Il lombardesimo è una dottrina che ha particolarmente a cuore, chiaramente, l’identità lombarda, tanto da giungere a definire chi, effettivamente, può dirsi lombardo. Vi sono due scuole di pensiero, per così dire, all’interno dell’ideologia lombardista, una sizziana e una seconda fatta propria dal movimento Grande Lombardia e che appare più moderata rispetto alla prima. Secondo i criteri di Paolo Sizzi, è lombardo chi ha almeno i 4 nonni biologici, ovviamente europidi, cognominati alla lombarda e la cui residenza in Lombardia risalga almeno al 1900. Secondo quelli di Grande Lombardia, comunque assai affini ai sizziani, è lombardo chi ha almeno 2/4 famigliari cisalpini e altri 2/4 europei, presentando aspetto genetico pienamente bianco.
Sizzi si concentra maggiormente sull’aspetto squisitamente padano-alpino, lasciando intendere che il soggetto non deve avere origini esotiche, pensando soprattutto a popolazioni europee periferiche (come i sud-italiani) ma prima ancora agli allogeni veri e propri, che con l’Europa non hanno nulla a che vedere. In tale ottica possono essere tollerabili blandi apporti di genti compatibili con i lombardi, e in questo senso la mente corre a quelle alpine, francesi, tedesche centromeridionali e nord-italiane (vale a dire corsi e toscani). Escludiamo dal novero le genti incompatibili, come per l’appunto gli stessi ausonici. Va da sé che qui non si parli di razzismo o discriminazione, ma semplicemente di compatibilità , data da elementi biologici, antropologici, culturali. La dignità dell’essere umano non è messa in forse.
Il “problema” delle popolazioni europee più periferiche è quello di avere contributi genetici esotici, anche recenti, che andrebbero a diluire l’aspetto genomico schiettamente europide. Ma si tratterebbe anche di ragioni culturali, linguistiche, antropologiche, e cioè di un etnicismo – rispettoso, ad ogni modo, della genetica – mirato alla preservazione della schiatta alpino-padana, oggi dissanguata dalla meridionalizzazione (in senso italiano) e dal contributo di alloctoni provenienti da ogni dove, anche e soprattutto da aree extraeuropee. Abbiamo il diritto e il dovere di conservare il sangue lombardo e l’etnia lombarda, così come la civiltà nostrana; questo discorso viene sempre fatto per le popolazioni del sud del mondo, ma perché non dovrebbe valere anche per noi? O forse i lombardi e gli europei sono meno meritevoli di tutela e autodifesa etnica?
Vi è poi il pensiero ufficiale di Grande Lombardia, associazione vicinissima a Sizzi, che ha un’impronta certamente più pragmatica e realista, e più razzialista che etnicista. Secondo il movimento, come dicevamo poco sopra, può essere considerato lombardo chi ha almeno un legame di 2/4 con la Padania e, dunque, almeno un genitore lombardo; l’altro genitore, tuttavia, deve essere geneticamente europeo, facendo comunque trasparire che non tutte le popolazioni europee possano essere considerate alla stessa stregua, visto che ne esistono di periferiche (come l’Italia meridionale) il cui statuto antropogenetico è per certi versi ibrido. Lo ius sanguinis, insomma, deve coniugarsi allo ius soli, possibilmente in chiave lombarda, ma ci potrebbero anche stare delle sfumature tollerabili, frutto dei tempi che stiamo vivendo.
Grande Lombardia ha una visuale più moderata, tenendo soprattutto conto della situazione dell’Europa occidentale, che fra immigrazione e abbandono del tradizionalismo (con particolare riguardo alla condizione della donna contemporanea) presenta un quadro drammatico che compromette, spesso e volentieri, la possibilità di una scelta endogamica al 100%. Pertanto, in tal senso, la cosa basilare è conservare almeno metà del patrimonio lombardo, senza comunque sperperarlo con unioni per davvero miste. Tutto ciò perché la definizione della lombardità va di pari passo con la necessità della riproduzione tra simili, in una Cisalpina sommersa dagli allogeni, soprattutto sud-italiani, e priva quasi del tutto di coscienza patriottica panlombarda. Ma pure razziale.
