Per tale ragione noi avversiamo fermamente il femminismo, inteso soprattutto come veleno progressista atto ad attossicare la comunità seminando zizzania e aizzando la sciagurata guerra tra maschile e femminile. Un conflitto in cui, a rimetterci, è l’intera ecumene europide, lombarda nel nostro caso, in nome di un falso sviluppo fondato sulla sovversione valoriale e la morte di quella tradizione a cui ci appellavamo. Non si tratta di sottomettere la donna, alla semitica, bensì di raggiungere nuovamente quella salutare integrazione che passa per la sinergia e l’armonia dei membri della società , come della famiglia, seguendo il solco tracciato dal patriarcato.
Questo sciro re degli Eruli nel 476 divenne re d’Italia, fino al 493 quando, asserragliato a Ravenna, fu deposto e ucciso da Teodorico, re degli Ostrogoti.
Il regno romano-barbarico che ci interessa più da vicino è dunque quello dei Goti di Teodorico che durò più o meno dal 489 al 553.
Nel 489 egli invase la Pianura Padana e nel giro di 4 anni se ne impossessò scacciando Odoacre a Ravenna dove, capitolando nel 493, fu poi ucciso dal re goto durante un banchetto.
I Goti, Ostrogoti in questo caso, erano un popolo germanico originario della Svezia meridionale che verso il finire dell’Impero diedero moltissimo filo da torcere all’agonizzante Roma, anche per tutta una serie di batoste inflitte all’esercito romano.
A Pavia Teodorico aveva il suo palazzo imperiale nonostante che la capitale fosse la romagnola Ravenna (dove fu poi tumulato).
I Goti erano di religione ariana, seguaci dell’eresia cristiana di Ario, ma una volta stanziati in Italia non diedero troppe rogne alla popolazione cattolica, al clero romano, o alla classe senatoria romana, che preservava ancora, in taluni casi, gli antichi culti pagani.
Il Regno ostrogoto non fu esperienza negativa, e col tempo risollevò la Lombardia sconquassata dal crollo romano, rinsanguando superficialmente la sua popolazione.
Si calcola che circa 250.000 individui [3] tra Ostrogoti e altri Germani (Rugi e Gepidi) calarono nella Pianura Padana agli ordini di Teodorico, provenienti dai Balcani; il loro impatto sulla popolazione autoctona fu del tutto contenuto, e i Longobardi influirono molto più di essi sull’Italia romana, specialmente su Padania e Toscana.
L’Italia gotica, però, aveva due problemi: Bisanzio e Roma.
I primi, in perenne combutta coi preti romani, intrigarono coi loro ruffiani d’Occidente per danneggiare in ogni modo gli Ostrogoti, tanto che nel 535 si arrivò alla famosa Guerra greco-gotica, culminata nel 553 con la vittoria di Bisanzio.
Lo scontro fra il mondo latino, cattolico, mediterraneo, e anche bizantino, e quello germanico, ariano, continentale, “barbarico” come ci si ostina ancor oggi a chiamarlo nonostante che i moderni migranti siano, invece, etichettati a guisa di “risorse” e “ricchezza” (i Goti, almeno, erano integralmente europei), sfociò in questa sanguinosissima guerra che vide soccombere soprattutto il popolo, sopraffatto da carestie, pestilenze, epidemie, e scorribande da ambo i lati.
La guerra impegnò celebri comandanti goti come Teodato, Vitige, Totila, Teia ma fu vinta dal valore di Belisario e dalla levantina scaltrezza dell’eunuco Narsete.
A dar man forte ai Goti vi furono anche Franchi e Alemanni.
Non per darsi al nordicismo, ma c’è da dire che Teodorico diede vita ad un regno comunque buono, per i tempi, e pian piano aiutò l’Italia ad uscire dalla crisi, per quanto la presenza gota fosse per lo più dislocata al di qua del Po, per motivi militari e strategici. Alla Roma senatoria e papalina questo non stava bene e fu il primo episodio di tutta una serie di ingerenze religiose negli affari di stato, che condussero a sud delle Alpi truppe straniere (e oggi allogeni).
La capitolazione degli Ostrogoti portò molti di essi ad emigrare, ma una minima parte rimase, nonostante l’intera Italia cadesse nelle mani di Giustiniano e dei Bizantini. E si diedero alla resistenza.
La Guerra greco-gotica fu un immane disastro per la popolazione, come ricordato, grandemente falcidiata soprattutto al “nord” dai mille flagelli che la guerra e la crisi recano seco.
Chiesa e Costantinopoli, deserto e Levante, parevano i vincitori, ma non durò a lungo.
Nel 568 un fiero e valoroso popolo nordico si affacciò sulla Carnia, provenendo dalla Pannonia, attuale Ungheria: i Longobardi, guidati dal loro re Alboino.
Tra il 569 e il 572 si impossessarono del grosso della Cisalpina e della Toscana, sbaragliando i fiacchi Bizantini e ricacciandoli da dove erano venuti, oppure costringendoli in sacche costiere come le Venezie e la Romagna (oltre naturalmente alla Roma del papa).
La Lombardia deve il suo nome ai Longobardi, ma tale etnonimo le fu dato indirettamente dai Bizantini, che chiamavano Langobardia i territori soggetti ai Germani in questione, quindi la Padania, la Toscana, e chiaramente i successivi ducati di Spoleto e Benevento (Langobardia Minor).
Tuttavia, il nome ‘Lombardia’ divenne appannaggio del settentrione, grazie alla forte impronta lasciata dagli antichi Vinnili, e per questo è il miglior termine per indicare la nostra nazione.
I Longobardi conquistarono la parte continentale e la penisola, ma a noi interessa il fulcro del loro dominio ossia la Pianura Padana, la Lombardia storica.
Questi bellicosissimi Germani erano anch’essi originari della Scandinavia, della Scania pare, e in seguito a diverse peripezie attraversarono l’Europa centrale giungendo prima in Pannonia, via attuale Austria, poi appunto in Val Padana, dove, divenendo del tutto stanziali, portarono a termine la loro epopea.
In 150.000 al massimo [4], il 2 aprile 568, varcarono il Passo del Predil (o il Matajur) per dilagare nella pianura occupando saldamente quasi tutto il “nord”, ma è chiaro che i Longobardi di stirpe non fossero esattamente 150.000: al loro seguito, infatti, 20.000 Sassoni e altri fra Gepidi, Rugi, Svevi, Bavari, Alemanni, Bulgari.
La nobiltà longobarda, e il fulcro etnico del popolo conquistatore, erano razzialmente nordidi o cromagnonoidi, ariani di fede assieme al pagano culto di Godan-Odino. Tra di essi anche elementi fenotipicamente indogermanici come i Corded Nordid e i Battle-Axe. La presenza dell’aplogruppo protoindoeuropeo R1a1a nelle terre subalpine è da attribuirsi agli invasori germanici, oppure all’influsso slavo nel settore orientale estremo della Grande Lombardia.
Di certo i Vinnili incrementarono il nordicismo della Val Padana, soprattutto, e dell’Italia etnica peninsulare (Toscana, Umbria, Sannio), impattando più dei Goti e di altri Germani. Studi genetici recenti calcolano che l’apporto biologico nordeuropeo alla Lombardia storica ammonti ad un 20%. Avremo modo di riparlarne, a proposito del calcolatore Eurogenes Global25, grazie a cui alcuni sodali lombardisti hanno messo a punto interessanti modelli, indicativi del profilo antropogenetico della Padania. Anticipiamo, comunque, che le aree più germanizzate (al di là , per ovvie ragioni storiche, dell’arco alpino) paiono il Triveneto di terraferma e le plaghe a cavallo fra Insubria e Piemonte, oltre al Piemonte stesso.
Discreta ma decisiva fu l’influenza di questi nordici sul nostro territorio, nonostante la perdita della lingua e delle loro ancestrali credenze religiose e tradizioni, via via abbandonate stabilendosi nel dominio italico-romano; anche i Franchi, i Burgundi, i Visigoti, in parte gli Anglo-Sassoni, i Normanni, venendo in contatto con la superiorità culturale di stampo latino preferirono abbracciarla che combatterla e distruggerla, e questo fu certamente un bene per l’Europa. Col tempo giunsero anche a fondersi con gli indigeni romanici. La forza guerriera germanica e la grandezza culturale greco-latina furono la rinascita dell’Europa dopo il crollo dell’Impero romano d’Occidente.
Alboino conquistò Milano il 3 settembre 569 dando vita al Regno longobardo, e Pavia nel 572, ove pose la capitale del regno dopo un assedio durato anni.
Successivamente nacquero il Ducato di Spoleto e quello di Benevento, piuttosto autonomi e riottosi al dominio centrale, sebbene venissero più tardi annessi.
I Longobardi si organizzarono in ducati ricalcando le precedenti suddivisioni bizantine, spesso in lotta col potere centrale pavese, e prima che la situazione si normalizzasse dovette esaurirsi la cosiddetta anarchia dei duchi, che durò una decina di anni, subito dopo la morte dell’indiscusso duce Alboino e del suo successore Clefi, e che terminò con l’avvento del figlio Autari.
Ancor più decisivo il regno di Agilulfo, con le sue grandi conquiste nella Pianura Padana bizantina (Cremona, Mantova, Padova), e Teodolinda, la regina cattolica di dinastia bavarese che molto incise sulle sorti del popolo longobardo.
Note
[1] Tradizionalmente, l’inizio del Medioevo a sud delle Alpi è sancito dall’invasione longobarda del 568-569.
[2] Se di tanto in tanto usiamo il termine equivoco ‘Italia’ è soltanto per indicare i territori che furono dell’Italia romana, dunque per comodità .
[3] Claudio Azzara fa una stima al ribasso, parlando di 100-125.000 unità , di cui 25.000 guerrieri.
[4] Stando alle classiche stime di studiosi come Jarnut, Gasparri, Azzara, Pohl.
Il lombardesimo crede fortemente nell’unità della nazione cisalpina, dal Monviso al Nevoso, dal Gottardo al Cimone. Esso ha un’ottica etnonazionalista e portando avanti l’ideale indipendentista ritiene che i popoli della Grande Lombardia non debbano disperdere le proprie energie fomentando campanilismi e regionalismi. È chiaro che all’interno della Padania vi siano identità secolari a cui le genti sono particolarmente legate, ma oggi dobbiamo cercare di unire gli sforzi ed esaltare quanto ci unisce, nel nome dei nostri padri celti, gallo-romani, longobardi, lombardi medievali. Siamo tutti lombardi, anche al di fuori dello spazio etnico del bacino padano, e ogni plaga granlombarda rappresenta una parte fondamentale della nostra nazione.
Il leghismo, negli anni ’90 del secolo scorso, ha proposto a più riprese diversi modelli di decentramento, senza mettere realmente in discussione l’impianto romano della Repubblica Italiana. Vero, nella fase secessionista sembrava di essere di fronte ad una svolta ma se pensiamo a come il tutto si sia poi sgonfiato, venendo riassorbito dal centrodestra berlusconiano, capiamo bene che il celodurismo bossiano sia stato soltanto una farsa propagandistica, anche se alla Lega Nord possiamo riconoscere il merito di aver posto, seppur confusamente, una questione “padana”. Secessionismo, federalismo, autonomismo, devolution… Le varie tappe della lotta, reale o presunta, al centralismo italiano hanno proposto delle soluzioni politiche sempre mirate al libertarismo, anche in seno alla Padania.
Nel V-IV secolo avanti era volgare, dunque, i Galli storici si insediarono nella Pianura Padana, sconfiggendovi gli Etruschi e stabilendo una continuità coi Liguri, già celtizzati dalla Cultura di Hallstatt. Nacque così la Gallia Cisalpina.
Gli Etruschi, fondamentali per l’antica cultura italica e per la formazione della civiltà romana, si attestarono primariamente in Toscana e Lazio (l’Etruria padana era più che altro un’espansione commerciale degli stessi); nel Lazio antico, invece, gli Italici protovillanoviani (Villanova era primariamente associata ai Tirreni), Latini, migrati, in forma embrionale, dalla valle del Po, fondarono Roma nel 753 a.e.v., sovrapponendosi alla civilizzazione etrusca e gettando le basi della Repubblica romana (che venne dopo il periodo monarchico). Nell’epoca che va dal 264 al 146 a.e.v., essa conquistò il Mediterraneo e quasi tutta l’Italia [1] romana, unificandola.
Grazie a campagne militari che andarono dal 225 al 194 a.e.v., i Romani si assicurarono il controllo della Gallia Cisalpina, che venne annessa così all’organismo romano. Fondarono diverse colonie tra cui Piacenza, Lodi, Cremona, Acerrae (Pizzighettone).
Prima delle conquiste romane, i Galli Cenomani, stanziati nel territorio della Lombardia etnica orientale e nel Veneto occidentale, si allearono coi Venetici e giunsero in conflitto con i Galli Insubri, che invece legarono con i Boi dell’Emilia in funzione anti-romana. I Cenomani divennero, come i Venetici, alleati dei Romani, più o meno stabilmente.
Nel 222 a.e.v. i Romani sconfissero proprio gli Insubri nella battaglia di Clastidium, Oltrepò pavese, ne distrussero l’esercito e ne approfittarono per conquistare Mediolanum, estendendo così il dominio dell’Urbe alla regione gallica transpadana. Il pericolo gallico, che portò al sacco senone di Roma ad opera di Brenno (390 a.e.v.), fu scongiurato.
Tre anni prima, gli Insubri si resero assai minacciosi, costituendo una “lega” celtica che invase il territorio italico, venendo però sconfitta dai Romani a Talamone.
Durante la Seconda guerra romano-punica (218-202 a.e.v.), il cartaginese Annibale, che dilagò nel territorio romano dalle Alpi, sobillò Insubri e Boi contro Roma. Qualche osservatore moderno di area vetero-leghista vede in tale evento un’occasione di unità per i popoli celtici della Cisalpina; fu per certi versi così, e chissà se la storia sarebbe andata altrimenti, ma resta il fatto che i Celti si misero dalla parte di un più forte invasore nordafricano, che calò nella Pianura con tanto di elefanti, divenendo suoi mercenari per avversare Roma. I Romani erano forestieri, in Padania, ma pure i Cartaginesi.
La Gallia Cisalpina divenne così una provincia romana. Le colonie portarono all’insediamento in terra padana di elementi italico-romani, mentre l’elemento gallico venne in parte sterminato, schiavizzato o disperso, segnatamente in area boica e senone. Questi dati non sono da esagerare, anche per quanto concerne la Cispadana. I Boi, secondo gli storici romani, presero in massa la via della migrazione transalpina, verso la Boemia che, come Bologna, prende il loro nome [2].
Nell’89-88 avanti era volgare, la cittadinanza romana venne estesa alla Cispadana mentre la Transpadana ricevette lo ius Latii, con il quale i Celti al di là del Po e i Liguri vennero latinizzati tramite deduzione di colonie fittizie.
Nell’81 a.e.v. il confine italico venne posto lungo le Prealpi e la Gallia Cisalpina divenne provincia armata, mentre nel 49 a.e.v. Giulio Cesare concesse la cittadinanza romana ai transpadani.
Nel 42-41 avanti era volgare, la provincia della Gallia Cisalpina venne abolita e la Padania annessa all’Italia augustea.
La Lombardia etnica fu così suddivisa in (Gallia) Transpadana (dal Sesia all’Oglio), Venetia et Histria (Brescia, Cremona, Mantova, e cioè l’area cenomane), (Gallia) Cispadana (l’Emilia) e il Piemonte meridionale nella Liguria.
I Cenomani alleati dei Veneti, e dunque dei Romani, vennero “premiati” annettendoli al resto dei loro alleati, staccandoli dallo zoccolo duro della Gallia togata; da qui nasce l’equivoco della Lombardia orientale “veneta”, poi corroborato dalla dominazione marciana moderna. I Veneti non misero mai piede al di qua del Garda, e la Lombardia etnica orientale è galloromanza e gallo-italica, al pari del resto del fulcro lombardo [3].
La guerra contro le popolazioni alpine (celto-reto-liguri), invece, continuò anche dopo il 42 a.e.v., con Augusto e i suoi figli, e l’esito fu scontato: popoli come Vennoneti, Bergalei, Camuni e Triumplini dovettero arrendersi di fronte allo strapotere romano, che portò così il confine dell’Italia romana sino alle Alpi.
I Romani diffusero l’uso del latino, delle loro leggi, dei loro costumi, della loro religione e realizzarono numerose opere di urbanistica e infrastrutturali. Dobbiamo ad essi reti viarie, idriche, fognarie. In questo periodo fiorirono i commerci e l’agricoltura, sorsero e si ingrandirono città e villaggi, fermo restando che Roma beneficiò grandemente della naturale prosperità celtica.
La romanizzazione della Gallia Cisalpina fu un passo fondamentale per i nostri avi e per noi, inserendoci nella civilizzazione latina. Non fu solo conquista militare, politica, culturale, amministrativa, fu anche etnica, sebbene il grosso del popolo rimase di estrazione indigena celto-ligure, per quanto romanizzato. E va anche messo in conto l’influsso tardo-imperiale esercitato dai coloni del Mediterraneo orientale, e poi riequilibrato dall’apporto germanico soprattutto dei Longobardi. Nulla, comunque sia, di paragonabile all’Italia etnica.
Certamente, noi lombardi (etnici) non siamo gallici e basta, o celto-germanici e basta. Siamo eminentemente celto-liguri, dove più e dove meno, e poi gallici e, in misura minore, germanici, anche qui dove più e dove meno. Ma siamo altresì romani (o, meglio, romanici, e romanzi), anche per sangue, non solo per lingua e cultura. Sicuramente, la romanizzazione portò in Padania geni italici e geni levantini. La primaria linea paterna lombarda è celtica/celto-ligure, e il nostro ADN è primariamente dell’Europa sudoccidentale, per quanto il concetto di Europa meridionale sia sterminato. La Cisalpina, come più volte ricordato, è a metà strada fra il Mediterraneo e il continente.
Diversi funzionari romani si stabilirono in Gallia Cisalpina, così come i veterani di guerra ricevettero, in virtù delle loro prestazioni, terreni lombardi [4]. La Lombardia diede i natali, fra gli altri, a tre autorità del mondo culturale romano: Virgilio, di Mantova, Plinio il Vecchio, di Como e Cornelio Nepote, di Pavia od Ostiglia (Mantova). Per non parlare di Catullo e di Livio, ma qui siamo in territorio venetico.
Si registrarono delle infiltrazioni germaniche nella Val Padana, ben prima delle invasioni storiche che portarono alla creazione dei regni romano-barbarici sul finire dell’Impero romano d’Occidente: Cimbri, Teutoni, Ambrones, Taifali, assieme a schiavi germanici e gallici deportati in Lombardia come forza lavoro, e ai famosi laeti, coloni nordici del tardo Impero.
Il dominio di Roma, repubblicano ed imperiale, su quella che oggi è Lombardia etnica e storica, durò 700 anni. Un periodo che non si può certo ignorare, è evidente, ma nemmeno va ingigantito in chiave retorica. La romanità non ha reso la Padania Italia, altrimenti mezza Europa andrebbe considerata italiana.
Nel 292 Diocleziano, con la riforma politico-amministrativa, designò Milano a residenza di uno degli imperatori, Massimiano. Milano divenne capitale dell’Impero romano d’Occidente, fino al 402 era volgare, quando Onorio trasferì la capitale a Ravenna. Le riforme dioclezianee, peraltro, vennero seguite da quelle di Costantino che divisero l’Italia romana, ormai una provincia come tutte le altre, in Annonaria e Suburbicaria: la prima coincise grossomodo con tutta la Grande Lombardia, e ne faceva parte pure l’intera Rezia. La Suburbicaria era invece la vera Italia, quella etnica, pur comprendendo anche la Sardegna.
Certamente Roma, sul finire della sua potenza, divenne un ente accentuatamente parassitario che sfruttava e strizzava le varie province per arricchirsi sulle loro spalle, succhiandole come un vampiro, vessandole con rapaci funzionari, lasciandole sguarnite di fronte alla crescente aggressività dei popoli germanici e barbarici che premevano lungo il famoso limes, minacciati com’erano da altri popoli barbari, nemmeno di origine europea, quali gli Unni. Chiaramente sono i difetti – ereditati dai Bizantini – di tutti gli imperi che non siano un’armonica confederazione di realtà etnonazionali. Ma questo è un concetto moderno, caldeggiato dal lombardesimo.
La decadenza romana, da una parte fisiologica, venne acuita dall’orientalismo, dall’effeminatezza e dal prolasso dei costumi, dal meticciamento e dall’eresia giudaica cristiana che sfilacciava l’ethos romano, già corrotto ed indebolito dall’età imperiale.
Diocleziano tentò di salvare il salvabile, rinviando di due secoli il crollo del gigante romano dai piedi d’argilla. Già in quel periodo, ormai, Roma contava poco o nulla.
L’Editto di Caracalla (212 era volgare), sull’universalità dell’Impero (tutti “romani”), e l’Editto milanese di Costantino nel 313, che garantiva libertà religiosa a tutti i cittadini romani, avviarono l’Europa sulla strada della dittatura cristiana bimillenaria. Teodosio compì l’opera proclamando il cristianesimo unica religione obbligatoria del mondo romano.
Il cristianesimo si diffuse in Lombardia, con tutto il suo strascico di magagne mediorientali, e nel 374 Ambrogio fu acclamato vescovo di Milano.
Nel 402, come ricordato più sopra, la capitale venne spostata nella paludosa Ravenna, in un clima congeniale allo stuolo di parassiti statali che ormai di romano non avevano più nulla. La stessa culla della romanità versava in pessime condizioni, preda del malgoverno, della corruzione, dell’incuria, dei liberti, dei cristiani e dei dinosauri senatori attaccati tenacemente ai loro privilegi. Una situazione che ricorda invero quella attuale.
Il destino dell’Impero era segnato, e nonostante che buona parte dell’esercito romano fosse rimpinguata da freschi soldati germanici (la schiatta guerriera “italica” era ormai esausta) la relativa vicinanza della Lombardia al confine danubiano favorì numerose incursioni di popoli barbarici nordici nel suo territorio, che poi venne trascinato nella polvere, nel fango e nelle macerie dall’inesorabile crollo della, comunque da tempo, ingessata potenza romana, decentratasi a nord e ad est (Costantinopoli).
Lo sciro Odoacre depose Romolo Augustolo, un ragazzino fatto ultimo imperatore-fantoccio dalle congiure di palazzo. Era il 476 dell’era volgare e il dominio di Roma, la prima Roma, ebbe fine, per convenzione. Infatti, più che di crollo, la storiografia moderna parla di dissoluzione, o di trasformazione.
Con il definitivo tramonto dell’Occidente, si contesero il possesso della Lombardia Ostrogoti e Bizantini, e fu la volta del grande Teodorico.
Note
[1] Sarà utile ricordare che l’Italia primigenia era la punta della Calabria e poi, in senso lato, la vera terra degli Italici, il centrosud. La Gallia Cisalpina venne, fondamentalmente, conquistata e annessa per ragioni militari, portando il confine dell’Italia romana allo spartiacque alpino.
[2] Lo strato gallico sopravvisse certamente anche a sud del Po, come ci testimonia la stessa genetica. Le notizie di stermini di massa sono dunque esagerazioni propagandistiche belle e buone. A nord del fiume, invece, come risaputo, la penetrazione romana fu soprattutto culturale, perlomeno inizialmente, e avvenne pacificamente.
[3] Sappiamo invece che sia proprio il Veneto ad essere parte della Grande Lombardia, e prima ancora della Gallia Cisalpina.
Oggi le femmine occidentali sono spesso e volentieri trasformate, con la loro attiva e consapevole collaborazione, in kamikaze che attentano all’integrità della famiglia, della comunità , della nazione, e la cui testa viene riempita di velenose corbellerie egualitarie. Nessuno mette in discussione la dignità della donna, ma volerle far credere che sia uguale all’uomo, e che possa fare tutto quello che fa un uomo con naturalezza, significa disgregare la società sovvertendone le dinamiche sane che sono finalizzate al vero progresso, e cioè al bene del popolo indigeno. Il declino dell’Occidente passa anche per il femminismo, per la distruzione della tradizione, per un laicismo pezzente che liquidando “Dio” pensa tranquillamente di poter parimenti eliminare identità e tradizione (comunque non necessariamente legate alla religione, anzi), sacrificandole sull’altare del relativismo. Nell’età contemporanea la donna, come tutti i cosiddetti diversi, viene usata per criminalizzare la storia della civiltà europea, il cui artefice è il maschio bianco eterosessuale e normodotato, con gran detrimento della natura. Al netto delle sordide menzogne liberal, l’armonia comunitaria è possibile grazie alla coesione di maschile e femminile, oggi gravemente minacciata dalla “cultura” woke della colpevolizzazione, e alla guida virile della società , espressione della solarità ariana tramandataci dai padri.
La Grande Lombardia indipendente che noi lombardisti abbiamo in mente, verrebbe degnamente rappresentata da un etnostato cisalpino fondato su sangue, suolo, spirito. I principi völkisch sono basilari nell’ottica lombardista, ed ispirerebbero anche, come è logico che sia, la natura e la struttura dell’entità statuale volta ad incarnare l’ideale sistema politico granlombardo. Non più stati-apparato ottocenteschi, e cioè finti organismi nazionali del tutto privi di fondamenta etniche, bensì compagini amministrative e governative che rispecchino la natura antropologica, biologica e identitaria del popolo granlombardo. Una soluzione politica inedita, nel quadro dell’Europa contemporanea ordinata (si fa per dire) sulla scorta di criteri giacobini, e dal puzzo massonico, perciò meritevole di attuazione.
L’Italia, finta nazione figlia della Rivoluzione francese, è uno stato plasmato integralmente dalla sovversione valoriale giacobina: egualitarismo, umanitarismo, cosmopolitismo, laicismo progressista, internazionalismo, anti-identitarismo, anti-tradizionalismo, a detrimento delle vere nazioni imprigionate dalla Repubblica Italiana. Il concetto di nazionalità viene sacrificato in nome di quello asettico di cittadinanza, che è privo di radici etniche e riguarda banalmente la convivenza civile tra popoli disparati (e allogeni). Non a caso, Risorgimento e “resistenza” si pongono in ideale continuità , all’ombra di una bandiera – il tricolore – che non riflette nulla di identitario e tradizionale, e scopiazza il più noto vessillo francese.
Pubblicherò, per qualche soledì, alcuni articoli sulla storia della Lombardia, soffermandomi in particolare sul cuore insubrico-orobico della nostra nazione. A seguire, degli scritti storici circa Bergamo e la Bergamasca.
La “Lombardia” del Pliocene (l’epoca più recente dell’era cenozoica o terziaria, fra i 5 e i 2 milioni di anni fa) aveva un’estensione territoriale differente da quella attuale.
Mentre l’arco alpino era ben definito, la Pianura Padana era ancora del tutto assente. Questa deve la sua formazione al deposito dei detriti portati a valle dal fiume Po e dai suoi affluenti nel corso dei milioni di anni successivi fino ad oggi; inoltre, alla spinta tettonica che la placca africana esercita contro la placca europea [1]. Tale spinta, nel corso delle centinaia di migliaia di anni, ha fatto sollevare la crosta terrestre dell’Europa, e in particolar modo dell’Appenninia e della Lombardia, di alcune decine di metri.
Questi due fattori combinati insieme hanno fatto sì che al posto dell’Adriatico, che occupava il Golfo Pliocenico Padano, abbiamo oggi una verdeggiante pianura tra le più fertili e ricche (purtroppo anche inquinate e cementificate, conseguenza, non da ultimo, della sovrappopolazione immigrata) d’Europa.
Durante l’ultima glaciazione (Würm), quella che interessò le Alpi tra i 110.000 e i 12.000 anni fa, la Lombardia alpina e prealpina presentava compatte calotte glaciali e ghiacciai montani. I ghiacciai montani e pedemontani modellavano il territorio asportando virtualmente tutte le tracce delle precedenti glaciazioni di Günz, Mindel e Riß, depositando morene di base e morene terminali di differenti fasi di ritrazione, e accumuli di löss (argille sabbiose finissime e giallastre di origine eolica), e spostando e ri-depositando le ghiaie attraverso i fiumi che scendevano dai ghiacciai. Al di sotto della superficie, essi ebbero un’influenza profonda e duratura sul calore geotermico e sulle tipologie di flusso delle acque sotterranee.
I celeberrimi laghi prealpini lombardi si formarono proprio in questo periodo, dalla ritirata dei ghiacciai.
Durante l’ultima glaciazione, va anche detto che la Val Padana appariva decisamente decentrata ed estesa rispetto ad oggi, tanto che il Po sfociava nell’Adriatico all’altezza di Ancona.
Le prime tracce circa la presenza dell’uomo nella Cisalpina rimontano al Paleolitico. La presenza dell’Uomo di Neanderthal è dimostrata da ritrovamenti risalenti a 50.000 anni fa, sebbene scarsi rispetti al resto d’Europa. La comparsa dell’uomo moderno, invece, è da attribuire a 34.000 anni fa (Paleolitico superiore), stando ai reperti.
Nel Neolitico (VI millennio avanti era volgare) si cominciano ad intravvedere le prime forme concrete di civiltà , grazie alla diffusione della ceramica impressa. Si affermano i manufatti di origine ligure anariana, e gli individui appartenenti a questo filone artigianale possono dirsi di tipo mediterraneo. La Cultura della ceramica cardiale si originò, però, nel Levante e giunse in Padania dai Balcani, innestando nella mediterranea, e arcaica (cromagnoide), valle del Po il tipo dinarico.
Gli uomini neolitici, dediti ad attività agricole, erano organizzati in società matriarcali incentrate su figure femminili, non solo a livello gerarchico e sociale ma anche culturale: culti ctoni, lunari, legati alla fertilità , al ciclo delle stagioni e alla Madre Terra, la Dea Madre: tutto da lei nasceva e a lei ritornava (quindi, rito funerario dell’inumazione) [3].
Erano società pacifiche, imbevute di artisticità , artigianato, raffinatezza, ricchezza e benessere. Per quei tempi, si capisce.
Gli oscuri Liguri, popolo di base preindoeuropea che si estendeva dalla Francia sudoccidentale alla Toscana settentrionale, erano eredi di questa temperie culturale, anche se nel tempo furono indoeuropeizzati. Il loro endoetnonimo, secondo gli storiografi antichi, era Ambrones, palesemente indoeuropeo, e facilmente accostabile a quello degli italici Umbri e degli omonimi Ambrones germanici. Dovrebbe ricollegarsi al celtico *ambr- e al latino imber, che significano ‘acqua, pioggia’, e quindi anche ‘fiume, torrente’. Â
Durante l’Età dei metalli, comparve nel cuore della Lombardia la Cultura di Remedello (III millennio a.e.v.). In questa fase (Età del rame), abbiamo i prodromi delle prime vere grandi civiltà protostoriche cisalpine. Elementi caratteristici del periodo sono i megaliti (statue stele, statue-menhir in Lombardia) e il vaso campaniforme.
La protostoria europea cominciò proprio col Calcolitico e arrivò fino all’Età del ferro, passando per quella del bronzo.
L’Età del rame, di Remedello, vide il fiorire del megalitismo anche in area padana, dove la Val Camonica cominciò ad emergere culturalmente grazie alle stele antropomorfe; sul finire del Calcolitico, comparve la Cultura del vaso campaniforme, che portò in Lombardia elementi di origine franco-iberica e centro-europea (delle avanguardie indoeuropee, in questo caso). La fase finale di Bell Beaker (all’inglese) fu infatti indoeuropeizzata nel Centro Europa, entrando in contatto con le ondate ariane provenienti dalle steppe ponto-caspiche. Pare che il tipo fisico di questa cultura fosse brachicefalo, sul dinarico.
La civiltà camuna esplose nell’Età del bronzo (II millennio a.e.v.), producendo le celeberrime incisioni rupestri (principiate comunque nel Mesolitico), dove cominciarono a comparire i primi simboli solari e guerrieri di origine ariana penetrati in Padania dalle Alpi Centro-Orientali. I Camuni erano, di base, un popolo alpino reto-ligure (i Reti erano dei tirrenici al pari degli Etruschi, ma senza influssi anatolico-caucasici recenti), certamente arianizzato soprattutto nel Ferro. A sud della Camunia, erano attestati gli Euganei, una popolazione ligure, o alpina [4]. Altro popolo alpino del Bresciano erano i Triumplini.
Reti erano pure i Vennoneti della Valtellina, e non a caso parte delle suddette incisioni sono state trovate anche nel settore orientale della provincia di Sondrio.
All’Età del bronzo appartiene pure la Cultura di Polada, che interessò soprattutto la Lombardia orientale, intrisa di elementi “mittel” di filiazione indoeuropea.
Finalmente, nella tarda Età del bronzo (XIII secolo a.e.v.), ecco la Cultura dei campi di urne, indoeuropea, proveniente dall’area centro-orientale dell’Europa, che in Lombardia trovò linfa vitale grazie a Canegrate e al proto-Golasecca, in Insubria. Nella Bassa lombarda, invece, si fece sentire l’influenza protovillanoviana, e poi villanoviana (etrusca), di culture collegate ai proto-Italici e ai proto-Latini, senza dimenticare le terramare, fra Regione Lombardia e Regione Emilia-Romagna.
La Cultura di Golasecca (prima Età del ferro, preceduta dalla fase protogolasecchiana del Bronzo finale) andava dal fiume Sesia al Serio ed era proto-celtica/celtica, emanazione di quella di Hallstatt; riunì elementi delle precedenti Culture di Polada (Liguri palafitticoli indoeuropeizzati), della Scamozzina (Liguri indoeuropeizzati) e di Canegrate (Celto-Liguri) nascendo attorno al XII secolo avanti era volgare, e vide come protagonisti gli Insubri pre-gallici, gli Orobi che fondarono Como, Lecco e Bergamo, e i Leponzi stanziati nel Ticino [5]. Costoro, fondendo caratteristiche mediterranee e preindoeuropee liguri con l’identità indoeuropea, virile, solare, guerriera, nordica, gettarono le basi della Lombardia preromana, irrobustite poi dai Galli storici, dai Gallo-Romani e da Goti e Longobardi, popoli germanici originari, si dice, della Svezia meridionale.
Fortificazioni, armi e oggetti in bronzo e in ferro (usati anche come corredo funebre), campi di urne [6], culti solari e celesti, monili ariani e solari, allevamento di cavalli, uso del carro da guerra, cittadelle, classici toponimi in -ate e tracce della varietà linguistica del celtico parlato allora nella Lombardia insubrica centro-occidentale (leponzio), erano alcune delle principali peculiarità della celtica civiltà di Golasecca, che svolgeva, oltretutto, un importante ruolo di mediazione culturale e commerciale fra i Celti continentali e il mondo mediterraneo, specie etrusco.
Le migrazioni ariane in Padania andarono dalla media Età del bronzo (metà del II millennio a.e.v.) al V-IV secolo a.e.v. (Età del ferro, iniziata nel I millennio avanti era volgare). E proprio in questo periodo irruppero i Galli storici.
Le invasioni storiche dei Galli continentali resero di fatto Gallia Cisalpina il territorio compreso tra la fascia alpina meridionale e l’Appennino settentrionale e tra le Alpi Occidentali e Orientali, soprattutto la cosiddetta Gallia Transpadana (rispetto a Roma [7]), che andava dal Piemonte al fiume Oglio e dallo spartiacque alpino al fiume Po.
Le ondate galliche portarono i Biturigi del mitico Belloveso alla fondazione di Milano [8], la nostra capitale, e occuparono lo spazio geografico che già fu dei golasecchiani; i Cenomani del, parimenti, leggendario Elitovio fondarono Brescia e occuparono il suo contado e quello di Cremona, Mantova, Trento (?) e Verona; i Boi si stanziarono in Emilia, ma anche nel Lodigiano, e liquidarono gli Etruschi (un impasto mediterraneo-villanoviano, preindoeuropeo-indoeuropeo, con una tarda fase culturale orientalizzante), che precedentemente erano arrivati a lambire la Bassa lombarda transpadana, sfruttandola più che altro per motivi commerciali (vedi il famoso emporio mantovano del Forcello).
I Galli trovarono una realtà transpadana occidentale già in parte celtizzata, instaurando un continuum etnico che sarebbe poi quello leponzio-gallico continentale che ha fatto da sostrato linguistico ai dialetti gallo-italici.
Prima che i Romani conquistassero gradualmente la Lombardia, annettendola all’organismo italico, i Galli cisalpini suddivisi in tribù celtizzarono il territorio – continuando l’opera dei proto-celtici predecessori – da un punto di vista culturale e razziale, trovandosi a loro agio tra alture, colline, pianure, in riva ai nostri laghi di origine glaciale e in mezzo alla sterminata foresta planiziale di farnie, carpini e frassini che ricopriva la Pianura Padana.
Il Celta, come si sa, amava immergersi nella continentale natura circostante, una caratteristica che comunque ritorna nella tipica religiosità indoeuropea, fondata com’è sul sangue della stirpe e il suolo della patria.
La toponomastica lombarda divenne fortemente gallica [9]; il carattere celtico della lingua indigena si rafforzò; sorsero sempre più abitati fortificati posti in collina (i famosi “duni”); inumazione e incinerazione dei cadaveri, a seconda della tribù gallica, caratterizzarono i riti funebri della popolazione; la costruzione di santuari e la dedicazione di boschi sacri costellò le contrade padano-alpine; la produzione di manufatti celtici, stavolta soprattutto in ferro (armi in particolar modo), accompagnò la Cisalpina sino alla piena romanizzazione. L’Età del ferro è l’epoca celtica per antonomasia, nella Grande Lombardia.
La schiatta gallica, composta – soprattutto a livello elitario – da nordidi del tipo Keltic, biondi, fulvi, castani, con occhi verdi o azzurri, con lunghi mustacchi e lunghi capelli, alti e robusti, bellicosi e pervasi dal furore, nordicizzò la Lombardia, contribuendo, assieme ai popoli germanici, al concreto apporto nordeuropeo che contraddistingue l’identità della terra fra Alpi e Po, con l’appendice cispadana.
L’identità della Lombardia, specie occidentale, è fortemente celtica, e affonda le radici nel periodo di Canegrate, mille anni prima della calata dei Galli di Cesare, fiorendo durante il golasecchiano ed esplodendo grazie all’apporto dei transalpini. Ma merita considerazione anche il sostrato ligure, anariano e ariano, e quello reto-etrusco su Alpi e pianura. Non abbiamo trattato del contesto venetico, essendoci concentrati sulla Lombardia etnica segnatamente insubrico-orobica, ma risulta evidente, a partire dal dato archeologico, che la presenza celtica abbia interessato eziandio l’area della Grande Lombardia orientale.
Note
[1] La Padania nasce dalla collisione fra la parte settentrionale della massa africana distaccatasi, la zolla adriatica, e la massa eurasiatica. Dire, dunque, che il nostro territorio è figlio tout court della placca africana è una sciocchezza pressapochistica.
[2] Nel genoma siciliano è stato tuttavia individuato un lascito nordafricano medievale.
[3] Questa è la lettura tradizionale, alla Gimbutas, della cosiddetta Old Europe. Oggi la posizione degli archeologi è decisamente più sfumata.
[4] Termini come ‘ligure’, ‘alpino’, o anche ‘mediterraneo’, nel contesto archeologico tradizionale, indicano il sostrato indigeno, anariano, delle nostre terre.
[5] Altri popoli antichi associati al golasecchiano, secondo l’archeologo Raffaele De Marinis – ai cui scritti rimando -, sono Levi, Marici, Libui o Lebeci, Vertamocori, Agones.
[6] Urnfield, nel mondo anglosassone, indica il peculiare rito funerario del mondo indoeuropeo, l’incinerazione, che si ricollega a precisi schemi e modelli della spiritualità ariana, come il culto del fuoco, della purificazione e degli antenati, e la liberazione dell’anima dalla “prigione” del corpo.
[7] Se adottassimo il criterio “milanese” la Cispadana sarebbe la Transpadana romana, e viceversa.
[8] In realtà , è più probabile che la fondazione di Mediolanum sia avvenuta in epoca golasecchiana; la vicenda dei Galli Insubri va così a sovrapporsi a quella degli Insubri golasecchiani, stando ad un’omonimia non certo singolare, vista la comune appartenenza etnica al mondo celtico.
[9] Tipici suffissi gallici come -aco, -ago, -uno, -uco, -ugo accompagnarono la penetrazione dei conquistatori, prosperando anche in epoca gallo-romana e medievale.
Non si tratta di considerare la femmina inferiore al maschio, calpestandone la dignità , si tratta di comprendere come maschio e femmina siano diversi e complementari, e pensarla in maniera differente significa sputare sulla natura, sulla tradizione e sull’eredità indoeuropea dei nostri padri. La biologia, l’antropologia e la psicologia ci dicono chiaramente che l’uomo sia predisposto a cose per cui la donna non è affatto portata, e viceversa, e ignorare ciò equivale a sovvertire l’ordine naturale delle cose, trascinando inevitabilmente nella polvere la già indebolita comunità europide. A fronte di un sud del mondo prolifico, aggressivo e integralmente patriarcale, ecco che gli europei (segnatamente nordici e occidentali) calano le brache di fronte al progressismo, mettendo la gonna agli uomini e i pantaloni alle donne, cioè invertendo i ruoli benedetti dalle normali inclinazioni. Una società razionale è una società , combaciante col concetto di comunità , in cui il potere è amministrato dall’uomo, e in cui la donna aderisce ai modelli vincenti del patriarcato. Ciò vuol forse dire rinchiudere le donne in casa a spadellare e scodellare pargoli, alla semitica? Nient’affatto: vuol dire valorizzare al meglio la vocazione virile e quella muliebre, raggiungendo una pacificazione necessaria per il bene della patria.