Sangue

Quando noi lombardisti parliamo di sangue intendiamo l’identità biologica di un individuo e, soprattutto, di un popolo, un’identità secondo natura che passa per antropologia fisica, genetica e razziologia. Un dato fondamentale, certo da non prendersi in considerazione da solo ma che rappresenta il primo caposaldo dell’ottica etnonazionalista e lombardista. Poi vengono suolo e spirito. Senza il sangue non si può parlare di razza e di etnia e sebbene non sia tutto, dal punto di vista tradizionalista, resta un basilare pilastro della visione del mondo etnicista, grazie a cui è, e sarà, ancora possibile parlare di popolo e di nazione. Chiaramente non è un merito, e non rappresenta certamente un pegno di superiorità; è un dono, e come tale va custodito gelosamente, e possibilmente tramandato ai posteri, nel rispetto dei vincoli endogamici. La nostra identità comincia dal sangue, e cioè dall’ADN, altrimenti non sarebbe più fattibile trattare di fisionomia identitaria etnonazionalista. Crediamo fortemente nel valore biologico della stirpe, per quanto debba essere accompagnato dall’esaltazione illuminata del suolo e dello spirito.

Ma se possiamo dirci popolo, comunità e nazione è proprio grazie al sangue, ereditato dai padri, elemento di primaria importanza e rivestito di sacralità che abbisogna di tutela, preservazione, valorizzazione. Tutto questo non per del razzismo o del suprematismo – ogni popolazione della terra dovrebbe ragionare in senso völkisch, a casa propria – ma per amore verso le origini, le radici, i natali, senza i quali non potremmo nemmeno essere definiti come individui membri di una comunità nazionale viva e battagliera. Chiaro, esiste il meticciato e il rimescolamento razziale ed etnico, così come esistono gli apolidi, e questo non comporta sicuramente mancanza di dignità e di valore. Meglio specificarlo. Tuttavia il credo nel sangue, soprattutto oggi, serve per difendere l’identità, in particolar modo dei popoli europei, troppo spesso ostaggio del mondialismo, e d’altra parte rappresenta un culto razionale di qualcosa di estremamente concreto e tangibile: l’ADN è razza, etnia, discendenza, aspetto fisico e ovviamente genetico, e nel nostro profilo nazionale, di stirpe, è riposta quella ricchezza fondamentale che ha nome biodiversità.

La Rezia cisalpina nell’ottica lombardista

La Rezia cisalpina, vale a dire il Tirolo storico primigenio (Trentino e Alto Adige), appartiene al dominio geografico granlombardo e pur avendo, nel caso altoatesino, caratteristiche proprie rientra perfettamente nel quadro cisalpino. Il territorio di Trento è, senza dubbio, lombardo: ad un occidente orobico rispondono un oriente veneto e un settore centrale “trentino”, considerando anche le sacche cimbre, mochene e ladine; il Tirolo meridionale, l’Alto Adige, è sicuramente più complesso e nonostante la minoranza ladina appare dominato dall’elemento germanico/germanofono, per quanto rimescolato con i nativi cisalpini. Tale situazione perdura dal Medioevo, perché, chiaramente, l’epoca antica preromana e romana vedeva come protagonista, viceversa, la popolazione indigena celto-retica, in un secondo momento romanizzata.

Sappiamo bene quanto l’Alto Adige sia orgoglioso delle proprie radici, della propria storia e della propria cultura, anche etnica e linguistica, e probabilmente persino in una Grande Lombardia indipendente porterebbe avanti istanze indipendentiste. Tuttavia, l’ambito tirolese meridionale – che è quello storico – è intimamente legato al Trentino, grazie al sostrato retico e celtico ma anche al superstrato longobardo, e la romanizzazione ha anticipato di secoli l’avvento austro-bavarese. Trentini e ladini rappresentano la componente indigena del Trentino-Alto Adige, che a nostro avviso ricade, perciò, appieno nell’ambito lombardo storico, allargato. E non solo per la geografia a sud delle Alpi. La Rezia cisalpina è connessa al resto della Padania, in quanto contesto cisalpino, per l’appunto, e dalle radici nord-etrusche, celtiche, longobarde, lombarde medievali.

Questo discorso vale anzitutto per Trento, città indubitabilmente lombarda, che per quanto abbia un territorio orientale molto influenzato dal venetismo nei secoli passati mostrava un’impronta etnolinguistica ancor più lombarda, cioè gallo-italica. Si consideri che gli stessi ladini, parlanti ladino, rientrano culturalmente nel dominio retoromanzo, cosiddetto, e quindi appartenevano un tempo all’unità etnica e linguistica padano-alpina, di marca galloromanza. Il ladino, in senso ampio, comprende il ladino propriamente detto, il romancio dei Grigioni, il friulano, ed è una famiglia linguistica strettamente imparentata col gallo-italico. Non sarebbe idea poi così balzana pensare di spostare al di là dello spartiacque alpino la popolazione “tedesca” (in realtà baiuvarica) per accogliere al di qua i romanci, nostri fratelli gallo-romanici.

Venetizzazione (o, meglio, venezianizzazione) e italianizzazione hanno interrotto questo continuum portando, linguisticamente, alla creazione di due tronconi padani: un ovest gallo-italico e un est reto-venetico, dai forti influssi mitteleuropei (nel settore settentrionale). Va comunque detto che l’etichetta retoromanza crea soltanto confusione: il ladino non ha sostrato etrusco, ha sostrato celtico, quanto il lombardo. Certo, sulle Alpi vi sono diverse minoranze, tanto a ponente quanto a levante: occitani, arpitani e walser nella Grande Lombardia occidentale, ladini (comunque cisalpini, etnicamente), cimbri, mocheni, altri germanofoni, sloveni e croati nella Grande Lombardia orientale. Una situazione complicata, anche se marginale, che comunque non inficia il nostro concetto di Lombardia storica, un territorio che abbraccia tutto lo spazio padano-alpino, per quanto in alcuni ambiti interessato dalla presenza di minoranze alloglotte.

Siamo per una Rezia cisalpina integralmente granlombarda, e siamo a favore dell’assimilazione dell’elemento germanico (o forse, più correttamente, germanofono). In tal senso non vediamo di cattivo occhio il ripristino delle famose “Opzioni”: gli altoatesini che non accettano la sovranità granlombarda e l’assimilazione possono sempre tornare oltralpe, nelle terre ancestrali dei loro padri. Fermo restando che il Tirolo meridionale non è indubitabilmente germanico, perché contempla anche e soprattutto la fortissima impronta celto-retica, assieme a quella longobarda, che lo connettono strettamente al Trentino (o Tirolo “italiano”, Welschtirol, termine dispregiativo che confonde le acque). “Tirolo” è toponimo cisalpino e indica anzitutto l’Alto Adige, ma storicamente include tutto il dominio retico cisalpino, perciò applicarlo al Tirolo austriaco è fuorviante. D’altra parte l’Austria non esiste, è soltanto la costola orientale della Baviera storica.