Natalità

In una Grande Lombardia invasa e colonizzata, prima dai sud-italiani e poi da tutti gli altri allogeni, è fondamentale, assieme al blocco dell’immigrazione e al sistematico rimpatrio, recuperare un minimo di vigore demografico per poter garantire alla nazione un futuro il più possibile roseo. Da lombardisti siamo i primi a denunziare la spaventosa sovrappopolazione storica – peggiorata dai flussi migratori – che affligge la Padania, ma è chiaro a chiunque che avanti di questo passo i lombardi si estingueranno, e non solo nel cosiddetto triangolo industriale; è necessario pertanto ricominciare a fare figli, nel pieno rispetto dell’endogamia, anche se per attuare ciò sia urgente una rivoluzionare culturale e sociale che passi per il comunitarismo. Dall’educazione sessuale ai costumi giovanili, dai valori famigliari al culto patriottico del focolare domestico: in un’Europa occidentale ipersessualizzata, viene del tutto a mancare la coscienza riproduttiva, o limitata ad un solo figlio in tarda età. E questo a fronte dei ritmi selvaggi del terzo mondo, e degli immigrati da esso provenienti, refrattari ad ogni idiozia progressista.

Non così nella Padania, oggi ridotta a succursale del mondo anglosassone che assorbe a guisa di spugna la mentalità affaristica e consumistica facendosi plagiare dalla società dell’edonismo. Pancia piena, portafogli pieno, bagaglio delle futilità stracolmo ma spirito sempre più svuotato e isterilito, con il collasso dei principi identitari come primissima conseguenza. Quando vengono a mancare quegli ideali eroici che animano un’etnia e una nazione, restano soltanto le macerie postmoderne di una civiltà un tempo prospera ed esemplare, che solo la palingenesi etnonazionalista potrebbe risuscitare. Una Lombardia senza lombardi è il trionfo del sistema-mondo e della sua tristissima appendice peninsulare, il sistema-Italia, responsabili della pietosa condizione di identità e tradizione in terra cisalpina. I gaglioffi ridono, sentendo parlare di sostituzione etnica, ma come dovremmo definire quanto accaduto nella Lombardia storica occidentale, dove gli indigeni sono stati rimpiazzati – anche per le proprie colpe, è chiaro – da alloctoni di mezzo mondo? L’italianizzazione, di fatto, ha inaugurato le danze macabre del pluralismo genocida.

Sesso

È chiaro che il sesso ricopra un ruolo assai importante nelle dinamiche relazionali della comunità, anche se il suo valore eminentemente riproduttivo ha perso quella centralità che aveva un tempo, in particolare in Europa. Oggi, in una società ipersessualizzata che perverte soprattutto il corpo femminile per veicolare bassi appetiti consumistici, i rapporti intimi appaiono più che altro alla stregua di intrattenimento ludico occasionale e promiscuo, spesso mordi e fuggi, isterilito da un edonismo che liquida maternità e paternità come zavorre patriarcali intollerabili. Se il retaggio sessuofobico semitico, promosso dal cristianesimo, poco aveva a che fare con lo spirito gentile europeo (si parla di eterosessualità, logicamente), va da sé che il suo opposto, l’orgia di erotismo e passione distorti cavalcata dal capitalismo, non sia migliore, in un Occidente che peraltro incensa a piene mani la pornografia e tollera la prostituzione. Questo discorso vale anche per quelle tizie che decidono di mettersi in vetrina su internet, a pagamento, lucrando su guardoni e maniaci dell’autoerotismo.

Come lombardisti siamo dell’idea che vada riscoperta la funzione procreativa dei rapporti sessuali, pensando in particolar modo alla drammatica situazione demografica della Grande Lombardia, senza necessariamente condannare da bigotti il divertimento fine a se stesso. Chiaro, sarebbe preferibile vivere la sessualità a guisa di legame carnale inserito in una piena relazione, progettando un futuro famigliare, ma non vogliamo ficcare il naso nelle camere da letto dei lombardi. Ripeto: parliamo di eterosessualità. Circa l’omosessualità il nostro atteggiamento è di rifiuto ed esecrazione, visto che oggi, oltretutto, ha assunto un significato anti-identitario e anti-tradizionale strumentalizzato dal sistema. Non condividiamo la posizione del cristianesimo, e non critichiamo la contraccezione (a patto che non comporti soluzioni abortive): è evidente che non si possa avere amplessi solo ed esclusivamente per riprodursi, per di più solo all’interno del matrimonio. Però, naturalmente, siamo a favore di una visione valoriale del sesso, che lo ripulisca e preservi dalla degenerazione contemporanea (e commerciale) promossa dall’Occidente materialista e che lo inglobi nella dimensione comunitaria, anche come mezzo di esaltazione endogamica.

Contadinato

Le radici della Lombardia affondano nell’ubertoso passato agreste dei nostri padri, quando esisteva ancora un rapporto intenso con la nostra dimensione più intima, che è quella rappresentata dalla natura. Il mondo contadino era il custode di identità, tradizione, lingua, permeato di rustici richiami alle origini e a quella purezza, oggi quasi del tutto perduta, che scandiva le relazioni sociali, la vita comunitaria, l’armonia famigliare. Era un mondo incontaminato, per quanto estremamente cristianizzato e bigotto, e la sua lezione arriva ai nostri giorni, in una temperie in cui sangue, suolo e spirito vengono sistematicamente calpestati per far spazio alla “civiltà” del progresso, della tecnologia, del benessere (apparente) diffuso. La Lombardia odierna, segnatamente nel suo cuore insubrico, soffre tragicamente per i colpi letali assestatile dal feticcio dello sviluppo, che comporta arricchimento e miglioramento delle condizioni di vita (su taluni versanti) ma al contempo immigrazione di massa, dittatura della società dei consumi, globalizzazione e impoverimento identitario e tradizionale: il prezzo della modernità capitalista, pagato salatamente dal popolo indigeno, alla lunga si rivela disastroso ed insostenibile.

Proprio per questo, oggi, occorre un recupero del contadinato e delle virtù contadine, che caratterizzarono i nostri antenati, nell’ottica dell’affermazione di un salutare comunitarismo fondato su razza, etnia, nazione. Non siamo ipocriti: l’età contemporanea occidentale permette, senza dubbio, delle comodità che possono essere sfruttate anche in direzione identitaria, ma tutto quello che presuppone degrado, degenerazione, relativismo, ripudio di valori patriottici, idolatria del danaro e spregio della tradizione va risolutamente condannato. Il ripristino della comunità contadina, innestata nell’ambito del comunitarismo, va di pari passo con la promozione dell’econazionalismo e, dunque, di una società rigenerata grazie ad un ambientalismo patriottico che renda lo sviluppo eco- ed etno-sostenibile, proiettandoci in un futuro in cui i posteri possano beneficiare di un habitat bonificato, di un’agricoltura biologica e di un allevamento non più industriale. La qualità della vita dipende da ciò che mangiamo, dall’aria che respiriamo, dall’acqua che beviamo ma, soprattutto, da quel che decidiamo di insegnare ai nostri figli.

Mare

L’ambiente marittimo interessa anche la Grande Lombardia: Liguria, Romagna, Emilia orientale, lagune venete e friulane (con le coste giuliane). Al di là dell’ambito ligure, l’Alto Adriatico presenta un aspetto distinto da quello tipicamente mediterraneo e si smarca, infatti, dal contesto ambientale peculiare dell’Italia etnica e delle isole; per tale ragione l’impatto col mare dei granlombardi differisce da quello degli italiani, e la Cisalpina rimane una terra subcontinentale. La Grande Lombardia è, prevalentemente, terragna: planiziale, collinare, prealpina, alpina, appenninica. Senza dimenticare i grandi laghi che contraddistinguono il cuore padano, e che hanno contribuito a plasmare l’identità etnoculturale degli indigeni. Salvo per le zone suddette, periferiche, il mare è qualcosa di estraneo, nei confronti del panorama lombardo, e la nostra indole non è caratterizzata da una storia marinara; il fulcro identitario cisalpino si staglia su di un orizzonte continentale, e anche per tale ragione il sottoscritto ritiene l’elemento marino, non solo estraneo, ma pure l’emblema di un mondo straniante latore di valori ben poco völkisch.

Taluno si ricorderà della mia famosa intervista targata 2011, “Non ho mai visto il mare”, in cui delineavo il mio attaccamento e radicamento nella terra orobica e lombarda e, assieme a ciò, la presa di distanze sizziana da tutto quello che si ricollega all’ambito marittimo, a livello mentale, caratteriale, valoriale, soprattutto se il mare in questione è il Mediterraneo (parlando di Europa, logicamente). L’apertura mentale, l’incontro fra popoli e culture, l’ibridazione, l’annullamento di identità e differenze, il dissolversi dell’individuo nel marasma multietnico, la promiscuità da spiaggia, gli scenari esotici, il naufragio degli ideali e delle virtù terragni sono alcuni degli aspetti da me sempre esecrati e che sono intimamente correlati al caos che imperversa da millenni a certe latitudini. Il lombardesimo non è animato da spirito talassocratico, e non a caso non ha alcuna simpatia nei confronti della Repubblica di Venezia, o di quella di Genova, realtà storiche periferiche, rispetto al nucleo etnico della Grande Lombardia. Il mare è un elemento naturale che riguarda anche la Padania ma che, certamente, non ne permea le radici identitarie più genuine e profonde.

Terra

Abbiamo già parlato della Terra, intesa come pianeta, e della terra, intesa come suolo patrio. Vale però la pena riprendere quest’ultimo aspetto, perché intimamente correlato all’esistenza degli esseri viventi e, nello specifico, dell’uomo. Questi, grazie al legame identitario col suolo, corroborato dal sangue, da individuo anonimo che asseconda i propri istinti egoistici diventa membro attivo della comunità nazionale, perciò parte integrante di una collettività che non annulla il singolo ma, anzi, lo esalta in quanto necessario alle sorti della patria. Chiaro, il popolo viene prima dell’individuo, ma non si tratta di massificare, omologare, annientare le persone come entità, bensì di inserirle armoniosamente in un consesso identitario che si faccia motore patriottico e tradizionalista. La terra, dunque, è elemento basilare, in quest’ottica, e per tale ragione degno di tutela, preservazione, valorizzazione, soprattutto in un mondo occidentale sul viale del tramonto che oltre ad aver perso l’anima sta inesorabilmente perdendo la forza e la salute. La distruzione della natura, unita all’inquinamento pestilenziale di molte contrade europee, ruba il futuro alle giovani generazioni e avvelena chi le ha precedute uccidendo la memoria.

Il rapporto con il territorio, sia in accezione etnoculturale che ambientale, va salvato dalla mostruosa devastazione operata dagli agenti internazionali, funzionale all’affermazione della dittatura globalista con conseguente morte delle comunità nazionali, dei veri Paesi d’Europa. Difendere l’ambiente va di pari passo con la conservazione etno-razziale, culturale, linguistica, antropologica, genetica, ed è soprattutto il continente bianco a soffrire maggiormente per via della barbarie mondialista: il concetto politico-ideologico di mondo ammazza quello naturale e biologico di pianeta Terra, e di elemento terra, estirpando le radici, calpestandole e dandole in pasto al più bieco relativismo. Pare che solo i popoli del terzo/quarto mondo abbiano diritto alla lotta identitaria, quando in realtà è per l’appunto la nostra povera Europa a subire le più gravi conseguenze dell’agenda cosmopolita e globalista, la quale prevede anche la dissoluzione della collettività razziale, etnica e nazionale e ogni forma possibile di inquinamento ai danni dell’ambiente in cui viviamo e che ci circonda. La terra è la nostra dimensione vitale, al netto delle inutili masturbazioni metafisiche, e senza di essa, possibilmente integra o quasi, il domani delle nazioni europidi si tinge di nero. In tutti i sensi.

Universo

Un tempo, sulla scorta della religione cattolica che pretendeva di piegare l’intera società europea a uso e consumo dell’oscurantismo, si pensava che la terra fosse al centro dell’universo, ivi collocata da Dio, e che l’uomo fosse il signore indiscusso della stessa e del cosmo. Un pianeta, attorno a cui ruotava il sole (sostenevano in nome della Bibbia), e una galassia modellati a immagine e somiglianza dell’essere umano, riflesso del Padreterno, dove l’umanità rappresentasse la dimensione fondamentale e precipua di tutto il “creato”. La secolarizzazione ha eliminato dalla vita civile tutte queste balle, confinandole alle sagrestie, grazie anche all’innovazione scientifica e tecnologica che ha ridimensionato la portata del cristianesimo e dei suoi fratelli abramitici, elevando la razionalità a misura del rapporto fra uomo e universo. Non si vuol qui affermare che le rivoluzioni intellettuali abbiano sortito soltanto effetti positivi, anzi; sappiamo tutti benissimo come sviluppo e (sedicente) progresso cagionino anche alienazione, spersonalizzazione e dittatura scientista. Ma, nel III millennio era volgare, è ormai assodato che la ragione sia la guida dell’uomo, e che il metodo galileiano abbia cambiato, prevalentemente in meglio, le nostre vite.

Nell’ottica lombardista, il pensiero razionale è fondamentale, soprattutto se confrontato col ciarpame metafisico. Il globo è un pianeta finito dalle dimensioni finite, al pari degli altri corpi celesti del sistema solare, e lo stesso universo non è certamente infinito. Non vi è alcun disegno divino o soprannaturale dietro il cosmo, e tutto è il frutto del caso e del caos. Le nostre conoscenze sono ovviamente limitate, e la scienza, per sua stessa definizione, non ha certezze assolute, mettendosi sempre in discussione e sviluppando una visuale che passi necessariamente per l’esperimento e il vaglio accurato degli elementi naturali in nostro possesso. È, ad ogni modo, chiaro che l’esistenza umana, e animale, non obbedisca ad alcunché di trascendente, e che l’evoluzione sia un normale processo di adattamento all’ambiente circostante, per fini riproduttivi e di sopravvivenza. La visione del mondo ideale è quella dettata dalla ragione, specie-specifica dell’uomo, e dopo i colpi mortali inferti alle religioni – soprattutto fanatiche – dall’avvento del moderno metodo scientifico è davvero il caso di concepire universo, terra e vita su di essa come qualcosa di assolutamente naturale, slegato da ogni fola irrazionale e mitologica.

Esseri viventi

La biosfera, e cioè quella porzione della Terra che permette lo sviluppo della vita grazie alle proprie condizioni ambientali, è popolata da flora, fauna, umanità e naturalmente dai microrganismi. Anche l’uomo fa parte del mondo animale ma, certamente, si eleva al di sopra della ferinità grazie alla cultura, alla civiltà, allo spirito e alla ragione, e in virtù di tutto questo ha la facoltà di poter controllare la natura, dominandola laddove necessario. Purtroppo, si è lasciato prendere la mano sentendosi onnipotente, con ricadute disastrose sul mondo circostante, devastato da inquinamento, cemento, sovrappopolazione, città sempre più tentacolari e fenomeni migratori di massa. Non dobbiamo essere ipocriti, poiché lo sviluppo consente di migliorare le condizioni di vita promuovendo il benessere; tuttavia, lo sviluppo non può essere confuso col feticcio del progresso, che sacrifica sangue, suolo e spirito sull’altare della standardizzazione globalista, peste dei tempi moderni. La sfida che l’umanità deve affrontare è quella di cercare di preservare gli ecosistemi invertendo la rotta percorsa dalle società capitalistiche, in nome non solo di un ambientalismo razionale, ma pure dell’identitarismo etno-razziale.

La globalizzazione è la mortale nemica delle nazioni, dei popoli, delle comunità e, dunque, dell’ambiente incontaminato, degli organismi vegetali e animali, dell’intera biosfera di cui parlavamo in apertura. Lottare per un pianeta eco- ed etno-sostenibile implica bonificare la nostra esistenza quotidiana dalle scorie di un modernismo apolide che calpesta le leggi naturali, come se l’uomo, in fondo, non appartenesse al regno animale, e fosse piuttosto un concetto astratto frutto della storia e della politica, o delle dottrine religiose. È chiaro che gli esseri umani sovrastino le bestie, e che senza la culla della civiltà europea il mondo non sarebbe la stessa cosa, ma non dobbiamo dimenticarci che prima di essere gli artefici della cultura siamo figli del nostro habitat, al pari degli animali o delle piante. Per questo dobbiamo preservare lo statuto razziale che distingue i vari popoli del globo, ancorando la coscienza identitaria alla dimensione biologica dell’antropologia e della genetica, del sangue. Siamo animali, quindi come tutti gli animali abbiamo razze. Con buona pace della metafisica, dell’antifascismo, del progressismo e di tutte le balle sfornate dal ‘700 illuminista ed ereditate da sinistrorsi e liberali.

Terra (pianeta)

La Terra, intesa come pianeta, è la cornice antropizzata della nostra esistenza, lo scenario naturale, certo plasmato dall’uomo, che contraddistingue le popolazioni umane, e animali. Diviene mondo grazie all’azione della cultura, della civiltà, delle nazioni, e in questo senso comporta anche ricadute negative, che sono il frutto della geopolitica, della politica internazionale, dell’alta finanza, ciò che sta a monte del cosiddetto mondialismo, e della stessa globalizzazione. Ma il pianeta, prima di essere concepito in qualità di mondo, appunto, va inquadrato come habitat naturale degli esseri viventi, e dunque come insieme di ecosistemi che garantiscono la sopravvivenza e permettono ad una specie animale di conservarsi e riprodursi. Da questo, si capisce bene quanto sia necessario, soprattutto per l’Europa, recuperare la dimensione naturale dell’uomo, contrastando inquinamento, cementificazione, devastazione e fenomeni migratori, che non fanno altro che peggiorare la situazione. Il peso insostenibile della demografia del terzo mondo, altresì, ha conseguenze nefaste per il nostro stesso continente, che a differenza del sud del globo è comunque riuscito a darsi una regolata, in termini di natalità. Fin troppo.

Non è certamente con l’ambientalismo pezzente di sinistra che si risolvono gli annosi problemi dell’Occidente, bensì con politiche etnonazionaliste ed econazionaliste mirate alla preservazione, anzitutto, dei popoli indigeni bianchi. Se si tutelano gli autoctoni, di conseguenza, si tutelerà anche l’ambiente naturale che li circonda, sebbene nelle aree metropolitane sia ormai quasi impossibile portare avanti politiche etniciste ed ambientaliste. La dittatura del progresso, ovviamente ideologizzato, ha in non cale i destini biologici e antropologici del popolo, così come l’integrità del paesaggio e della natura incontaminata, ed è soprattutto la Padania a pagare a carissimo prezzo il peso dello sviluppo ipertrofico delle medie e grandi città, sacrificando la comunità e i suoi più intimi legami territoriali sull’altare del capitalismo e dell’affarismo. Prendere coscienza delle sorti della Terra, equivale ad avere a cuore il futuro della nostra gente e dei nostri figli, ovviamente non per alimentare il circo salottiero degli sputasentenze ecologisti alla moda, ma per unire inscindibilmente la battaglia dell’autoaffermazione lombarda a quella della salvaguardia ambientale.

Ambiente

Ci siamo più volte soffermati sulla necessità, da parte del lombardesimo, di sottolineare l’importanza di un ambientalismo identitario che si smarchi, ovviamente, dalle cialtronerie al caviale dell’ecologismo da salotto, molto in voga presso i progressisti. I cosiddetti “verdi” hanno senza alcun dubbio banalizzato e inflazionato la portata della salvaguardia ambientale, poiché dietro la patina di sedicenti amanti della natura senza coloritura ideologica si nascondono in realtà i soliti guitti antifascisti, liberal. Per loro cagione, capita spesso che l’ambientalismo sia visto con sospetto e fastidio, reputandolo una infantile manifestazione di debosciati nordici. Noi lombardisti intendiamo sgombrare il campo da questi velenosi equivoci, riaffermando una verità sacrosanta cara ad ogni identitario völkisch: sangue e suolo sono inscindibili, e la vitale esigenza di un movimento ecologista altamente patriottico è oggi più che mai impellente. L’ambiente, la natura, l’ecosistema che ci circonda e comprende sono il nostro habitat, senza il quale la nostra esistenza verrebbe meno.

Per quanto nessuno di noi si sogni di giocare all’anarco-primitivista, riconoscendo i risvolti positivi del progresso e della tecnologia, siamo dell’idea che l’uomo europeo non possa agire come se fosse un soggetto estraneo alle leggi della natura, come se non fosse l’animale quale è, pertanto difendere il territorio anche in prospettiva ambientalista è giocoforza, nell’ottica dell’etnonazionalismo e dell’econazionalismo. In una Padania sovrappopolata – e non solo per cagione allogena -, follemente cementificata e inquinata, devastata dal mito del profitto e del fatturato e socialmente disgregata per privarla della peculiare, millenaria coscienza comunitaria, appare doveroso recuperare lo spirito di appartenenza pure in direzione ecologica, perché senza una coscienza intimamente legata alla primeva dimensione umana ogni anelito speso per un roseo futuro granlombardo sarebbe destinato a spengersi. Il comunitarismo, il ruralismo, l’econazionalismo ci mostrano la via da seguire, se vogliamo per davvero tentare di salvare la nostra patria dalla totale ecatombe. Ed è logico che per bonificare l’ambientalismo dalle scorie sinistroidi sia necessario farlo marciare fianco a fianco col nazionalismo etnico.

Natura

L’uomo ha plasmato la cultura, la civiltà, la spiritualità ma, nondimeno, è parte integrante della natura. È un animale, e non può sottrarsi alle leggi naturali, per quanto evoluto e progredito possa essere. Per tale ragione il lombardesimo ha particolarmente a cuore la dimensione più intima dell’essere umano, che è il contatto primordiale con la flora, la fauna, l’ambiente, fonte inesauribile di benessere e occasione di rinascita per tutti noi, in particolare per quanti costretti a vivere in realtà cittadine e metropolitane tentacolari. Oggi dobbiamo fare i conti, soprattutto in Padania, con cementificazione, inquinamento, sovrappopolazione e con una comunità sfigurata dai mali frutto della globalizzazione e del sistema capitalistico. Se da una parte può rendere orgogliosi dei propri primati, dall’altra lo sviluppo si rivela infido, stritolando nei suoi ingranaggi un popolo sempre più ridotto a massa informe piagata dalla modernità, e quindi da fenomeni nefasti come l’immigrazione di massa e la società multirazziale.

Molti non lo comprendono, soprattutto se si tratta dei cosiddetti “verdi”, ma il concetto di villaggio globalizzato è una minaccia mortale che pende sul capo delle nostre nazioni, quelle vere, angariate oltretutto da meri contenitori statuali che non hanno alcun collante etnico, culturale, linguistico, storico. È il caso della Lombardia, oppressa dall’Italia ottocentesca, incatenata ad un carrozzone funebre che sta conducendo il popolo lombardo all’estinzione, certo anche con la propria auto-genocida complicità. E allora, ripartire dalla natura, dalla dimensione rurale, dall’ambiente incontaminato può essere l’opportunità di rinascere come comunità di sangue, suolo e spirito, corroborando l’ideologia lombardista grazie alla saggezza dell’econazionalismo. Anzi, è lo stesso lombardesimo a presupporre l’ambientalismo patriottico, perché le nostre radici terragne depongono a favore del recupero di una sensibilità in linea col dettato naturale. Se vogliamo avere un futuro occorre sconfiggere il mondialismo e le sue perverse logiche, nella consapevolezza che allontanarsi troppo dalle origini implica, inevitabilmente, perdersi.