11-12 giugno (1859): la liberazione delle Romagne (festa della Senonia)

Galletto e caveja

Tra 11 e 12 giugno 1859 crollava il dominio pontificio su Bologna, Ferrara e la Romagna, siglato dall’abbandono dei cardinali legati delle Romagne, che lasciavano le città precipue. Finiva così una plurisecolare tirannia di stampo spirituale capitolino-semitico su Emilia orientale e Romagna, che aveva condotto città preclare, dense di storia e di gloria patria, politica e artistica come Bologna, Ferrara e Ravenna, ad un ovvio declino culturale e materiale. In seguito alle vittorie franco-piemontesi di Palestro e Magenta, gli austriaci, sostenitori del governo pontificio, furono costretti a sgombrare Bologna e dintorni, permettendo così l’annessione dell’area al Regno d’Italia (che, per carità, fu anch’essa una sciagura, ma di natura diversa). Emilia orientale e Romagna divennero politicamente Italia, finendo dalla padella alla brace sotto molti aspetti, ma quantomeno liberandosi dal giogo pretesco. Tale data può, dunque, rappresentare per emiliani orientali e romagnoli una sincera festa popolare, fondata su basi storiche importanti, della Romagna in senso allargato (le Romagne, appunto, retaggio romano-bizantino contrapposto al longobardo): anche in questo la Boica terminale e la Senonia appaiono affratellate senza drammatiche fratture, seppur rimangano due entità distinte; il Sillaro è ancor oggi confine tra due ambiti etnoculturali affini ma con le proprie peculiarità.

Nella concezione lombardista, l’Emilia orientale è certamente Lombardia etnolinguistica e Grande Lombardia, ma si allontana dall’ambito propriamente lombardo etnico in quanto priva di una radicata eredità longobarda; in questo senso, infatti, il Panaro ha sempre costituito un confine anche etnoculturale tra Langobardia e Romandiola. Tuttavia, è utile ricordare che, sebbene con grande ritardo, i Longobardi riuscirono a conquistare Bologna e Ferrara, penetrando in profondità nell’Esarcato bizantino della Romagna. Posero, a San Giovanni in Persiceto (Bologna), un ducato, nel 728 per opera di Liutprando, lasciando anche – pare – una certa traccia genetica negli abitanti del territorio di confine, strappato ai Bizantini. Sfortunatamente, Bolognese, Ferrarese e Romagna finirono successivamente nell’orbita della Roma papalina, venendo assorbite dallo Stato della Chiesa. Sicuramente, la nefasta influenza dei preti cagionò, in questi territori, un certo radicamento della mentalità “rossa” e libertina, prima comunista e poi progressista, a mo’ di antidoto (sbagliatissimo) alla reazione delle tonache. L’unico antidoto, infatti, alle scorie pretesche degli eresiarchi ebraici è l’etnonazionalismo, l’identitarismo etnico, e quel tradizionalismo che affonda le proprie radici nella gentilità indoeuropea: nel segno dei Celti e dei Gallo-Romani, che uniscono Bologna alla Senonia e all’ager Gallicus di Pesaro-Urbino-Senigallia.

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