7 marzo: la festa delle donne

Giunone Lucina

Alle calende di marzo (primo giorno del mese), presso gli antichi Romani, cadevano i Matronali, ricorrenze in onore di Giunone come Lucina, protettrice delle nascite e dei bambini. In tale celebrazione gli uomini facevano doni a mogli e madri, ottenendo lode e onore, soprattutto dalle compagne. Le donne erano solite fare dei voti, presso il tempio di Giunone Lucina a Roma, per la gloria dei mariti, proprio all’inizio dell’anno sacro romano, che coincideva con la ripresa delle attività militari; gli uomini ricambiavano, appunto, con dei doni, celebrando anche le nascite. I Matronali erano una festività che rivisitava la cerimonia privata del matrimonio, che veniva così ripetuta all’inizio dell’anno nuovo (il quale, come sappiamo, cominciava in marzo): ai presenti dei mariti rispondevano le lodi e le gratificazioni delle mogli. Il 7 di marzo, invece, a conclusione delle celebrazioni matronali, si tenevano gli Iunonalia, feste sempre in onore di Giunone, che devono sicuramente aver ispirato la moderna ricorrenza laica dell’8 marzo, festa della donna. Le calende di tutti i mesi erano consacrate al culto di Giunone, specialmente quelle di marzo che prendevano il nome di femineae kalendae.

Volendo individuare una festa delle donne (e delle donne come mogli e madri), eccola qui; una buona occasione anche per celebrare ciò che rende donna una donna: l’identità sessuale, il parto, la maternità, la femminilità, la sua complementarità al maschile, che è diversità, non certo inferiorità. Ma nemmeno ipocrita e ideologica parità di genere. Alla faccia della sovversione moderna che considera ormai una disabilità la visione naturale e tradizionale del gentil sesso, una taccia figlia del bieco patriarcato e via di queste sciocchezze progressiste. Che poi, mi chiedo cosa vi sia di progresso concreto nelle sparate della sinistra mondialista… Un’altra interessante ricorrenza centrata sul femminile cade il 31 di marzo (sempre tale mese): la festa della dea Luna, personificazione romana del satellite terrestre, complemento femminile alla personificazione maschile dell’astro solare, il Sol Invictus presso i Romani (ma anche il precedente, e autoctono, Sole Indigete, associato al radioso Apollo). Sembrerebbe che il carattere muliebre delle celebrazioni del mese di marzo derivi dal ruolo di mediazione svolto nel conflitto tra Romani e Sabini dalle stesse donne vittime del celebre ratto.

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