In questi anni non mi sono mai soffermato sulle teorie della cosiddetta redpill, o sulla fenomenologia incel, che negli ultimi tempi hanno preso piede anche nel contesto italofono. Parliamo di un argomento che, ormai, conoscono tutti, su internet, dunque credo sia superfluo spiegarlo nel dettaglio; si tratta, tuttavia, della solita cianfrusaglia d’oltreoceano, di cui potevamo tranquillamente fare a meno, soprattutto considerando l’alluvione di paranoiche terminologie anglosassoni. Certo, c’è da dire che molti di coloro che si considerano “redpillati” hanno preferenze identitarie, tradizionaliste, anti-antifasciste, sebbene mi paia di capire che il focus dei loro interessi riguardi le donne e le dinamiche relazionali. Non escludo che tra di essi vi possano essere simpatizzanti lombardisti e indipendentisti, comunque sia.
La “pillola rossa” propone una lettura cinica, disincantata e pessimista – a tratti complottista – della realtà , portata avanti segnatamente da quanti si definiscono, o vengono definiti, celibi involontari, incel (anche questa una categoria nata nell’ambito nordamericano); essa contrasta la visione da “pillola blu” (termini mutuati dal film Matrix, con una vaga ispirazione platonica), che è quella delle apparenze, del perbenismo, della finzione, del romanticismo da riviste patinate, dei media asserviti, e che riguarda tutta la società , non solo la questione del rapporto uomo-donna. Eppure, nei vari ambienti redpillati, tale faccenda assume un’importanza centrale, sproporzionata, forse viziata dal risentimento e dalla frustrazione di chi si sente escluso dal mercato sessuale e sentimentale.
La redpill condanna risolutamente il femminismo, e su questo non possiamo che essere d’accordo. Il femminismo è un cancro progressista, un veleno da estirpare, ed è una delle cagioni della disgregazione di famiglia, comunità , nazione, e della morte della tradizione e del patriarcato. Sembra, tuttavia, che gli incel diffondano tesi misogine, e anche questo rischia di disgregare ulteriormente la comunità , scatenando inutili guerre tra sessi (che sono solo due, ricordiamolo). Capiamoci: la portata dell’odio verso il genere femminile dei celibi involontari, o dei “brutti”, non è paragonabile all’astio femminista nei confronti degli uomini, infatti gli incel non fanno alcun danno concreto. Almeno in Europa.
Oltreoceano si sono macchiati di stragi, ma l’America, si sa, è la patria della follia e della stupidità , al di là di colori politici, ideologici, sociali. Il vero rischio della pillola rossa è quello di esacerbare gli animi e di diffondere disfattismo, per quanto, sovente, le teorie redpillate sappiano descrivere con realismo la condizione di uomini e donne occidentali contemporanei. Innegabile che la martellante campagna femminista, unita a quella liberal e antifascista, cominciata negli anni ’60 del secolo scorso, abbia fatto danni incalcolabili nelle menti delle donne europee: troppo spesso la figura femminile si fa veicolo di sovversione valoriale centrata su relativismo, edonismo, consumismo e materialismo, con ricadute nefaste sulla stessa natalità , il tutto in nome di capricci e pretese di eterne principesse Disney. Ma, fortunatamente, esistono ancora femmine sane e integre, dotate di coscienza patriottica, perciò non si può generalizzare colpendo indiscriminatamente il gentil sesso bianco, componente fondamentale della società .
È vero, convincere le donne di essere uguali agli uomini, anche a livello sessuale, ha comportato inevitabilmente l’aumento di separazioni, divorzi, aborti e, si capisce, il calo demografico. La sedicente emancipazione sessuale ha indotto le ragazze a credere di poter fare le dongiovanni in gonnella, fino a 40 anni, ritardando così la maternità , con rischi per la salute del figlio (unico). Sempre che lo abbiano. Il femminismo vede la maternità come una zavorra patriarcale, ovviamente se si tratta di europei. Se la questione riguarda il terzo/quarto mondo, nessun problema: non solo gli extra-europidi possono far figli come conigli, ma anche emigrare in massa verso l’Europa, andando così a sostituire i vecchi e sterili nativi. La soluzione a questo sfacelo, ciononostante, non sta nella misoginia, nel risentimento di chi va in bianco da una vita, nel rancore del “caso umano”: sta nel recupero di identità e tradizione, che non passa soltanto per il rinsavimento della femmina, ma pure nella ritrovata virilità del maschio, oggi sempre più in crisi, poiché le donne senza guida non possono far altro che tralignare.
