A volte mi si chiede un parere circa quelle comunità linguistiche storiche granlombarde ubicate al di fuori della Grande Lombardia, frutto di emigrazioni antiche. In modo particolare, mi viene posta la domanda a proposito della loro lombardità, e cioè se possano essere ritenute al pari delle popolazioni indigene della Padania. Considerando che stiamo parlando di comunità radicate da secoli in terre straniere e che, dunque, è stato inevitabile un rimescolamento con le popolazioni locali, direi che la mia risposta al quesito è tendenzialmente negativa, anche perché si tratta dei discendenti di individui sradicati secoli fa dalla Lombardia storica. Sarebbe perciò alquanto azzardato ritenere gli eredi delle colonie storiche lombardi al pari dei lombardi.
Ma quali sarebbero, oltretutto, queste colonie lombarde antiche all’estero? Presto detto: i lombardi di Basilicata (Potenza) e Sicilia (Enna, Messina, Catania, Siracusa); i liguri coloniali, tabarchini, di Sardegna (Carloforte e Calasetta), Corsica (Bonifacio) e Monaco; i veneti coloniali della Venezia Giulia storica (Istria, Quarnaro, Carso), della Dalmazia (Zara, Spalato, Sebenico, Ragusa) e dell’Albania Veneta (tra Montenegro e Albania). Si prendono qui in considerazione gli spostamenti medievali e rinascimentali, non recenti, frutto di sollecitazioni politiche, come nel caso dei lombardi dell’Italia meridionale, chiamati da Normanni e Svevi per rafforzare la latinità di aree ibride; di fenomeni coloniali legati all’espansionismo marinaro di Genova e Venezia; di altri tipi di trasferimento, come nel caso dei pescatori liguri – dapprima stanziati a Tabarca, in Tunisia – di Sardegna e dei coloni sempre liguri giunti in territorio monegasco.
Quelle suesposte sono comunità sicuramente fiaccate dal tempo ma ancora pressoché presenti. Parlando di domini marittimi, genovese e veneziano, c’è da dire che diverse comunità storiche sparse per il Mediterraneo sono oggi scomparse, assieme naturalmente alle lingue da esse impiegate. Per tale motivo si tratta di ligure e di veneto coloniali, poiché idiomi esportati dai colonizzatori e trapiantati in territori stranieri. Nel caso del gallo-italico (o lombardo, secondo l’accezione medievale del termine che riguardava l’intera Cisalpina, e che include il ligure) potremmo anche citare Briga, Gondo e Bivio (Confederazione Elvetica), un tempo linguisticamente lombardi; le isole liguri, cioè ancora galloromanze cisalpine, presenti nel Nizzardo (ancor oggi sopravvivono a Briga e Tenda, ma come naturale estensione del Genovesato) e in Corsica (Ajaccio e Calvi), rammentando che per taluni studiosi l’influsso idiomatico genovese si estendeva sino al nord della Sardegna; San Marino, che è un brandello di Romagna, anche a livello di loquela; l’area anconetana del Conero, dove vi è una piccola sacca gallo-italica, exclave in contrada italo-romanza.
In quasi tutti gli ultimi casi, tuttavia, non si può parlare esattamente di colonie storiche lombarde, bensì di territori un tempo lombardi oggi appannaggio di altre nazionalità. Per meri motivi geografici, come lombardisti, escludiamo pure quegli ambiti etnolinguisticamente granlombardi che però ricadono in domini geografici differenti: è il caso di Madesimo, di Livigno, di San Candido e di Tarvisio, e così le citate Briga e Bivio, svizzere, comunque ormai prive di viva lombardità. Ricordiamo, eziandio, che il quadro cisalpino include, anche in contesto di parlate, settori di confine con l’Italia: la provincia di Massa-Carrara (soprattutto la Lunigiana), alcune frazioni montane del Pistoiese, la Romagna toscana, l’intera Valmarecchia e, naturalmente, l’ager Gallicus (Pesaro-Urbino, fino a Senigallia, antica capitale senone), che è fascia di transizione gallo-picena.
Giustamente, nella coscienza storica e linguistica, le colonie gallo-italiche di cui discutiamo vengono chiamate lombarde (andrebbe fatto anche per quelle liguri di Sardegna, Corsica, Nizzardo; il caso veneto, come sappiamo, è diverso), poiché la Lombardia medievale, cioè quella genuina, riguardava l’intero “nord”, segnatamente la sua porzione occidentale. Si prendano in esame i lombardi di Lucania e Sicilia: tale etnonimo designava coloni di estrazione piemontese, ligure ed emiliana, dunque storicamente lombarda, e questo fa mirabilmente capire come il dominio grande-lombardo concerna tutta la Padania.
Tratteremo delle migrazioni lombarde moderne a parte, e tornando al quesito d’apertura, ribadiamo la risposta lombardista: queste colonie, sopravvissute – inevitabilmente “contaminate” – sino ad oggi, possono effettivamente dirsi appieno lombarde, dunque paragonabili all’antica madrepatria? Riteniamo di no, soprattutto venendo a parlare dei “lombardi” dell’Italia etnica meridionale, rimescolati con geni sud-italiani. È chiaro che un lombardo è chi ha genetica lombarda, e nel caso delle colonie ciò diventa proibitivo. I tabarchini di Sardegna, fondamentalmente, sono liguri anche in termini genetici, ma hanno comunque assorbito una piccola percentuale sarda. Consideriamo altresì che un individuo è pienamente lombardo se radicato in Lombardia almeno dal 1900, e cresciuto in un ambiente culturale cisalpino. Insomma, sangue, suolo e spirito, come sempre. Guardiamo con curiosità all’espansione medievale e rinascimentale dei granlombardi, ma i loro eredi non possono dirsi compiutamente granlombardi.
