Consentire l’adozione spontanea di alcune piccole misure eugenetiche a fini preventivi (si sottolinei, preventivi) e terapeutici. Non esistono vite degne o indegne di essere vissute, biologicamente parlando, ma i comportamenti responsabili volti al benessere della comunità sono servigio di carattere sociale e patriottico. Occorre rivalutare la riapertura dei manicomi (anche criminali) o di altri istituti specifici per gestire soggetti problematici, asociali, inabili, onde evitare ricadute che impattino sull’armonia della collettività nazionale. Siamo possibilisti, inoltre, di fronte ad aborto ed eutanasia, qualora intrapresi per il bene soprattutto comunitario. Un’altra emergenza da gestire, sebbene non riguardi la Lombardia direttamente (ma indirettamente, dati i flussi migratori massicci, sicuramente sì), è quella relativa al tasso di fertilità del sud del pianeta, che ha raggiunto livelli insostenibili: urge, pertanto, una perentoria politica di controllo delle nascite, anche per tutelare l’ambiente medesimo. La natalità esorbitante del terzo/quarto mondo è una vera e propria bomba demografica, che va disinnescata il prima possibile, date le ricadute negative sulla stessa Europa, approdo di una marea di disperati. Oltretutto, lo ribadiamo: l’immigrazione di massa non risolve problemi, li crea, pure agli stessi migranti, e di fronte alla miseria imperante non sarebbe il caso di riprodursi senza posa.
Tornando all’eugenetica – termine, mi rendo conto, che può ingenerare spiacevoli fraintendimenti -, c’è da dire che il lombardesimo non vuole assolutamente misure drastiche e amorali, o coatte, ci mancherebbe, ma soltanto atteggiamenti responsabili dei futuri genitori, di fronte all’opportunità di accurati controlli volti alla salute della progenie. Chiaramente parliamo di adozione spontanea, per quanto caldeggiata, il che significa che una coppia può tranquillamente decidere, ad esempio, di dare alla luce un figlio handicappato, pur sapendo che la donna porta in grembo un feto disabile, o deforme. È un argomento estremamente delicato, e non vogliamo certo entrare a gamba tesa in decisioni che, peraltro, non ci riguarderebbero (da un punto di vista esterno). Ma, allo stesso tempo, non vediamo nulla di male nel promuovere – in maniera naturale – una coscienza patriottica che punti all’integrità preventiva della stirpe, anche perché l’invalidità è una condizione dolorosa, per i malati e i famigliari. Il malato non è la malattia ma, bando all’ipocrisia, sappiamo bene quanta sofferenza comporti una vita resa ostica da handicap. Una cosa, tuttavia, deve essere chiara: massimo rispetto e comprensione per i disabili, anche per quanto concerne il supporto delle famiglie e netta condanna di ogni forma di disprezzo e discriminazione. Chi ha la fortuna di essere sano e abile deve essere grato all’esistenza, e questo equivale a servire, con l’esempio, la propria comunità.
