Euro-Siberia, il grande progetto imperiale

L’ideale collocazione geopolitica dell’Europa, che, ricordiamo, finisce agli Urali comprendendo la Russia etnica, si chiama Euro-Siberia (o Eurosiberia), lo sterminato spazio intercontinentale che unisce la realtà etnonazionale genuinamente europea alla, preziosissima, parte asiatica inglobata e governata dalla Russia. Una grande famiglia razziale e culturale, nonché dominio geopolitico europeo, nell’ottica del contrasto agli altri, aggressivi, potentati del pianeta che rischiano di stritolare la nostra civiltà in nome dell’unipolarismo americano o di un multipolarismo terzomondista volto a privilegiare le realtà extra-europidi. Come lombardisti, invece, ecco che privilegiamo il grande disegno confederale di un’Euro-Siberia dalla Galizia iberica a Vladivostok, per fronteggiare in maniera vittoriosa le sfide che ci attendono e salvare la culla della civiltà, l’Europa, dall’auto-genocidio e dall’estinzione.

L’Euro-Siberia, nel nostro pensiero etnicista, rappresenta uno sterminato consesso “imperiale”, naturalmente confederale, che unisca razionalmente tutte le vere nazioni europee, nel segno di razza, etnia, nazionalità ma anche di cultura, civiltà, dottrina. Oggi appare necessario unire, dove serve, gli sforzi degli europei al fine di creare un consorzio che si riveli fondamentale per quanto concerne la geopolitica, l’economia, l’industria e le infrastrutture, l’energia e lo sfruttamento di risorse e materie prime, quest’ultimo possibile proprio grazie al disegno e al progetto euro-siberiano. Tutti gli europei sono chiamati a farne parte, a patto che si adotti un’ottica confederale e non si ricaschi nelle tentazioni unioniste che hanno dato origine alla sciagurata Unione Europea del Benelux.

Se, infatti, la Ue è un’accozzaglia di stati – nemmeno nazioni – tenuta assieme dal feticcio burocratico, finanziocratico e tecnocratico, e ridotta inevitabilmente a colonia degli Usa e della Nato, l’idea d’Europa lombardista punta alla salvaguardia della nostra civiltà, e di chi l’ha plasmata, possibile soltanto in uno scenario imperiale che costituisca un patto etno-razziale tra tutte le nazioni indigene bianche. Nulla vieta il cameratismo razziale dei bianchi del globo, uniti da vincoli biologici e antropologici, ma è chiaro che non sia affatto utile preservare i rapporti con Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica perché incarnazione di ambiti e prospettive multirazziali del tutto privi di ossatura etnonazionale. L’Eurussia sarebbe realtà intercontinentale, o semplicemente continentale a seconda di come la si veda geograficamente, ma nella piena tutela delle nazioni che la formano.

Il futuro è dunque l’Euro-Siberia, e cioè lo sterminato dominio indigeno dell’elemento razziale europide, possibilmente grazie ad una classe dirigente forgiata nel cuore carolingio, gallo-teutonico, dell’Europa (che comprende anche, quanto la nota Banana blu, la Grande Lombardia), chiamata ad amministrare in prima persona la politica euro-siberiana grazie ad equilibrio, razionalità, sviluppo, tecnologia, giusto progresso in termini scientifici. Questo spazio eurasiatico, benedetto dalla razza europide, rappresenterebbe la dimensione vitale degli europei, un baluardo continentale schierato contro le minacce unipolari e terzomondiste. Chiaramente, la stessa Russia dovrebbe convertirsi all’idea euro-siberiana, lasciando perdere l’ambiguo eurasiatismo alla Dugin, la Federazione multirazziale e multietnica e i sogni imperialistici svuotati di valore völkisch.

Ogni nazione europea, legittimamente, deve ambire alla difesa della propria sacrosanta sovranità (monetaria, identitaria, militare), ma dovrebbe anche aprirsi ad una soluzione eurussa laddove si tratti di autarchia sulle materie prime e di sviluppo in loco dei mezzi di produzione atti alla trasformazione di tali risorse e materie prime. E, oltre a questo, l’Euro-Siberia ci giunge in soccorso per quel che riguarda il necessario e sufficiente peso geopolitico mirato a proteggere l’Europa da tentacoli alieni. Va da sé che molto dipenda dal gigante russo, e proprio per questo è fondamentale che Mosca adotti la visione etnicista in chiave eurasiatica, privilegiando la componente europide dell’identità moscovita. E, allo stesso tempo, è doveroso che i russi rispettino la libertà dei loro vicini, in nome della fratellanza balto-slava (e rus’). Noi lombardisti crediamo nell’Europa, intesa come grande famiglia imperiale, e proprio per tale ragione vogliamo batterci per il progetto euro-siberiano.

Quell’insana ossessione di Putin

Diciamolo subito, e molto tranquillamente: Vladimir Putin, in confronto ai governanti occidentali, è un gigante circondato da nanerottoli, poiché incarna, a suo modo, identitarismo e tradizionalismo, ed è un nemico feroce di ogni degenerazione contemporanea. Da decenni si erge siccome baluardo multipolare contro lo strapotere atlanto-americano e ha salvato la Russia da quel baratro in cui sembrava precipitata dal suo predecessore Eltsin, marionetta nelle mani dell’Occidente. Certo, le vicende d’Ucraina non convincono appieno, e per quanto dietro il governo ebraico di Kiev si celi l’ombra di Usa e Nato resta il fatto di aver aggredito una nazione europide, anche mediante l’impiego di soldataglia allogena (caucasica, dunque islamica, e mongoloide) che, oltretutto, si è macchiata di crimini di guerra. Una delle ragioni che avrebbe indotto Putin ad attaccare è la «denazificazione» dell’Ucraina, un termine ambiguo e pruriginoso, per quanto propagandistico, che sa di bolscevismo. E parrebbe che Vladimir abbia una vera e propria ossessione per il nazismo, forse frutto del suo passato, e del passato della Russia. Una Russia, c’è da dire, che fatica a ragionare da nazione europea, preferendo mire imperialistiche.

Capiamoci, signori, dobbiamo distinguere doverosamente il nazionalsocialismo originale dal neonazismo attuale, ma non credo che il presidente russo faccia tale distinzione. Vellicando la storia sovietica della Russia, egli esorta i connazionali (e non solo) a combattere contro la croce uncinata, vedendo nazisti dappertutto, anche dietro al recentissimo, sanguinario, attentato terroristico che ha sconvolto Mosca. Tale massacro, che ha causato la morte di quasi 140 persone, è stato rivendicato dall’Isis, ma la matrice islamica è dubbia; e non dico dubbia perché condivida le opinioni di Putin ma perché quando accadono fatti simili l’islamismo è il cavallo di Troia di qualcosa di peggio, e cioè della solita strategia della tensione internazionale che, incolpando la religione di Maometto, cerca di scagionare le mene destabilizzatrici dei soliti noti. Ad ogni modo il nazismo non c’entra nulla e ritengo controproducente che Putin lo ficchi in ogni argomento possibile, fondamentalmente per criminalizzare Kiev. In Ucraina il neonazismo esiste certamente, e viene manovrato dall’Occidente in funzione russofoba, ma parlare di nazisti equivale a confondere le acque. Al potere, in Rutenia, non c’è il nazismo ma Zelensky che, fra l’altro, rappresenta benzina sul fuoco di questa guerra fratricida.

Il conflitto russo-ucraino e la sconfitta dell’Europa

La guerra è sempre una tragedia e non può venire concepita come una partita di calcio, dove chi non è coinvolto parteggia per l’uno o per l’altro dei contendenti, comodamente seduto in poltrona. La tentazione contraddistingue tutti gli “italiani”, che si dividono in fautori di Putin o in tifosi di Zelensky, ovviamente con riferimento alle ostilità d’Ucraina, principiate nel febbraio di due anni fa. Ma è meglio lasciar perdere le partigianerie, per concentrarsi su ciò che davvero rappresenta il conflitto tra Russie, vale a dire una sonora sconfitta per l’Europa e la sua civiltà. Una civiltà che, certo, si è costruita anche grazie alle guerre ma che nel 2024 dovrebbe riconsiderare la fratellanza tra europidi, nel solco del disegno euro-siberiano, che il lombardesimo ha molto a cuore.

I contemporanei conflitti fra popoli assai simili e compatibili, come russi e ucraini (membri della medesima famiglia rus’, slava orientale e steppica, assieme alla Bielorussia), non fanno il bene dell’Europa, bensì dei suoi nemici. Il sangue bianco che scorre a fiumi è il fallimento del progetto imperiale eurusso, che chiaramente contempla la Russia moscovita come parte integrante dell’Europa e della sua opera di civilizzazione. I russi sono europei, quanto ucraini e bielorussi, e per certi versi esiste una sola Russia, sino agli Urali, che affratella Mosca, Kiev e Minsk: un’unica grande nazione, che comunque sia abbisogna di una razionale suddivisione.

La guerra contrappone, dunque, due realtà similari, parlando del fulcro etnico; tuttavia, c’è da dire che la Federazione Russa comprende anche minoranze non europidi, il che comporta perdere di vista la natura schiettamente etnica del contesto moscovita. Lo si vede, del resto, anche in Ucraina, dove l’esercito russo manda in prima linea la carne da macello mongola e caucasica (buriati e iacuti nel primo caso, ceceni e daghestani nel secondo), peraltro responsabile di atrocità contro la popolazione indigena ucraina. E questo, certamente, depone a sfavore della Russia putiniana, che ha in non cale etnia e razza al punto di vedere nemici nei simili ruteni e amici nelle minoranze di quello sterminato impero che fa capo a Mosca.

Le responsabilità della guerra, ad ogni modo, non sono soltanto russe, poiché anche Kiev ha la sua colpevolezza. Una colpevolezza che riguarda il potere concentrato nelle mani della minoranza ebraica governativa, assieme al filo-americanismo e al filo-atlantismo, che hanno gettato l’Ucraina in pasto all’Occidente dei soliti noti, e quindi al sanguinoso conflitto. Vanno anche considerate le angherie esercitate sui territori più orientali dell’Ucraina ai danni dei russofoni, le quali rientrano nel perdurante conflitto del Donbass, cominciato nel 2014. Se dietro Kiev non ci fossero gli Usa e la Nato, con annessi e connessi, la solidarietà verso l’Ucraina sarebbe del tutto comprensibile, ma le cose stanno purtroppo diversamente. Fermo restando che la gente di quel Paese, al di là dei palazzi del potere, non ha colpe e vede i propri figli mandati al macello sulle ali della propaganda occidentale, in una guerra votata al logoramento e alla sconfitta, o alla stagnazione permanente.

Oltretutto, il settore più orientale dell’Ucraina, con la Crimea, è assai affine alla Russia, mentre la componente genuinamente rutena è rappresentata da aree come Galizia, Podolia, Polesia e Volinia, le più occidentali, che si proiettano verso l’area polacca e mitteleuropea. Ma, come lombardisti, non siamo per una spartizione dell’Ucraina moderna, che in quanto nazione indipendente può sussistere, al pari della stessa Bielorussia e della Russia moscovita. Siamo dalla parte del popolo inerme, che subisce le atrocità del conflitto, ma non abbiamo nessuna simpatia per la ciurma di Zelensky (considerando chi l’appoggia e da chi è composta). E in questo senso anche buona parte del nazionalismo ucraino, purtroppo, è compromesso, poiché, come sempre, il neonazismo strisciante è un pupazzo manovrato da chi dice di combattere. A parole, appunto.

Pensieri sulla Russia

La stretta attualità bellica, circa il conflitto Russia-Ucraina, impone una doverosa riflessione sulla Russia stessa, per come viene inquadrata nell’ottica lombardista. Siamo, ovviamente, lontani anni luce dalla considerazione che l’Occidente ha dell’Orso euro-siberiano, ma ciò non significa nemmeno glorificare senza se e senza ma la Federazione Russa governata da Putin. Abbiamo dunque un punto di vista critico, per quanto chiaramente smarcato dal pensiero comune occidentale, fermo restando che la Russia appartiene indubbiamente al dominio europeo, quantomeno sino agli Urali. C’è però da dire che la nazione russa, più che una nazione, sia effettivamente un impero, con tutti i difetti e le magagne che riguardano un’entità “imperiale”.

I russi sono europei, ovviamente ci riferiamo ai russi etnici non rimescolati. Sono strettamente apparentati con le altre Russie: la Russia Bianca (Bielorussia) e la Piccola Russia (Ucraina/Rutenia). Esiste dunque una realtà etnoculturale russa, in senso allargato, che riguarda tutti coloro che possono dirsi eredi della Rus’ medievale e che, chiaramente, appartengono alla sfera della Slavia orientale. Come lombardisti riconosciamo l’esistenza delle Russie ma siamo per un’ovvia suddivisione nazionale: Russia moscovita, Russia ucraina, Russia di Minsk. E il rispetto delle relative nazionalità è fondamentale, perché condanniamo quelle ammucchiate che comportano l’oblio dell’identità etnoculturale e nazionale. Probabilmente la Russia putiniana ha in non cale questi aspetti, e in effetti si proietta più verso oriente che verso occidente, ignorando, se non calpestando, i vincoli di sangue.

Ma questa situazione è anche il frutto della geopolitica unipolare americana. Putin, per sfuggire al cappio dell’imperialismo americano, che a suo tempo condannò uno Eltsin, cerca nel multipolarismo un’opzione che dia voce e spazio agli altri grandi potentati del mondo, complice anche l’Europa ridotta ad Unione Europea e a terra occupata da Usa e Nato. È chiaro, ed è sotto gli occhi di tutti: a Vladimir poco importa della razza europide e delle sue etnie e nazionalità, essendo la Russia quasi condannata a quella mentalità a suo modo imperialista che già fu dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica.

Ma noi dobbiamo ragionare diversamente, pur non condividendo le velenose balle russofobe diffuse e alimentate dai mortali nemici di Mosca. Noi lombardisti crediamo fortemente nell’Euro-Siberia, che naturalmente includa la Russia ma che, finalmente, sia votata, come confederazione continentale di genti bianche, alla preservazione, alla salvaguardia e all’autoaffermazione delle vere nazioni europee, tra cui la Lombardia. Niente più unipolarismo a guida statunitense, e al contempo niente più multipolarismo che vituperi l’essenza razziale dei popoli, andando così involontariamente (?) ad accrescere un patetico antifascismo che confonde il nazionalsocialismo con il neonazismo d’accatto.

Putin è certamente un gigante attorniato da nanerottoli (i governanti occidentali), ma la sua Russia non è la miglior Russia possibile, e lo si dica senza strizzare l’occhio alla propaganda euro-atlanto-americana. La miglior nazione moscovita possibile è quella che contribuisca alla causa euro-siberiana, promuovendo un salutare cameratismo europide volto all’affermazione, anche biologica, della nostra civiltà. Una civiltà che esclude il degrado d’oltreoceano, confermandosi altamente tradizionalista, ma anche il multiculturalismo e il multietnicismo (a tratti con sfumature financo razziali) dell’attuale Federazione Russa. Siamo per l’Euro-Siberia, non per l’Eurasia – concetto inevitabilmente multirazziale – e in questo senso le minoranze non europidi non vengono contemplate. Forse è utopico, ma Mosca dovrebbe abbracciare tale progetto, riscoprendosi Europa e parte fondamentale della nostra stessa civilizzazione.

Quale Russia, per un’Europa identitaria?

Aleksej Navalny, noto oppositore politico di Putin, è morto nella colonia penale artica in cui era detenuto. L’Occidente è immediatamente partito all’attacco del presidente russo, accusandolo di aver commissionato un omicidio, mentre Mosca smentisce riconducendo la morte a cause naturali. In passato Navalny si è reso protagonista di episodi facilmente inquadrabili nell’orbita del neonazismo e, come tutti i neonazisti (parodia, cioè, del nazionalsocialismo originale), soprattutto dell’Europa orientale, è stato foraggiato e manovrato dagli Stati Uniti e dall’imperialismo euro-atlantico. Davvero singolare la schizofrenia occidentale, di fronte alla fenomenologia dell’estrema destra, cosiddetta: se in Occidente i neonazisti vengono perseguiti, condannati e incarcerati, in Oriente vengono mossi come burattini, in funzione antirussa, dunque protetti, coccolati, glorificati. Proprio come è accaduto e sta accadendo a Navalny, fresco di morte strumentalizzata e pronto per la canonizzazione, in ottica democratica. Uno come lui, nell’Europa occidentale, verrebbe appeso per i piedi (ricordiamoci di Norimberga), anche se, leggendo le sue note biografiche, emergono pruriginosi particolari di taglio liberaleggiante, come l’appoggio per i “matrimoni” omosessuali.

Credo che la Russia di Putin non sia la miglior Russia possibile; Vladimir ha un’ottica fin troppo eurasiatica, sebbene frutto dell’ostilità occidentale, che lo porta a snobbare il fulcro europide della nazione moscovita, obliando l’identitarismo bianco e l’idea di un’Euro-Siberia restituita ai popoli europei indigeni. Sicuramente Putin ha in non cale la coscienza razziale, l’opposizione al semitismo, l’etnonazionalismo, i valori völkisch, ma d’altra parte la Federazione Russa è un impero, più che una nazione compatta. L’Occidente, in confronto a Mosca, è ben poca cosa, e il presidente russo giganteggia nei riguardi dello stuolo di nanerottoli politici sfornati dalle nazioni (si fa per dire) “democratiche”. Il vero nemico dell’Europa non è certo Putin: la nostra nemesi è l’unipolarismo americano, che riduce il continente a scendiletto del padrone statunitense. Il rischio di un abbattimento del capo moscovita, dunque, pensando anche alle vicende belliche russo-ucraine, di cui avremo modo di parlare, è quello di consegnare la Russia alla decadenza Usa, come ai tempi di Eltsin. Detto ciò, sarebbe auspicabile che la nazione russa, nel suo cuore europeo sino agli Urali, si riscoprisse bianca e di retaggio indoeuropeo, promuovendo una solida coscienza identitaria in chiave anche biologica e, così, il progetto euro-siberiano. Mantenendo, comunque sia, con fierezza l’ostilità nei confronti del ciarpame all’americana.