Lombardesimo e gentilità

L’unica forma di religiosità che il lombardesimo può davvero tollerare è il paganesimo, poiché insieme dei culti realmente tradizionali che caratterizzano la spiritualità europea genuina. A differenza del monoteismo abramitico, cristianesimo incluso, la gentilità è espressione cultuale delle genti europee, in particolare con riferimento alla cultura indoeuropea, e si concilia perfettamente con la stessa ideologia lombardista, in nome delle nostre vere radici. Seppur il lombardesimo releghi la religione ad aspetto secondario, è chiaro che le manifestazioni spirituali non siano tutte uguali e dunque il paganesimo può ambire ad un ruolo culturale importante in seno alla società plasmata dal pensiero etnonazionalista.

Capiamoci, oggi non esiste più il prisco paganesimo, essendosi interrotto il cammino iniziatico circa 2.000 anni fa, e abbiamo dunque a che fare col neopaganesimo; troppo spesso esso esonda nelle pagliacciate e nelle mascherate e sarebbe quindi bene riorganizzare la “chiesa” pagana affinché possa rappresentare una spiritualità depurata dalla cialtroneria e coerente col disegno etnicista. Parlando di Grande Lombardia, e avremo modo di riprendere il discorso più avanti, l’ideale sarebbe una Chiesa nazionale ambrosiana trasmutata in una nuova forma di paganesimo razionale, affinché la religiosità nostrana sia finalmente incarnata da qualcosa di davvero coerente con l’etnonazionalismo. È chiaro che la religione non debba in alcun modo ostacolare la politica, pertanto è necessario che la prima non rappresenti qualcosa di alieno e di estraneo al nazionalismo etnico.

I culti tradizionali d’Europa sono manifestazione spirituale delle genti europee, pensando soprattutto alle antiche radici ariane. Il paganesimo, perciò, va di pari passo con l’etnia, la cultura, la mentalità, gli usi e costumi e il folclore e si fa araldo di una visione tradizionalista che non si mischi col monoteismo semitico, cui il cristianesimo appartiene. Personalmente, la religione non mi interessa, e così nell’ottica lombardista resta in secondo piano, ma ben sapendo che il popolo abbia bisogno di una vita spirituale – in contrasto ad una secolarizzazione instradata su binari progressisti – sono favorevole al supporto nei confronti di una rinnovata forma di gentilità.

È tuttavia chiara una cosa: tale forma di gentilità deve essere del tutto coerente col lombardesimo, non deve mettergli i bastoni fra le ruote e deve incarnare appieno i valori lombardisti; per tale ragione, ogni aspetto equivoco del paganesimo va liquidato in favore di una schietta visione tradizionale e tradizionalista, che rimetta al centro della dimensione comunitaria la mentalità patriarcale, virile, guerriera, eterosessuale, monogama, endogama. Un razionale conservatorismo coerente con il preservazionismo culturale e cultuale, frutto del nostro retaggio indoeuropeo. Il mondo ariano deve essere il nostro faro, contro ogni devianza modernista.

Forse qualcuno può pensare che il razionalismo, il realismo e il materialismo del lombardesimo difficilmente possano conciliarsi con la spiritualità indoeuropea, votata com’è alla sfera solare, uranica, celeste, ma credo non sia così. Il lombardesimo ha certamente una robusta visione razionalista ma non condanna le forme di spiritualità compatibili col nostro mondo e reputa tollerabili una riscoperta ed una rinascenza della religiosità pagana, emendate dalle buffonate in stile wicca e new age. Il sottoscritto è francamente ateo, ma non ateista, non intende cioè portare avanti un ateismo militante che si sostituisca all’oscurantismo semitico, anche perché la religione è un aspetto culturale che fa parte della nostra identità. E dunque lo spirito solare, tipico degli Indoeuropei, va convogliato nel sistema di valori del nazionalismo etnico lombardo.

Fra l’altro, una rinascenza identitaria gentile potrebbe sostenere entusiasticamente il lombardesimo, perché marcerebbero nella stessa direzione: l’esaltazione di sangue, suolo e spirito, la difesa dell’europeismo etnicista, l’affrancamento della Grande Lombardia da Roma (e dal Vaticano) e da ogni altro ente sovranazionale, la liberazione delle nostre terre dal dispotismo cattolico in quanto corpo estraneo di origine ebraica. La religione si occupa di faccende, a mio dire, superflue, e si concentra su aspetti irrazionali, assurdi, astratti; nonostante questo posso però riconoscere che rappresenti un elemento culturale interessante, che sia di sostegno allo spirito inteso in chiave lombardista.

Spirito, dunque, concepito come frutto dell’unione di sangue e suolo, espressione di carattere, mentalità, psiche, cultura, civiltà, arte, letteratura, folclore e filosofia di vita delle nostre genti, che una religione per davvero patriottica esalterebbe senz’altro. Con il cristianesimo non è possibile, e non solo perché la Chiesa, oggi, si è allineata al mondialismo, bensì perché la religione di Cristo è intimamente estranea al mondo europeo, incarna principi incompatibili con l’etnonazionalismo, è votata all’universalismo e promuove una morale patetica lontana anni luce dall’ethos indoeuropeo e lombardista. Il dio dei cristiani è lo stesso dio di ebrei e musulmani, espressione culturale e mentale di un ambito a noi totalmente estraneo.

Certo, si potrebbe pensare che il paganesimo sia meno credibile del cristianesimo, con tutto il bagaglio di miti e leggende, ma lo stesso cristianesimo attinge da una Bibbia che è parimenti fonte di irrazionalità, allegorie, astrazioni, e il concetto del Dio unico di tutti è una sorta di anticipazione del mondialismo, in ispregio della biodiversità razziale ed etnica umana. Inoltre, la religione di Cristo si fonda su di un personaggio dalla dubbia storicità (sicuramente non figlio di un inesistente dio), ha assorbito il mondo pagano, celebra festività che ricalcano quelle gentili e abita modelli culturali che non sono suoi propri. Si pensi, appunto, al calendario liturgico, all’organizzazione del clero, alle festività, al culto dei santi e delle madonne, all’uso del latino, al retaggio greco-romano, al parassitismo nei confronti del pensiero filosofico greco, e così via.

La religione non è qualcosa di credibile, è evidente, e va infatti letta con gli occhi dell’irrazionalità, dell’assurdo, del mondo astratto delle idee spirituali, o se volete della fede e della speranza. Un frutto della superstizione e dell’ignoranza, della paura della morte e dell’ignoto, delle manipolazioni pretesche e dello stato di minorità del popolino antico – vessato in ogni modo da un clero parassitario -, e proprio per questo è e resta, nell’ottica lombardista, del tutto secondaria, pur riconoscendo che sia espressione della cultura di un popolo. Ma dobbiamo capirci: la religione del popolo lombardo deve essere coerente, compatibile e funzionale al lombardesimo, che pone la patria lombarda sopra ad ogni cosa, il nostro vero paradiso da salvare dalla barbarie contemporanea.

Lascio che ad addentrarsi nell’irrazionale mondo della spiritualità siano altri, e non voglio certo occuparmi di dispute teologiche che rischiano di mettere in secondo piano ciò che conta per davvero: sangue e suolo. Nonostante questo, ritengo che una visione tradizionale possa anche contemplare il recupero di una forma di religiosità, a patto che essa sia coerentemente schierata a favore dell’edificazione di una società völkisch. E, allora, il paganesimo può farsi carico di tale ruolo, poiché insieme di elementi cultuali e culturali elaborati dai nostri padri liguri, celti, veneti, gallo-romani, longobardi. Come l’induismo, per fare un esempio, rappresenta le credenze di origine ariana dell’India, così una Chiesa nazionale ambrosiana, e lombardista, può animare una religiosità squisitamente lombarda, nel solco tracciato dai popoli antichi e dai loro culti, per davvero tradizionali.

Mani orobiche sulla Lega Europa

Ebbene sì: a distanza di 61 anni dall’ultimo, e fino a ieri unico, trofeo vinto dall’Atalanta (la Coppa Italia 1963), ecco che i nerazzurri orobici si portano a casa la coppa della Lega Europa, dopo aver battuto per 3 reti a 0 il Bayer Leverkusen. Un traguardo storico, per il pallone bergamasco, ormai abituato a palcoscenici europei grazie alla gestione di Gian Piero Gasperini, tecnico subalpino di Grugliasco. Per la verità l’Atalanta non è nuova ad esperienze di respiro europeo, pensando soprattutto agli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, ma la vera rivoluzione è certamente stata attuata grazie al canuto allenatore ex Genoa, a Bergamo dal 2016. Il calcio è pura futilità ma, come molto altro, sa divenire orgoglio cittadino e vale la pena parlarne. La squadra atalantina, negli ultimi anni, ha ingaggiato svariati giocatori stranieri, anche allogeni (non europidi), e se questo le ha garantito di potersi misurare con società titolate di prestigio internazionale, dall’altra parte ha comportato una de-bergamaschizzazione della rosa, perdendo i connotati di fucina di talenti nostrani (tranne rarissime eccezioni). È il destino di chi vuole giocarsela in Europa, ed essere competitivo, in un panorama calcistico mondializzato che ha in non cale le radici etniche e razziali, preferendo milioni, pubblicità, diritti televisivi.

Infatti, la fresca vittoria in Lega Europa è derivata dalla tripletta di un calciatore negride di etnia yoruba, Ademola Lookman, certo provetto ma ben poco lombardo… Per carità, il trionfo fa piacere, rende orgogliosi, entusiasma e gratifica – soprattutto chi segue l’Atalanta da quando navigava nei bassifondi della massima serie tricolore e della B, e non chi si è scoperto atalantino solo ora -, porta il nome di Bergamo sul tetto sportivo del continente, ma ha un retrogusto amaro e induce romanticamente a rimpiangere le formazioni ben più rustiche degli anni ’90. Personalmente, pur essendo felice per la conquista di questo trofeo, resto dell’idea che l’Atalanta abbia perso la ghiotta occasione di divenire l’Atletico Bilbao cisalpino, dimostrando che si può vincere e convincere anche senza imbarcare forestieri. Probabilmente sono un sognatore ed è per questo che ho nostalgia della Dea che fu, cioè quella della mia giovinezza: di certo meno vincente, e senza palcoscenici internazionali (per quanto l’Italia sia una nazione straniera), ma solidamente ancorata alla terra bergamasca. E il diporto dovrebbe, dopotutto, essere proprio questo, una palestra di fierezza patriottica, preferibilmente in chiave granlombarda.

Le minoranze della Grande Lombardia: una riflessione

Il territorio cisalpino è interessato dalla presenza di diverse minoranze etnolinguistiche, concentrate, fondamentalmente, in ambito prealpino e alpino. Si tratta, procedendo da ovest verso est, di occitani, arpitani, walser, romanci, cimbri, mocheni, ladini, austro-bavari, sloveni, croati, istro-romeni. Si considerano qui, ovviamente, le minoranze storiche, formate da popoli europei, e non le varie forme di recente immigrazione. Allo stesso modo vengono esclusi ebrei e zingari, storicamente attestati nei nostri territori ma di estrazione allogena. Ebbene, vogliamo qui parlare del fenomeno delle minoranze etnolinguistiche storiche, esponendo quello che è il punto di vista del lombardesimo in materia, ben sapendo che c’è del dibattito, su tale questione.

La Grande Lombardia è lo spazio vitale dell’etnia e della nazione lombarda, che chiaramente rappresentano la maggioranza della popolazione. Per etnia lombarda intendiamo, anzitutto, gli indigeni della Lombardia etnica (il bacino padano) e in secondo luogo tutte le altre popolazioni autoctone della Padania, che storicamente possono dirsi lombardi. Fatto ormai ben noto che nel Medioevo l’intera Cisalpina era detta, anche dai forestieri, Lombardia. Abbiamo poi le succitate minoranze etnolinguistiche, che non sono originarie dell’area grande-lombarda bensì il frutto di migrazioni storiche; questo anche perché, globalmente, il panorama cisalpino è geograficamente a sé stante, e i confini naturali sono sacri.

La Grande Lombardia comprende, infatti, tutti i territori che ricadono nel dominio padano-alpino e nord-appenninico, dunque oltre a Insubria, Orobia, Piemonte, Emilia, Romagna, Liguria e Triveneto vanno considerati Nizzardo, Valle d’Aosta, Alto Adige e Venezia Giulia storica irredenta, e altri ambiti minori di cui abbiamo già parlato diverse volte. Le minoranze sono presenti lungo l’arco alpino, le Prealpi e in settori come l’Istria o il bacino dell’Isonzo, e per quanto siano ivi attestate storicamente resta il fatto che le loro radici affondano in ambiti transalpini; per l’appunto, la Cisalpina nasce come dominio gallo-romano e galloromanzo, interessato poi dalla penetrazione longobarda.

Si tratta, insomma, di una realtà romanica occidentale, anello di congiunzione fra Mediterraneo ed Europa centrale, abitata in antico dalla massa delle genti alpine, prealpine, padane e appenniniche romanizzate, i cui avi erano Liguri, Celti, Reti, Veneti, Etruschi. Successivamente, al di là dei superficiali influssi di genti barbariche (Goti, Longobardi, Franchi), in alcune zone della Padania si sono stabiliti popoli alloctoni di origine celto-romanza, germanica, slava originari di aree d’oltralpe, che hanno così messo radici su suolo padano-alpino. Lungi da noi paragonare queste genti agli allogeni veri e propri, ma resta il fatto che anzitutto da un punto di vista geografico e “romano” la Cisalpina tutta sia la dimensione nazionale dei cisalpini.

Capiamoci, parliamo di minoranze del tutto compatibili coi lombardi – slavi esclusi – e infatti saremmo decisamente a favore dell’assimilazione. Occitani e arpitani sono fratelli celto-romanzi; i romanci, con ladini e friulani, sono la versione prisca dei cisalpini; walser, cimbri, mocheni e le varie isole baiuvariche sono certo germanici ma dai forti influssi alpini (celtici e retici); i sud-tirolesi, austro-bavaresi, sono il principale ethnos altoatesino, ma anche nel loro caso si tratta della germanizzazione di genti fortemente alpine. Restano sloveni e croati (a cui andrebbe aggiunta la sparuta minoranza istro-romena, ormai quasi estinta), ed effettivamente, in tal caso, si parla di genti molto diverse dai lombardi. Il lombardesimo propone assimilazione dei popoli compatibili e rimpatrio di quelli non compatibili, suggerendo l’introduzione di nuove “Opzioni”: fedeltà alla Grande Lombardia, e assimilazione, oppure ritorno nella terra dei padri.

La Cisalpina appartiene ai lombardi, ed è pertanto Grande Lombardia, dal Monviso al Nevoso, dal Gottardo al Cimone. I gruppi minoritari possono restare, se optano per la piena integrazione e la lenta assimilazione, altrimenti meglio che si ricongiungano alle popolazioni transalpine (che, peraltro, avrebbero davvero bisogno di rinsanguarsi grazie ai propri simili). Al contempo potrebbe anche essere promosso un interessante fenomeno, a mo’ di scambio nel contesto della Rezia cisalpina: spostare i romanci al di qua delle Alpi, essendo il Grigioni in buona parte transalpino, e trasferire oltralpe i sud-tirolesi che rifiutano il progetto grande-lombardo. Anche perché il lombardesimo non è per la cancellazione delle culture alpine non lombarde, ma è naturale che il progetto da seguire sia la lombardizzazione dell’intera Cisalpina.

Lombardesimo e spirito

Ho avuto modo diverse volte di parlare dello spirito, per come viene concepito dal pensiero lombardista, ma credo valga la pena approfondire la questione. Il lombardesimo tiene in non cale la metafisica, preferendo ad essa la concretezza della ragione, della scienza e della natura, e come è già stato detto reputa la religione inutile, assieme alla spiritualità, pur rispettando chi si dice religioso (a patto che non professi nulla di eversivo, rispettando a sua volta la nazione). Altresì, se la religiosità in questione è gentile può essere comprensibile e giustificata dalle nostre vere radici tradizionali, e viene riconosciuta parte integrante del bagaglio culturale e civile della lombardità. Ma resta il fatto che questi temi siano secondari, poiché prima di tutto viene la verità assoluta della patria.

In tal senso, quando parliamo di spirito, alludiamo al dato umanistico che contraddistingue il nostro e gli altri popoli d’Europa, senza sconfinare, appunto, nella metafisica. Cosicché lo spirito rappresenta cultura, civiltà, mentalità, carattere, arte, identità, tradizione, folclore e non qualcosa di astratto e assurdo che, non esistendo, non si manifesta. L’insieme di valori, principi e ideali che animano il lombardesimo sono, parimenti, spirito e lo spirito è ciò che nasce dall’incontro di sangue e suolo, e dunque quell’energia vitale etnica e razziale fondamentale ai fini della preservazione identitaria.

Sovente, affermo che il sangue, senza spirito, si riduca a mero fluido biologico, e così il suolo ad un ammasso di terra; sangue e suolo sono il binomio fondamentale del nazionalismo etnico ma, si capisce, hanno bisogno dello spirito. In tal senso lo spirito è la linfa vitale di popolo, etnia e nazione perché va da sé che senza la forza delle idee, del carattere, della mentalità la verità naturale della razza rischia di svilirsi e di ridursi a materialismo zoologico. Il lombardesimo, in un certo senso, è materialista, perché esalta razionalmente la concretezza di sangue e suolo, ma fa riferimento ad un materialismo nobile, filosoficamente alto, centrato su ciò che esiste e può essere percepito.

Da qui, pur riconoscendo la basilare importanza dello spirito, ecco che il nostro pensiero va oltre la metafisica, essendo questa una perdita di tempo giocata su di un campo totalmente irrazionale. A che giova discutere di Dio, dei, anima, aldilà, spiritualità quando vi sono questioni molto più importanti e cruciali, senza alcun dubbio fondate sulla concretezza e la verità della natura? La metafisica esiste soltanto nella testa dell’uomo, frutto, certo, della sua creatività e inventiva ma priva di riscontri oggettivi che ne testimonino la bontà. Alla meglio una perdita di tempo, alla peggio una truffa consumata sulla pelle dei popoli per sfruttarli da corpi parassitari, quali ad esempio la Chiesa e le monarchie.

Un coerente razionalismo, che si fa etnico nel caso lombardista, deve prendere le distanze da qualsiasi religione, credenza o altro surrogato metafisico per poter spiegare quello che non si comprende. Noi confidiamo nella ragione, che è il faro dell’uomo e dei popoli bianchi, e non ci mischiamo a credenti e preti, soprattutto nel caso del monoteismo abramitico, vero e proprio oggetto estraneo in terra europea. La ragione è specie-specifica dell’Homo sapiens sapiens e ci garantisce di poter raggiungere e conoscere la verità, senza esondare nello scientismo o nell’ateismo progressista, universalista quanto le religioni semitiche.

Nel ventunesimo secolo dovrebbe essere chiaro agli occhi di qualsiasi persona con minima istruzione e medie capacità cognitive che le varie metafisiche non sono state altro che l’illusorio frutto dell’incapacità umana antica di dare una spiegazione a fenomeni che apparivano irragionevoli. Ovviamente, come detto, agli occhi dell’uomo dell’antichità. La metafisica, comprensibile in tempi arcaici, è una grave fallacia della ragione e della logica che si è in seguito evoluta in un ottimo metodo di controllo sociale e in un’ottima legittimazione dello sfruttamento dei ceti più deboli, terrorizzati dall’idea (irrazionale) dell’inferno e del castigo divino, a partire dall’ignoto rappresentato dalla morte.

Ma la morte, aprendo una piccola parentesi, non è altro che la fine della vita, il naturale epilogo della parabola umana e animale (o vegetale), dove cessiamo di esistere senza di certo approdare a mondi ultraterreni, inventati di sana pianta dai popoli antichi digiuni di scienza, così come nel caso delle divinità. È pertanto assurdo temere qualcosa che fa da sempre parte dell’esperienza dell’uomo ed è assurdo alimentare le irrazionali e superstiziose dicerie metafisiche sull’ignoto, su ciò che sta al di là della vita. Al di là della vita non c’è un bel nulla, molto semplicemente, e oggi dovrebbe essere chiaro quanto i preti abbiano campato di rendita sulle ataviche e irragionevoli paure del popolino.

La critica del lombardesimo, sempre a proposito di spirito e spiritualità, è rivolta soprattutto al monoteismo abramitico, vero e proprio assolutismo, nonché dogmatismo e oscurantismo, precursore della moderna dittatura del pensiero unico mondialista, che in quanto prodotto culturale di origine mediorientale ha deviato l’Europa con tutta una serie di idee aliene al nostro continente e allo spirito indoeuropeo, andando peraltro a pervertire dottrine filosofiche autoctone, piegate a guisa di ancelle alle vere e proprie assurdità della teologia.

Gli unici strumenti che possono garantire, una volta per tutte, la fine di queste subdole circonvenzioni ai danni dell’umanità bianca sono la diffusione della vera informazione scientifica, sganciata dal conformismo della sedicente “comunità scientifica” (che, tanto per dirne una, è negazionista della razza), e lo sviluppo del senso critico, così come dell’indagine filosofica a tutto campo. Mi rendo conto che la secolarizzazione laicista abbia ormai ridotto ai minimi termini la fede, col rischio di colmare il vuoto lasciato, nel nostro caso, dal cattolicesimo romano con il ciarpame progressista, ma l’idea di un ateismo identitario ed etno-razionalista è seducente ed eliminerebbe in un sol colpo le balle dei preti e quelle dei liberal, che gareggiano coi primi in fatto di superstizione universalista.

Naturalmente il rifiuto delle varie declinazioni della metafisica e della spiritualità non implica, tuttavia, il rigetto automatico anche di quelli che sono alcuni suoi prodotti, che storicamente hanno rappresentato un elemento di differenziazione culturale, quali l’arte, la letteratura e le tradizioni europee, segnatamente gentili, e che ancor oggi costituiscono il retaggio tradizionale che ci giunge dai padri ariani. Pertanto possiamo tranquillamente rispettare la rinascenza pagana, a patto che non si tramuti in una pagliacciata new age o wicca e che rispetti gli elementi culturali fondamentali su cui si è edificata la civiltà europea: il patriarcato, la guida virile del continente, il piglio guerriero, la famiglia naturale, l’endogamia, la monogamia, l’eterosessualità e la difesa degli innati ruoli di maschile e femminile, con netta condanna di tutta la spazzatura ideologica antifascista.

Spirito

La triade sacrale del lombardesimo è costituita da sangue, suolo, spirito: il sangue del popolo, il suolo patrio, lo spirito inteso come luminoso insieme di caratteristiche culturali e civili peculiari della nazione lombarda. E lo spirito nasce dall’unione di sangue e suolo, proprio perché esso è il frutto storico del sedimentarsi di identità e tradizione, che rappresenta l’ossatura caratteriale e mentale della nostra gente. Come Paolo Sizzi, e come lombardista, non do allo spirito connotazioni religiose o trascendentali, quindi metafisiche; lo spirito non è la parte più elevata e nobile dell’anima (che non esiste, cristianamente parlando) e non è emanazione di un’inesistente divinità: è quell’elemento direi umanistico, nonché poetico e romantico, che contraddistingue un individuo e, soprattutto, una nazione e dunque è qualcosa di collettivo che costituisce l’energia vitale della comunità. Non serve scomodare religione e spiritualità per definire lo spirito lombardista, perché esso è semplicemente la linfa, certo basilare, fonte di cultura, di civiltà, di arte, letteratura, tradizioni, folclore. Può essere pertanto concepito, senza problemi, in termini razionali, materiali, reali, lasciando perdere le divagazioni mitiche e religiose.

Senza spirito, è chiaro, il sangue rischia di restare un mero fluido e il suolo viene devastato dalla barbarie capitalistica. Il sangue stesso viene calpestato perché banalizzato, rimescolato e liquidato come inerte dato biologico, quando invece è il tramite fra noi e i nostri padri. Lo spirito è fondamentale laddove venga inteso come forza vitale che anima l’individuo e la sua comunità nazionale e gli garantisce, perciò, di difendere risolutamente la propria identità. Un’identità che è sangue, cioè etnia e razza, e suolo, cioè patria e territorio, e che passa eziandio per la tradizione incarnata da patriarcato, eterosessualità, endogamia, rispetto degli innati ruoli di maschile e femminile, prole biologica, lotta alle devianze della modernità. Valori e principi che possiamo tranquillamente definire sacri, in quanto inviolabili, ma che non abbisognano di una giustificazione religiosa, essendo la religione – in particolar modo abramitica – un intralcio lungo la strada che conduce alla totale autoaffermazione del popolo lombardo. Alla luce di ciò lo spirito assume i tratti della manifestazione storica e culturale di una civiltà nazionale, romanticamente “invisibile” ma razionalmente tangibile nella concretezza etno-razziale.

Il mondo ladino

La famiglia linguistica ladina può essere interpretata in senso stretto ed in senso largo. In senso stretto indica i ladini, ossia la minoranza romanza stanziata a cavaliere tra Alto Adige, Trentino e Cadore, mentre in senso largo allude all’intera famiglia retoromanza che oltre ai ladini comprende i romanci e i friulani. Il mondo ladino, pertanto, si presta a due differenti interpretazioni, anche se al centro di tutto c’è il particolare statuto di questa realtà etnolinguistica. La famiglia retoromanza riguarda, perciò, gli indigeni neolatini dell’area alpina centro-orientale e l’etnonimo ladino può tranquillamente designarla in senso lato. Oltretutto il termine ‘retoromanzo’ potrebbe prestarsi a diverse ambiguità, come sottolineava il linguista Pellegrini.

Infatti il retoromanzo non ha sostrato retico, cioè nord-etrusco, a dispetto del nome, bensì celtico, come un po’ tutte le parlate della Romània occidentale, a partire naturalmente dalle lingue galloromanze. L’etichetta etnolinguistica suddetta, quindi, ha più che altro valenza territoriale, considerando che il ladino viene parlato nelle terre degli antichi Reti, una popolazione alpina appunto nord-etrusca. Si rischia di ingenerare confusione e di obliare il fatto che, nella tarda antichità e nel Medioevo, l’intera Cisalpina era linguisticamente omogenea, unita dal carattere galloromanzo cisalpino. Tale unità fu spezzata dall’affermarsi del veneziano, nel continente veneto, dall’influenza del toscano che andò a diluire i tratti galloromanzi del gallo-italico e naturalmente dalla presenza di diverse minoranze linguistiche alpine.

In antico sussisteva perciò una relativa omogeneità e la versione prisca del gallo-italico era certamente più galloromanza di oggi. Secondo diversi studiosi le parlate padane dovevano ricordare da molto vicino lo stesso ladino, che oggi ha l’aspetto del fossile e conserva tratti peculiari che nel gallo-italico sono andati perduti. Inoltre la Padania, sino a Medioevo inoltrato, appariva in stretta continuità con la Gallia Transalpina, la Francia, e con la Svizzera romanza tanto da potersi ancora definire Gallia (e, quindi, Gallo-Romània). Ci sono importanti studi in merito, studi che rimarcano l’estraneità del gallo-italico rispetto all’italo-romanzo, e viene dunque spontaneo citare autori come, oltre a Pellegrini, Zamboni, Bec, Pfister, Hull, senza dimenticare Biondelli e Ascoli.

Ancor oggi la Grande Lombardia resta distinta dall’Italia propriamente detta (il centro-sud, con Toscana e Corsica), e non solo per ragioni linguistiche, si capisce. Dal punto di vista della lingua, il gallo-italico appartiene al galloromanzo, nella sua versione cisalpina, e si accosta a franco-provenzale, occitano, francese e catalano. Forse non è galloromanzo propriamente detto, oggi, poiché l’italiano l’ha in parte snaturato e rimodellato (si pensi alla scomparsa del plurale sigmatico e della palatalizzazione di alcuni nessi e tratti latini, conservati in ladino) ma resta sicuramente una sottofamiglia linguistica a sé stante, ben distinta dall’italo-romanzo.

E poi c’è il retoromanzo, molto conservativo perché ha subito punto o poco l’azione livellatrice del toscano (a differenza del veneziano e, dunque, del veneto), che mostra cosa doveva essere l’arcaica unità etnolinguistica padana. Ma il ladino appartiene comunque alla Grande Lombardia, che non è Italia e che dal punto di vista linguistico rientra ancor oggi appieno nel mondo romanzo occidentale, anche per quanto concerne ligure e veneto. Tant’è vero che la presenza delle note vocali turbate in quasi tutto il gallo-italico, assenti invece in ladino, unisce fortemente la Cisalpina alla Transalpina, nel segno dei Celti e dei Germani. E, forse, tali vocali anteriori arrotondate vanno associate più a Longobardi e Franchi che ai Celti. Ma ne riparleremo. In conclusione, il retoromanzo inerisce al mondo grande-lombardo, ne è parte integrante, e in questo senso anche i romanci appartengono alla Cisalpina, se non geograficamente di certo etnicamente.

La tradizione secondo il lombardesimo

Nonostante il lombardesimo prenda le distanze dalla religione, specie se abramitica (ebraismo, cristianesimo, islam), mantiene una visuale fortemente tradizionalista, nel senso che identità e tradizione costituiscono un binomio fondamentale nell’ottica dell’etnonazionalismo lombardo. Sull’identità non vi è alcun dubbio: il lombardista difende a spada tratta l’etnicità e la cultura lombarde e plasma un identitarismo nettamente etnicistico. Circa la tradizione può esservi qualche equivoco, facilmente risolvibile, perché troppo spesso si crede che tradizione e religione vadano di pari passo, sebbene non sia necessariamente così. Pertanto, pur mantenendo un profilo laico (se non ostile a certa religiosità), ecco che il lombardesimo si fa baluardo a difesa della tradizione.

Ma quale tradizione, se ci si slega dall’ambito cultuale? Presto detto. Il lombardesimo è tradizionalista nella misura in cui preservi tutti quegli elementi su cui si fonda l’identità etnica e nazionale lombarda: la cultura, la lingua, gli usi e costumi, lo spirito, le consuetudini, la cucina. Inoltre, il lombardesimo è tradizionalista poiché difende la mentalità ereditata dai nostri padri indoeuropei, contro ogni forma di sovversione valoriale. Infatti, ecco che il pensiero lombardista promuove la società patriarcale, la comunità tradizionale, la famiglia naturale, l’eterosessualità, i legami monogamici, l’endogamia, gli innati ruoli di maschile e di femminile.

Insomma, non c’è alcun bisogno di fare riferimento ad una religione per proteggere e garantire la tradizione ed essere tradizionalisti, anzi; se la religione in questione è cristiana vi saranno sempre svariati ostacoli sulla via di una completa autoaffermazione tradizionale. Questo perché il cristianesimo, pur essendo radicato in Lombardia da quasi 2.000 anni, resta un corpo estraneo partorito dal Medio Oriente, e incarna dei valori incompatibili con la schietta e genuina civiltà europea, per quanto essa possa essere stata cristianizzata. Non solo, dunque, la tradizione deve svincolarsi dalla religione, sussistendo benissimo senza di essa, ma quest’ultima può anche diventare un problema, se parliamo di coerenza identitaria.

Si ritiene troppo spesso che senza cattolicesimo non esista tradizione, ma questa è una scempiaggine. Si può dire che senza cattolicesimo non esista una tradizione cattolica, ma di quest’ultima non abbiamo affatto esigenza. La nostra vera, immortale, eredità è quella indoeuropea, ed è proprio ai padri indoeuropei che dobbiamo fare riferimento. Molti degli elementi identitari e tradizionalisti che colleghiamo al cristianesimo sono, in realtà, un prodotto culturale indoeuropeo: il patriarcato, lo spirito virile, il piglio guerriero, la monogamia, il ruolo particolare della donna (certo non primario, ma nemmeno svilito, alla semitica) fanno parte del nostro retaggio ariano, per quanto la Chiesa possa essersene impossessata.

Dura a morire, quindi, la convinzione che senza cristianità non possa sussistere alcuna forma di tradizione, nonostante che proprio per via del cristianesimo sia, anzitutto, morta la tradizione pagana e, in secondo luogo, sia stato pervertito lo spirito dei padri. Pervertito perché mischiato senza capo né coda con tutto il bagaglio abramitico, dunque semitico, del culto di Cristo. Esistono delle religioni tradizionali, in senso europeo? Assolutamente sì, sono quelle gentili, frutto della temperie culturale indoeuropea e profondamente intrecciate con la sottorazza europide. E in tal senso direi che se un europeo, o lombardo, sentisse il bisogno di realizzare la propria spiritualità, coerentemente con il lignaggio bianco, potrebbe tranquillamente rivolgersi alla gentilità.

La cosa non mi riguarda, essendo laico, ma esiste l’errata convinzione che il paganesimo sia un brulicare di perversione, orge, omosessualità, promiscuità, come se i valori patriarcali, tradizionali ed eterosessuali, circa la salutare normalità della natura, fossero appannaggio dei culti semitici. Per quanto il sottoscritto non sia, appunto, religioso, cristiano o pagano che sia, è doveroso difendere i culti tradizionali dei padri dalle infamanti accuse levantine, soprattutto se pensiamo a chi, notoriamente, popoli seminari, chiese ed oratori… Del resto, qualcosa come il mos maiorum romano non era certo invenzione cattolica, anzi, il cattolicesimo l’ha abbondantemente parassitato.

Perciò non è necessario rifarsi alla Chiesa per poter avere una propria tradizione e difenderla, esaltando razionalmente la natura e coniugandola mirabilmente con il benessere della comunità etnonazionale. Peraltro, se ci pensate, il cristianesimo non ha alcun rapporto con la natura, prescinde da essa, mentre il paganesimo era profondamente intrecciato ad essa. So bene quanto il neopaganesimo scolori troppo spesso nelle pagliacciate e nel pattume new age, ma questo non è un valido motivo per affossare la rinascenza gentile preferendovi un culto estraneo all’Europa e alla sua vera anima. Non è compito del lombardesimo occuparsi di culti, ma di certo esso ha le idee chiare su cosa sia davvero compatibile con gli europidi.

D’altra parte, i valori tradizionali non hanno bisogno, come si diceva sopra, di un retaggio religioso per affermarsi: un uomo e una donna possono benissimo essere tradizionali senza per forza di cose avere una fede religiosa. Credo proprio che identità e tradizione siano così fondamentali da dover essere abbracciate al di là delle preferenze spirituali, poiché l’integrità, la forza e la salute di una nazione passano prima di tutto dai valori promossi dal nazionalismo etnico. E il lombardesimo non ha alcun dubbio: la tradizione, unita alla natura, porta al rispetto dell’ottica tradizionalista, in tutto e per tutto.

La stessa laicità promossa dal lombardesimo osserva scrupolosamente la contemplazione dei principi identitari e tradizionalisti che forgiano una comunità sana, fondata sulla famiglia naturale e benedetta dal legame eterosessuale tra maschio e femmina, dove il patriarcato sia rispettato e non esistano follie omofile, femministe, del “genere”. E lo stesso lombardesimo promuove gli ideali spirituali intesi come umanesimo identitario che rimetta al centro di tutto la dimensione etnica e razziale dei popoli, condannando l’universalismo cristiano e il relativismo modernista. Per quanto il pensiero lombardista sia etno-razionalista, e in un certo senso materialista (esiste ciò che si manifesta e viene percepito), comprendiamo tranquillamente l’esigenza di coltivare una spiritualità anche in direzione diciamo metafisica, pur non condividendo, a patto che non sia nulla di eversivo.

Ma, personalmente, resto dell’idea che il concetto lombardista di tradizione non abbisogni di Dio o dei – essendo peraltro argomento sterile – ma della concretezza di sangue e suolo, da cui lo spirito. La natura, la ragione, l’identità veicolano l’eredità anche spirituale dei nostri arii padri, che confluisce nell’etnonazionalismo lombardo. Ed è così che ci ergiamo a difesa della nazione, della comunità, della famiglia, in nome della verità assoluta di una tradizione che sia l’emblema radioso della salutare normalità identitaria, tradizionale, civile. Dove il termine ‘civile’ alluda alla cultura plasmata dall’uomo indoeuropeo, e non alla spazzatura progressista dei diritti “umani” e di quelli “civili”. Anche perché il concetto lombardista di umanità ricalca quello scientifico e razziale dell’Homo sapiens sapiens, non dell’essere umano globale e globalizzato.

Suolo

Il binomio sacrale dell’identitarismo etnicista è costituito da sangue e suolo, per poi aprirsi ad un terzo elemento fondamentale, lo spirito. Sangue e suolo sono però la base di partenza, in quanto sangue del popolo e suolo patrio, dalla cui unione nasce lo spirito inteso come alito di vita umanistico che permette ad una nazione di avere anche un’identità culturale, assieme a quella etnica e territoriale. Non può esserci suolo senza sangue, e viceversa, poiché le radici di una razza e di un’etnia affondano nel loro habitat naturale, costituito dall’ambiente natio. Oggi, la tutela dell’ambiente deve andare di pari passo con quella del popolo, se vogliamo ancora avere un futuro in cui il dato etnonazionale abbia sempre un senso, e a tal proposito serve un ambientalismo identitario che abbandoni le fole progressiste per concentrarsi sulla salvaguardia del nostro ADN, che è profondamente intrecciato alla terra natale. L’ambientalismo alla lombardista porta avanti un pensiero certo ecologista ma emendato dalla componente “salottiera”, che confonde soltanto le acque e persegue l’agenda mondialista.

Difendere il suolo, dunque, significa difendere la patria, affinché la nostra gente possa avere un futuro. E oggi più che mai, soprattutto in Lombardia, appare necessario salvaguardare la natura da inquinamento, cementificazione, deforestazione, peraltro fenomeni sciagurati da ricollegarsi, ancora una volta, all’immigrazione: prima quella sud-italiana, poi quella pressoché dal mondo sottosviluppato intero, che comporta un genocidio democratico degli autoctoni e l’affermazione di tutti i tipici disvalori della società capitalista. Perché è chiaro come il concetto odierno di Occidente non sia altro che la manifestazione dell’imperialismo unipolare di marca statunitense, ferocemente affaristico e votato alla distruzione dell’ambiente naturale, segnatamente europeo, oltretutto senza avvantaggiare minimamente gli europei. E ciò che si compie nella Cisalpina è uno dei casi più clamorosi, a dimostrazione di come il feticcio del progresso e dello sviluppo sia soltanto una truffa spietata, ai danni dei popoli indigeni.

La svolta anticristiana, parla Paolo Sizzi

Come sapete, di recente, sono tornato sulle posizioni primigenie del lombardesimo, in materia di religiosità e spiritualità, per riabbracciare integralmente la dottrina da me fondata e lanciata. La mia posizione è stata, per una decina di anni (2009-2019), intransigente e volta alla condanna della presenza cristiana – e abramitica in genere – in Europa, per una questione di radicalità, coerenza, razionalità; io nasco cattolico praticante, con una forte formazione religiosa alle spalle, ma il primo distacco dal mondo clericale risale proprio al 2009, per poi essere riproposto negli ultimissimi tempi. In mezzo un periodo di un lustro in cui ho cercato un compromesso tra l’identità spirituale gentile e cristiana, in nome dei nostri avi.

Come potete leggere in questi due articoli (qui e qui), al pari di altri pezzi ideologici circa il lombardesimo, che non sto a riproporre ma che vanno reinterpretati – unicamente per quanto concerne il tema metafisico e religioso – alla luce della nuova svolta, ho tentato di conciliare la gentilità con il cristianesimo cattolico, arrivando anche a suggerire l’idea e il progetto di una Chiesa nazionale granlombarda pagano-cattolica che potesse rappresentare al meglio le due anime storiche della Cisalpina. Un disegno che potrebbe anche essere conservato (avrò modo di riparlarne) ma che rischia di inasprire i conflitti, invece di sanarli, creandoli pure ex novo. Ad ogni buon conto il lombardesimo “cristiano” del Sizzi viene consegnato alla storia, e si rivive a pieni polmoni la giovinezza, soltanto sopita o edulcorata, del pensiero lombardista radicale.

Tra l’estate del 2019 e la primavera del 2024 ho dunque intrapreso un percorso che mirasse a preservare gli elementi indoeuropei del cristianesimo, esaltando quindi il retaggio ariano dei nostri padri, facendo comunque comprendere come la religione sia fatto del tutto secondario. Ultimamente mi sto occupando approfonditamente della questione, proprio per spiegare al meglio la svolta (che, dopotutto, è soltanto un ritorno alle posizioni originali del lombardesimo) e per contestualizzarla nel più vasto ambito dell’ideologia lombardista. So che diversi identitari e tradizionalisti pongono molta enfasi sul discorso spirituale e, alla luce di questo, ho deciso di dedicare diversi scritti alla tematica in oggetto, proponendoli al soledì.

L’intervento odierno, invece, vuole cercare di chiarire ulteriormente le ragioni del ritorno alle posizioni primeve, necessarie al fine di riprendere in toto la rivoluzione lombardista, una rivoluzione davvero originale ed inedita grazie anche all’approccio circa spiritualità e religiosità. Va detto che il lombardesimo esalta sangue, suolo e spirito, dove il terzo elemento rappresenta il dato umanistico della civiltà lombarda: cultura, mentalità, carattere, lingua, identità, tradizione e così via. L’identità lombarda è anche cattolica, certo, e il rispetto pei nostri avi è fuori discussione. Ma il rispetto, appunto, va agli avi, non alla loro fede, perché i nostri stessi antenati sono parimenti morti per delle guerre italiane: insomma, si onorano i caduti, non le idee scellerate che li hanno mandati a morire invano. Stesso discorso per il cattolicesimo.

I culti davvero tradizionali dell’Europa riguardano il paganesimo, nel nostro caso primariamente celtico, gallo-romano, longobardo (ma anche ligure, etrusco, venetico). Sappiamo bene che, oggi, il paganesimo sia più che altro una mascherata senza solide basi, ma le nostre simpatie in materia religiosa non possono che andare ad esso, piuttosto che alla Chiesa. Questo per dire una cosa ben precisa: il lombardesimo reputa la religione fatto secondario, e lungi da noi l’idea di dividere i lombardi per questioni dopotutto futili come il credo religioso (noi ci basiamo molto su ragione e scienza, liquidando la metafisica alla stregua di vecchiume inerte); tuttavia, per ragioni di coerenza e identità indoeuropea, le uniche forme di religiosità tollerabili possono essere soltanto gentili.

Qualcuno, come feci io negli scorsi anni, potrebbe venirmi a dire che il cattolicesimo è intriso di elementi pagani, che la figura di Cristo è solare, che non esistono radici giudeo-cristiane e che il cristianesimo è un prodotto europeo. Ma, signori miei, se dobbiamo tollerare il cattolicesimo soltanto per via di elementi di origine gentile, parassitati dalla Chiesa, non facciamo prima a ripristinare i veri culti tradizionali dell’Europa? Vero, il cattolicesimo ha una tradizione che dura intatta da circa 2.000 anni, ma resta un corpo estraneo, per quanto rivestito di nobili vesti ariane, oggi per di più avvelenato in senso cosmopolita e relativista dal Concilio Vaticano II, allineandolo al degrado globalista. Cristo, se esistito, era certo ebreo, non cisalpino, e si è manifestato agli Ebrei, non ai Celti golasecchiani; il suo Dio è il dio dei Giudei e non sarebbe esistito cristianesimo senza mondo giudaico.

Anche io, negli ultimi 5 anni, ho fatto acrobazie e salti mortali per tentare una conciliazione tra schietto identitarismo europeo e monoteismo abramitico, nella fattispecie cristiano, epperò alla lunga si rivela opera sterile e del tutto inutile. Per questo il lombardesimo ripropone la visione anticristiana degli esordi, dove ‘anticristiana’ sta ad indicare la contrapposizione ai valori del cristianesimo, alle origini e alla natura del cristianesimo, e alla vocazione universalista di questo credo religioso. Un identitario völkisch serio, razionale e coerente non può sposare la causa del culto diversamente ebraico cristiano, per quanto possa anche lasciare aperta la porta agli identitari lombardi, nel nostro caso, cattolici. Le guerre di religione tra fratelli sarebbero davvero una sciagura.

La linea lombardista, in materia filosofica e spirituale, è etno-razionalista, il che significa ragione, scienza, logica, laicità diciamo pure in senso ateo o agnostico. Ma va da sé che l’irreligiosità lombardista non abbia nulla a che vedere col variopinto mondo del disagio liberal, progressista, e che rigetti del tutto Illuminismo, giacobinismo, massoneria. Non sta scritto da nessuna parte che un etnonazionalista non possa essere serio identitario e tradizionalista se ateo o agnostico. Anzi, io credo che la religione non serva più a nulla, soprattutto se desertica, per difendere e preservare coerentemente sangue, suolo, spirito. Dio, cioè un prodotto culturale della mente umana, rischia soltanto di essere un intralcio ai fini politici e comunitari, pertanto lasciamolo stare. Le battaglie identitarie del lombardesimo si combattono in nome della nostra vera e unica patria, che è la Lombardia, il bene più prezioso che abbiamo.

Non siamo dei fanatici o dei fondamentalisti atei che intendono perseguitare i cristiani (figuriamoci!), oppure scristianizzare una società, peraltro già scristianizzata e secolarizzata, che rischia di finire dalla padella alla brace colmando il vuoto lasciato dalla Chiesa con la spazzatura modernista. Ma vogliamo essere un faro che nel segno dei padri indoeuropei e della loro identità marca una distanza netta dalla classica destra reazionaria e feudale innamorata di trono e altare, che troppo spesso scivola nel ridicolo di un cristianesimo politicizzato dalle mille contraddizioni (si può essere cristiani e nazionalisti/razzisti/antisemiti senza far ridere i polli?). La nostra idea di tradizionalismo non riguarda sacrestie e madonne, riguarda la società patriarcale, virile e guerriera degli Arii, a difesa della famiglia naturale, dell’eterosessualità, dell’endogamia e dei legami monogamici. E infatti, per noi, gli Indoeuropei sono tutto, anche da un punto di vista spirituale.

E se da un lato preferiamo confinare la spiritualità e la religione ad un ambito del tutto secondario, dall’altro simpatizziamo culturalmente per la gentilità, perché le vere radici del nostro continente sono pagane, in senso celeste, solare, uranico. E la gentilità, quella vera, non è paccottiglia wicca o new age, è la vera tradizione dei nostri padri, nonostante che l’Europa sia stata narcotizzata da secoli di cristianizzazione. Lasciamo perciò perdere il cristianesimo, così come giudaismo e islam ovviamente, e concentriamoci sull’etno-razionalismo e sull’eredità culturale e spirituale ariana. E se proprio di religione si deve parlare apriamo all’ipotesi di una versione di Chiesa nazionale ambrosiana trasmutata in qualcosa di schiettamente gentile, affinché i bisogni spirituali dei lombardi possano venir soddisfatti senza andare a discapito della comunità nazionale cisalpina. Perché il cristianesimo, anche cattolico, coerente è nemico dell’identità etnica e razziale dei popoli, per via del feticcio egualitarista che lo accosta a marxismo, bolscevismo e mondialismo, tutti prodotti, come il cristianesimo stesso, di fattura ebraica.

L’etno-razionalismo

Uno dei capisaldi identitari del pensiero lombardista è costituito dal cosiddetto etno-razionalismo, sintesi di razionalismo ed etnonazionalismo. L’etno-razionalismo rievoca appunto l’etnonazionalismo unendolo ad un robusto razionalismo, poiché la ragione deve essere il faro che guida l’uomo e i popoli, soprattutto se europidi. Esso contempla anche del salutare realismo, grazie a cui la metafisica viene decisamente messa da parte; noi lombardisti rispettiamo tradizione e spiritualità, comprese le cattoliche, ma è logico che il nostro punto di riferimento sia rappresentato dalla natura e dalla realtà, una realtà che coincida, chiaramente, con la verità. Per le religioni non ci può essere spazio, in senso politico e ideologico, anche se per coerenza etnicista potremmo simpatizzare per i veri culti tradizionali, quelli gentili.

Ma la metafisica, dunque miti e religioni, vanno lasciati alle spalle, per quanto possano essere bagaglio identitario, pure soltanto in senso culturale. La realtà del lombardesimo contempla la ragione, la scienza, la verità, ponendo sangue e suolo come fondamento della nostra dottrina. Questo apre anche ad un materialismo razionale, che non diventi neopositivismo zoologico, si capisce, ma che teorizzi una visione tradizionale slegata dalla zavorra cultuale, specialmente se correlata alle religioni abramitiche, quale il cristianesimo stesso. È evidente come la spiritualità, slegata dalla razza e dall’etnia, incarni un gravissimo problema, perché mira ad annullare l’identità nell’universalismo e in una fede in qualcosa di estraneo all’Europa.

L’etno-razionalismo riconduce tutto alla concretezza del sangue, del suolo e dello spirito inteso come valore umanistico che passa per mentalità, carattere, cultura, lingua, civiltà – parlandone in termini individuali e, soprattutto, nazionali – e non quale principio metafisico. Anche i classici concetti di bene e male vanno inquadrati alla stregua di qualcosa di funzionale all’ottica identitaria e tradizionalista, poiché il bene assoluto è la piena affermazione antropologica e biologica di singolo e collettività, contro ogni nemico dei principi völkisch. Bene è tutto quello che rappresenta un valore positivo ai fini della preservazione e determinazione della razza, e ogni popolo del pianeta dovrebbe sviluppare una simile considerazione. Male è invece la condanna e il decadimento di identità e tradizione, e dunque tutto ciò che simboleggia il fallimento dell’autodeterminazione.

D’altra parte prendiamo le distanze dal manicheismo delle religioni monoteistiche, di matrice semitica, poiché il loro dio, e dunque i loro principi, sono un prodotto di un mondo all’Europa estraneo. L’Europa è la nostra grande, e vera, famiglia spirituale. Il feticcio abramitico, Geova, affonda le radici nell’ambito levantino e riflette perciò la mentalità e gli usi e costumi di popoli agli antipodi della nostra eredità ariana. Credere di poter conciliare il lombardesimo col cristianesimo, nonostante i circa 2.000 anni di cultura cattolica, è una forzatura destinata all’insuccesso, poiché è chiaro: o si serve la vera Europa, e le origini indoeuropee, o si serve Yahvè.

Come detto poco sopra, il lombardesimo accantona religiosità e spiritualità per potersi concentrare su ciò che esiste per davvero: la nazione lombarda. E siamo dell’idea che la ragione non possa accompagnarsi alla fede, essendo quest’ultima intrisa dell’assurdità che costituisce la linfa vitale della metafisica. Scervellarsi per il sesso degli angeli – e per gli angeli medesimi – è un affronto alla verità assoluta della patria, che a differenza di Dio esiste e si manifesta concretamente permettendoci di raggiungere quell’autoaffermazione oggi più che mai vitale. Un identitario europeo può credere in Dio? Pacifico, ma gli consiglierei di capire bene di quale dio si tratti e, in particolare, di non anteporlo alla stirpe.

L’etno-razionalismo lombardista è a suo modo anticristiano. Un anticristianesimo che non è satanismo acido bensì contrapposizione a quanto la Chiesa ci ha inculcato nei secoli, anche per tenerci buoni e succubi e per legarci mortalmente alle catene dell’asservimento, dell’ignoranza, della superstizione. Il cristianesimo, coerente, è oltretutto universalismo, pietismo, umanitarismo, egualitarismo, progressismo (a suo modo), e se pensiamo poi alle radici semitiche del culto in Cristo capite bene che lasciare spazio a tutto ciò diviene un problema. Riprendendo la domanda posta sopra, un lombardista può essere cristiano? Certo, ma a rischio e pericolo della sua coerenza e della sua serietà, sia verso il lombardesimo che il cristianesimo.

Non siamo interessati a scristianizzare la società in una maniera conforme alle fole dell’Illuminismo e dei suoi eredi (i laicisti arcobaleno, per capirci), o peggio ancora a discriminare e perseguitare chi si dice fedele di Cristo e cattolico. Del resto i nostri padri erano gentili, ma anche cristiani, e non possiamo disprezzarne la cultura religiosa, come se nulla fosse accaduto negli ultimi millenni. C’è eziandio il rischio di riempire il vuoto spirituale lasciato dal cattolicesimo (chi, ormai, va ancora in chiesa, vecchine a parte?) con la spazzatura edonista prodotta dal consumismo e dal capitalismo occidentale, ma di certo con il lombardesimo un simile pericolo non esiste.

Il lombardista, infatti, non ha nulla a che vedere coi moderni giacobini e rigetta tutti i disvalori progressisti, compresa la laicità antifascista che tanto eccita i nostalgici della Rivoluzione francese. Il materialismo lombardista di cui andavo parlando è il robusto buonsenso, quasi contadinesco, che contraddistingue Sizzi, e che lo porta a prendere le distanze da una spiritualità votata al servizio di Cristo e, dunque, del clero cattolico. Oggi abbiamo una Chiesa finalmente coerente coi dettami evangelici e proprio per questo infida e perigliosa, più del passato. Quando papi e preti non erano coerenti, cioè prima del Concilio Vaticano II, rappresentavano a loro modo un’opposizione all’anti-identitarismo e all’anti-tradizionalismo, sebbene a scapito della propria fede.

Perché è inutile girarci intorno: la Chiesa preconciliare era lontana dai dettami cristiani, certo cattolica ma dubbiamente cristiana, e serviva più il potere temporale che quello spirituale. Un discorso che vale anche per l’antisemitismo clericale, dacché Cristo e la sua cerchia erano ebrei, Dio (inteso come Geova, si capisce) è prodotto della mentalità ebraica, il cristianesimo rimonta alla Palestina e dunque il cristiano ostile agli ebrei è qualcosa di grottesco e assurdo. Certo, i tradizionalisti cattolici non sono esattamente antisemiti, sono giudeofobi, e cioè condannano l’ebraismo come fenomeno spirituale che disconosce Gesù. Nondimeno, resta ridicolo un sentimento negativo verso coloro che hanno praticamente portato al Messia: senza giudei non ci sarebbe Cristo.

Riparleremo di cristianesimo (segnatamente cattolico), ebraismo e islam, ma quanto detto in questo articolo è utile a comprendere come il credo lombardista, l’unico che abbia un senso davvero identitario, nel mondo cisalpino, sia fortemente e fermamente laico in un’accezione per davvero razionale, e razionalista. E coniugando questo razionalismo con l’etnicismo del nazionalismo völkisch pone in essere un’antitesi radicale al ciarpame tanto fideistico quanto ateistico, dove tale termine allude all’universalismo giacobino e massonico degli atei volgari. Noi crediamo nel sangue, nell’etnia, nella nazione e ad essi dedichiamo i nostri sforzi e il nostro impegno, per il benessere materiale e spirituale della Grande Lombardia.