La palatalizzazione

Il fenomeno della palatalizzazione, tratto fonetico che consiste nella trasformazione di una consonante non palatale in palatale, spostando il punto di articolazione in avanti, è uno dei più antichi elementi linguistici che collegano la Cisalpina al mondo galloromanzo transalpino, in virtù del comune sostrato celtico. Nello specifico si tratta della palatalizzazione dei nessi latini con -l- (gruppi –cl-, –gl- e –pl-) e soprattutto di ca- o ga-, che oggi sopravvive nel ladino in senso lato, e cioè romancio, dolomitico e friulano. Come sapete, il gruppo ladino, o retoromanzo, presenta aspetti che un tempo erano condivisi da tutta la Padania linguistica, essendo un fossile non intaccato dall’erosione operata dal fiorentino letterario e dal veneziano, che ha annacquato lo statuto galloromanzo della lombardofonia allargata (l’intero gallo-italico). Non infrequentemente, nel gallo-italico/lombardo vengono inclusi ligure e veneto moderno, sebbene soprattutto quest’ultimo mostri elementi che lo avvicinano al toscano e all’italo-romanzo in genere, discorso che vale pure per l’appendice istriota e l’estinto dalmatico.

La palatalizzazione può riguardare anche il vocalismo, basti pensare a come, in piemontese e romagnolo, la a accentata divenga è, il che ricorda l’influsso celtico che riemerge nel francese, ma è segnatamente quella consonantica dei nessi ca- e ga- a mostrare, oggi, ad esempio nel friulano, quella stretta connessione antica fra i due tronconi della Gallia che riguardava ogni landa padano-alpina. Una connessione dettata da ragioni linguistiche che sono il riflesso di quelle etniche, naturalmente in chiave celtica. Retoromanzo e gallo-italico appartengono senza alcun dubbio alla sottofamiglia neolatina galloromanza, anche per via della palatalizzazione, antica o moderna che sia. E occorre ricordare che pure la conservazione di taluni gruppi consonantici latini (pl-, bl-, gl-, cl-, fl-) denunzia l’intima parentela delle nostre lingue con quelle d’oltralpe, per quanto oggi soprattutto, fenomeno eziandio da ricondurre a friulano e ladino in genere. Ma per fare esempi vicini a chi scrive, in bergamasco sopravvivono termini come glir ‘ghiro’, clòssa ‘chioccia’, blach ‘pallido’, o particolari oronimi, che non presentano esiti alla toscana (ghiro, chioccia, biacca), assai più numerosi in epoca medievale e rinascimentale.

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