Patriarcato vuol dire civiltà

Sovente, sulla scia di alcuni fatti di cronaca nera, la società patriarcale viene accusata di ogni nefandezza possibile, soprattutto in materia di condizione della donna. Nella testa dei progressisti, il patriarcato assume i connotati del sessismo, del maschilismo e della misoginia, a patto, naturalmente, che si tratti di un prodotto culturale europide (sempre che esista ancora, e ne dubitiamo). Se, invece, riguarda i popoli e le culture del sud del mondo, nessun guitto salottiero ha da ridire, poiché, come sapete, ai melanodermi tutto viene perdonato. Il problema, per i fini pensatori di sinistra, è il maschio bianco eterosessuale, reo di essere il mostro che ha concepito tutte le discriminazioni possibili e immaginabili.

Peccato che a lorsignori non venga proprio in mente che la società patriarcale europea, forgiata dall’uomo bianco, sia sinonimo di civiltà, ordine, virtù e che la colpa della decadenza contemporanea dell’Europa vada rintracciata, guarda caso, nell’assenza di patriarcato. Esso, perlomeno nella metà occidentale del continente, non esiste più, un po’ come il tanto vituperato fascismo, eppure viene additato alla stregua di fonte di ogni guaio comunitario; chiaramente, chi accusa il patriarcato esalta l’antifascismo, l’antirazzismo e il relativismo che ha partorito il femminismo, ed è dunque un nemico giurato dei sani principi virili, che oltretutto danno forma alla tipica liquidità muliebre. Patetico e stucchevole ritenere che le donne, in Occidente, siano discriminate, a maggior ragione se si ciarla di patriarcato.

La nostra civiltà è figlia del patriarcato, e non c’è bisogno di tirare in ballo il cristianesimo, per quanto di ispirazione tipicamente maschile. Questo ha ereditato, o meglio parassitato, la solare visione patriarcale del mondo indoeuropeo, il mos maiorum dei Romani, il pensiero filosofico greco plasmato da uomini, e di fatto si è sostituito al retaggio ariano dell’Europa, snaturandolo e costringendolo nel letto di Procuste della mentalità abramitica. Ma non c’era bisogno del corpo estraneo giudeo-cristiano per affermare una società a guida maschile, poiché essa era già stata posta in essere dai nostri padri indoeuropei.

Il cristianesimo è un prodotto del deserto, come giudaismo e islam, e ha una concezione semitica della donna, figlia di una pulciosa sessuofobia da beduini. La cultura ariana, invece, reputa la femmina di secondo piano, rispetto all’uomo, ma al contempo la ritiene complementare al maschile, perché diversa, non inferiore. E il patriarcato bianco non considera, per l’appunto, la figura femminile inferiore, ma ovviamente non può certo pensarla al posto dell’uomo, alla guida della comunità e della famiglia. Il rispetto degli innati ruoli dei sessi è fondamentale, garanzia di armonia, equilibrio, benessere, per tutti i membri della società. Chi blatera di patriarcato, di fronte alle violenze che subiscono talune donne, è un emerito imbecille: è proprio la sua negazione a generare i delitti, e cioè la liquidità postmoderna.

Chi pratica violenza, o addirittura uccide, per questioni passionali è un debole, un effeminato, un impotente, lontano anni luce dalla figura solare maschile che il patriarcato incarna, e difende. Esso è garanzia di rispetto e difesa per la donna medesima, che nel patriarcato ritrova la propria più intima dimensione e diviene moglie, madre, ancella del focolare domestico e della patria. Coloro che invece demonizzano e denigrano l’impronta maschile – oggi sempre più sbiadita – conferita al mondo europeo non sono altro che detrattori e avversari dei valori e dei principi su cui si è edificata l’Europa, senza i quali non sarebbe certo possibile parlare di civiltà. Ma oggi il patriarcato non esiste più, e proprio per questo motivo il nostro continente naviga in cattive acque.

I lombardi e la Lombardia

El Bisson

I lombardi, segnatamente padani, sono un popolo, dunque un’etnia; non sono una razza o una subrazza, chiaramente, bensì un insieme di genti che costituiscono la nazione cisalpina, la Grande Lombardia.

I lombardi, scendendo più nello specifico, appartengono alla razza caucasoide europea, agli europidi, e sono la risultante della fusione di elementi di base (atlanto)mediterraneide e alpinide con altri di estrazione dinaride e, meno, nordide (periferica). L’elemento dinaride/adriatide, si fa preponderante nel contesto del Triveneto.

La Lombardia storica è molto vasta come territorio, va dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali, e dall’arco alpino all’Appennino, e quindi i granlombardi non sono del tutto omogenei, anche se gli elementi fisici e genetici basilari restano appunto il sostrato neolitico ligure e reto-etrusco (mediterraneo occidentale) e quello più continentale (alpino), influenzato dagli apporti indoeuropei.

Il nerbo lombardo è ovviamente situato nella Lombardia padana, nell’area che gravita attorno a Milano, la nostra capitale, e se vogliamo trova nell’Insubria il suo fulcro rustico, per quanto oggi offuscato dalla globalizzazione e dall’invasione alloctona.

La zona insubrica fu proto-celtica (Canegrate e Golasecca), gallica (Insubri), naturalmente gallo-romana, germanica (Longobardi della Neustria e Franchi), modellata dal Medioevo feudale, comunale e signorile; è un po’ il cuore della Lombardia etnica, grazie alla sua centralità, non solo geografica ma anche culturale e linguistica.

Il cuore della Lombardia è piuttosto alpinide, e il tipo alpino è certo quello prevalente. Solitamente, sebbene erroneamente, viene associato ai Celti, in quanto il grosso del popolo transalpino che questi portavano seco, essendo centro-europeo, apparteneva al fenotipo in oggetto. Un po’ come i Venetici, associati all’estrazione dinaride, in virtù della loro provenienza centro-orientale, danubiana.

Comunque sia, tradizionalmente, i caratteri fisici legati alla celticità sono quelli nordidi dinaromorfi, vedasi il noto Keltic Nordid dell’Età del ferro.

Procedendo verso nordest si possono notare influssi retici (nord-etruschi) in Valtellina, nelle Orobie, nelle Prealpi bergamasche e bresciane, quindi dinarico-mediterranidi, e lo stesso si può riscontrare a sudest, in area padana, dove gli Etruschi, se non proprio a colonizzare, giunsero ad influenzare zone come Cremonese, Bassa bresciana, Mantovano. Se parliamo di Reti, tuttavia, va soprattutto citato il Triveneto settentrionale, e se parliamo di Etruschi la Lombardia cispadana; nel primo caso vanno messi in conto discreti influssi di tipo nordoide, e naturalmente l’elemento alpinide.

L’aplogruppo R1b-U152, clade Z36, ritenuto peculiare delle invasioni galliche, trova i suoi massimi fra Bergamasco e Bresciano, in zone molto conservative e caratterizzate da una cospicua eredità del Ferro. Quel lignaggio paterno, essendo presente parimenti in area elvetica, è molto probabilmente connesso alla Cultura di La Tène.

Gli influssi liguri, al di là della Liguria, sono forti nel basso Piemonte, Pavese, Novarese, Milanese e Alto Milanese, Lodigiano e si esprimono in elementi mediterranidi e “progressivi” (atlanto-mediterranidi). Anche l’Emilia occidentale risente particolarmente del sostrato ligure. La toponomastica però suggerisce l’esistenza di un substrato di questa tipologia eziandio nel settore genericamente centro-occidentale (Piemonte e Insubria), mediante il classico suffisso -asco/a.

Il modesto apporto nordide deriva certamente da Celti e affini [1] e, soprattutto, dai popoli germanici, quali Goti e Longobardi. Nel caso orientale va registrato l’ingresso di componenti teutoniche recenti e slave. Coi Franchi, nel Medioevo, si verificarono pure immigrazioni di altri elementi nordici come Alemanni, Svevi, Bavari. D’altra parte, lungo l’arco alpino, va ricordata la presenza storica di diverse minoranze di origine transalpina.

Fra i gruppi minoritari storici, allogeni, vanno menzionati i giudei, concentrati a Milano ma un tempo presenti anche nell’ovest e nella Bassa, e gli zingari, in particolare sinti, noti giostrai della Val Padana.

Potremmo dire che l’odierno lombardo etnico, mediamente, è medio-alto, robusto, brachicefalo/mesocefalo, di carnagione chiara, capello castano, occhio intermedio; appartiene, primariamente, al lignaggio dell’aplogruppo del cromosoma Y R1b, indoeuropeo occidentale, e a quello dell’ADN mitocondriale H1 (euro-indigeno, mesolitico), al gruppo sanguigno “universale” 0+ ma pure sensibilmente al gruppo euro-continentale A+, e digerisce certo il lattosio più di molti altri “italiani” (segnatamente meridionali), per via della propria storia. Come si sa, più si va a nord e più il lattosio è tollerato (in “Italia” si digerisce relativamente poco, per via della robusta eredità neolitica e agricola, che nel settore meridionale scolora nel levantinismo recente).

Discreta è la diffusione dell’occhio nordico verde-grigio-azzurro, modesta quella del biondismo puro, che nel nord granlombardo raggiunge il 20%.

Geneticamente parlando, a livello di ADN autosomico, siamo certamente celtici e germanici, ma il grosso è neolitico talché ci collochiamo tra toscani e iberici/francesi meridionali, globalmente. Può sembrare sorprendente, ma la Val Padana, che è la realtà più popolosa della Grande Lombardia, è molto mediterranea occidentale e ha un contributo romano-imperiale, dunque orientale, più importante di quello dell’Iberia, anche se poi questa è certo meno nordica, in senso slavo-germanico. Siamo dunque europei meridionali, o meglio centromeridionali, nonostante il netto influsso antropologico e genetico del Centro Europa, che si fa cospicuo lungo le Alpi.

Quello che, sempre geneticamente, distingue chiaramente la Padania da Toscana/centro, ma soprattutto dal sud, è un maggior aspetto continentale (indoeuropeo e nordico) e un minor contributo levantino, antico e soprattutto recente. Sardegna naturalmente isolata. Non esiste un vero e proprio cline, tra gli “italiani”, anzi, lo stacco che esiste fra Padania e Italia etnica meridionale è una vera e propria frattura. La Toscana è una realtà intermedia, per diversi aspetti più affine, biologicamente, alla Grande Lombardia che all’Italia.

In epoca protostorica la Lombardia è stata dunque modellata, a ovest, dalle culture proto-celtiche di Canegrate e Golasecca (emanazione di quella di Hallstatt), a est da quella di Polada, Fritzens-Sanzeno, Este, senza contare i castellieri nordorientali; a sud da terramare, protovillanoviano, villanoviano, con la Liguria arianizzata dai neo-Liguri [2] e dagli influssi celtici. Questo per citare le civiltà precipue. Nella seconda fase del Ferro, va citata la gallica Cultura di La Tène, e a seguire la romanizzazione, militare a sud del Po, pacifica al di là.

Popoli protostorici degni di nota furono i Liguri, più o meno indoeuropeizzati (fra cui Lebeci, Levi, Marici, Euganei [3] e le varie tribù della Liguria e dell’Emilia occidentale), i Reti (Vennoneti, Camuni, Triumplini, Anauni ecc.), i Celto-Liguri veri e propri (Salassi, Insubri golasecchiani, Leponzi, Orobi, Anamari), i Galli (Insubri, Cenomani, Boi, Lingoni, Senoni, Carni), gli Etruschi della Cispadana. Determinante fu l’apporto romano, soprattutto nelle colonie create grazie alla conquista della Gallia Cisalpina, e poi meritano menzione Goti, Longobardi e in misura minore Franchi e altri Germani. I lombardi sono nati dalla fusione di questi elementi etnici, portata a compimento nell’Alto Medioevo, e in particolar modo dall’incontro fra il substrato mediterraneo e alpino, l’arianizzazione del Ferro [4], la romanizzazione, e il superstrato germanico, per quanto marginale.

I lombardi abitano un territorio mite, temperato, subcontinentale; centromeridionale dal punto di vista geografico, legato alle Alpi e alla Valle del Po, all’Appennino settentrionale, per nulla peninsulare; la vegetazione forestale in area montana è composta da rovere e roverella, mentre in pianura è (o era) tipicamente continentale grazie a frassino, carpino e farnia; la fauna è a metà strada fra quella mediterranea e l’area mitteleuropea; la cucina ha influssi centro-europei [5] perché a base di carne bovina e suina o di cacciagione e selvaggina, latticini, cereali o verdura e frutti classici dell’area europea centrale come verze, patate, cicorie, orzo, segale, frumento, mele, frutta secca, che portano alla creazione di piatti poveri e rustici ma sostanziosi (cazzoeula, busecca, cotoletta, polpette, polente varie e non solo di granturco, pasta all’uovo ripiena, lardo e burro come condimenti, stufati, bolliti, affettati, dolci grassi di ogni tipo ecc.); si beve più vino che birra, naturalmente. Il vino locale non ha nulla da invidiare a quello francese.

Risentiamo molto della romanizzazione, vuoi per la lingua, per la vite, per i castagni o per l’olio dei laghi; vuoi per il cattolicesimo sempre abbastanza fedele a Roma (purtroppo). Siamo chiaramente una terra che ha una discreta componente mediterranea, prevalente lungo le coste liguri, romagnole, istriane. Roma ci ha anche lasciato in eredità, a noi come a mezza Europa, dei geni del Mediterraneo orientale recenti, di epoca imperiale, seppur nulla di paragonabile a quanto accaduto nel centrosud.

A livello di indole e di inclinazione culturale, potremmo dire che i lombardi sono intrisi di mentalità alpina e contadina (padana): grandi lavoratori, testardi, coriacei, sobri, terragni, intraprendenti; aspetti che comportano benefici (lavoro, parsimonia, ordine, disciplina, virtù, efficienza, sviluppo, benessere) ma anche difetti (taccagneria, ottusità, bigottismo, campanilismo, chiusura mentale e grettezza, ignoranza, piccineria, arroganza). Per non parlare della sfumatura cosmopolita di aree come Milano, Torino, Genova, Bologna, dove materialismo e consumismo dominano, spesso in condominio col progressismo, facendosi acerrimi nemici dell’impegno identitario, e dei nostri giovani e giovanissimi traviati.

Ce la prendiamo, a volte, coi sud-italiani e gli altri immigrati, pedine dell’orripilante giuoco mondialista, ma dobbiamo pure riconoscere che la colpa dell’attuale condizione di colonia romana, italiana e multirazziale è anche nostra: una società viene invasa e conquistata dall’esterno anzitutto perché corrotta al suo interno. I granlombardi, soprattutto occidentali, hanno abdicato al ruolo di legittimi padroni della Grande Lombardia, e ora ne pagano le conseguenze. Questo succede, sacrificando l’identitarismo al dio denaro. Poi è chiaro, la condanna nei confronti dell’italianizzazione e della susseguente immigrazione allogena deve essere senza se e senza ma, perché ordita dal sistema, nonostante la complicità dei pescecani locali.

La cosa migliore per i lombardi è riscoprire le proprie origini, ridestare l’identità sopita, ché nulla è davvero perduto, e abbracciare il lombardesimo. Etnonazionalismo e indipendentismo lombardi, perché la nostra patria deve lottare unita per la propria salvazione e la propria libertà. Basta Roma, basta Italia, basta sistema-mondo. Il futuro può essere roseo soltanto se proiettato nella dimensione genuinamente völkisch dell’azione culturale, metapolitica e politica della Grande Lombardia restituita a sé stessa, e affrancata dal giogo cosmopolitico.

Note

[1] Liguri e popoli alpini arianizzati, Veneti, Etruschi di influsso indoeuropeo.

[2] Un termine tratto da Michel Lejeune.

[3] Per taluno popolazione alpina.

[4] Molti non lo sanno, o fingono di non saperlo, ma il celtismo padano-alpino risale al Bronzo, mille anni prima circa dei Galli, grazie alla Cultura di Canegrate, e ai primordi della Scamozzina.

[5] I Longobardi modificarono sensibilmente la dieta cisalpina, romanizzata, che comunque aveva radici celtiche.

Società

Il lombardesimo ha in mente una società che, finalmente, sia specchio fedele della risanata comunità etnica e nazionale lombarda, dove l’individualismo venga sconfitto e trionfi l’identità collettiva dei cisalpini. Una società sganciata dal funereo carrozzone occidentale, trainato dagli Usa, e plasmata dunque dalla sacrale triade di sangue, suolo, spirito, il fondamento di ogni patria virtuosa. La vita sociale dei lombardi non può più essere votata allo sterile feticcio del fatturato, o all’edonismo che tanto ha avvelenato i popoli dell’Europa occidentale, poiché è giunto il momento di rialzarsi, prendere coscienza delle nostre radici e combattere affinché la Grande Lombardia venga liberata, non solo dall’Italia ma pure dal putrescente sistema di “valori” capital-consumistici che ingabbia il nostro continente. Non è più tollerabile che i ritmi dell’esistenza granlombarda vengano scanditi dal denaro, dalla droga del successo, dal nefasto mito del progresso e dall’egoismo che risucchia la comunità maciullandola nel tritacarne globalista: l’Occidente, soprattutto contemporaneo, è la tomba della nostra autoaffermazione, e il tramonto del nazionalismo etnico.

Oggi i diritti sociali, e in un certo qual modo il socialismo depurato dal marxismo, vengono rimpiazzati dalla farsa multicolore dei “diritti civili”, il che contribuisce sciaguratamente alla liquidazione di identità e tradizione, colpendo al cuore le comunità nazionali europee. Una società che non coincide con il concetto di comunità è soltanto una fatiscente impalcatura spolpata dai pescecani dell’affarismo apolide, dai banchieri, dai plutocrati, un vuoto simulacro privato della fisionomia identitaria e tradizionale del popolo indigeno, sempre più angariato dal progressismo, dalle nefandezze liberal, dal relativismo distruttore. Il pensiero lombardista è ostile ad ogni anarco-individualismo, e ad ogni forma di egoismo che isterilisce la natura biologica, antropologica, culturale della nazione padano-alpina, perché purtroppo, in particolare nell’attuale temperie, abbiamo a che fare con una Grande Lombardia mesmerizzata dal demone mondialista, e cioè di quanto ha in non cale i destini dei lombardi e delle lombarde. La nostra salvazione è nel comunitarismo, dunque nell’etnonazionalismo e nell’indipendentismo, e nel recupero della più intima dimensione popolare alberga la rinascita di relazioni e di principi.