L’ambito linguistico padano-alpino, che ovviamente è romanzo a livello globale, ricade senza alcun dubbio nella Romània occidentale, segnatamente di estrazione gallica. Se il galloromanzo canonico riguarda gli idiomi dell’attuale Francia, allargandosi include anche la Padania e la Catalogna, e nel primo caso si intende l’insieme gallo-italico e la famiglia retoromanza. Sino a Medioevo inoltrato, la Cisalpina era ancora considerata parte della Gallia e il legame linguistico e culturale con l’area transalpina francese e svizzera era certamente più forte di oggi. In antico esisteva una schietta unità idiomatica fra il troncone occidentale e quello orientale padano, poi frammentata dall’intromissione continentale del veneziano e l’azione erosiva esercitata dal prestigio del toscano sui volgari lombardi. Un fenomeno comunque distinto dalla cosiddetta scripta lombardo-veneta, che rappresentava una koinè illustre e letteraria. Il galloromanzo cisalpino, incarnato da gallo-italico e retoromanzo (ma senza veneto), fa parte della Romània occidentale e si stacca nettamente dal vero e proprio dominio italo-romanzo che fa capo all’italo-toscano.
Il grande equivoco dei “dialetti” padano-alpini figli del fiorentino letterario è una colossale idiozia figlia dell’ignoranza o della retorica patriottarda, ma che non ha alcun riscontro scientifico. Il termine ‘dialetto’ riferito agli idiomi lombardi ha senso – oggi – solo in chiave sociolinguistica, o al più per indicare le varianti locali della lingua lombarda intesa come sottofamiglia linguistica del contesto neolatino ovest. Il gallo-italico, a ben vedere, è storicamente lombardo e lombardo sarebbe anche il retoromanzo, non solo in virtù dell’antica unità teorizzata da studiosi come Hull ma anche dell’inconsistenza dell’etichetta “ladina”, già stigmatizzata dal Pellegrini. I ladini (romanci, dolomitici e friulani) sono lombardi quanto gli altri cisalpini, proprio perché l’unica, vera accezione di Lombardia è quella storica, ed etnoculturale, e ingloba l’intero dominio geografico della Padania. Padania che è poi Lombardia, appunto, e che da un punto di vista linguistico è solo ed esclusivamente Gallo-Romània cisalpina.

Dagli studi di Glauco Sanga osserviamo in realtà come vi sia sempre stata una koinè italiana. Prima dei Longobardi l’Italia (in senso esteso) godeva di una sostanziale unità morfologica, sintattica e lessicale con alcune differenze di sostrato in varie aree ma solo dal punto di vista fonologico. I Longobardi aiuteranno a mantenere questa unità del volgare italico da nord a sud. Le lingue gallo-romanze del nord Italia si presentano così a causa di importazioni francoromanze, come osservato anche da Jodl, il quale riconduce la palatalizzazione di pka e le vocali turbate a influssi franchi.
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Quella di Sanga è giusto una tesi, che conosco in quanto riportata su “Italia settentrionale: crocevia di idiomi romanzi”, opera a più mani curata da Banfi. E a proposito di quel testo, che è è una raccolta di atti di un convegno internazionale del 1993, evidentemente ci si dimentica degli scritti di Pellegrini, Pfister, Zamboni, che citando il Bec e studi consimili ai suoi ricordano come in tutto e per tutto la Padania sia Gallo-Romània, unita a Francia e Svizzera ben prima dei Franchi, proprio grazie ai Celti. Nella Cisalpina si parlava leponzio e gallico cisalpino, e credere che essi non abbiano rappresentano fenomeno di sostrato, al di là della mera fonologia, è piuttosto ingenuo. D’altra parte, non esiste e non è mai esistita un’Italia etnica e nazionale che unisse nord, centro, sud e isole, cosa ampiamente testimoniata da qualsivoglia campo dello scibile umano, non da ultimo la genetica che illustra ampiamente come la Lombardia storica sia sorella di Francia e Iberia e Romània alpina, non del centro-sud (Toscana e Corsica a parte); negarlo è propaganda risorgimentale. E lo stesso Sanga, nel suo testo sul volgare in età longobarda curato assieme a Serenella Baggio, ricorda il confine etnolinguistico Magra-Rubicone che separava Cisalpina e Italia propriamente detta, e il legame antichissimo – gallico – che unisce ancor oggi i due tronconi transalpino e cisalpino, arrivando ad influenzare lo stesso toscano (da cui l’italiano standard che ha diversi elementi di taglio settentrionale/gallo-italico). E come testimonia il fossile retoromanzo – termine improprio come ‘gallo-italico’, rammenta Pellegrini – il cisalpino era un tempo unitario da ovest ad est, ancor più occidentale di quanto lo sia oggi, non certo per Longobardi e Franchi ma per il sostrato celtico comune a Padania e Gallo-Romània transalpina. Consiglio di leggere gli illuminanti saggi di Geoffrey Hull, spesso citati dallo stesso G.B. Pellegrini, eloquenti soprattutto circa l’unità linguistica padano-alpina spezzata da toscano e veneziano/veneto. I popoli germanici hanno influito sulla formazione dei nostri volgari, e poi dei “dialetti”, e credo anche io che le cosiddette turbate siano più germaniche (longobarde o franche) che celtiche, ma è innegabile che le nette differenze tra galloromanzo cisalpino e italo-romanzo vero e proprio risalgano all’epoca gallo-romana, e restano a testimoniarcelo romancio, ladino e friulano, assai più occidentali del gallo-italico perché non sottoposti a italianizzazione e al fenomeno di lingua tetto esercitato dal toscano sulle loquele lombarde. E sicuramente non perché il ladino in senso lato sia stato più influenzato linguisticamente dai Franchi, rispetto al grosso “padanese” della Lombardia autentica (che non è la misera regione mutila creata da Roma).
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