali e orientali, subalpini, cispadani, romagnoli (quelli tassonomicamente “gallo-italici”, ossia lombardi), così come quelli liguri, veneti, retoromanzi (friulano, ladino, romancio), meritano salvaguardia, nel rispetto dell’unità nazionale.

13) De-toscanizzazione linguistica della Grande Lombardia, attuata mediante il graduale abbandono del fiorentino letterario (l’italiano) e il recupero di ortografia, vocabolario, nomi, cognomi, toponimi originali, nel quadro di una rinnovata lombardizzazione del territorio nazionale. Scuola e università, a supporto di famiglia e Comunità, avranno il compito di educare i giovani lombardi all’amore per il milanese e le altre lingue lombarde e/o cisalpine, assieme alla riscoperta della nostra cultura e letteratura.

14) Riconoscimento del cattolicesimo apostolico di rito latino (romano e ambrosiano), ovviamente tradizionale, quale religione ufficiale della futura Repubblica Lombarda; nessun rapporto con il papa, fintanto che la Chiesa di Roma non disconoscerà il Concilio Vaticano II, pertanto l’idea di una Chiesa nazionale lombarda non va trascurata. Tolleranza per la rinascenza gentile indigena di matrice preromana e gallo-romana, o germanica. Messa al bando di tutti gli altri culti.

15) Etno-razionalismo come “mistica del sangue” della Grande Lombardia. Accanto alla difesa della tradizione cattolica e pagana, contro la piaga dell’ateismo e del laicismo di sinistra, la simbiosi tra etnicismo e razionalismo (che rievoca filosoficamente l’etnonazionalismo), volta a preservare la Comunità lombarda dalle degenerazioni della metafisica apolide.

IV – Politiche statuali

16) Indipendenza e piena sovranità della Grande Lombardia da raggiungersi con tutti i mezzi leciti, previa creazione di una “macroregione” amministrativa che associ ogni Popolo lombardo alla battaglia autoaffermativa della Lombardia etnica. Adozione delle Croci padano-alpine (Sangiorgio e Sangiovanni, bandiera nazionale), magari corredate dal Sole delle Alpi, e del Ducale visconteo (Biscione e Aquila imperiale, stemma nazionale).

17) Creazione di una Repubblica presidenziale (grande)lombarda fondata sui dettami dell’etnonazionalismo, del socialismo nazionale e del comunitarismo, ossia di un etnostato. No a federazioni e autonomie: lo Stato lombardo rappresenterebbe, alfine, Popoli affratellati dalle comuni origini cisalpine. Lo strumento del decentramento – in un contesto tutto sommato omogeneo e geograficamente ben definito – rischierebbe solamente di fomentare sciocchi egoismi campanilistici e micro-sciovinismi.

18) La Capitale amministrativa, economica e linguistica della Grande Lombardia è Milano, quella morale è Pavia. La suddivisione politica della Repubblica Lombarda consterebbe di 14 cantoni etno-lombardi a cui ne vanno aggiunti altri 15 cantoni del restante territorio cisalpino, raggruppati in 9 regioni create per meri fini statistici e demografici (Transpadana occidentale, Transpadana orientale, Subalpina, Cispadana, Romagna, Liguria, Veneto, Rezia cisalpina, Carnia e Istria).

19) De-italianizzazione della Grande Lombardia, conseguenza del processo indipendentista. Assieme al rimpatrio degli allogeni e degli italiani etnici, e alla liquidazione di ogni residuo tricolore, i concorsi, l’impiego pubblico e i posti-chiave vanno riservati ai soli lombardi. Gli immigrati regolarizzati in precedenza vanno incentivati affinché lascino la Lombardia, raggiungendo accordi con le loro terre d’origine (a cominciare dall’Italia) e stimolando il ricongiungimento famigliare al di fuori dei confini cisalpini. La questione della prole ibrida è tema alquanto problematico.

20) Uscita della Grande Lombardia da Unione Europea, euro, Nato, Onu, enti mondialisti e sovranazionali e dagli organi cosmopoliti nemici della sovranità popolare ed economica delle Nazioni. Come riportato al punto 10 è auspicabile la promozione di un cameratismo “imperiale” europide a partire dalle realtà dell’arco alpino. Contestualmente, va promossa una politica irredentista in quei territori grandi-lombardi oggi sotto entità straniere affinché vengano aggregati alla loro madrepatria: Moncenisio, Valle Stretta, Monginevro, Nizzardo, Briga e Tenda (RF); Montecarlo (MC); Sempione, Canton Ticino, Mesolcina, Val Bregaglia, Val Poschiavo, Val Monastero (CH); Goriziano, Litorale, Carso, parte della Carniola interna (SLO); Istria, Fiume, Quarnaro (HR); San Marino (RSM).

V – Politiche giuridiche

21) Espulsione di banche internazionali, multinazionali, lobby straniere; uscita dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e da ogni organizzazione internazionale, dunque apolide; condanna di sionismo ed internazionalismo; smantellamento delle basi atlantiste e cacciata dell’invasore americano (e del suo ascaro italico); gestione nazionale delle emergenze sanitarie (farmaci, vaccini, dispositivi di protezione individuale vanno prodotti in Patria per conto dello Stato), fermo restando che l’isolazionismo verso le terre esotiche rimane fondamentale.

22) Creazione di forze armate e di polizia composte di soli lombardi e istituzione di una Guardia Nazionale Lombarda; ritorno in patria delle forze d’occupazione italiane. Oltre che dalle minacce interne, la sicurezza della Comunità nazionale deve essere garantita anche da eventuali aggressioni esterne, istituendo la leva obbligatoria. Si deve assicurare, altresì, una salda stabilità politica, sociale ed economica ad una vera Europa delle Nazioni e sviluppare un’adeguata opera di opposizione alla globalizzazione e allo status quo mondialista.

23) Separazione dei tre poteri fondamentali tipica dello Stato di diritto: esecutivo assegnato ad un Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini con sistema maggioritario a doppio turno; legislativo spettante ad un’unica Assemblea parlamentare, “federale”, eletta direttamente dai cittadini con sistema proporzionale (unicameralismo); giudiziario attribuito ad una Corte Suprema eletta anch’essa direttamente dai cittadini con sistema sempre proporzionale.

24) Lotta senza quartiere a mafie e criminalità organizzata, terrorismo, eversione, massoneria, sette segrete, usura con particolare pervicacia nei riguardi di ogni delitto mirato ad angariare, danneggiare e tradire la Comunità nazionale. Liquidazione del precipuo serbatoio del crimine: l’immigrazione. Non va, tuttavia, punita severamente soltanto la bassa manovalanza ma anche, e soprattutto, i suoi mandanti in giacca e cravatta.

25) Pena capitale per i reati più gravi e odiosi quali mafia, terrorismo, stragismo, alto tradimento, disastro, epidemia, pedofilia, bancarotta fraudolenta; castrazione chimica per gli stupratori; lavori forzati per i detenuti comuni; costruzione di nuove carceri e rimpatrio dei delinquenti alieni minori. Lo Stato deve garantire, oltre alla sicurezza e al benessere dei cittadini, il disincentivo alla violazione delle regole, la certezza e l’adeguatezza della pena, il risarcimento dei danni e l’efficace rieducazione di chi ha sbagliato, laddove utile e possibile.

VI – Politiche socioeconomiche 

26) Socialismo nazionale e comunitarismo: riforma del mercato e lotta alla ricchezza parassitaria favorita dal capitalismo; fine della speculazione internazionale e abolizione di certi strumenti finanziari (come i derivati); equiparazione della tassazione sulle rendite finanziarie a quella sul reddito da lavoro; inserimento di strumenti redistributivi che consentano a tutti di esprimere le proprie capacità.

27) Inserimento di equità e giustizia nel sistema tributario con l’adozione di una tassazione basata sull’effettiva capacità contributiva e sul criterio fondamentale del “chi inquina paga”. Solo il comunitarismo è etico e sostenibile nel lungo periodo, contro la crescita illimitata e l’inevitabile degenerazione edonistica e consumistica del capitalismo; la mentalità individualista occidentale è iniqua, corrotta, devastatrice e cagione di gravissimi problemi di stabilità sociale, politica, economica e ambientale.

28) Riforma perentoria del sistema monetario che assicuri la sovranità monetaria ed economica alla Nazione, strappandola dalle mani dei banchieri internazionali (e apolidi). Liquidazione di euro e lira italiana in favore dell’introduzione della valuta grande-lombarda: danee e ghell.

29) No ad assistenzialismo, elevati sussidi di disoccupazione, alti livelli di sindacalizzazione ed eccessivi ostacoli alla circolazione dei lavoratori che riducono l’efficienza del mercato del lavoro premiando solamente i fannulloni; occorrono, piuttosto, corporativismo e nazionalizzazione delle grandi industrie di interesse cruciale per il Paese. Sì a politiche protezioniste e dirigiste, nella consapevolezza che è la Nazione a legittimare lo Stato, non viceversa.

30) Riorganizzazione della previdenza sociale (stante il continuo aumento della speranza di vita): riforma del sistema pensionistico su reali criteri di necessità e di merito, favorendo il passaggio graduale alla pensione tramite la possibilità di convertire contratti di lavoro a tempo pieno in contratti di lavoro a tempo parziale, in parte defiscalizzati una volta raggiunta una certa età.

VII – Politiche educative

31) Gestione della res publica affidata alle mani di un’aristocrazia (nel senso etimologico del termine) lombarda, a impronta maschile, debitamente formata in accademie specifiche, sulla base di stringenti criteri di merito, qualifiche, conoscenze ed etica consolidata. Alla luce di ciò si esprimono dubbi riguardo l’universalità dell’elettorato attivo e, soprattutto, passivo. La democrazia occidentale è a forte rischio fallimentare per via della manipolazione delle menti più fragili da parte di alcune cricche opportuniste.

32) Riforma totale del sistema educativo a partire dal suo organo basilare, la famiglia naturale, fino a quelli più complessi, come le università e le accademie. Urge una studiata e corretta educazione psichica, fisica e culturale dell’individuo, affinché la scuola sia palestra di orgoglio patrio. L’istruzione è cruciale per un pieno sviluppo della persona e, in particolare, per l’acquisizione consapevole di uno stile di vita sano ed equilibrato.

33) Creazione di istituzioni sociali di Stato per la (ri)educazione della gioventù, che sottraggano alla Chiesa postconciliare, e agli oratori, la formazione civile delle nuove generazioni; in questo senso esiste una questione spinosa da risolvere con una necessaria opera di bonifica: il legame tra omosessualità e pedofilia/pederastia di seminari e ambienti ecclesiastici. Scioglimento di scout, associazionismo cattolico modernista e, soprattutto, di quello antifascista: gli insegnamenti impartiti da istituzioni antinazionali risultano malsani e innaturali, essendo slegati dal culto della vera identità e della vera tradizione.

34) Creazione di un servizio di coscrizione obbligatoria, alternativo a quello civile, che funga anche da istituzione sociale di supporto allo sviluppo morale del giovane uomo. Per le ragazze servizio civile obbligatorio o possibilità di svolgere attività di leva in qualità di ausiliarie; le forze armate e di polizia devono assumere carattere squisitamente virile, ma ci può essere spazio per un ausiliariato militare femminile.

35) Salvaguardia della salubrità del proprio ambiente, dell’alimentazione e dello stile di vita, presupposto alla base della salute di ogni persona, controllabile dall’individuo stesso: cruciale importanza va data all’opera di educazione e sensibilizzazione di tutta la popolazione, col fine di far comprendere ai membri della Comunità nazionale che sono i principali responsabili del proprio stato di salute (a tutto vantaggio, così, anche della sanità pubblica).

VIII – Politiche agricole e ambientali

36) Lotta alla sovrappopolazione, una delle peggiori piaghe della Grande Lombardia. La densità demografica della Nazione lombarda è di circa 220 ab./km², un altissimo sovrappopolamento, con esiziali ricadute su Comunità e ambiente; situazione ancor più drammatica se consideriamo la Lombardia etnica, basti pensare alla spaventosa densità dell’attuale Regione Lombardia, 418,85 ab./km²! I milioni di allogeni dilagati nel territorio cisalpino hanno drasticamente peggiorato un quadro già di per sé (in talune aree) problematico. L’immigrazione comporta, inevitabilmente, distruzione.

37) Econazionalismo, ruralismo, comunitarismo. Difesa dell’ambiente dall’insostenibile furto di suolo, da cementificazione ed industrializzazione selvaggia (nuove residenze per immigrati, capannoni, centri commerciali, discariche), agricoltura convenzionale e allevamento industriale, inquinamento e traffico da terzo mondo, bomba demografica allogena. Il contatto con l’ambiente rurale permette di ritrovare la dimensione naturale dell’uomo promuovendo la riscoperta di valori e virtù oggi dimenticati per far spazio al feticcio del progresso.

38) Eco- ed etno-sostenibilità, per combattere l’alienazione delle masse urbane, il cui sviluppo ipertrofico è nemico del suolo lombardo incontaminato. In molte regioni d’Europa i terreni agricoli non sono più sufficienti ad alimentarne gli abitanti, e le sostanze di sintesi impiegate dall’agricoltura convenzionale stanno distruggendo la fertilità naturale dei campi, compromettendo così la sicurezza alimentare delle future generazioni. L’uomo ha plasmato la cultura e la civiltà, ma non è un essere estraneo alla natura e alle sue leggi.

39) Misure di tutela dell’agricoltura tramite il blocco del consumo di suolo, il ritorno ad un’agricoltura naturale – sostenibile nel tempo – e il raggiungimento di un’autarchia alimentare almeno dell’80%. Va garantito cibo sano e sicuro per noi e i nostri figli, senza compromessi. Anche la zootecnia deve sbarazzarsi dei metodi industriali ed intensivi dell’allevamento canonico, ne va della nostra salute.

40) Salvataggio e tutela della biodiversità tramite il controllo e l’eradicazione delle specie aliene dannose e l’aumento delle aree destinate alla natura selvaggia. Il sistema capitalista e la società dei consumi hanno portato alla distruzione di importanti ecosistemi e di significativi elementi di biodiversità. Il bioma temperato della Grande Lombardia va preservato dall’imbastardimento esotico di flora, fauna e popolazione indigena.

IX – Politiche energetiche 

41) Combinazione di sviluppo delle fonti di energia rinnovabili e sostenibili (non semplicemente alternative, come gli scisti bituminosi) e riduzione degli sprechi e delle inefficienze del consumo. No al nucleare e al ritorno al carbone: soluzioni effimere (vedi penuria di uranio) e dall’impatto ambientale devastante (vedi problema, tuttora irrisolto, della gestione delle scorie radioattive). Il superamento del picco di estrazione del petrolio, seguito dal picco di estrazione del gas naturale, saranno un problema concreto, negli anni a venire.

42) Sviluppo di moderni ed efficienti sistemi di trasporto pubblico basati sulla rete ferroviaria e ripristino della tipica rete lombarda di canali navigabili, per il rilancio del trasporto fluviale (anche dello stesso Po). Argine al traffico su gomma e alla costruzione di dannose autostrade. Il settore aeronautico, come quello automobilistico, ha una resa energetica problematica, per via dei grandi costi.

43) Raggiungimento di soddisfacente efficacia ed efficienza dei servizi erogati dallo Stato, archiviando la fallimentare esperienza della Repubblica Italiana; per usare una battuta, Roma impone tasse “svedesi” in cambio di servizi “albanesi”, martoriando le finanze dei lombardi per poi beffarli con un terziario modellato sulle disfunzioni dell’Italia etnica.

44) Aiuti mirati e ben congegnati destinati al settore secondario e terziario affinché siano assistite quelle aziende che decidono di abbandonare la prospettiva del mero profitto e del “basta tirare avanti” per agire in maniera eticamente responsabile, seguendo un percorso di continua innovazione nel segno della sostenibilità. Non è desiderabile, inoltre, lasciare carta bianca agli agenti economici; piuttosto, occorre sviluppare una salda rete di alleanze europee che puntino al raggiungimento di una buona autarchia economica a livello continentale (senza rinunciare alla propria sovranità nazionale, ovviamente).

45) La ricerca scientifica di base è un elemento imprescindibile per sostenere il miglioramento della conoscenza e della qualità della vita nel tempo. La ricerca deve essere adeguatamente finanziata e sostenuta, anche con incentivi che inducano i giovani a scegliere percorsi di studio scientifici. Tutto questo sarà però effimero finché la scienza non potrà finalmente esprimersi liberamente, essendo oggi costretta a seguire i diktat delle lobby di influenza mondialista, che non si fanno scrupoli nel ricattare gli scienziati per garantire la loro posizione di rendita.

X – Politiche demo-sanitarie 

46) Lotta ad individualismo, femminismo, omosessualismo e a ciò che mina le fondamenta della famiglia naturale, a guida patriarcale, e della solidarietà comunitaria, compromettendone il funzionamento e, dunque, l’equilibrio e il benessere. Va difesa senza compromessi, in particolar modo, l’innocenza dell’infanzia. No ad unioni e diritti “civili”, adozioni omosessuali, propaganda omofila, teorie del “genere” e ad una bioetica asservita al mercato e al capitalismo, alla vita (surrogata e manipolata in laboratorio) come oggetto di consumo e capriccio borghese.

47) Incentivi per la crescita demografica indigena (in linea con i criteri di ecosostenibilità e di contenimento della secolare sovrappopolazione padana): sostegni alle famiglie, contrasto alla disoccupazione giovanile, garanzie e migliorie per il benessere e la sicurezza dei lavoratori. Molto dipende, tuttavia, da educazione e valori: lo Stato deve supportare economicamente e socialmente le giovani coppie ma deve anche promuovere responsabilizzazione mediante famiglie e Comunità, stimolando nei ragazzi e nelle ragazze una salutare presa di coscienza patriottica.

48) Aborto consentito in casi di stupro (allogeno, in particolare), pericolo di vita della madre, anomalie gravi del feto; eutanasia consentita nei casi irreversibili, laddove una vita normale sia compromessa e il malato sia terminale o in stato vegetativo. Serve una forma di razionalismo bioetico, rispettoso della sensibilità religiosa ed individuale ma dotato di robusto buonsenso giustificato dalla lucidità scientifica.

49) Adozione spontanea di alcune piccole misure eugenetiche a fini preventivi (si sottolinei, preventivi) e terapeutici. Non esistono vite degne ed indegne di essere vissute, biologicamente, ma i comportamenti responsabili volti al benessere presente e futuro della Comunità sono servigio di carattere sociale e patriottico. Occorre rivalutare la riapertura dei manicomi o di altri istituti specifici per gestire soggetti problematici, asociali, inabili, onde evitare ricadute che impattino sull’armonia della collettività nazionale.

50) La salubrità dell’ambiente di vita, dell’alimentazione e del proprio stile di vita sono i presupposti alla base della salute di ogni persona, e sono elementi per lo più controllabili dalla persona stessa: cruciale importanza va perciò data all’opera di educazione e sensibilizzazione di tutta la popolazione con il fine di far comprendere agli individui che sono i principali responsabili del proprio stato psicofisico.

Da un punto di vista meramente biologico, le analisi genetiche fanno ritenere che la giusta scala di aggregazione sociale, nel caso dell’uomo, sia quella della sottospecie, e cioè della razza; nella realtà entrano, tuttavia, in gioco altre variabili da prendere in considerazione, perché noi non siamo solo le informazioni genetiche (e fenotipiche) che portiamo ma anche l’ambiente in cui viviamo e le informazioni non biologiche (lingua, storia, cultura, ecc.) che abbiamo collettivamente ereditato dalla nostra società. Fermo restando che, sia geneticamente che fisicamente, vi sono ben note differenze anche a livello di sub-subspecies.

La nostra identità è, dunque, l’unione di etnia, territorio e cultura, indipendentemente dalle entità amministrative che attualmente ci riguardano e che auspichiamo di lasciarci alle spalle quanto prima in maniera attiva. Autoaffermazione, affrancamento del sentimento nazionale, preservazione dell’etnia (che si fonda su sangue e spirito), difesa del suolo patrio e battaglia per la libertà: questo ciò che il lombardesimo vuole per la Grande Lombardia.

Il lombardesimo

Razza viscontea

Il lombardesimo è l’identitarismo etnico sangue-suolo-spirito lombardo, di cui Paolo Sizzi si sente, nel suo piccolo, l’iniziatore e il pioniere; viene teorizzato nel triennio 2006-2009, dopo essere giunto in contatto con gli ambienti etnonazionalisti padano-alpini ispirati agli scritti völkisch di Federico Prati e altri. Diciamolo subito: quando il Sizzi parla di Lombardia intende, ovviamente, l’intero nord dell’attuale Repubblica Italiana (Lombardia etnica e Grande Lombardia), la cosiddetta Cisalpina o Padania.

È l’ideologia di fondo del Movimento Nazionalista Lombardo (fondato nel 2011), disciolto due anni dopo per approdare a Grande Lombardia, associazione politica lombardista fondata, quanto il primo, dal Sizzi e da Adalbert Roncari, camerata della prima ora dell’Orobico. GL allarga la visuale del lombardesimo estendendola a tutte le Lombardie storicamente intese, ossia alla Lombardia primigenia di marca altomedievale (già Gallia Cisalpina e Langobardia Maior).

Nonostante dalla primavera del 2014 all’autunno del 2021 abbia adottato una visuale italianista etnofederale, il Sizzi ha conservato con fierezza l’etnicismo lombardo, decidendo alfine di riabbracciarlo totalmente, essendo la Lombardia una nazione in fieri, animata da un’etnia a tutti gli effetti, coesa dalle tre lombardità storiche (Lombardia etnica, Lombardia linguistico-culturale, Grande Lombardia) che la distinguono dagli altri areali nazionali ed etnoculturali ad essa contigui. Per non parlare della grande distanza che la separa dal sud dell’Italia etnica, o dalla Sardegna.

Il lombardesimo, e l’etnonazionalismo in genere, affondano le proprie radici nel retroterra culturale dei movimenti völkisch germanici sorti a cavallo tra ‘800 e ‘900 in area mitteleuropea, movimenti sicuramente imbevuti di romanticismo Blut und Boden ma anche, a loro modo, di quel realismo che deriva dal “culto” della natura e che li smarca da tutte le utopie cosmopolite, borghesi, plutocratiche, le stesse che manovrano come marionette gli Stati-apparato ottocenteschi, privi di qualsivoglia accezione etnica e genuinamente nazionale.

Dall’incontro fra il sangue della stirpe e il suolo patrio nasce lo spirito che è linfa vitale e faro della nazione, ciò che illumina ed eleva il dato biologico, altrimenti ridotto a lettera morta. In questo senso la Lombardia rispetta tutti i criteri fondamentali alla base dell’identità nazionale: eposethoslogosgenostopos, da cui l’ethnos, per dirla con l’antropologo Carlo Tullio-Altan. Aggiungiamoci l’oikos, interrelato al topos e al genos, che rappresenta il concetto stesso di comunità, anche come famiglia e focolare domestico, come casa.

È proprio nel caso del lombardesimo che questo etno-razionalismo trova ampio spazio, permettendogli di non rimanere fossilizzato su ideologie del passato, riprendendone, bensì, gli aspetti sempre attuali e aggiungendovi l’elemento di originalità e di (salutare) modernità rappresentato dall’armonico amalgama di identitarismo e tradizionalismo, etnicismo, razionalismo, appunto, e lotta senza quartiere a progressismo e conservatorismo parassitario (destra feudale e liberismo sono incompatibili con la dottrina nazional-sociale e comunitaria lombardista, e lo stesso vale, a maggior ragione, per l’antifascismo).

È il concetto di identità etno-razziale e territoriale, quindi biologica e culturale, a non tramontare mai, l’essenza più intima dell’Europa insomma, non certo movimenti novecenteschi che, riproposti oggidì, rischiano di dare vita a tragicomiche caricature degli originali. Essere lombardi è, innanzitutto, un fatto fisico e genetico, concreto e materiale, innegabile. Naturalmente esistono diversificazioni interne: ad esempio, anche il Veneto è Grande Lombardia ma ha un suo profilo identitario peculiare distinto da quello lombardo-etnico.

Il sangue non è tutto, chiaramente. La nazione lombarda è tale non solo per un comune aspetto antropogenetico ma anche per la continuità territoriale padano-alpina e per la condivisione di mentalità, indole, spirito che nei secoli ha forgiato la comunità etnonazionale grande-lombarda. La Lombardia è l’unico Paese dei lombardi.

Il lombardesimo prescinde da centralismi, regionalismi, autonomismi, federalismi e secessionismi, ossia da questioni riguardanti strettamente la politica e l’ordinamento dello Stato; esso è, anzitutto, ideologia militante, formazione culturale e azione metapolitica, che pongono al di sopra di tutto il sangue del popolo, il suolo dei padri, lo spirito nato dall’incontro dei primi due. Va da sé che la coerenza e la sete di radicalità lo inseriscano nel quadro dell’indipendentismo anti-mondialista, per liquidare l’innaturalità dell’italianismo dalle Alpi alla Sicilia, e di un europeismo indogermanico “imperiale” che non abbia nulla a che vedere con l’Unione Europea (e la Nato con gli Usa).

Al di là di ciò il fulcro lombardista è la ferrea volontà etnonazionalista di affrancamento dell’identità storica nazionale delle Lombardie, che conservano una facies etno-culturale unica all’interno del panorama europeo, e che nulla c’entra con le plaghe italiche originali, quelle dalla linea Massa-Senigallia in giù, per capirsi.

A tutt’oggi, punti fermi del lombardesimo, portati avanti non solo da chi scrive ma anche dall’associazione (meta)politica Grande Lombardia, sono i seguenti:

Etnonazionalismo – Il vero e serio nazionalismo, basato sul sangue, sul suolo, sullo spirito di un popolo, e non sulle invenzioni massoniche e giacobine che animano i finti Stati nazionali come l’Italia e i contemporanei dell’Europa occidentale, le cui insegne sono repliche del tricolore francese. Di conseguenza, l’etnonazionalismo lombardo non può che essere indipendentista e votato all’affrancamento della Grande Lombardia dal giogo italiano. Altresì, l’etnofederalismo (o nazional-federalismo) può essere un’opzione solo tra fratelli, nel quadro grande-lombardo, sebbene personalmente ritenga il decentramento – in un contesto relativamente omogeneo – pericoloso. Gli statuti autonomi vanno aboliti.

Irredentismo – La liberazione dal giogo straniero di quelle terre lombarde che non sono state ancora ricongiunte al grosso della nazione, vale a dire Nizzardo, “Svizzera” lombarda, Venezie restanti (Istria e dintorni), per citare le principali. Il tutto in un contesto imperiale, confederale, “euro-siberiano”. Chiaramente, l’emancipazione più urgente è quella dalla Repubblica Italiana e dall’occupazione delle forze mondialiste.

Identitarismo – La difesa dell’identità lombarda è amore per la propria stirpe, la propria terra, e la propria cultura, non è odio, e non lo è nemmeno la salvaguardia identitaria militante della propria nazione, che si realizza opponendosi alla globalizzazione, alla società multirazziale, all’immigrazione, all’italianismo artificiale e all’europeismo cialtronesco targato Ue, a ben vedere tutte magagne che avversano lo stesso concetto genuino di nazione. Se tuteliamo i nostri beni e prodotti perché non tutelare anche chi li ha concepiti e realizzati?

Tradizionalismo – Recupero e difesa delle tradizioni popolari che rischiano l’estinzione, dalle religioni tradizionali (precristiana e cattolico-romana, ambrosiana) al folclore, dalla cura delle lingue locali – milanese classico (il lombardo per antonomasia) su tutte – alla genuina mentalità contadina o montanara. Tradizionalismo è anche e soprattutto l’attaccamento agli immortali valori spirituali (indo)europei oggi minacciati dal pluralismo e dal relativismo, assorbiti nel tempo dal cristianesimo latino. Il patriarcato, l’eterosessualità, l’endogamia, la spiritualità sono seme di rinascita identitaria e tradizionale, nel segno della vera identità europide.

Etnicismo – Lo studio dell’antropologia umana, fisica e della genetica delle popolazioni, al fine di riscoprire le proprie radici e approfondire la conoscenza di noi stessi, dei nostri avi e dell’Europa. La cultura è alla base di tutto, sconfigge l’oscurantismo anti-identitario e anti-comunitario e corrobora l’attaccamento alle proprie origini, soprattutto oggi che gli europei/europidi sono in via d’estinzione. Altresì, occorre sviluppare una visione razzialista, che non significa razzista: riconoscere l’esistenza delle razze umane, battersi per preservarle (ciascuna nel proprio habitat naturale) anche mediante endogamia e rinvigorimento della natalità indigena, e promuovere una necessaria separazione continentale, indispensabile per sconfiggere il dispotismo mondialista e ogni nefasto prodotto della globalizzazione.

Econazionalismo – La salvaguardia del suolo che deve assolutamente andare di pari passo con quella del sangue, altrimenti lo sterile ambientalismo progressista consegna la nostra terra alle storture del sistema-mondo e della società multirazziale, che della natura sono mortali nemici (non conoscendo questa le menzogne del politicamente corretto e delle ideologie “democratiche”). L’immigrazione disgrega il tessuto etno-sociale originale del territorio e devasta anche (quanti non ci pensano) l’ambiente circostante (cementificazione, sovrappopolazione, inquinamento). La Lombardia etnica è stata ed è, per l’appunto, teatro di questa barbarie. Se si preserva l’habitat naturale bisogna anche salvaguardare chi lo popola da millenni; in caso contrario l’ecologismo diventa insopportabile ipocrisia salottiera.

Panlombardismo – L’identitarismo lombardo che riunisce sotto le sacre insegne lombardiste tutti i territori etno-geo-linguisticamente lombardi, alpino-padani, galloromanzi cisalpini, dunque Insubria, Orobia, Emilia, Piemonte, Valle d’Aosta, allargando successivamente lo sguardo e il campo d’azione a ciò che è Grande Lombardia, ossia l’intera Padania, a partire dal resto dei territori gallo-italici, cosiddetti.

Razionalismo – Il salutare culto della ragione, non come assolutismo illuminista-rivoluzionario (di fatto irrazionale), che culmina nel materialismo zoologico occidentale e nel positivismo, ma come faro che ci guida e illumina nelle scelte di tutti i giorni, sbarazzandosi così di ogni superstizione, o sentimentalismo, che zavorrano la Lombardia mortalmente e si rivelano incoerenti con una visione genuinamente identitaria, in quanto indoeuropea. Tempo di mettere giudaismo, islam, eresie varie del cattolicesimo e ciarpame new age alla porta e di ridurre a zero l’ingerenza postconciliare negli affari di Stato, investendo massicciamente su scuola, università, ricerca e naturalmente cultura. Tagliare i ponti con la Roma contemporanea, anche spiritualmente: guardiamo con simpatia all’ipotesi di una Chiesa nazionale lombarda che si ispiri al cattolicesimo ambrosiano, tradizionalista.

Socialismo – Socialismo nazionale, naturalmente, la lotta non più di classe e universale ma identitaria applicata alla nazione, la Lombardia nel nostro caso. Tutti devono concorrere al benessere della società, nella convinzione che libertà non è fare quel che si vuole ma promuovere il bene della comunità nazionale, dei popoli lombardi. No al capitalismo, all’affarismo, al consumismo e all’edonismo, a liberalismo/liberismo/libertarismo, alla vita per il lavoro (invece del contrario) e al feticcio del fatturato, e a tutto quello che ruota attorno all’individualismo e ai suoi bassi appetiti borghesi, minando le fondamenta di una grande famiglia nazionale unita, coesa e solidale. E no anche all’altra faccia della medaglia, al progressismo, che non è altro che trotskismo “laico”, ossia ecumenismo, classismo ipocrita al contrario, fra connazionali, ed internazionalismo sradicatore. La Lombardia ai lombardi, non solo come buonsenso identitario ma anche come interruzione dello sfruttamento dell’immigrazione da parte di coloro a cui fa comodo (industriali senza scrupoli, plutocrati, cosiddetti “moderati”, socialdemocratici, assistenzialisti, preti postconciliari).

Comunitarismo – Il robusto spirito d’appartenenza promosso a partire dalle comunità locali, luoghi dove prendere coscienza delle proprie origini granlombarde e sviluppare l’identitarismo, fondamentale per lottare coerentemente e raggiungere la salvazione e la liberazione delle Lombardie. La promozione della solidarietà e del mutuo soccorso tra connazionali, agevolata dal radicamento etnonazionale, aiuta a ritrovare il contatto non solo umano (e famigliare) ma anche con la natura e l’ambiente incontaminato, proponendo modelli di vita eco- ed etno-sostenibili. Dallo spirito comunitario, la famiglia naturale e tradizionale, patriarcale, lombarda, base della società; una società fedele al proprio passato ma rivoluzionaria nei confronti del presente occidentale, sana e rinsanguata da giovani eroi del quotidiano. Servono una Lombardia e un’Europa dei forti, non dei furbi. I vincoli biologici e socioculturali di razza, sottorazza ed etnia sono sacri ed inviolabili.

Ruralismo – Il modo migliore per assaporare direttamente sangue e suolo, entrando in contatto con la natura, promuovendo il contadinato e adoperandosi per edificare una famiglia endogamica, con prole, che possa trovare il tempo di immergersi nella dimensione ideale per ogni uomo, di cui la Grande Lombardia è ricca grazie a monti, colline, boschi, campagne, laghi e coste. Lo scenario naturale, assieme ad agricoltura, allevamento e caccia e pesca (responsabili), aiuta a recuperare la sfera più intima di ogni lombardo; da sempre il nostro Paese (quello vero) è identificato col mondo rurale, e dobbiamo esserne orgogliosi.

Indoeuropeismo – Tradizionalismo culturale di stampo ario (ossia indoeuropeo, per chi non lo sapesse), per onorare coloro che hanno plasmato, soprattutto spiritualmente e culturalmente, la nostra grande famiglia europide. La mentalità e l’etica dei nostri avi indoeuropei, soprattutto Celti e Veneti (ma anche Romani e Longobardi), mostrano la via, una via caratterizzata da ethos patriarcale, conservatore nel giusto, virile, battagliero, solare, incline alla politica, alla filosofia, alla vita militare e di studio, e all’interesse, dunque, per la propria comunità nazionale, anche per poter promuovere una società aristocratica (nel senso etimologico del termine) che un domani si occupi seriamente del governo della nazione grande-lombarda liberata, avendo a proprio favore, finalmente, il merito.

Europeismo völkisch – Non più l’europeismo unionista consueto, fatto di Stati senza nazione e spina dorsale, ma un patriottismo europide etnico e confederale che possa studiare un disegno di consorzio “imperiale” con o alleato della Russia e in buoni rapporti col mondo eurasiatico indoeuropeo (senza più enti sovranazionali e mondialisti a minare la sovranità nazionale), ma anche con le comunità bianche sparse per la terra che rifiutano il globalismo all’americana. Basta unioni che europee sono solo di nome, sì invece ad un sacro consesso “euro-siberiano” dove nazioni omogenee, altamente identitarie, costituiscano la base di una rinascita dell’intramontabile sogno imperiale/ghibellino nato con Roma, naturalmente in chiave contemporanea e razzialmente compatta. L’Europa non deve e non può abdicare al proprio ruolo di culla della civiltà e per farlo, se necessario, deve saper adottare anche un punto di vista isolazionista nei riguardi del terzo/quarto mondo e delle aggressive economie emergenti.

Presidenzialismo – Una repubblica lombarda basata sull’elezione di un solo presidente, che sia capo dello Stato e del governo, eletto direttamente dai lombardi senza intralci parlamentari. La scelta al popolo sovrano. Niente più soluzioni all’italiana con tanto di costituzione antifascista, con governi tecnici (ossia plutocratici), primi ministri non eletti e culto liberticida di presidenti non voluti direttamente dal popolo, che nonostante il prestigio simbolico vengono venerati come monarchi illuminati passibili di lesa maestà.

Dirigismo – Logica conseguenza del socialismo nazionale, dove le redini della grande industria strategica, dell’economia, del mercato, e della sovranità monetaria (liquidazione dell’euro) vengano direttamente impugnate dallo Stato, che deve dettare la linea da seguire e che unico può, se eretto come si deve, garantire gli interessi nazionali granlombardi. Non statolatria e dispotismo, ma salubre nazionalizzazione e doveroso protezionismo, con interesse per soluzioni corporative. La Lombardia deve conquistare autorità e sovranità, in nome dell’originalità della sua identità nazionale.

Cristianesimo e paganesimo – Le uniche due forme di religiosità accettabili, cattolicesimo romano (preconciliare) e gentilità ariana. Giusto salvaguardare le radici romano-cristiane (non quelle, fantomatiche, giudeo-cristiane), ma anche le primigenie, ossia le pagane, senza arrivare a scontri confessionali: lo Stato deve rimanere laico, che non significa ovviamente ateo, laicista e pluralista. Lecito il recupero culturale della religiosità tradizionale legata alla gentilità precristiana (celtica, romana o germanica), senza però dimenticare che il cammino iniziatico di questi culti si è interrotto millenni fa. La spiritualità può tranquillamente conciliarsi col razionalismo, perché la prima è riflessione, meditazione, contemplazione ma anche edificazione collettiva di una religione civica nazionale. Naturalmente, non vi è contraddizione con il punto razionalista precedente, se si tratta appunto delle religioni pagane genuinamente identitarie e legate etnicamente alla Lombardia, e della cristianità cattolica, radicata da duemila anni nel nostro Paese e debitrice della gentilità indogermanica. La fede, ad ogni modo, non deve intralciare le politiche etnonazionaliste, ma fare il bene della patria.

Questi punti rispecchiano la personale visione del mondo sizziana delineatasi concretamente dal 2006 in avanti, nel periodo, cioè, in cui il Nostro ha cominciato ad interessarsi seriamente di politica, metapolitica e cultura. Nel tempo s’è raffinata ed evoluta in un pensiero più serio, razionale e concreto, pronto a spiccare nuovamente il volo verso l’indipendentismo – dopo la parentesi italianista etnofederale – doverosamente etnonazionale, non certo liberale o progressista. Destra? centro? sinistra? vuote etichette senza alcun significato: conta la Lombardia, e chi la incarna per vincoli biologici, territoriali e culturali (etnici e nazionali).

Ora di dire basta alle menzogne, né Italia né Padania leghista, è giunto il momento dell’autoaffermazione nazionale della Lombardia, quella etnica e storica, vera, racchiusa nel bacino idrografico del Po ma proiettata nel suo naturale spazio vitale cisalpino, all’interno di un quadro “eurusso” dove i destini dei popoli e delle comunità etnoculturali vengano comunque prima di qualsivoglia forma di Stato. In questo senso sarebbe basilare un’intesa tra tutte le realtà nazionali dell’arco alpino. La nazione giustifica lo Stato, non viceversa, e se questo non aderisce a stringenti criteri identitari va messo in discussione. La Repubblica Italiana è da archiviare in quanto entità multietnica priva di carattere nazionale. Al suo posto, in ambito padano-alpino, deve sorgere una repubblica che rappresenti degnamente le due principali anime della Grande Lombardia: quella occidentale, celto-ligure, e quella orientale, reto-venetica, comunque accomunate dalla gallo-romanità e dall’epopea longobarda e lombarda in senso medievale.

Solo il lombardesimo può salvare la Lombardia rendendola di nuovo Grande, mediante la sapiente opera etnonazionalista di rivoluzione nella riorganizzazione territoriale e amministrativa delle nostre terre padano-alpine; l’etnonazionalismo völkisch in chiave lombardista non ha nulla da spartire con le cialtronerie padaniste o con le sceneggiate neofasciste/neonaziste, perché si tratta di non rinunciare alla nostra realtà etno-razziale, declinata in senso panlombardo, e alla sua legittima difesa totale, così come al legittimo diritto di autodeterminazione anti-mondialista del sovrano popolo lombardo.

Ci lasciamo alle spalle il banale italianismo per riconciliarci a pieno regime con la rivoluzione lombardista, pur non avendo mai abbandonato e rinunciato alla doverosa battaglia comunitarista volta a salvaguardia, preservazione e realizzazione biologiche ed etniche dei Lombardi, un insieme di genti affratellate e distinte dagli italiani e dagli altri europei. A che giova dimenarsi nell’amorfa massa sovranista quando possiamo essere, con rinnovato fervore, gli araldi di una dottrina originale, da noi stessi plasmata e divulgata? Ma, soprattutto, perché impantanarsi nell’italianità quando il nostro sangue, il nostro suolo, il nostro spirito parlano lombardo?

Le Lombardie

Estensione della Lombardia etnica

Una battaglia fondamentale, e del tutto innovativa, portata avanti dal lombardesimo (e dalle associazioni ad esso ispirate come il Movimento Nazionalista Lombardo prima e Grande Lombardia poi) è quella relativa al concetto di ‘Lombardia’ (e parallelamente di ‘lombardi’), nonché al corretto utilizzo dei due termini.

Nel linguaggio comune si tende infatti a utilizzare il termine ‘Lombardia’ per identificare la suddivisione amministrativa denominata ‘Regione Lombardia’, creata nel 1970 dalla Repubblica Italiana, e il termine ‘lombardi’ per identificare gli abitanti del citato ente politico.

Ovviamente, se il chiamare la ‘Regione Lombardia’ semplicemente ‘Lombardia’ fosse soltanto una contrazione sbrigativa usata nel linguaggio comune, e se si fosse consci che l’ente politico non coincide con la terra lombarda, non esisterebbe alcun problema.

Purtroppo non è così: moltissime persone sono convinte che la Lombardia sia la Regione italiana omonima e duole constatare che questo fraintendimento esista perfino in ambito accademico e culturale!

Per spiegare gli errori grossolani dietro a questo diffuso equivoco interpretativo bisogna innanzitutto chiarire che, parlando di una “nazione”, si può cadere in un’altra trappola semantica poiché nel linguaggio comune si confondono sovente i termini ‘Stato’ e ‘nazione’, ritenendoli addirittura dei sinonimi in innumerevoli casi!

Tuttavia, i lemmi in oggetto hanno accezioni completamente diverse: se la parola ‘Stato’ rappresenta un ordinamento giuridico-politico che esercita il potere sovrano su un determinato territorio, e sui soggetti ad esso appartenenti, la parola ‘nazione’ identifica un complesso di persone che, avendo in comune caratteristiche quali la storia, la lingua, il territorio, la cultura e l’etnia, si identifica in una comune identità a cui essi sentono di appartenere (sentimento nazionale).

Se identificare uno Stato è un’operazione molto semplice e oggettiva, perché basta individuare un ordinamento che eserciti un potere sovrano, identificare una nazione è molto più complicato perché l’individuazione degli elementi caratterizzanti (storia, lingua, territorio, cultura ed etnia) richiede una maggiore valutazione soggettiva.

Ecco perché il lombardesimo vuole battersi per dare finalmente volto etnonazionale alla Lombardia (archiviando l’esperienza nell’entità statuale del tricolore), cosicché il campo sia sgombrato, una volta per tutte, da banalizzazioni, incomprensioni e inflazioni figlie anche dei confusionari in camicia verde. I danni del leghismo (vecchia scuola e nuovo corso) si ripercuotono pure sulla geopolitica cisalpina, ossia lombarda.

Dopo un lungo studio degli elementi caratterizzanti le popolazioni abitanti la Regione Lombardia e i territori limitrofi, si è giunti alla conclusione che la terra lombarda genuina, quella che andremo a designare come ‘Lombardia etnica’, comprende le seguenti caratteristiche: da un punto di vista storico, oltre a essere stata definita come Lombardia fino all’inizio dell’Ottocento, ha fatto parte della Gallia Cisalpina e del Regno longobardo, ha dato origine ai liberi comuni, all’epopea della Lega Lombarda e alle signorie, segnatamente a quella unificatrice dei Visconti; da un punto di vista linguistico, ha sviluppato le lingue galloromanze cisalpine; da un punto di vista territoriale, consiste nel bacino idrografico del fiume Po, delimitato da Alpi e Appennino; da un punto di vista culturale, ha sviluppato una civiltà che è anello di congiunzione fra Mediterraneo ed Europa centrale; da un punto di vista etnico, ha radici celto-liguri e galliche (romanizzate), con periferici contributi reto-etruschi, cui si è aggiunta una contenuta componente germanica (longobarda in particolare, a cui dobbiamo, del resto, il nostro etnonimo).

Basta quindi andare a verificare empiricamente questi punti per rendersi conto che, oltre ai territori sotto la giurisdizione dell’ente precedentemente nominato, la vera Lombardia comprenda anche la Regione Piemonte, la cosiddetta “Emilia” fino al confine storico rappresentato dal Panaro (che anticamente correva lungo il corso dell’estinto Scoltenna-Panaro, grossomodo sul confine provinciale di pianura che separa il Modenese dal Bolognese), il Canton Ticino, la Valle d’Aosta, il Trentino occidentale e alcuni lembi di terra del bacino imbrifero padano.

Il concetto di ‘Grande Lombardia’, che il lombardesimo, parimenti, propaganda, riguarda invece, in buona sostanza, tutto il settentrione della Repubblica Italiana, avente una precisa fisionomia che lo distingue dal resto dei territori “italiani” e il cui perno è, appunto, rappresentato dal fulcro della Lombardia etnica, e cioè il territorio padano-alpino designato poc’anzi.

La Cisalpina è una regione europea caratterizzata da una geografia subcontinentale (non peninsulare), da un clima submediterraneo temperato (eccetto l’area costiera ligure), da una conformazione alpino-padana che la colloca a metà strada fra il Mediterraneo e la Mitteleuropa; etnicamente parlando, è figlia della famiglia indoeuropea celtica e venetica (“italo-celtica”), corroborata dal comune elemento gallico, con degli influssi mediterranei e germanici; linguisticamente, appartiene al ramo occidentale delle lingue romanze, a differenza dell’Italia etnica che è romanza orientale; culturalmente, si inscrive in quell’anello di congiunzione fra Europa meridionale e centrale su cui si è costruita la nostra stessa storia, a cavaliere tra romanità e celto-germanicità.

Tutto ciò riguarda intimamente anche la sfera propriamente biologica (in senso antropologico e genetico) dei volgarmente detti “padani”, che fisicamente presentano un aspetto sovente mitteleuropeo (che non significa necessariamente germanico, precisiamo) e geneticamente si distanziano dall’Italia grazie alla maggiore eredità mesolitica, neolitica occidentale, steppica/indoeuropea e nordica. Per non parlare del dato esotico che interessa da vicino, in particolar modo, l’Italia estrema. Ciò sia detto senza alcuna venatura razzista, intendiamoci.

Siccome parlare di “padani”, di cisalpini o di “italiani” settentrionali significa perdere di vista la squisita accezione etnica e nazionale che ci riguarda, è decisamente doveroso parlare di granlombardi, indicando per l’appunto come Grande Lombardia tutta la mezzanotte della Repubblica Italiana.

Vi sono alcuni territori marginali che potrebbe apparire forzato chiamare (gran)lombardi, ma essendo parte integrante del continuum alpino-padano, “italo-celtico” (che significa proto-celtico/celto-ligure, celtico, venetico, proto-italico, gallico) e galloromanzo cisalpino non possono essere esclusi dal novero; mi riferisco a Liguria, Romagna storica, lagune venete, Venezia Giulia, zone peraltro poco o punto interessate dalla dominazione longobarda.

Ci sarebbero poi ambiti come quello valdostano, tirolese meridionale e isontino-istriano che esulano da un genuino discorso granlombardo, essendo popolati da minoranze straniere; tuttavia, quelle zone rientrano nello spazio geografico padano-alpino e, storicamente, prima dell’avvento delle minoranze suddette, il popolamento era cisalpino romanizzato.

I confini di questo areale granlombardo, che si potrebbe dividere in un troncone occidentale e uno orientale, sono le Alpi a nord, le Alpi e il fiume Varo a ovest, l’Appennino tosco-lombardo (corroborato dalla linea linguistica Massa-Senigallia) e il fiume Misa a sud, le Alpi, il torrente Eneo e il Quarnaro a est. Le due subregioni sarebbero una granlombarda occidentale (celto-ligure e linguisticamente lombarda) e una granlombarda orientale (reto-venetica con influssi mittel), sebbene la distinzione canonica rimanga comunque quella tra Lombardia etnica e Grande Lombardia. Si potrebbe, infatti, anche parlare di una Lombardia linguistica sia in senso ristretto (ossia quella in cui si favella la variante “lombarda” transpadana del cosiddetto “gallo-italico”) che in senso allargato (l’area “gallo-italica” cosiddetta, e la famiglia linguistica “gallo-italica”, a ben vedere, può essere tranquillamente definita lombarda).

Oltre alla Lombardia etnica fanno parte della Grande Lombardia: Nizzardo, Liguria/Genovesato, Lunigiana, Emilia orientale, Romagna, Ager Gallicus, Veneto, Trentino, Tirolo meridionale, Friuli, Venezia Giulia storica (l’attuale più Goriziano, Litorale, Carso, parte della Carniola interna, Istria, Fiume, Quarnaro).

Lo spazio lombardo-etnico e grande-lombardo è stato determinato combinando l’aspetto geografico (che non è un’opinione) con quello etnolinguistico e culturale (che a volte è assai controverso), affidandosi al primo criterio laddove serviva delimitare il territorio con precisione, ed è il caso del confine tra Lombardia etnica e Grande Lombardia e tra Grande Lombardia e aree extra-lombarde. Ciò è stato fatto sia in senso inclusivo che esclusivo, e infatti potete verificare come territori oggi amministrativamente sotto le regioni settentrionali della Repubblica Italiana, o comunque per certi versi storicamente “italiani”, siano stati esclusi proprio perché appartenenti ad altre regioni geografiche europee.

Un dato culturale interessante è quello rappresentato dalla considerevole presenza sul territorio di medievali croci lombarde, ossia quella di San Giorgio (guelfa) e quella di San Giovanni Battista (ghibellina), impiegate come stemmi comunali; la precipua è la prima, simbolo del comune di Milano e della Lega Lombarda, e anche di Genova e della sua antica repubblica, ma degna di nota è pure la seconda, emblema militare del Sacro Romano Impero che inglobò il Regno d’Italia medievale post-longobardo (fondamentalmente la Grande Lombardia con la Toscana), nonché simbolo della sua capitale Pavia, già capitale longobarda. Per citare i principali centri grandi-lombardi aventi tali stemmi ricordiamo: la capitale ideale Milano, Bologna, Genova e poi Oneglia (Imperia), Ivrea, Alba, Novi, Acqui, Alessandria, Bobbio, Vercelli, Varese, Lecco, Mantova, Reggio di Lombardia, Padova, Rimini (Croce di San Giorgio); la capitale morale Pavia, Susa, Aosta, Mondovì, Cuneo, Asti, Novara, Lugano, Domodossola, Como, Bormio, Borgo San Donnino (Fidenza), Vicenza, Treviso, Castelfranco, Ceneda, Forlì (Croce di San Giovanni Battista).

Il tema dello scudo crociato, al di là dei colori, è comunque diffusissimo nella Pianura Padana (e le origini della croce, prima che cristiane, sono ariane e pagane). Importante, però, è il cromatismo biancorosso, tipicamente alpino-padano, contrapposto al giallorosso mediterraneo di origine romana. Il Biscione è invece uno squisito emblema della Lombardia etnica, il simbolo più originale del popolo lombardo.

Il fulcro dell’azione (meta)politica lombardista è, ovviamente, la Lombardia etnica, ma l’areale grande-lombardo individuato è anch’esso parte della Lombardia nella sua accezione storica allargata, plasmatasi nel Medioevo: si tratta della, approssimativamente detta, “Alta Italia”, della Gallia CisalpinaLangobardia Maior, ambito etno-culturale distinto, grazie ad una identità e ad una tradizione peculiari conclamate, dal resto dell’Europa, a cominciare dall’Italia vera e propria, quella etnica. La Lombardia è, dunque, una nazione a tutti gli effetti, mentre la Repubblica Italiana un semplice Stato (a nostro avviso fallimentare), privo di qualsivoglia carattere etnonazionale.

La nazione dei lombardi possiede, indi, tutti gli elementi caratterizzanti una regione etnica e storica europea, dal profilo patrio, incastonata nell’Europa centromeridionale. Certamente, esiste un indebolimento della coscienza identitaria e del senso di appartenenza, tra i nativi, frutto della frammentazione secolare del popolo lombardo che ha sviluppato un particolarissimo continuum etnolinguistico e culturale (la lingua veneta è modellata sul veneziano e, nel Medioevo, Verona, Trento e le altre aree non lagunari si avvicinavano alle parlate lombarde classiche, come attestano Dante e il pavano, grazie al riemergere del comune substrato gallico). Tuttavia, il fenomeno è palesemente reversibile, sebbene richieda una ipotetica suddivisione amministrativa in numerosi cantoni relativamente omogenei, raggruppati in regioni a fini statistici e demografici.

Estensione della Grande Lombardia

Ritorno alle origini

P. Sizzi

Un anno fa, dopo un settennio trascorso all’insegna della conciliazione fra pensiero lombardista e italianismo etnofederale, decisi di riabbracciare in toto il lombardesimo delle origini, tornando sulle mie posizioni etnonazionaliste iniziali incentrate sull’autodeterminazione lombarda e sull’identitarismo etnico applicato al contesto cisalpino. Tale svolta fu il frutto di una riflessione estiva motivata dall’esigenza di una rinnovata coerenza comunitaria (dunque nazionale e sociale), dove sangue, suolo e spirito venissero ricollocati al centro del dibattito senza più compromessi; la decisione fu agevolata dalla pubblicazione di alcuni studi di genetica delle popolazioni (da affrontare più avanti) che ribadivano con forza non solo la straordinaria eterogeneità – unica in Europa – di ciò che oggi chiamiamo Italia, ma anche quanto andava emergendo nelle ricerche degli anni precedenti: il contributo esotico, antico e recente, al genoma italico, ossia centromeridionale (segnatamente meridionale).

Avremo modo di parlare compiutamente della questione genetica italiana, ma sin da ora appare utile sottolineare come il dato biologico, nell’ottica sizziana, rimanga fondamentale al fine di plasmare un concreto e lineare pensiero politico-ideologico che poggi su solide basi etnoantropologiche: stirpe e terra, dunque la patria sublimata dal radioso spirito indoeuropeo, sono sempre state le irriducibili guide della visione del mondo del sottoscritto, non per razzismo o suprematismo ma per questioni di serietà, trasparenza e coerenza; il dato razziale (inteso come origine, nazione, discendenza) esige una salutare radicalità che nelle destre di ogni tempo viene meno ma che in ambito etnonazionalista rappresenta il fulcro della filosofia völkisch.

Il Sizzi nasce lombardista, l’originalità del lombardesimo fa parte della sua cifra ideologica e politica, nonché culturale ed antropologica, ed era dunque giusto e doveroso recuperare il senso del messaggio primevo lasciandosi alle spalle l’esaurita esperienza italianista. A maggior ragione è doveroso in un momento in cui trionfa il sovranismo tricolore sposato persino da coloro che un tempo si dicevano padanisti ma che, in realtà, sono sempre stati ambigui, ondivaghi e opportunisti. La Lombardia, ovviamente nella sua accezione etno-storica, non ha affatto bisogno di patriottismo italiano (non essendo Italia in senso nazionale) bensì di identitarismo genuino e di affrancamento da ogni giogo imposto dal sistema-mondo, a partire dalla gabbia statolatrica romana.

L’indipendentismo è dunque la logica conseguenza dell’azione metapolitica e politica lombardista, sebbene personalmente abbia sempre visto la dottrina etnonazionalista come prioritaria; infatti, l’etnonazionalismo presuppone, nel contesto padano-alpino, l’istanza indipendentista, ma non viceversa. Sappiamo, per l’appunto, che il separatismo europeo è solito sventolare lacere bandierine progressiste, a differenza del lombardesimo che è invece degna espressione etnonazionale del pensiero völkisch. Una comunità, una patria, un insieme di popoli omogenei coesi da identità e tradizione trovano il proprio fondamento nella natura e nella cultura, non certo nelle chiacchiere (o, meglio, nelle fanfaluche) della sinistra internazionalista che vede fascisti e razzisti in ogni dove.

Alla luce di quanto esposto era meritorio, da parte mia, un recupero integrale della dottrina lombardista – del resto da me forgiata – e un conseguente riavvicinamento agli storici sodali e al soggetto da me fondato, Grande Lombardia, erede del Movimento Nazionalista Lombardo (anch’esso frutto delle elucubrazioni e dell’azione sizziana). Attualmente GL è ibernata ma rimane l’unica associazione ideale nel panorama (meta)politico cisalpino, pur non appartenendovi più; i capisaldi della compagine sono quelli del sottoscritto, a partire da etnonazionalismo e panlombardismo. Unica differenza sta nel fatto che, nel tempo, ho abbandonato il ripudio del cristianesimo cattolico, optando per una conciliazione tra le due grandi componenti spirituali europee: la cristiana e la gentile (per quanto quest’ultima, oggi, sia inconsistente).

Precisiamo: non mi ritengo religioso e men che meno osservante ma le nostre radici sono indubitabilmente cattoliche, romane e ambrosiane. Per come la vedo, il cattolicesimo va preservato in senso tradizionale e preconciliare, prendendo le distanze dalla contemporanea deriva mondialista della Chiesa, e per quanto possa essere opera velleitaria la Lombardia dovrebbe adottare la visione integrista sganciandosi così dal Vaticano. Un cristianesimo latino sano condanna le contaminazioni giudaiche ed ecumeniste, così come la patetica tendenza al sincretismo buonista che grazie a Bergoglio ha subito un’impennata. Ricordiamoci che il Cristo è l’erede della solarità e dello spirito uranico indoeuropeo, e la rinascita della pietas continentale sta nella salvaguardia della tradizione, non certo nella difesa di un mellifluo monoteismo denominato abramitico (in sostanza, una concessione agli eretici, agli scismatici e soprattutto ad ebrei e musulmani).

La religione è comunque argomento secondario, ai fini politici e ideologici, e la vera svolta del mio personale credo sta nel ritorno alle origini lombardiste dure e pure, abbandonando l’italianismo, ancorché etnofederale, e riprendendo le fila del discorso interrotto nell’aprile 2014. La Lombardia, intesa come nazione storica permeata di schietta identità galloromanza cisalpina, non può dirsi Italia, in quanto figlia di una temperie etnoculturale che si colloca a metà strada fra Mediterraneo ed Europa centrale. L’Italia vera e propria è, invece, l’ambito peninsulare e insulare (Corsica e Sicilia) coeso dal dato italico-romano, romanzo orientale, puramente meridionale (nel quadro europeo) e influenzato dal mondo greco. Ritengo non si tratti di materia opinabile, anche perché lo stesso nome ‘Italia’ nasce nell’estremo sud ausonico.

Va da sé che il passo successivo al riconoscimento delle specificità lombarde, sia nei confronti dell’Italia che del resto d’Europa, riguardi l’indipendentismo, l’affrancamento identitario volto all’autodeterminazione delle genti padano-alpine, ancorché possa parere utopico. Nell’ottica di un’Europa delle vere nazioni, finalmente liberata dagli enti sovranazionali mondialisti, la Lombardia trova il suo spazio, ovviamente come realtà etnica allargata a tutti i popoli che possono dirsi cisalpini/lombardi; il punto di partenza è il bacino padano, cioè la Lombardia etnica, per poi giungere a tutto quanto il quadro settentrionale, che è la Grande Lombardia del Sizzi.

Lasciandomi alle spalle il periodo italianista, voglio intraprendere di nuovo il cammino völkisch, soprattutto per essere d’esempio ai più giovani, che giustamente anelano a quella intransigenza identitaria che passa per la riscoperta del patrimonio etnoantropologico natio. Non tornerò mai più indietro ma insisterò sulla bontà dell’etnonazionalismo, che a mio dire è l’unica ideologia capace di dare un senso profondo e rinnovato alle legittime aspirazioni patriottiche di popoli troppo spesso imprigionati in mere entità statuali, totalmente prive di connotati etnici e nazionali unitari. È questo il caso della Repubblica Italiana, espressione di un Occidente massificatore e standardizzante a guida americana che tiene completamente in non cale identità e tradizione. Riscoprire i primordi lombardisti è dunque basilare, e il mio augurio è quello di essere un modello positivo per tutti coloro che non piegano il capo di fronte all’omologazione di nazioni annichilite e umiliate da una globalizzazione inevitabilmente priva di valori, in quanto beceramente fondata sull’arido dato finanziario.