31 dicembre: l’ultimo giorno dell’anno (notte di Saturno)

Saturno

Il 31 di dicembre, ultimo giorno dell’anno, è dedicato a Saturno, che sancisce la chiusura del periodo solstiziale, non a caso contraddistinto, nell’antica Roma, dai Saturnali celebrati in onore di quel dio. Nella notte fra 31 dicembre e 1 gennaio, la notte di San Silvestro, i rituali dei Saturnalia vengono condensati in un un’unica serata e nottata, caratterizzata dal classico clima orgiastico fatto di festeggiamenti e bagordi, bevute e banchetti, amplessi, baccano (ritualità giunte, praticamente, sino ai nostri giorni, con l’aggiunta di mortaretti, petardi e fuochi artificiali). Si tratta di un giorno di passaggio dal vecchio al nuovo, presieduto da Saturno che è dio dell’agricoltura e dell’abbondanza (anche etimologicamente), dei cicli naturali e della rigenerazione, colui che presiede all’inizio e alla fine di un periodo cruciale, com’è appunto quello solstiziale che in una decina di giorni congiunge il Natale astronomico del sole alla fine canonica dell’anno. La grande confusione del Capodanno, di ieri come di oggi, è figlia dell’ambiguità di Saturno a cui, non dimentichiamolo, va riconnesso il giuoco dei dadi, dunque la tombola! Ma pure il vischio e il colore rosso degli indumenti intimi hanno, logicamente, origine nel passato pagano (intriso di sessualità), sia nordico che romano, e trovano giustificazione nei buoni auspici per il nuovo anno.

Ai giorni su cui enigmaticamente regna Saturno, vanno ricondotte usanze come quella di sbarazzarsi, poche ore prima del Capodanno, degli oggetti inservibili, nonché il frastuono dell’attesa che deflagra allo scoccare della mezzanotte in un tripudio di botti, segno di caotica euforia direttamente ereditata dai Saturnali. “Anno nuovo, vita nuova”, si recita; detto forse banale eppur sintomatico di una ritualità antica che, ancorché cristianizzata e, poi, laicizzata dal consumismo, ritorna nella modernità in usanze date ormai per scontate ma che affondano le proprie radici in un passato glorioso per il nostro continente. La confusione è tipica di ogni capodanno (che, non a caso, scolora nel carnascialesco), e questa atmosfera da soqquadro relativa ai Saturnalia viene, nel IV secolo, spostata dal convenzionale periodo che va dal 17 al 23 dicembre, allo spazio di tempo compreso tra il 25 e Capodanno. Euforia, desiderio di rinnovamento, abbandono del vecchio, attesa di una palingenesi sono elementi che si compenetrano e caratterizzano la notte di San Silvestro, tempo in cui Saturno si incontra con Giano, creatore e iniziatore per eccellenza, dio eponimo del mese di gennaio. L’anno nuovo, astronomicamente parlando, viene inaugurato dal solstizio d’inverno (21-22 dicembre), ma il 31 dicembre che cede il testimone al 1 di gennaio resta una data carica di significato che si perde nei tempi arcaici.

25 dicembre: Dies Natalis Solis Invicti

Sol Invictus

Il 25 dicembre è il Dies Natalis Solis Invicti, il Natale del Sole Invitto, ricorrenza di romana memoria rimpiazzata, usurpandola, dalla Chiesa cristiana. Il sole rinasce pochi giorni dopo l’apparente caduta nelle tenebre solstiziali, ritorna vitale ed invincibile trionfando sul buio invernale, col giorno che, lentamente, comincia a riguadagnare terreno sulla notte, sino al solstizio d’estate, in cui si avrà il dì più lungo dell’anno e, di conseguenza, la notte più corta. Ma come la fine cova i germi dell’inizio, così il culmine cova i germi del declino, ed è per questo che viene celebrato con gran pompa ed enfasi il Natale del Sole Bambino, perché la sua ri-nascita segna il lento declino dell’inverno, in favore della luce, del risveglio, della bella stagione (con tutto ciò che ne consegue in termini agresti, rustici, dal punto di vista degli antichi padri ariani). Le celebrazioni solstiziali nascono, infatti, dalla ritualità agricola dei popoli arcaici, che si compenetrava al sacro e che ha lasciato degli echi nella saggezza popolare contemporanea: in bergamasco si dice “A Nedàl ü pass de gal“, proprio ad indicare come, subito dopo il periodo solstiziale di Santa Lucia, con la notte più lunga dell’anno (secondo una sfasatura del calendario giuliano), la luce diurna rosicchi spazio al buio, a mo’ di andatura di gallo (un animale da sempre legato al sole, oltretutto).

Era tradizione indoeuropea accendere grandi falò all’aperto, tra 21 e 25 dicembre, a celebrare il solstizio e, quindi, la rivincita del sole; e per questo, nel periodo tardo-imperiale, venne istituito il Natale del Sole Invitto, con l’intento di imporre un culto monoteistico solare di ispirazione ario-orientale, successivamente sostituito dal Natale dei cristiani, brutta copia del precedente. Il bambinello di Betlemme non è altro che il Sole Bambino di cui si parlava sopra (come la Madonna non è altro che Angerona, la Grande Madre, e Terra) – anche perché Gesù Cristo, con tutta probabilità, non è mai esistito – che assume i tratti di Sol, Helios, Apollo e Mitra (capelli ricci, aspetto di adolescente, raggiera luminosa attorno al capo) e si fa sommo astro di giustizia. La simbologia solare del cristianesimo è scopiazzata, pari pari, dalla gentilità greco-romana ed orientale (ma sempre ariana), e il “Cristo” medesimo è un simbolo divino figlio dell’afflato uranico ario-europeo, appiccicato addosso al fantomatico falegname nazareno. Non lasciatevi dunque turlupinare dagli inganni preteschi e/o consumistici: il Natale del 25 dicembre – ispirato agli antichi culti solstiziali indoeuropei – è solo uno, del Sol Invictus, con buona pace del papa e dei suoi accoliti, ma anche della nauseante orgia consumistica e materialistica occidentale di questo periodo dell’anno, che tentano goffamente di appropriarsi di tutti i simboli natalizi, nati squisitamente gentili.

21-22 dicembre: il solstizio d’inverno (Capodanno astronomico)

Ruota solstiziale di Yule

Il 21-22 dicembre (quest’anno 21) cade il solstizio d’inverno, giorno più breve dell’anno e Capodanno astronomico. In tale data, cruciale per la tradizione indoeuropea, i nostri avi celebravano i germi della rinascita del sole e il lento diradarsi delle oscurità invernali, in quello che è il massimo declino del re degli astri (nella notte più lunga dell’anno), accendendo grandi falò all’aperto caratterizzati dall’incendiarsi di ruote lignee solari, ornate con le nobili essenze delle foreste europee (come il vischio). Il fuoco è un elemento centrale, emblema di purificazione e di buon auspicio nella lotta contro le tenebre del male e le avversità della natura, così come il sole che vince il buio della notte. Un rito di passaggio questo, dal vecchio al nuovo, dalle oscurità alla luce, dalla notte – che pian piano perde terreno – al giorno e che sancisce il trionfo dell’astro precipuo celebrato pienamente il 25 di dicembre, nel Natale del Sole Invitto di romana memoria. È morendo che il sole può rinascere in un nuovo ciclo vitale. Non stupisce che questa fondamentale fase di transizione dell’anno sia da sempre celebrata dai popoli europei in onore dei loro principali dei antichi, come ad esempio Odino (vedi Yule), e che sia stata di conseguenza abbondantemente parassitata dai cristiani storpiando il significato del vero Natale, che viene reso possibile proprio dal solstizio d’inverno.

Il parto del “Sole Bambino” nel gelo invernale viene riproposto dai fedeli in Cristo, in chiave evangelica, col Bambin Gesù che nasce da Maria (la notte, la Grande Madre lunare e ctonia, anche Terra e Angerona) nella fredda nottata di Betlemme; il presepe è la trasposizione cattolica del larario romano, con tutto ciò che ne consegue in termini di commemorazione degli avi (e di Saturno). L’esistenza dell’uomo (indo)europeo è scandita dal naturale ciclo delle stagioni che segue la posizione di quello che, da sempre, è il nostro vitale punto di riferimento: il sole, appunto. La classica ruota solare ariana rappresenta icasticamente questo avvicendamento astronomico, e simboleggia degnamente la luminosa, virile, guerriera mentalità dei nostri padri, ossia di coloro che hanno plasmato il nostro continente rendendolo unico, grazie anche alla loro tensione spirituale verso l’alto, la perfezione, il divino (asse verticale) che si interseca col cammino terreno, con l’esperienza di vita quotidiana che diviene battaglia, dell’essere umano di stirpe arya (asse orizzontale). Ecco, quindi, da dove giunge la simbologia della croce cristiana… E con il solstizio d’inverno il cerchio si chiude… per riaprirsi, inaugurando un nuovo ciclo stagionale della vita.

Il concetto di Gallo-Teutonia

All’epoca del Movimento Nazionalista Lombardo, io e Roncari teorizzammo una sorta di spazio macro-nazionale centroeuropeo, che comprendesse anche la Grande Lombardia (e cioè l’intera Padania): la cosiddetta Gallo-Teutonia, sovrapposizione dell’elemento germanico a quello celtico. Col senno di poi, una soluzione un tantino nordicista (tecnicamente la Cisalpina non è Europa centrale, pur avendo solidi legami col mondo mitteleuropeo e transalpino), eppure, se ci pensiamo, la storia della nostra terra ci parla di un popolo inserito appieno nel cuore dell’Europa, parte integrante della sua civiltà e motore economico del continente. Nonostante la romanizzazione prima e l’italianizzazione poi ci abbiano trascinato verso il Mediterraneo, è chiaro che l’ambito padano-alpino abbia sempre gravitato attorno al fulcro europeo, fungendo da anello di congiunzione fra centro e sud.

La Padania è la periferia meridionale del concetto plurisecolare di Europa centrale, anche perché spesso il Triveneto viene considerato, a ragione, area profondamente influenzata da componenti germaniche, alpine, slave. Globalmente, la nazione lombarda appartiene all’ambito europeo centromeridionale, ma come dicevo sopra con solidi legami che la uniscono storicamente al cuore celto-germanico della famiglia continentale. La Lombardia storica è stata Gallia Cisalpina, Regno longobardo e franco, Impero carolingio e Sacro Romano Impero, sino al Lombardo-Veneto e ai territori “irredenti” dell’Austria-Ungheria; mostra dunque secoli di vicissitudini intrecciate con quelle dei popoli transalpini, il che ha avuto un chiaro impatto etnico, culturale, spirituale, socioeconomico e civile sulle nostre genti.

Ancor oggi, la regione geografica più ricca, sviluppata, fiorente, virtuosa e laboriosa dell’Italia politica è il “nord”, che fa degnamente parte dello spazio storico carolingio (il cosiddetto asse lotaringico), delle zone più attive e avanzate d’Europa e del cuore industriale del nostro continente. Vale la pena ricordare la famosa Banana blu, che ricalca la direttrice franco-lotaringica e unisce il centrosud inglese alla valle del Po, passando per il mondo gallico transalpino e teutonico. Le principali aree urbane e industriali europee comprendono così la dimensione “carolingia”, cui la Lombardia compete dal Medioevo, arrivando a lambire Catalogna, Scozia, Scandinavia, Mitteleuropa e Toscana-Corsica.

Esiste anche la cintura solare, o Banana dorata, regione economica costiera del Mediterraneo nordoccidentale che collega Catalogna, Occitania, Liguria e che rappresenta il fulcro dello sviluppo mediterraneo, grazie al buon grado di industrializzazione raggiunto. La continuità culturale, civile e socioeconomica di questo distretto statistico dimostra che pure le aree meridionali della Padania seguono traiettorie occidentali, piuttosto che sfumare in direzione tosco-mediana, dunque italiana, segno che anche a livello etnico (e antropogenetico) la vera fratellanza dei cisalpini si concretizza con le nazioni dell’Europa centro-occidenale.

Certo, i granlombardi non sono un popolo etnicamente celto-germanico come possono esserlo nella Francia settentrionale, in Alsazia, nelle Fiandre o nella Germania occidentale e in Inghilterra; i granlombardi hanno, eziandio geneticamente, un importante elemento celtico e preromano, diluito dalla romanizzazione di taglio greco-italico e ringalluzzito da un 20% di geni nordeuropei recati a sud delle Alpi dai Longobardi, fondamentalmente, e salvo le aree settentrionali estreme, alpine, ricadono nello stesso novero antropologico ed etnico dell’area franco-iberica, con nessi balcanici. La craniologia ci parla di un indice cefalico cisalpino molto prossimo ad Alpi, Europa centrale e Balcani, ma la genetica, nel complesso, spinge in direzione occidentale. Sicuramente sottostimato l’apporto mediterranide (occidentale) e soprattutto atlanto-mediterranide, che collega specialmente l’ovest padano alle aree meridionali della Francia, alla penisola iberica e a Corsica e Toscana.