Il tempo di Carnevale

Maschere di Carnevale

Nel periodo attorno alla metà di febbraio, solitamente, o comunque a cavallo tra inverno e primavera, cade il Carnevale; etimologicamente vale ‘levare, togliere la carne’ prima della Quaresima, che inizia con il Mercoledì delle ceneri, nei Paesi cattolici. Le sue radici sono assai antiche, basti pensare alle Dionisie greche e ai Saturnali romani, e sta a rappresentare un rinnovamento simbolico, un rovesciamento dell’ordine, lo scherzo e la dissolutezza, e da un punto di vista più profondo e spirituale il bisogno di rigenerazione mediante abolizione del tempo e passaggio dal caos alla cosmogonia. Ma dopo questo clima orgiastico, l’ordine viene ripristinato. Il mascheramento tipico del Carnevale assume, allora, un significato apotropaico, in cui chi indossa una maschera acquisisce le caratteristiche soprannaturali dell’essere rappresentato (basti pensare ad Arlecchino e alle sue origini infere, e al culto degli avi): il passaggio da inverno a primavera incarnato dal tempo carnascialesco segna un transito aperto tra il mondo dei morti e quello dei vivi, simboleggiato altresì dall’energia riconquistata dalla terra, che si risveglia dal torpore invernale, e dal buio delle giornate brevi.

Il Carnevale ha il suo culmine nel giovedì grasso e nel martedì grasso, che sono gli ultimi prima della Quaresima; l’etimo, appunto, risale all’usanza del banchetto d’addio alla carne consumato la sera del martedì grasso, giorno prima del mercoledì delle Ceneri che sancisce l’inizio del periodo quaresimale. La maschera diventa la protagonista assoluta dei rituali e delle orge carnevaleschi, maschera che, però, nel teatro greco e romano ricopre un ruolo fondamentale, che è quello catartico: osservandola, deridendola, compatendola, ci si liberava di quegli aspetti presenti, in misura maggiore o minore, in tutti noi. Questo profilo si vede bene in una maschera come Arlecchino, figura antichissima caratterizzata da meschinità, bassi appetiti, stolidezza. Esso ha rimandi greci, italico-romani, germanici e romanzi, persino etruschi se pensiamo a phersu, la ‘maschera’, da cui l’italiano persona, e soprattutto personaggio (in latino significa parimenti ‘maschera’, nella sua accezione iniziale), dotato per giunta di vestito a scacchi, o maculato. Arlecchino è il simbolo del Carnevale “italiano” (cioè padano), per quanto figura tradizionalmente associata alla sola Bergamasca, tramite gli zanni lombardo-veneti e i poveri facchini delle valli orobiche che cercavano fortuna a Venezia, come scaricatori di porto.

Nasce Nazione Lombarda

Mercoledì scorso, in diretta alla Zanzara, sul finire dell’intervento ho dato il lieto annunzio: è nata l’associazione politico-culturale Nazione Lombarda, erede del Movimento Nazionalista Lombardo (2011) e di Grande Lombardia (2013) e definitivo approdo del lombardesimo militante. La fondazione risale al 23 dicembre 2024, in pieno periodo solstiziale d’inverno, ma l’ho solo ora resa nota proprio per approfittare dello spazio concessomi dalla trasmissione radiofonica di Giuseppe Cruciani, su invito degli autori che mi contattarono qualche settimana fa. Anche per questo li ringrazio, perché, seppur goliardico, il dittero crucianesco dà la possibilità di farsi conoscere e di diffondere pensieri, idee, tematiche che a mio parere, soprattutto oggi, sono molto importanti, e suscitano riflessioni.

La costituzione di Nazione Lombarda, come dicevo, è avvenuta lunedì 23 dicembre 2024, a ridosso del solstizio d’inverno, appunto per l’alto valore simbolico della data e del periodo. Abbiamo fondato in 10 di fronte ad un notaio, in quel di Bergamo, e oltre al sottoscritto (Presidente nazionale) vi erano i sodali storici Adalbert Roncari (Segretario nazionale) e Alessandro Cavalli; i nomi degli altri padri fondatori verranno divulgati successivamente, e avremo sicuramente modo di esporci e di presentarci. Infatti, il lancio pubblico di NL dovrebbe avvenire in primavera, possibilmente tra l’equinozio e il solstizio d’estate, anche in questo caso per il simbolismo e per il ricordo di quel 6 maggio del 2011, quando venne fondato l’MNL, l’associazione pioniera del lombardista.

Sino ad allora lavoreremo sul sito, sui profili delle reti sociali e sul materiale propagandistico, poiché il nuovo soggetto, casa dei lombardi e dei lombardisti, vuole davvero essere il frutto maturo di quella grande avventura ideologica e metapolitica principiata nell’estate del 2009, grazie alla creazione dei primi blog da cui diffusi il lombardesimo. Un’avventura il cui seme fu gettato già nel giugno del 2006, periodo nel quale giunsi in contatto con l’etnonazionalismo, l’indipendentismo lombardo di alcuni fuoriusciti leghisti e, naturalmente, lo studio e l’approfondimento di discipline fondamentali come l’antropologia fisica, la genetica delle popolazioni e l’etnologia applicate alle genti padano-alpine (e, più in genere, europee).

La nostra intenzione è coniugare la cultura militante alla metapolitica, senza escludere in futuro veri e propri impegni politici, fermo restando che l’acculturazione e l’affrancamento lombardista della coscienza dei nostri connazionali sono fondamentali e rappresentano la priorità di Nazione Lombarda. La natura dell’associazione, appunto, è politico-culturale, vale a dire fare divulgazione, anche sul territorio, senza perdere di vista l’impegno ideologico, teso alla salvazione e alla liberazione delle nostre terre, rieducando all’autoaffermazione e all’indipendenza. Prima dell’indipendentismo, è chiaro, viene il nazionalismo etnico, poiché sarebbe consolazione grama una Lombardia libera senza più lombardi. Veri.

Come ormai sapete da lustri, la Lombardia di cui parliamo è la nazione storica cisalpina, che abbraccia tutte le contrade della Padania geografica, nessuna esclusa. Anzi, vi sono anche territori oggi irredenti, ma indiscutibilmente legati alla Lombardia “italiana”, che sono parte integrante del quadro etnonazionale, e del progetto lombardista medesimo. E chi conosce il lombardesimo sa dunque bene quali siano i nostri obiettivi da perseguire, lungo la via della legalità, della democrazia e della civiltà, grazie a strumenti pacifici e diplomatici, ma con le armi della cultura. Nell’attesa dell’ufficializzazione pubblica, della presentazione sul territorio, vi invito come sempre a seguire i miei canali e profili sulle varie reti sociali, assieme a questo diario di bordo virtuale, da cui vi terrò aggiornati.

Dal Monviso al Nevoso, dal Gottardo al Cimone

Salut Lombardia! 

Paolo Sizzi in diretta alla “Zanzara”, con rivelazione finale

Nella serata di mercoledì scorso, 19 febbraio, ho potuto partecipare in diretta alla nota trasmissione radiofonica de La Zanzara di Giuseppe Cruciani e David Parenzo, negli studi milanesi di viale Sarca. Non sono nuovo alle incursioni di Radio24, poiché in passato, in diverse occasioni, venni contattato telefonicamente proprio dal Cruciani. A chi interessa, ecco il mio intervento, tratto da YouTube. So che qualcuno storce sempre il naso, a proposito dell’opportunità di approfittare degli inviti dell’irriverente dittero, ma continuo a pensare che sia giusto metterci la faccia e sfruttare l’occasione per poter diffondere il fondamentale messaggio identitario. Questa volta, peraltro, era un diretta e non una telefonata registrata e poi tagliuzzata.

È stata un’esperienza diversa, divertente e a mio avviso molto utile e preziosa, poiché, pur sapendo del carattere e del clima della trasmissione (specie per il fastidioso sottofondo parenziano, condito da insulti e acide banalità), trovo importante partecipare ad iniziative che, per quanto possano prestarsi ad ambiguità e controindicazioni, offrono l’occasione di farsi conoscere, sentire e di portare la propria testimonianza. Certo, io stesso non sono esente da venature goliardiche e ironiche e so stare al clima scherzoso, senza però perdere di vista il fine ultimo, che è quello di poter discutere, in un modo o nell’altro, delle proprie posizioni.

Non vorrei rovinare la sorpresa a chi, leggendo questo articolo, non avrà ancora avuto l’opportunità di guardarsi il filmato, perciò non scenderò nei dettagli. Chi invece ha già potuto assistervi, in diretta o differita, avrà apprezzato gli interventi a proposito di antropologia fisica, genetica delle popolazioni, disamine craniometriche (anche dell’orvietano Cruciani e dell’ebreo Parenzo) e, naturalmente, di lombardesimo. Ho infatti beneficiato della possibilità di diffondere ulteriormente il mio credo etnonazionalista, incentrato sull’autoaffermazione e l’indipendenza della Grande Lombardia, che del resto è un tema profondamente intrecciato con lo studio antropogenetico e del territorio. Il culto razionale di sangue, suolo e spirito conduce alla preservazione identitaria e, di conseguenza, all’affrancamento del sentimento patriottico della nazione cisalpina.

Il sottoscritto è animato da sempre da un salutare fervore etnicista e razzialista, convogliato nel nazionalismo panlombardo. La coscienza comunitaria, l’orgoglio e il sentimento d’appartenenza, il rispetto e la ricerca dell’endogamia sono oggi più che mai necessari se vogliamo dare alla Lombardia una speranza di riscossa, rivincita e vera rivoluzione culturale e politica. Ogni strumento scientifico, volto alla contemplazione della natura biologica del nostro popolo, è altamente apprezzato, certamente nel rispetto di ogni altra realtà identitaria che non diventi un pericolo mortale lungo la via della nostra piena libertà.

A chi non ha assistito, buona visione, e a chi ha già dato mi auguro di aver potuto offrire un momento di riflessione e di acculturazione, con un pizzico di divertimento e di leggerezza, che a piccole dosi non guastano se intesi come intrattenimento culturale che dà l’opportunità di gustare sprazzi di costruttiva divulgazione razzialista. Sul finale del video, la grande sorpresa. Ho accettato l’invito della Zanzara anche per poter annunziare un lieto evento, che si spera fausto per tutta la popolazione cisalpina: la comunicazione ufficiale della nascita di Nazione Lombarda, di cui parlerò meglio nello scritto del soledì. Per questo, e chiaramente per l’ospitata, devo ringraziare la trasmissione, che mi ha permesso di parlarne. E pazienza per il consueto travaso di bile del povero David, molto avvezzo agli insulti e assai poco alle argomentazioni.

Salut Lombardia!

13-15 febbraio: i Lupercali

Lupercalia

Nel culmine devozionale del mese di febbraio, periodo di purificazione tra inverno e primavera (in onore di Februus e Febris, divinità etrusco-romane della purificazione, appunto), si celebravano i Lupercali, giorni di festa in onore di Fauno come Luperco (protettore del bestiame dall’attacco dei lupi). Importante oggetto della celebrazione era la fertilità delle donne, che venivano colpite con delle fruste dai luperci, sacerdoti del rito, fecondandole simbolicamente. Una ipotesi vuole anche che queste celebrazioni ricordassero l’allattamento di Romolo e Remo da parte della lupa, presso la grotta del Lupercale (Palatino). Figure animali centrali nei Lupercalia erano il capro (per la potenza fecondativa) e il lupo (il cui attacco andava scongiurato). La Chiesa, per cristianizzare tale festività pagana che cadeva tra il 13 e il 15 di febbraio, si inventò San Valentino, “patrono degli innamorati”, andando a sostituire la Candelora che venne anticipata al 2 del mese. A sua volta, la Candelora, ricalcò la valenza di luce e purificazione del mese di febbraio, parassitando la celtica Imbolc e gli attributi della dea Febbre, associata alla guarigione dalla malaria.

Perché San Valentino? Per via del tema della fertilità dei Lupercalia, e perché Valentino da Terni, vescovo e martire, sarebbe patrono dell’amore cristiano verso il prossimo, con particolare riferimento agli innamorati. La Chiesa ha sostituito i riti purificatori di febbraio, legati a Februus, Febris, ai Lupercali, con una serie di celebrazioni del tutto debitrici delle festività pagane, tese, quest’ultime, all’esaltazione del carattere purificatorio, luminoso e benaugurale del mese, periodo che si colloca a metà strada tra l’inverno e la primavera, pur essendo ancora del tutto invernale. Il tempo dal 2 al 4 del mese rappresenta la data mediana tra solstizio d’inverno ed equinozio di primavera, non a caso, e in virtù di questo gli antichi vi attribuivano un grande valore sacrale, intrecciato alle attività agresti, relativo al passaggio tra stagione fredda e primaverile, alla rinascente luce, alla purificazione della natura che va risvegliandosi dall’apparente morte invernale. La Chiesa, appropriandosi dei rituali pagani, ha distorto l’accezione delle feste di febbraio, cancellando il carattere schiettamente rustico, pagano nel senso etimologico del termine, delle ricorrenze in oggetto, sebbene ne abbia conservato la valenza purificatoria. Il significato della sola Candelora riassume, ancorché distorto, quello delle luminose ricorrenze italico-celtiche e romano-etrusche. Come sempre, i preti non hanno inventato nulla.

Multipolarismo, ma senza terzomondismo

Il lombardista crede fortemente nel tema dell’Euro-Siberia, che dovrebbe essere il futuro della razza europide e delle nazioni indigene del nostro continente. Una grande famiglia imperiale, confederale, che abbracci tutti i territori bianchi originari, nel segno dell’identitarismo völkisch e dell’autoaffermazione dei legittimi popoli, come il granlombardo. Il disegno euro-siberiano è l’unico progetto serio e razionale per salvare la nostra civiltà, sopravvivendo al sistema-mondo, contrastando efficacemente gli altri potentati e riuscendo ad imporsi, a casa propria, nel nome di un’autarchia continentale. Sganciarsi dal carrozzone funebre atlanto-americano è di vitale importanza, poiché l’unipolarismo a trazione statunitense è la tomba dell’Europa, Russia compresa (che appartiene quanto noi alla civiltà bianca ed europea).

Alla luce di ciò parlare di multipolarismo, nel rispetto della sovranità di ciascuna popolazione, è sacrosanto, a patto che tale discorso non prenda una piega terzomondista – in stile BRICS – e non verta sulla legittimità di nazioni del tutto fasulle, alla africana, con confini tirati giù col righello, nessuna seria entità etnica e nazionale a fare da collante e, dunque, nessun tipo di giustificazione identitaria e storica. Stiamo parlando di realtà come quelle del Sudamerica, dell’Africa sub-sahariana appunto, ma anche di realtà del cosiddetto primo mondo, con gli Usa in testa. Oggi si affermano questi sterminati contenitori statali di popoli disparati, in cui il sangue non conta più nulla e la cui potenza è espressione di una demografia impetuosa, di una macchina militare possente e di un apparato economico estremamente aggressivo.

L’Europa corre il rischio di venire stritolata, da questi potentati globalisti, ed occorre infatti che si stabiliscano rapporti camerateschi con la Russia – fino agli Urali, Europa – affinché si edifichi un novello impero confederale che sappia difendere con le unghie e con i denti l’inestimabile patrimonio etnico, culturale, civile, storico, spirituale delle nostre terre, mortalmente minacciate dall’auto-genocidio totale e dalla dissoluzione operata dall’immigrazione allogena di massa, dalla società multirazziale e dal meticciato.

La Russia putiniana, un colosso patriottico tra i nani liberal occidentali, ha il difetto di non avere coscienza razziale e di indugiare troppo nel cosmopolitismo, in nome di un imperialismo dal retrogusto sovietico che in un modo o nell’altro calpesta le radici degli europei. Chiaro, non condividiamo la demonizzazione di Vladimir ma nemmeno il culto idolatrico di taluni settori nostrani, perché resta il fatto che la nazione moscovita contemporanea sia troppo impelagata in un eurasiatismo privo di seri connotati razziali e giustificato dalla geopolitica anti-occidentale. Il massacro in Ucraina, terra sorella di quella russa (se non russa prima ancora della Russia), perpetrato anche grazie ad ascari caucasici, turchi e mongolidi, è il fallimento totale della solidarietà fra genti europee, messe le une contro le altre dai soliti…

Come lombardisti abbiamo il dovere, anzitutto, di lottare per l’autodeterminazione del nostro popolo, in un’ottica indipendentista, impegnandosi in primis per affrancarne il sentimento identitario e proteggerlo dall’estinzione (in casa propria). Assieme a ciò, va portata avanti la meritoria battaglia contro il sistema-mondo, contro la galassia antifascista e il relativismo eradicatore che distrugge nazione, comunità e famiglia. Parallelamente, la camicia plumbea ha il compito di diffondere la teoria euro-siberiana, con l’obiettivo di rottamare la tragicomica Ue e di abbandonare, finalmente, il baraccone a stelle e strisce. Prima viene la Grande Lombardia, e in seconda istanza la vera Europa. Un’Europa che va dalla Galizia a Vladivostok e che può risorgere soltanto mediante il sacrale consorzio di tutti i popoli europidi, in nome delle nostre radici ariane, steppiche. Volgiamo lo sguardo ad Est, dove tutto cominciò.

10 febbraio (1947): il ricordo dei martiri delle foibe e degli esuli istriani

Martiri delle foibe

Il 10 di febbraio si celebra il Giorno del ricordo, in memoria dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. 10 di febbraio perché, nel 1947, tale giorno sancì il passaggio alla Iugoslavia di Istria, Quarnaro e della massima parte della Venezia Giulia storica, con i trattati di pace di Parigi. Stiamo parlando di territori geograficamente e storicamente granlombardi, dalle radici venetiche, celtiche, anche illiriche ma riconducibili all’ambito padano-alpino in virtù delle origini antiche, del dominio longobardo e dell’epopea serenissima. Territori sicuramente slavizzati, dal Medioevo, ma inscindibilmente legati al dominio naturale della Padania, Dalmazia a parte. Il Giorno del ricordo, sebbene trovata tricolore e italianista, commemora i martiri dei massacri delle foibe e gli esuli istro-dalmati; i primi ammontano a 11.000 persone, tenendo conto anche di quegli italofoni morti tramite esecuzioni e/o nei campi di concentramento titini, i secondi ad una cifra compresa tra i 250.000 e i 350.000 individui, costretti a lasciare le terre dei padri nelle mani insanguinate di Tito e dei suoi scherani. Quest’ultimi, pur dicendosi comunisti, vennero ampiamente spalleggiati dagli Alleati e risultarono poi, nel dopoguerra, non allineati, rompendo con l’Unione Sovietica e abbandonando il Patto di Varsavia. Sappiamo che la ricorrenza del 10 febbraio sia stata fortemente voluta dalla defunta Alleanza Nazionale, e da ambienti neofascisti, ideologizzando tali eventi funesti in chiave italofila, ma commemorare le vittime è sacrosanto, anche per ristabilire la verità storica: i martiri delle foibe e gli esuli non erano italiani (per lo più), erano dell’areale venetico (cioè Lombardia storica orientale), vittime della sterile contrapposizione fra regimi e ideologie incuranti del genuino dato etnico.

Il ricordo è doveroso, perché i nostri fratelli padano-alpini orientali si sono trovati sotto il fuoco incrociato dell’Italia fascista e della Iugoslavia comunista, in ispregio delle vere radici identitarie della Venezia Giulia storica. Un discorso che può essere fatto in maniera analoga per quella fetta di popolazione slava angariata dagli occupanti fascisti (campi di concentramento, politiche aggressive nei confronti di territori al di fuori del contesto “italiano”, occupazioni frutto di vittorie altrui), poiché è evidente che se un potere politico non è animato da serie rivendicazioni identitarie diventa un’usurpazione. Resta certamente il fatto che decine di migliaia di nostri connazionali granlombardi siano stati sterminati, in quanto “italiani”, dai partigiani titini e che a centinaia di migliaia siano stati costretti all’esilio, abbandonando terre legate da secoli alla Cisalpina, strappateci per il volere dei vincitori occidentali dell’ultimo conflitto. Prima del Regno d’Italia, infatti, vi fu la Serenissima, e prima della Serenissima vi fu la Romània etnolinguistica, in parte sommersa dalle migrazioni slave medievali. Il caso dalmata è di poco interesse (sebbene la presenza storica veneta sia indiscutibile, pensiamo anche solo a Zara), ma di sicuro l’Istria, Fiume, la Venezia Giulia in senso allargato rientrano nello spazio patrio, sono Grande Lombardia, e questo non deve essere mai scordato, facendolo presente soprattutto a quei nostalgici comunisti revisionisti che parteggiano per un porco funzionale agli Usa (Tito), minimizzando i massacri, le persecuzioni, le angherie subite dai connazionali. Ma, allo stesso tempo, va rammentato ai patrioti italici che l’italianità della Lombardia orientale è una buffonata, frutto di colonialismo regnicolo e fascista divenuto controproducente per gli stessi martiri. Non dimentichiamoci delle vittime dell’odio iugoslavo e della volontà alleata, non dimentichiamoci delle terre orientali irredente che andrebbero ricongiunte alla vera madrepatria, non in nome del pezzente imperialismo tricolore bensì della loro storia granlombarda.

2-4 febbraio: la Candelora – Imbolc

Croce di Santa Brigida

Il periodo compreso tra il 2 e il 4 di febbraio è la datazione mediana tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera e, non a caso, per Italici/Romani e Celti (e poi per i cristiani) era periodo di importanti celebrazioni invernali, fatte di riti propiziatori e purificatori in vista della primavera, per scacciare l’inverno con le sue tenebre e il gelo (e i restanti rigori, con la morte apparente di flora e fauna) e ingraziarsi il risveglio primaverile della natura, affinché porti frutto. Mentre i Romani ricordavano la dea Febris/Februa (Febbre), incarnante un aspetto purificatorio di Giunone, i Celti celebravano Imbolc, festa della luce e del latte di pecora, in cui dominava il tema dei lumi e delle candele; allo stesso modo, le donne romane portavano fiaccole in processione, e si capisce così donde derivi la festa cristiana della Madonna Candelora, ma pure quella di San Biagio. La ricorrenza della Candelora – che è nome popolare della festa della presentazione di Gesù “luce delle genti” al tempio ma, prima ancora, della purificazione della Vergine – istituita dalla Chiesa, è servita per spazzare via le celebrazioni pagane del periodo di febbraio, tra cui i Lupercali romani che erano il culmine delle feste di purificazione comunitaria (poi sostituiti da San Valentino). Inizialmente, infatti, la Candelora cadeva il 14 di febbraio (40 giorni dopo l’Epifania) ma retrocedette al 2 del mese per farla coincidere coi 40 giorni dopo il Natale. Ovviamente scuse, queste, per incastrare i riti cattolici in quelli pagani, che ricalcavano il succedersi astronomico delle stagioni.

La Chiesa irlandese, invece, cercò di sopprimere il ricordo pagano celtico istituendo la festa di Santa Brigida d’Irlanda, il primo di febbraio; Santa Brigida che non è altro che la trasposizione cristiana della dea gaelica Brigid, sorta di Minerva celtica in quanto protettrice delle arti, dei poeti, dei guaritori, dei druidi e dei combattenti. Davvero suggestivo il parallelo tra Brigid e la romana Febbre (ed ecco perché vedo bene Minerva come patrona gentile di febbraio), simboli di ricorrenze pagane italo-celtiche incentrate sui riti della lustratio, sul culmine dell’inverno, sul ruolo della donna nelle comunità tanto italico-romane che celtiche/galliche. La stessa Madonna sostituisce Giunone, Febris e Brigid, ed è assai indicativo che le antiche figure femminili pagane siano state rimpiazzate dalla Vergine Maria nei suoi molteplici aspetti (che, del resto, erano già presenti come attributi di queste importanti deità pagane, come la stessa Giunone, moglie di Giove, la cui purificazione cadeva proprio in febbraio quanto quella di Maria di Nazareth, madre di Gesù presentato al tempio). La Madonna, allora, è una chiara invenzione giudeo-cristiana atta ad assorbire e rimpiazzare le figure matronali della gentilità, e la luce del cristianesimo, tema assai presente e ricorrente nella fede cattolica e cristiana in genere, non è che la luce, distorta, degli antichi dei, e dei culti tradizionali ad essi connessi.

Febbraio – Februarius

Febris/Februa

Il mese di febbraio (Februarius), secondo e più corto mese dell’anno, è dedicato alla dea romana Febris (Febbre), associata alla guarigione dalla malaria e alla purificazione in genere (grazie alla sua derivazione dal dio etrusco Februus), che veniva celebrata nei primi giorni del mese. In latino februare significa propriamente ‘purificare’, e ‘febbre’ risale dunque al medesimo significato; il februum era, altresì, uno strumento purificatorio atto alla lustrazione del popolo, proprio nel periodo di febbraio. I cristiani hanno rimpiazzato la celebrazione della dea romana con la Candelora del 2 febbraio, anche per spazzare via la ricorrenza celtica di Imbolc, che segna il passaggio da inverno a primavera e il ritorno della luce. Il concetto di purificazione e di luce incarnato dal Cristo ha così parassitato (come al solito) i culti tradizionali, e nello specifico la purificazione della febbre e la luminosità della primavera, due temi che del resto sono interrelati e collegano la religiosità italica a quella celtica nei riti propiziatori per la fertilità della terra. Le candele cristiane ricordano le fiaccole portate in processione dalle donne romane durante i Lupercalia del 14 febbraio. Tale periodo, nell’antico calendario romano, era praticamente l’ultimo mese dell’anno, essendo marzo il primo, ed era associato, in virtù della sua posizione nel calendario, alla chiusura e alla morte; non a caso in febbraio si celebravano i Parentalia, in onore dei defunti della famiglia (i Mani), e i Terminalia, festività dedicate all’arcaico Termine, protettore dei confini e delle proprietà (confini anche metaforici, dell’anno in corso). Il mese inizia con il sole nel segno astrologico dell’Acquario, e si conclude, dal 20, con il suo ingresso nel segno dei Pesci.

Il periodo tra gennaio e febbraio è denso di rimandi sacrali e celebra, con ritualità antichissime, l’auspicata fine dell’inverno e il graduale inizio della primavera. I fuochi, le pire, i fantocci arsi, il baccano dei fanciulli per scacciare l’inverno, la merla del folclore cisalpino che cerca di eludere i rigori della stagione fredda, la celtica ricorrenza di Imbolc che è culmine dell’inverno cadendo nel punto mediano tra solstizio d’inverno ed equinozio di primavera (2-4 febbraio), la celebrazione della luce e dell’arrivo della primavera e dunque la Candelora, festa della purificazione della Vergine Maria (e della presentazione di Gesù al tempio) che sostituisce quella di Giunone (ossia della dea Iunio Februata, la dea Februa/Febris)… Tutti quanti riti connessi all’arcaica vita agreste dei nostri antenati, come la stessa celtica Imbolc ricorda, con i rimandi agli agnelli che vengono alla luce e alla produzione di latticini ovini, fondamentali per il sostentamento dei più deboli della comunità, tra cui bambini e anziani. I medesimi Lupercalia del 13-15 febbraio (sostituiti da San Valentino il 14 di febbraio, data in cui si ricordava inizialmente la Candelora, tra l’altro) sono un po’ il culmine di queste ritualità purificatorie. Il 7 di febbraio era invece, tradizionalmente secondo il calendario agricolo romano, l’inizio rustico della primavera poiché il favonio cominciava a spirare favorevolmente, ed era ora, dunque, di preparare i terreni; si diserbavano i campi di grano, i vigneti venivano coltivati e le vecchie canne venivano bruciate, ulivi e alberi da frutto potati, prati e coltivi venivano purgati, intrecciando così strettamente le ricorrenze religiose coi ritmi agresti scanditi dal lavoro dei coloni. La divinità tutelare preposta al mese di febbraio pare fosse Nettuno, ma sarebbe più indicata Minerva, in quanto dea delle arti utili, della sapienza e della scienza medica, e dunque dea guaritrice e purificatrice.