Mercoledì scorso abbiamo passato in rassegna le comunità lombarde storiche presenti all’estero, frutto cioè di fenomeni coloniali medievali e rinascimentali che hanno portato genti lombarde a popolare territori extra-cisalpini. Oggi, invece, parleremo dei recenti fenomeni migratori riguardanti i lombardi, dall’800 in poi, segnatamente per quanto concerne una presa di coscienza identitaria che passa, ad esempio, per la lingua: gallo-italica, veneta, retoromanza. L’orgoglio e il senso d’appartenenza linguistici rappresentano un modo concreto di tramandare la propria identità, in questo caso in contesti esotici, lontano dalla madrepatria alpino-padana. Naturalmente, i lombardi all’estero possono essere benissimo rimescolati con geni indigeni, pur avendo una coscienza lombarda, e questo problema è un ostacolo ad un possibile rientro in patria degli oriundi.
Anni fa carezzavo l’ipotesi di una sorta di scambio, tra lombardi all’estero e allogeni: rimpatriare quest’ultimi richiamando gli emigrati nostrani. Ma la questione, per l’appunto, è delicata perché tali cisalpini all’estero potrebbero presentare commistioni esotiche, minando il concetto fondamentale di sangue. Allo stesso modo, se emigrati o nati all’estero, sono manchevoli del suolo patrio. Circa lo spirito, tuttavia, potrebbe esserci una coscienza identitaria che, nei fatti, si concretizzi grazie all’idioma nativo, e questo è sicuramente un dato positivo. In una Grande Lombardia sovrappopolata, comunque, non ci sarebbe spazio per oriundi rimescolati, perché la priorità è bloccare l’immigrazione e rimpatriare a tappeto. Una situazione diversa sarebbe il compromesso “retico” fra Cisalpina e mondo tedesco: i romanci scendono a sud delle Alpi, mentre i germanofoni cisalpini prendono la via teutonica (qualora non siano disposti a giurare fedeltà alla Grande Lombardia, lasciandosi assimilare).
Venendo al dunque, e considerando i fenomeni migratori che hanno portato alla formazione di comunità lombarde all’estero (tralasciando, dunque, l’emigrazione generica, senza conseguenze identitarie), per quanto concerne i gallo-italici (e cioè i lombardi etnici e gli altri cisalpini della Lombardia etnolinguistica) avremo una presenza sensibile in Sudamerica (Argentina e Brasile) soprattutto per quanto riguarda il lombardo grossomodo regionale, il piemontese e il ligure e l’interessante caso della comunità trentina di Štivor, nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina; in questa circostanza si parla di trentini di tendenze linguistiche venete (Valsugana), mentre altri trentini “lombardo-veneti”, in senso parimenti idiomatico, sono presenti in Brasile. Nell’Agro Pontino laziale, in epoca fascista, si stabilirono, fra le altre, comunità emiliano-romagnole, e così in Sardegna (ferraresi).
I veneti sono senza dubbio la comunità granlombarda all’estero più numerosa, anche perché moltissimi di loro si spostarono internamente alla Cisalpina, verso ovest (triangolo industriale) e verso nord (Alto Adige); da vecchie stime lombardiste, concludemmo che tra veneti puri e “spuri” nella Lombardia etnica ci potessero essere circa un milione di individui, di origine orientale. Orbene, troviamo comunità venete, e venetofone, recenti in Brasile, Argentina, Messico e Romania; in Sudamerica e Centroamerica si costituirono varianti linguistiche venete, come il famoso talian, ma ciò accadde anche in Romania, Tirolo meridionale e – a livello storico – nella Venezia Giulia (vedi Trieste, Gorizia, Istria, nonché Dalmazia e Montenegro) e in alcune località friulane, come Udine. Ma i veneti emigrarono pure, durante il Ventennio, nell’Italia etnica (Toscana e Lazio) e in Sardegna, per via delle vaste opere di bonifica delle paludi. Esistono comunità di lingua veneta eziandio in Australia. Le cifre aumentano se consideriamo, fra gli altri, gli esuli giuliano-dalmati, presenti in maniera nutrita nella stessa Lombardia etnica.
Per quel che riguarda, invece, i retoromanzi (ladini, romanci, friulani), va fatto un discorso analogo a quanto sopra, e specialmente nel caso del Friuli ricordiamo le mete europee (Francia e Belgio, ad esempio), americane (Canada, Usa, Argentina, Brasile), australiane e sudafricane, senza contare i carnici emigrati internamente verso ovest (triangolo industriale) e nell’Italia etnica (Agro Pontino, Roma), o in Sardegna (Arborea, come per i veneti). Per chiudere rammentiamo l’immigrazione interna alla Padania, soprattutto in direzione est-ovest, con veneti, friulani, istro-dalmati, emiliani orientali, romagnoli ed orobici (pensiamo al fenomeno secolare dell’emigrazione bergamasca) verso le più prospere – un tempo – regioni della Grande Lombardia occidentale.
Abbiamo, insomma, considerato non il fenomeno generico dell’emigrazione granlombarda all’estero, bensì l’espatrio con conseguente formazione di comunità padano-alpine in loco, cementate da lingua, usi e costumi, cucina, tradizioni. Resta la problematica etnica: gli individui trasferitisi sono granlombardi? Se di sangue intatto, grazie all’endogamia comunitaria, certamente, per quanto ormai nati all’estero. Seppur integri appaiono però sradicati e un loro eventuale rientro, atto a sostituire gli allogeni rimpatriati, potrebbe rappresentare una grana a livello di densità demografica, che nella Cisalpina raggiunge valori folli. È però chiaro: meglio gli oriundi degli alloctoni, e un parziale ritorno alla madrepatria (dei soggetti etnicamente compatibili) può essere valutato.
