
Da lombardista considero come Lombardia occidentale Piemonte e Valle d’Aosta, mentre la Lombardia occidentale moderna sarebbe la cosiddetta Insubria.
‘Piemonte’ è soltanto un coronimo, un nome geografico, non un etnonimo, e il territorio che esso designa, dal Medioevo sino al Risorgimento – cosiddetto -, è stato ritenuto parte della Lombardia storica, assieme alla regione lombarda attuale, Liguria, Emilia, Svizzera “italiana”, con il resto della Padania [1].
Uno dice: pure la Valle d’Aosta? Perché annetterla al Piemonte? Perché rientra nel bacino idrografico del Po, è cisalpina e non è altro che una valle con una cittadina, Aosta; è oltretutto decisamente piemontesizzata, in particolare nel settore meridionale. Se poi ci fate caso, vi sono franco-provenzali, diluiti, sia nell’area aostana che nella provincia torinese, e cioè nelle vallate occidentali, tra cui Susa.
Ridare questo cantone alpino, secolarmente legato alla Subalpina, al dominio francese, che già detiene territori granlombardi come Nizzardo, Monginevro, Valle Stretta e Moncenisio? Assolutamente no. Aosta rimane con noi, unita al Piemonte perché folle tenerla sotto forma di ente regionale, per di più autonomo, e ce la si può accattivare col blando federalismo cantonale [2]. Sono altresì conscio della forzata “meridionalizzazione” di quella valletta, e infatti penso che il territorio andrebbe fatto respirare, per così dire, a vantaggio degli indigeni, favorendo il rientro delle famiglie ausoniche finite lassù.
La suddivisione amministrativa lombardista della Subalpina sarebbe la seguente:
- Torino (Taurasia), con Ivrea, Pinerolo, Susa e Aosta;
- Cuneo (Bagiennia), con Alba, Mondovì e Saluzzo;
- Alessandria (Ambronia), con Asti e Acqui [3].
Ricordiamo che il lombardesimo non crede nelle regioni storiche, e infatti propone un modello cantonale. Si parla di Insubria, Orobia, Emilia e Piemonte come mere entità a fini statistici e demografici, senza alcun riconoscimento; per tale ragione abbiamo trattato di Vercelli, Biella e Valsesia a proposito dell’Insubria, perché fra l’altro aree di transizione. Ad ogni buon conto, al Piemonte spettano, come rammentato, anche Monginevro, Valle Stretta e Moncenisio, lembi di territorio padano, dal dopoguerra sotto la Repubblica Francese, destinati al distretto di Susa.
Classico simbolo subalpino è il Drapò sabaudo, che riprende la Croce di San Giovanni Battista con un tocco di blu Savoia, da abbandonare in favore della bandiera crociata dell’Assedio per Torino, dell’insegna storica del Marchesato di Saluzzo per Cuneo e di quella del Marchesato del Monferrato per Alessandria.
Le minoranze ivi presenti sono la franco-provenzale a nordovest e la walser a nordest; ci sarebbe anche quella occitana nel settore sudoccidentale, ma spesso si tratta di piemontesi che parlano provenzale. L’occitanismo cisalpino è un pretesto per fare gazzarre di sinistra anti-identitarie, condite dal solito cosmopolitismo antifascista. Nell’area meridionale estrema le genti di Taurasia [4] e liguri si sovrappongono, ma l’idioma subalpino viene parlato anche in brandelli di Regione Liguria, che sono parte del territorio geografico padano.
In Piemonte vi sono anche delle residue comunità ebraiche, e così in Emilia, bassa Regione Lombardia e Milano. Eccetto Torino e Milano si tratta ormai di poche unità, spesso mescolate e secolarizzate. Siamo dell’idea, tuttavia, che vadano restituite alla Palestina, come gli zingari all’India.
Nella vera Lombardia occidentale si parla piemontese, che comprende torinese e cuneese (ad ovest), astigiano, langarolo, roerino, monferrino, alessandrino (a sud); vi sono inoltre le loquele influenzate dal lombardo [5] dei linguisti come vercellese, biellese, valsesiano, novarese orientale, lomellino occidentale (ad est), ed infine citiamo il canavesano parlato ad Ivrea e suo territorio (a nord). In Valle d’Aosta c’è il patois valdostano, che è franco-provenzale, e si usa anche il francese (oltre al toscano).
Decenni fa in Piemonte c’era una minoranza che in breve non lo è più stata, vale a dire quella sud-italiana; Torino è diventata la terza città meridionale della Repubblica Italiana, grazie (si fa per dire) all’affarismo e alle politiche economiche targate Valletta-Agnelli che hanno letteralmente farcito di migranti, specie calabresi, la città sabauda. La Subalpina ospita, assieme a Liguria, Insubria-Orobia ed Emilia, ormai milioni di individui di origine ausonica, che hanno comportato con il loro esodo un ovvio sconvolgimento del tessuto etno-sociale originale, pagato, come sempre, dalla povera gente. La colpa a monte non è tanto degli immigrati “meridionali” quanto dei soliti affaristi indigeni che, ieri, sfruttavano i sud-italiani e oggi i moderni migranti. Agli esodi si sono aggregate le mafie che hanno fatto affari d’oro nel triangolo industriale (con la complicità della corruzione di taluni autoctoni, va detto).
Ai simpaticamente detti “terroni”, passatemi il termine scherzoso, si aggiunsero, in misura minore, veneti (soprattutto lagunari), friulani, emiliani orientali, romagnoli, esuli istro-dalmati sfrattati dai criminali titini e ovviamente gli immigrati più recenti provenienti da tutto il globo, che sovente rappresentano un grave problema in termini di delinquenza e degrado. Essere identitari, e indigeni, in Piemonte è ormai una medaglia al valore.
L’autoctono è di stampo celto-ligure, gallo-romano e longobardo. Forte in Piemonte il tipo alpinide, che implica una statura mediamente più bassa, rispetto ai vicini (vedasi le carte antropometriche di Ridolfo Livi), ma più diffuso è anche il tipo ligure, l’atlanto-mediterranide. La parte meridionale della regione subalpina risente molto del sostrato ligure antico e alcune zone che costeggiano il confine meridionale sono un embricarsi di piemontesi e genovesi, in senso storico (pensiamo all’Oltregiogo).
Per converso, il biondismo in area prealpina e alpina, e in zone come il Canavese, è sensibilmente più radicato, rispetto alla Regione Lombardia, grazie ad infiltrazioni nordiche storiche, anche se comunque di statuto periferico.
Le qualità terragne piemontesi sono però in pericolo di vita – se non direttamente trapassate – perché sempre più patrimonio di pochi, annacquate dallo sciagurato Risorgimento e triturate da un mondo industriale, come quello Fiat, orientato decisamente verso gli States più che verso l’Europa.
Il periodo italianista (2014-2021) non ha indebolito la mia convinzione riguardo la questione “meridionale” nella Cisalpina – perché decisamente orientato all’etnofederalismo – ed è poi riemersa con prepotenza nel contesto del ritorno alle origini plumbee: penso che, al pari degli altri immigrati, coloro che qui emigrarono nel dopoguerra dovrebbero rientrare nella terra dei padri, anche perché la Padania occidentale sta nettamente naufragando nel cemento, nell’inquinamento e nella sovrappopolazione. Se si vuole sopravvivere, cari miei, bisogna rivedere un bel po’ di cose.
Va da sé che sarebbe molto più assennato promuovere il rimpatrio degli ausonici piuttosto che continuare ad incentivarne la migrazione, affinché, peraltro, riprendano possesso dei territori sud-italiani abbandonati, oggi trasformati in colonie di alloctoni extraeuropei. Il sud della Repubblica Italiana può rialzarsi soltanto camminando con le proprie gambe, e anche per tale motivo l’indipendenza della Grande Lombardia potrebbe essere una ghiotta occasione di rilancio per l’Ausonia tutta.
Si è voluto creare uno stato tricolore, già di per sé scellerato, sfruttando la condizione depressa delle terre e delle genti sud-italiane col risultato di spalmare in lungo e in largo clientelismo, assistenzialismo, nepotismo, familismo, abusivismo e mafie, e tutto quel bizantinismo tipico di Roma e dintorni. Avrebbe avuto molto più senso settentrionalizzare il centrosud, piuttosto che il contrario. Ma questo non ci importa. Ci sta a cuore, molto più realisticamente, l’autodeterminazione della Lombardia, che deve andare di pari passo con quella dell’Italia etnica, affinché la repubblica venga rottamata e ogni popolo a meridione delle Alpi abbia il proprio etnostato.
Note
[1] In epoca post-carolingia era Lombardia soprattutto la porzione occidentale della Cisalpina.
[2] Fermo restando che l’area andrebbe comunque lombardizzata, per rinsaldare i legami cisalpini e rafforzare la coscienza granlombarda. I franco-provenzali, gli arpitani, sono il frutto di migrazioni medievali, come ogni altra minoranza storica del nostro territorio.
[3] Senza Tortona, destinata al Canton Piacenza, assieme a Voghera.
[4] Impieghiamo il termine ‘Taurasia’ come etnico del Canton Torino, ma può essere sinonimo di ‘Piemonte’. Deriva, ovviamente, dai celto-liguri Taurini, il cui etnonimo riecheggia, secondo alcuni, il celtico tarvos ‘toro’.
[5] Per noi il lombardo coincide col gallo-italico.
