25 novembre: Caterina Segurana (festa del Nizzardo)

Caterina Segurana

Il 25 novembre, giorno di Santa Caterina, i nizzardi ricordano la loro eroina Caterina Segurana, umile lavandaia distintasi durante l’assedio franco-ottomano di Nizza nell’agosto del 1543. L’assedio venne levato vittoriosamente dalle truppe sabaude e imperiali, con l’appoggio delle navi di Andrea Doria, che liberarono una città parte del Ducato di Savoia finita nelle mire del re di Francia Francesco I, nonostante le dichiarazioni di rinuncia, di vent’anni prima. Il 15 di agosto 1543, nel momento più critico per Nizza durante l’assedio turco, con gli assedianti che stavano per sfondare dopo l’accanita resistenza degli assediati nizzardi, un ottomano riusciva a piantare la propria bandiera nella breccia aperta presso le mura cittadine; fu allora che insorse Donna Maufaccia, epiteto della popolana Caterina Segurana, così chiamata per il brutto aspetto, buttando giù l’invasore turco e impossessandosi della sua bandiera, rivolgendo poi gesti osceni di scherno all’indirizzo degli ottomani. L’episodio rinfocolò l’impeto dei nizzardi, che riuscirono a respingere gli allogeni assalitori, alleati del re di Francia.

Alla Segurana, che perì negli scontri, venne dedicata una stele con iscrizioni in nizzardo, posta sull’antico bastione. Questa donna di umili origini, la cui esistenza è stata messa in dubbio dalla storiografia filo-francese, è divenuta eroina della sua città e simbolo dell’identitarismo nizzardo, in accesa polemica non solo contro i francesi ma anche contro i loro ascari alloctoni: ieri i turchi, oggi gli immigrati provenienti da mezzo mondo, in particolar modo dal Nordafrica. E le drammatiche vicende contemporanee ci parlano, infatti, di terroristi islamici che insanguinano Nizza, terroristi accolti, coccolati e tollerati da Parigi che li ha sparsi in tutta la Repubblica. Caterina Segurana, ancor oggi celebrata con orgoglio dalla grande città storicamente ligure, ci ricorda che il Nizzardo non è Francia, bensì Grande Lombardia, la cui identità (anche linguistica) cisalpina è stata annacquata dagli influssi occitani e francesi. Questi territori storici liguri vennero svenduti, assieme alla Corsica, alla Francia, con esiti nefasti per l’identità nizzarda e corsa. Nonostante ciò, gli indigeni di quei luoghi difendono con tenacia e fierezza le proprie radici, rivendicando una chiara estraneità rispetto all’Hexagone e contrastando il fenomeno migratorio. Forse non si sentiranno nemmeno padano-alpini, ma è indubbio che rientrino nel contesto della Grande Lombardia, non foss’altro per gli stretti rapporti con la Liguria e il Piemonte.

11-14 novembre (583 a.e.v.): la fondazione di Milano

Antares

Tra l’11 e il 14 di novembre, del 583 avanti era volgare, si colloca la fondazione della celtica Milano (Medhelan?), la capitale storica lombarda. Secondo la tradizione (analizzata da uno studioso di cose celtiche di Lombardia, declinate in chiave archeo-astronomica, quale Adriano Gaspani), nel periodo che ruota attorno alla cosiddetta estate di San Martino (poco dopo il Capodanno celtico, in concomitanza con l’Avvento ambrosiano), i Celti insubrici eressero un nemeton, un santuario, in base alla mappatura della volta celeste nel tempo dell’anno in questione. L’orientamento dell’ellissi, del tracciato dell’edificio religioso compiuto dai druidi, seguiva infatti l’allineamento degli astri del 583 a.e.v., basandosi soprattutto sulla levata della stella Antares (la più luminosa della costellazione dello Scorpione) assieme al sole. La dedicazione del ‘santuario di mezzo’ (MedhelanMediolanum) venne così a coincidere con lo spartiacque astronomico tra estate e inverno, e non è forse un caso che il calendario liturgico ambrosiano della Chiesa milanese cominci l’Avvento (al solstizio d’inverno, cioè al Natale del sole) due settimane prima di quello di rito romano.

Il fulcro del nemeton era situato nell’odierna Piazza della Scala, la cui scelta deriva dalla direzione del tramonto del sole al solstizio d’estate dietro il Monte Rosa, e dalla levata della stella Capella, sacra alle popolazioni galliche, dietro il Resegone. La festa di San Martino, celebrata l’11 novembre, discende dunque da un insieme di reminiscenze celtiche (tra cui si ricordi anche la ricorrenza dei mariti cornuti, frutto di antichi rituali pagani connessi alle fiere del bestiame cornuto e all’abbondanza, dunque alla fecondità, ma anche ai bagordi delle consorti e allo scherno dei “becchi”…), al solito storpiate dalla Chiesa, legate al movimento degli astri e al cammino autunno-invernale del sole, in cui viene a collocarsi anche la fondazione sacra di Milan. La leggenda classica di Belloveso situa la nascita di Milano durante le calate galliche della seconda Età del Ferro (Cultura lateniana), ma con tutta probabilità va anticipata al contesto golasecchiano, tanto che il santuario insubrico di Medhelan era punto di riferimento per varie tribù celtiche del periodo, tra cui gli Oromobi di Como e Bergamo (secondo alcuni un’articolazione religiosa interna alla famiglia degli Insubri, un’anfizionia).

6 novembre (2013): la nascita di Grande Lombardia

I lombardisti

Il 6 (o 7) di novembre è la data astronomica intermedia fra l’equinozio d’autunno e il solstizio d’inverno, che è quanto celebravano, ad esempio, i Celti con Samonios (da cui Halloween), festività che tradizionalmente cade fra 31 ottobre e il primo di novembre. L’antica ricorrenza di Samhain è anche detta Calenda, in quanto Capodanno celtico, ed era vista dai nostri avi come il periodo dell’anno in cui il mondo dei vivi si avvicinava di più a quello dei morti, con l’apertura simbolica del portale che li mette in comunicazione. Da qui i riti apotropaici sul limitare dell’inverno, in concomitanza con una stagione dalle giornate corte, dunque buie, fredde, “morte”, in cui anche la natura e le attività agro-silvo-pastorali “riposano”. La celebrazione cristiana di santi e defunti nasce da tutto questo, e proprio per la valenza sacrale e astronomica – in chiave pagana – ricoperta dal 6 novembre io e gli altri fondatori di Grande Lombardia scegliemmo, nel 2013, di dare vita a tale movimento, nella cornice del Castello Visconteo di Pavia, l’indimenticata capitale longobarda. Il ricordo degli antenati, l’inizio dell’anno celtico, le reminiscenze gentili, lo sfondo dell’autunno lombardo e l’intima fusione tra sangue, suolo e spirito resero cotesta data ideale per raccogliere simbolicamente l’eredità del Movimento Nazionalista Lombardo, fondato il 6 maggio 2011 nell’alto Seprio varesotto. Il periodo di Beltane, festività primaverile celtica per antonomasia, si contrappone astronomicamente a Samhain, ed è non a caso il festival della luce e del fuoco.

Il 6 novembre 2013 non si celebrò il “funerale” del MNL, nato il 6 maggio 2011, ma l’inizio di una nuova esperienza lombardista estesa a tutto l’ambito granlombardo, dal Monviso al Matajur e al Nevoso, dal Gottardo al Cimone, in onore delle radici celto-germaniche e romanze occidentali di tutti i cisalpini, che dal Medioevo vennero globalmente chiamati lombardi. Certo, il fulcro etnico (teorizzato dalla prima associazione) rimane il “nordovest” padano-alpino, ma la Grande Lombardia è l’erede, la continuazione, dell’antico Regno longobardo, da cui lo stesso etnonimo lombardo. Se la data mediana tra equinozio di primavera e solstizio d’estate segnò la nascita ufficiale del lombardesimo militante, nel tripudio di luce di Beltane/Calendimaggio, quella mediana tra equinozio d’autunno e solstizio d’inverno, tempo di intima riflessione, accompagnò il sorgere di una visione di più ampio respiro, infine approdata nella nascita di Nazione Lombarda, il 23 dicembre dello scorso anno. Nel segno della continuità con MNL e GL, rimarcando il carattere nazionale e unitario della nostra unica patria. A ben vedere, se i Longobardi fossero riusciti a sgominare il mortale nemico pontificio avrebbero trasformato in Lombardia tutta l’Italia romana, così come i Franchi trasformarono in Francia la Gallia Transalpina. Ma come la Francia primeva è fondamentalmente il centronord dell’attuale RF, così la (Grande) Lombardia è il settentrione della RI, e la difesa dell’identità etnoculturale di un popolo che si fa nazione va attuata a tutto tondo, essendo sempre legittima e doverosa. Sebbene per un settennio (2014-2021) abbia riconsiderato l’Italia a guisa di (fumosa) civiltà storica, sono sempre rimasto lombardista, sino a riabbracciare le origini tra estate e autunno di 4 anni fa.

Novembre – November

Bacco

Il mese di novembre (November) deve il suo nome al fatto di essere stato, nell’antichità romana, il nono dell’anno a partire da marzo, successivo a ottobre. L’attuale undicesimo mese del calendario era posto sotto la tutela di Diana e in Roma antica non era particolarmente caratterizzato dalla presenza di festività significative, ad eccezione dei Ludi Plebeii. Nei Menologia rustica, calendario romano che forniva indicazioni utili alle pratiche agresti, il mese novembrino era preposto alla semina di grano e orzo e all’esecuzione di scavi attorno agli alberi con lo scopo di raccogliere l’acqua piovana invernale per bagnare le piante durante le aride estati, ma anche per evitare esondazioni, controllare la crescita delle infestanti e convogliare materiali organici fertilizzanti. L’iconografia tradizionale, sempre presso i Romani, di novembre era costituita da un uomo con una zappa a quattro denti (un rastrello, praticamente) e, spesso, la deità atta a rappresentare il mese autunnale per antonomasia era Iside, figura divina allogena penetrata con l’ellenismo e celebrata negli Isia, tra ottobre e novembre. November inizia con il sole nel segno astrologico dello Scorpione e si conclude con il suo ingresso nel segno del Sagittario il giorno 22, sino al 21 dicembre, data solstiziale.

Personalmente, vedo bene la figura di Bacco, il Dioniso romano, dio del vino e della vendemmia, del piacere dei sensi e del divertimento, per incarnare novembre; questo perché in tal mese, tra la sua fine e l’inizio di dicembre, venivano celebrati i Brumalia romani, feste a base di libagioni e banchetti in onore del dio estatico e strepitante (portatore di baccano, da cui l’appellativo di origine greca Bromio) il cui etimo si ricollega alle brume, al periodo invernale. E sappiamo bene, soprattutto in ambito padano, quanto novembre sia il mese della nebbia… Inoltre, il periodo novembrino, da un punto di vista identitario, è ancor oggi simbolo di tenebre – vedi le giornate brevi -, freddo, morte (o, meglio, commemorazione dei defunti, in linea con il trapasso autunnale e invernale della natura), come del vino che fermenta al buio nei tini, del seme che riposa sotto il suolo nell’attesa di germogliare, della madre terra che abbraccia, nel riposo eterno, tanto i morti quanto i germi di rinascita, il cui avvento si avrà col solstizio d’inverno e il trionfo della luce del sole che vince la gelida oscurità, guadagnando terreno sulla notte. È sempre suggestivo pensare all’inscindibile legame tra sangue degli avi, e nostro, suolo patrio (anche come fonte di sussistenza), e spirito, ovviamente tradizionale e di matrice gentile, segnato dal calendario identitario ereditato dai nostri padri che, sebbene inflazionato dalle celebrazioni cristiane e consumistiche, si fa ancor oggi guida per tutti noi, lungo il cammino della vita.