Il valore del sangue ai tempi della globalizzazione

Parlare di sangue, e cioè di stirpe, in una temperie come l’attuale, equivale a bestemmiare in chiesa, ed è facile che le strumentalizzazioni lascino scivolare la questione verso il razzismo. È davvero singolare, tuttavia, che l’accusa di razzismo, o addirittura di suprematismo, riguardi soltanto i bianchi, poiché ogni altro popolo del pianeta terra è liberissimo e, anzi, in dovere di esaltare la propria appartenenza etnica e razziale, magari giustificandola con la solita solfa antirazzista dove i “cattivi” europei opprimono i “buoni” del sud del mondo. Quindi, dipende sempre da chi parla di sangue: se si tratta di noi europidi è giocoforza, per i benpensanti, che sia solo squallido razzismo.

E pensare che, a loro detta, saremmo tutti uguali, e dunque aventi tutti quanti la medesima dignità, e il medesimo diritto ad esprimere orgoglio per le proprie origini e radici. Così, però, non è e se la tutela, la preservazione, la trasmissione del peculiare retaggio concerne gli europei ecco subito la proterva minaccia degli stati-apparato, intrisi di ideologia antifascista, di sbattere in tribunale e in galera chi si macchia di “razzismo”, come se difendere etnia e razza potesse essere realmente un crimine! Certo, in tempi di globalizzazione e di mondialismo lo è sicuramente, perché qualsiasi cosa esuli dalla narrazione imposta dallo status quo viene additata come delittuosa.

Ciò nonostante, è folle e assurdo ritenere che voler tutelare la rispettiva identità etnica, anche su base biologica, sia paragonabile al razzismo, e cioè alla violenza, al fanatismo, alla segregazione, all’odio fondato su di una presunta superiorità, o peggio ancora alla delinquenza! Io credo che, soprattutto oggi, andare orgogliosi dei natali sia fondamentale, ed è doveroso che anche i bianchi possano essere fieri di ciò che sono e mobilitarsi per salvaguardare l’inestimabile patrimonio ereditato dalla natura e dai padri. Per di più, non si capisce proprio perché se ai popoli del terzo/quarto mondo è consentito, agli europei, specie in Europa, è tassativamente proibito.

Il preservazionismo etno-razziale è una battaglia di civiltà, pensando soprattutto al fatto che, in diverse aree dello stesso continente bianco, gli indigeni sono ridotti al lumicino. Si prendano le grandi città metropolitane della Padania, con le loro conurbazioni: gli autoctoni sono quasi del tutto rappresentati da anziani, prossimi alla tomba, mentre le giovani generazioni appaiono vieppiù ibridate o allogene. Promuovere identitarismo significa promuovere anche una salutare presa di coscienza antropologica e biologica, perché la nostra identità passa anche per il sangue. Non può essere altrimenti, a meno che ci si voglia ridurre alla mera cultura, calpestando l’etnogenesi delle nazioni.

Sono dell’idea che ogni popolo della terra debba essere fiero di ciò che è, preferibilmente a casa propria. Immigrazione e meticciato sono una sconfitta per tutti. E, in quest’ottica, il lombardesimo è senza dubbio razzialista, non razzista. Riconosce l’esistenza delle razze umane, non le gerarchizza e ne promuove la naturale collocazione nel distintivo habitat originario, nel rispetto dell’identità e della sovranità di ciascheduno. Il razzismo – inteso modernamente, non come primevo studio della razziologia – è un altro discorso, e ha poco a che vedere con la legittima aspirazione etnonazionalista delle genti del globo. Di ogni parte del globo. Il sangue appare, dunque, ancor oggi fondamentale, come baluardo della biodiversità mortalmente minacciata dalla triste omologazione cosmopolitica.