Progresso e sviluppo

Il pensiero sizziano e lombardista crede fortemente in quel concetto di sviluppo che si slega dal feticcio del progresso ideologizzato, tipico di sinistre e liberali, mirato dunque al vero benessere della nostra comunità nazionale. Noi crediamo nel comunitarismo, nel nazionalismo etnico, nell’econazionalismo, in un ritorno alla natura che però non equivale ad anarco-primitivismo bensì al connubio tradizione-innovazione, perché non ci sogneremmo di ripudiare i benefici di modernità e tecnologia. Saremmo degli ipocriti. Si tratta, piuttosto, di raggiungere un optimum in cui la Grande Lombardia, fiera dei propri primati e della propria industriosa ricchezza, ottiene eco- ed etno-sostenibilità, salvando il nostro habitat dalle minacce mortali della perversione mondialista; tutelare ambiente, terra natia, agricoltura e allevamento, lavoro e popolo affinché vi sia un vero equilibrio tra giusto progresso e preservazione, per garantire quindi un futuro radioso alle nuove generazioni. Il lombardista ritiene un vanto la forza economica, industriale, civile della Padania, a patto che non vada a detrimento di ciò che ci assicura la sopravvivenza, e cioè sangue, suolo, spirito. Una sopravvivenza che è anche identitaria.

E allora, amici, va da sé che noi si condanni il progressismo, ma non il benefico progresso, e che si ripudi il capitalismo inteso come culto del fatturato che stritola lavoratori, e uomini, sacrificando la patria sull’altare del profitto e del dio danaro, ma non quello sviluppo che la Cisalpina medesima ha potuto raggiungere dopo secoli di fatiche, virtù, doti imprenditoriali e umane volte al dominio assennato della natura, per garantire prosperità alla comunità. Come potremmo rinnegare la plurisecolare ricchezza nostrana, che è frutto della nostra stessa etnia? Sarebbe come rinnegare la civiltà comunale, ad esempio, uno dei pilastri identitari e storici dei territori granlombardi. La vera sfida, come accennato sopra, è riuscire a conseguire un virtuoso equilibrio tra i positivi traguardi raggiunti dalla modernità e la sacrosanta salvaguardia di sangue e suolo, poiché il benessere può davvero venir ritenuto tale soltanto se non rinuncia allo spirito identitario, che passa per l’ambiente, il popolo e ogni risorsa locale, fonte di sussistenza da tempi immemori.

Forze armate

Una Lombardia libera, sovrana e indipendente da Roma e da ogni altro potentato mondialista dovrà riorganizzarsi sulle basi di un etnostato granlombardo repubblicano (a guida presidenziale), che faccia di etnonazionalismo, comunitarismo e lombardesimo la propria cifra politica. Di conseguenza, la rinata Lombardia avrà anche bisogno di forze armate e di polizia proprie, che siano schietta espressione del nerbo indigeno, a impronta maschile, e che sappiano garantire alla patria la difesa, il presidio del territorio, la salvaguardia dei confini e la giusta dose di autorità, onde prevenire invasioni. Le forze di polizia lombarde sostituirebbero così quelle italiane, affiancate da una guardia nazionale indigena, mentre esercito, aeronautica e marina granlombardi scalzerebbero l’occupante italico e quello americano. I militari incarnerebbero l’espressione armata della sovranità padano-alpina, che deve passare anche per la difesa, poiché una nazione libera ha l’esigenza vitale di un proprio esercito come garanzia di autoaffermazione, dissuadendo ingerenze esterne e, laddove necessario, recuperando la doverosa bellicosità nei confronti di chi non rispettasse l’integrità nazionale lombarda.

Le forze armate granlombarde devono avere aspetto indigeno e virile, aprendo magari ad una forma di ausiliariato femminile, e devono essere formate da professionisti. Tuttavia, il ripristino della leva, in una Lombardia libera, avrebbe un grande significato, così come un servizio civile destinato alle ragazze, affinché i giovani lombardi vengano formati in una palestra di orgoglio patriottico che insegni a “stare al mondo”, usare le armi e difendersi, amare e conoscere la nazione, promuovere autostima e coltivare valori sani utili alla mente e al corpo. Del singolo e della comunità. In parallelo, ecco l’idea di una guardia nazionale lombarda aperta a volontari civili, che possa essere un servizio offerto alla patria come presidio del territorio e supporto a forze armate e di polizia. Il ruolo del militare, oltretutto, potrebbe consentire ad ogni popolo che forma la Grande Lombardia di esprimere il meglio di sé, a seconda di vocazioni e predisposizioni, cosicché abbia ancora un senso poter bonificare le milizie di montagna, di terra, di aria e di mare da tutte le scorie del fasullo nazionalismo italiano e dal mefitico unipolarismo Usa-Nato.

Visione del mondo

Prima della politica vengono cultura e, soprattutto, visione del mondo, che in ambito lombardista non può che essere di matrice etnonazionalista e völkisch. I pilastri su cui si innalza il lombardesimo sono sangue, suolo e spirito, i principi cardine razzialisti che guidano ogni serio identitario granlombardo, andando ad influenzarne il pensiero e l’azione politica. Diciamo sempre che non avrebbe alcun senso portare i lombardi alle urne se prima non si insegna loro che non sono italiani perché etnia, popolo e nazione a sé stanti, da proiettare in una schietta ottica di indipendenza, di libertà da ogni oppressore anti-identitario. Per quanto l’impegno politico sia fondamentale resta il fatto che occorre per prima cosa una coscienza affrancata da ogni catena ideologica nemica della nostra vera patria, altrimenti la militanza risulterebbe sterile e sulla falsariga del leghismo, vecchio e nuovo. Per tale ragione ecco che il lombardesimo mette in chiaro come la Weltanschauung del nazionalismo etnico, in chiave cisalpina, sia la linfa vitale della vera rivoluzione nazionale e sociale che attende la Grande Lombardia.

In caso contrario, capite bene che ogni tentativo si rivelerebbe fallimentare, come la stessa lezione bossiana insegna, proprio perché verrebbero a mancare le solidissime basi della dottrina etnicista e razzialista, faro che rischiara le tenebre dell’attuale temperie globalista. Avere una visione del mondo e della vita in linea con le ragioni völkisch permette di non compiere passi falsi e di non ripercorrere gli errori di chi, prima dei lombardisti, ha goffamente tentato di porre una questione identitaria nel novero “settentrionale”; e, infatti, solo la rivoluzione del lombardesimo rappresenta la vera libertà per le genti lombarde, chiamate a riscuotersi dal torpore non soltanto per ragioni fiscali ma anche e soprattutto etniche, linguistiche, culturali. L’economia e il benessere procedono dall’etnia, e per l’appunto la plurisecolare ricchezza padano-alpina dipende dagli innati valori insiti nel nostro ADN continentale. Non essendo alcunché di parassitario, lo sviluppo cisalpino si lega inscindibilmente alla nostra natura identitaria, che affonda le sue radici sino all’epopea dei Celti.

Politica

La necessità della quotidianità lombarda è quella di una vita politica che sappia rimettere al centro di tutto il concetto di comunità, troppo spesso dimenticato dai lombardi in favore del tragico culto del fatturato. Gli egoismi, gli individualismi e i campanilismi hanno dilaniato la nostra vera patria, e per quanto la cultura del lavoro e la ricchezza tipiche della Lombardia possano essere motivo d’orgoglio – essendo agli antipodi della furbizia parassitaria – resta il fatto che abdicare al proprio ruolo di difensori dell’identità nazionale ha comportato il democratico auto-genocidio indigeno che tutti quanti conosciamo. Pertanto, la sfida della politica lombardista deve essere quella di ridare linfa vitale a sangue, suolo e spirito, rieducando i cisalpini al rispetto della propria identità e delle proprie radici. La rivoluzione del lombardesimo mira ad un impegno culturale, metapolitico e politico che si faccia orgoglio di appartenenza e solidarietà comunitaria, unico modo per affrancarsi dal giogo italico e mondialista e riscoprirsi parte di una terra senza eguali che in nessun modo può venir definita italiana.

Abbiamo sempre detto che prima della politica venga la missione culturale, senza il quale la tenzone repubblicana rischierebbe di essere sterile e di ripiegarsi su se stessa. Ma è evidente che il lombardesimo presupponga l’impegno in prima persona, come elettorato attivo e passivo, e per tale ragione occorre rifondare la politica lombarda alla luce del radicale cambio di rotta che la testimonianza lombardista prevede. Non più pagliacciate e tradimenti in stile leghista, bensì la giornaliera vocazione etnonazionalista e indipendentista che dia un volto concreto alle rivendicazioni etniciste e razzialiste del nostro credo, puntando tutto sull’autoaffermazione autoctona. Via da Roma, Bruxelles, New York, Washington e Tel Aviv, tagliando i ponti con ogni ente parassitario e sovranazionale, Vaticano incluso: la Lombardia, nostra unica patria, al di sopra di ogni cosa, in quanto unico paradiso possibile, in barba alla sciocca retorica risorgimentale e alle menzogne pretesche che hanno completamente plagiato il povero popolo padano-alpino.

Dottrina

Nel pensiero lombardista vi è la soluzione a tutti i problemi che affliggono la nostra vera nazione, la Lombardia, poiché il lombardesimo incarna alla perfezione l’unica dottrina possibile di riscossa per il popolo cisalpino. Educare, o rieducare, specie le giovani generazioni, all’amor patrio, al culto dei valori identitari e tradizionali, alla contemplazione dell’endogamia, contestuale al rifiuto dei fenomeni di meticciato, è oggi più che mai fondamentale, perché proprio dal nazionalismo etnico passa il riscatto di una terra pluriminellaria, la Padania, che appare condannata all’estinzione e alla distruzione. Questo ciò che vorrebbero farci credere i nostri nemici, il cui principale ruolo è instillare in noi l’odio per sé stessi, nonostante nulla sia davvero perduto. L’esempio portato dai lombardisti, e da tutti coloro che credono fermamente nella necessità di affrancare la popolazione dalla sudditanza italiana e mondialista, ci pone di fronte ad una scelta radicale: unirsi alle file dell’etnonazionalismo lombardo o continuare ad alimentare, volenti o nolenti, la propria rovina.

Nessun dubbio a riguardo, per quanto concerne Sizzi e i suoi: l’unica via praticabile da intraprendere conduce all’autoaffermazione della nazione lombarda, a partire da una estrema presa di coscienza in merito a quell’orgoglio e a quell’identità di cui ci parla il lombardesimo. Solo quest’ultimo può salvare la patria, perché nell’etonazionalismo sta tutto ciò di cui abbiamo bisogno, inclusa la sacrosanta lotta per la liberazione delle Lombardie da Roma, dall’Italia e da ogni altro baraccone cosmopolita ed internazionalista. La cultura militante è l’ancora di salvezza dei lombardi, che sin dall’erudizione debbono emancipare le proprie coscienze dall’occupante-invasore, acquisendo una novella consapevolezza relativamente alla vera e genuina identità storica nazionale. Cultura, dottrina, comunità, politica, civiltà: ogni elemento fondante del profilo identitario lombardo ci parla della necessità di liberarsi, sotto qualsiasi punto di vista, dal giogo straniero che non è più francese, spagnolo o austriaco, ma italiano.

Legge

La regolamentazione della convivenza nella comunità e in società necessita, logicamente, di una precisa legislazione che porti alla sistemazione di leggi ereditate dal nostro passato identitario, aggiungendone, qualora necessario, delle altre. Il rispetto del diritto implica un patto politico e di solidarietà tra simili, che nel caso della collettività lombarda riguarda gli indigeni padano-alpini. La nostra tradizione giuridica ci parla di consuetudini tribali ereditate dai Celti, che una volta assorbiti dall’orbita romana si sono adeguati agli usi e costumi, e alle leggi, dei conquistatori, integrandosi nell’organismo italico e adottandone la lingua, la cultura, la religione e le abitudini, non senza influenzare a loro volta, a livello di sostrato, l’impronta civile dei Romani. L’antichità cisalpina si compie nel segno di Roma e del suo impero, confluendo poi nel Medioevo barbarico, caratterizzato dall’importante retaggio longobardo sintetizzato, in senso sincretico, dal noto Editto di Rotari. Consuetudini, tradizioni e leggi di origine germanica, rimescolate alla latinità, che si perpetuarono sino al Rinascimento, passando attraverso la basilare fase della civiltà comunale e delle signorie.

Con i domini forestieri (Francia, Spagna, Austria, Venezia, Stato pontificio), la Grande Lombardia frammentata finisce per adattarsi a codici di origine straniera, non senza contributi locali di origine comunale e signorile e una riscoperta del diritto romano (giustinianeo), per poi approdare al Codice napoleonico e alla giustizia austriaca amministrata dal Regno del Lombardo-Veneto. Con la fase italianista, ecco lo Statuto Albertino sino all’approdo della Repubblica, allorquando si impose la Costituzione, venerata dagli antifascisti del tricolore. L’origine del diritto civile e penale italiano, intrecciati alla carta costituzionale, affonda così le proprie radici nel passato romano e napoleonico, confermando come l’Italia moderna sia soltanto uno stato senza nazione eretto in nome di una romanità di cartapesta e soprattutto del dominio transalpino incarnato dal giacobinismo (Rivoluzione, Napoleone, Risorgimento). Lo stesso fascismo, d’altra parte, fu un’appendice risorgimentale, tesa ad esaltare un finto popolo sotto l’egida di uno squisito simbolo rivoluzionario, il fascio littorio. La Lombardia deve affrancarsi dal giogo di Roma e dell’Italia e riscoprire le sue genuine radici, che non sono banalmente romane o cattoliche, ma anche celtiche e barbariche. Nonché gentili.

Potere

Se in una società come quella lombarda contemporanea sono gli atteggiamenti cooperativi e solidali, tra connazionali cisalpini, a poter fare la differenza, in positivo, a livello politico e comunitario occorre rivedere il concetto di potere, oggi fin troppo ammanicato con l’alta finanza, il mondialismo, l’usurocrazia e gli enti parassitari in genere. I lombardi hanno una storia che ci parla schiettamente di lotta per l’autoaffermazione, capacità di imporsi e realizzarsi, autonomia contrapposta al parassitismo statolatrico, grazie alle spiccate doti e virtù di un popolo davvero esemplare sotto il profilo del dinamismo, dell’intraprendenza e della libera iniziativa. E lo dico da persona del tutto insofferente nei confronti di quello che puzza di liberalismo e libertarismo. È palese che la Padania, a differenza di altre realtà (come il meridione dell’Italia etnica), non abbia bisogno di un despota armato di manganello e olio di ricino che faccia rigare dritta la collettività: le genti granlombarde non sono mai state depresse e addormentate, ripiegate su sé stesse e abbandonate alla più cupa inerzia e rassegnazione, e per tale ragione non sono compatibili con soluzioni fascistoidi, alla mediterranea, ben più consone ad altre latitudini. Certo, la Lombardia ha i propri difetti, primo fra tutti il famigerato culto del fatturato.

Il mito dell’uomo forte, oggi, riscuote fascino in contesti di arretratezza e sottosviluppo, mentre in un ambito come il padano-alpino viene sicuramente visto meglio, ad esempio, il federalismo. Una soluzione federale che, oltretutto, ha senso tra fratelli, non tra stranieri, alludendo alla macabra cornice tricolore. Il sottoscritto non è un patito di autonomie e federalismi, e crede fermamente che l’obiettivo dell’indipendenza lombarda si possa raggiungere solo ed esclusivamente cementando la comunità attorno ai sacri valori di sangue, suolo, spirito. Da ciò si capisce come il concetto moderno di democrazia, unito a quello ipocrita e mendace di antifascismo, abbia del tutto fallito, seppure l’antidoto, dal punto di vista del lombardesimo, non stia nelle nostalgie mussoliniane (di uno, cioè, che difendeva il criminale concetto di Italia dalle Alpi alla Sicilia). In qualità di lombardisti crediamo risolutamente in uno Stato forte, autorevole e davvero rappresentativo, grazie ad una totale aderenza alla nazione e ai principi völkisch, non retto da una dittatura ma da una forma di presidenzialismo repubblicano benedetto dal consenso popolare. Siamo certi che senza più Italia fra i piedi le cose cambierebbero, e l’entità statuale granlombarda, blandamente federale (a livello cantonale), brillerebbe in virtù dell’afflato comunitarista e nazional-sociale, e della millenaria probità dei nativi.

Città

Uno degli orgogli storici, e delle cifre identitarie e civili, della Lombardia è senza alcun dubbio l’epopea del libero comune, che ha rappresentato il riscatto cittadino nei confronti dell’incastellamento del contado e dunque dell’intraprendenza “borghese” micro-comunitaria a scapito di egoismi feudali recati dall’aristocrazia di campagna. La civiltà comunale riassume l’essenza lombarda: spirito imprenditoriale, libera iniziativa, solidarietà tra pari, autodeterminazione, orgoglio cittadino, prosperità e laboriosità. Un insieme di elementi mentali e caratteriali che, certo, hanno portato alla proverbiale ricchezza delle genti cisalpine, specie del bacino padano, ma anche a tutta una serie di difetti che ancor oggi riscontriamo negli autoctoni. Il campanilismo, l’individualismo, l’affarismo e il culto del fatturato, l’afflato libertario, grettezza e piccineria, scarso patriottismo panlombardo e quel conformismo – dettato dall’ossequio pedissequo nei confronti dell’autorità – che rende i lombardi un popolo dall’indole di mulo: conta lavorare e avere il patrimonio, e al diavolo tutto il resto. È la cosiddetta mentalità alpina, croce e delizia della nostra nazione, che alla lunga ci ha portati sull’orlo del baratro, mentre i forestieri se ne approfittano danneggiandoci mortalmente.

La città è il cuore pulsante di questo sistema di valori e disvalori (dipende sempre dai punti di vista, ma oggi ci si sbilancia verso i secondi), una città che in età contemporanea è divenuta una gigantesca conurbazione chiamata, da molti geografi e storici, “megalopoli padana”. Le metropoli occidentali perno del famigerato triangolo industriale (Milano, Torino, Genova), oggi ridotte a tristi entità multirazziali e multietniche senza più un’anima e sempre più appiattite sulla logica barbarica dei non-luoghi (con tutte le implicazioni del caso, come le follie cosmopolite, antifasciste, progressiste), hanno schiacciato i popoli sulla linea di un capitalismo euro-americano i cui frutti materialistici, edonistici e consumistici rendono la Lombardia storica appendice dell’attuale marasma continentale. Se da un lato fanno piacere la ricchezza, l’industriosità, lo sviluppo, i primati, dall’altro ci si dispera, da identitari, per la misera condizione di poli tentacolari vieppiù fotocopia di un “primo mondo” completamente svuotato di principi e ideali, mestamente avviato all’auto-genocidio. Per quanto, dunque, la civiltà cittadina, che affonda le proprie radici nel medioevo comunale, sia parte integrante del nostro ADN storico, resta il fatto che la degenerazione contemporanea sia il sintomo del collasso valoriale degli indigeni, il cui unico rimedio sta nella doverosa riscoperta del comunitarismo e dello spirito rurale che preserva sangue, suolo e spirito.

Stato

Lo Stato viene dopo la nazione, poiché quest’ultima giustifica e legittima il primo. Se un’entità statuale non si fonda su sangue, suolo, spirito e, dunque, sul concetto di etnia e nazione, resta un vuoto contenitore di ispirazione giacobino-massonica e apolide, proprio come nel caso italiano; una prigione di veri popoli, spediti nel tritacarne per creare un cittadino caricaturale che riunisca i tipici difetti di una parte del (finto) Paese in questione, a sud delle Alpi grazie all’opera di “acculturazione” degli ausonici. L’apparato repubblicano tricolore non incarna e rappresenta una nazione, perché è semplicemente un’espressione burocratica dell’antifascismo postbellico, intrisa delle classiche magagne sud-italiane, cioè di coloro che detengono il monopolio del pubblico e hanno invaso, occupato e colonizzato la Grande Lombardia. Va da sé che la RI sia pertanto un ente straniero in terra padano-alpina, incentrato sul mondo mediterraneo – se non levantino – cui i lombardi storici sono estranei. Per Roma non siamo altro che una colonia, poiché laggiù sono comunque consci di come l’Italia sia la penisola, sic et simpliciter, con l’aggiunta della Sicilia.

Il lombardesimo crede nel concetto di Stato, declinato in senso etnonazionale, e infatti auspica l’edificazione di un etnostato, repubblicano e presidenziale (magari blandamente federale), basato sul concetto sacrale di comunità di sangue. Lo Stato non è il male assoluto, a patto che non abbia il truce sembiante dell’Italia, e se fosse una compagine politica gestita esclusivamente da granlombardi, per i granlombardi, funzionerebbe e sarebbe efficiente e rappresentativo, nonché autorevole, senza alcun dubbio. La nostra rovina sta nella globalizzazione e, quindi, in una delle sue molteplici sfaccettature, vale a dire l’Italietta romana. Essa è pedina della Ue, degli Usa, della Nato, di Israele, dell’Onu, del Vaticano e di ogni singolo potentato finanziario sovranazionale, avvoltoi che vorrebbero tanto banchettare sulla carcassa delle vere nazioni europee. Cari lombardi, volete combattere il mondialismo? Perfetto: combattete l’italianismo e l’italianizzazione, perché il patriottismo verde-bianco-rosso è funzionale all’agenda del sistema-mondo. L’indipendentismo granlombardo è sinonimo di libertà per la nostra gente, soprattutto se mirato alla creazione di un serio Stato nazionale e sociale benedetto dall’istanza etnicista.

Mondo

Il concetto di mondo si distingue da quello di terra, poiché il primo è la connotazione politica, ideologica e umana della seconda. Da un lato, appunto, il pianeta, dall’altro il cosiddetto villaggio globale che assurge a concezione geopolitica, e socioeconomica, alla base della globalizzazione e dello stesso mondialismo. Il sistema-mondo è il letto di Procuste che martoria razze, etnie e popoli del globo, con particolare accanimento nei confronti della culla della civiltà, e cioè l’Europa, il continente bianco; piegare ogni nazione sovrana all’agenda dell’unipolarismo americano, e dunque al senso più perverso del termine ‘Occidente’, significa annientare identità, tradizione, spirito in nome di un subdolo imperialismo che tutto omologa e livella, a scapito dell’uomo. Dietro all’accezione di mondo si cela anche l’universalismo, come se gli esseri umani fossero tutti uguali e non presentassero differenze biologiche, antropologiche e identitarie: non esistono più maschi e femmine, giovani e anziani, eterosessuali e omosessuali, abili e disabili, e ovviamente le razze vengono rinnegate e condannate all’estinzione, tramite il meticciato.

Se il pianeta Terra è quindi un patrimonio da salvaguardare, tanto per gli umani quanto per le bestie e i vegetali, il mondo, soprattutto oggi, assume il volto torvo dell’omogeneizzazione, della standardizzazione, di un pluralismo che diventa relativismo ai danni, ribadiamo, in particolare degli europidi, condannati a soccombere di fronte a fenomeni migratori selvaggi, società multirazziale, esogamia auto-genocida. E questo perché da decenni la razza bianca è demonizzata e criminalizzata al punto che gli stessi europei si vergognano di essere tali. Il mondo è l’ecumene di chi odia la biodiversità, e si trastulla, parimenti, col concetto di umanità: una trovata retorica, propagandistica, ipocrita grazie alla quale è possibile, per i parassiti nemici delle legittime patrie, polverizzare le nostre comunità a vantaggio del culto del danaro e del grande capitale. Un siffatto marciume ruota attorno al capitalismo, la novella peste nera che ha contagiato e straziato l’Europa, trascinandola negli abissi in cui giace la mostruosa America. La grande famiglia dei lombardi è l’Europa, anche declinata come consesso imperiale euro-siberiano, e non vi può essere spazio per l’ideologizzazione antifascista e antirazzista, dunque mondialista, del globo.