La questione simbologica

Razza viscontea

Parlando di simboli, insegne, stemmi, bandiere, vessilli vari, la Lombardia può fregiarsi di un nutrito armoriale che all’occorrenza fornisce emblemi di tutto rispetto e di sicuro prestigio.

La sua bandiera storica potrebbe essere la milanese Croce di San Giorgio, rossa in campo bianco, nonostante personalmente non nutra molta simpatia verso di essa in quanto simbolo precipuamente genovese e legato al cristianesimo.

Però è chiaro: essendo vessillo plurisecolare legato alla Lega Lombarda, alla battaglia di Legnano, ai liberi comuni lombardi che si contrapponevano all’Impero e alla sua insegna di guerra con croce bianca in campo rosso (Croce di San Giovanni Battista o Blutfahne, nel caso appunto del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica), è degna di nota e considerazione, anche se francamente, a mio modesto parere, è più indicata per il comune di Milano e il cantone lombardista che prende il nome dalla capitale, dato che da lì proviene. Fermo restando che la suddetta Croce di San Giovanni ricorre spesso come emblema delle città storicamente ghibelline.

La Croce di San Giorgio è il simbolo per antonomasia delle crociate, e per qualcuno anche il vessillo della “vera croce”, basti pensare a certi dipinti in cui il Cristo risorto la impugna.

Insomma, la Croce milanese può prestarsi a varie interpretazioni, ma al di là di tutto è senza dubbio un’insegna storica panlombarda, nonché stemma di città come la citata Milano, Lecco, Varese, Alessandria, Novi, Acqui, Alba, Vercelli, Ivrea, Reggio, Mantova, Bologna, Padova e ovviamente Genova, per un motivo o per un altro legate a Milano e alla Lega Lombarda.

E proprio Padova, Bologna e soprattutto Genova l’hanno come simbolo; le prime due in onore della Societas Lombardiae, la terza perché genitrice di tale bandiera, o per lo meno storicamente genovese innanzitutto e poi milanese, lombarda, inglese (sebbene la leggenda voglia che tale vessillo sia di origine longobarda e, nel caso milanese, inizialmente insegna vescovile poi passata al municipio). Ci sono anche teorie bizantine, a riguardo del capoluogo ligure.

Pure la sunnominata Croce di San Giovanni Battista appartiene storicamente alla Lombardia, perché insegna di quelle città fedeli all’imperatore quali Novara, Domodossola, Como, Pavia, Lugano e poi anche Aosta, Cuneo, Asti, Fidenza, Vicenza, Treviso, Ceneda.

Queste due tipologie di croci, a sud delle Alpi, sono tipiche della Pianura Padana e sintomatiche dell’antica contrapposizione tra guelfi e ghibellini. E lo stesso cromatismo bianco-rosso è un simbolismo spiccatamente cisalpino, che lega la nostra terra al resto dell’arco alpino.

Ad ogni modo, le mie simpatie vanno innanzitutto al Biscione, el Bisson, emblema dei Visconti, della Milano ducale, della Lombardia longobarda e pagana, uno splendido simbolo assieme all’Aquila imperiale del Sacro Romano Impero (ovviamente retaggio romano delle legioni, passato in eredità alla Germania). Ritengo questa insegna – il noto Ducale visconteo – degna bandiera del popolo lombardo.

La vipera azzurra è un simbolo sacro per i Longobardi, si ricollega ai miti celtici dei draghi d’acqua padani (tra cui il drago Tarantasio del Lago Gerundo) ed è anche un segno guerresco perché l’omino che ingolla, in origine, era moro. Questo, si dice, perché i Visconti l’avrebbero “scippata” ai musulmani di Palestina, durante le crociate, invertendone il significato apparentemente ctonio, dovuto alla vita che nasce dalla bocca del serpente. Probabilmente una leggenda, per quanto suggestiva, dacché il Biscione è un elemento araldico di sicura origine insubrica.

Tuttavia, è interessante constatare un certo sincretismo simbologico nell’attuale Bissa, o comunque la possibilità di una lettura ampia, frutto della stratificazione identitaria lombarda.

La Lombardia regionale occidentale (Insubria vera e propria) si fregia anche della famosa Scrofa semilanuta, simbolo della Milano gallica di Belloveso, mentre la Lombardia regionale orientale (cosiddetta Orobia) ha il nobile Swastika camuno, che non è la castrata rosa pirelloniana ma una vera e propria croce solare ariana, scavata in diverse incisioni nelle rocce della Val Camonica, millenario emblema solare della nostra gente che accomuna tutti gli europei grazie al loro retaggio indoeuropeo.

Pure lo Swastika è un prestigioso segno di riconoscimento identitario della terra padano-alpina, e non a caso è stato da me scelto come simbolo del lombardesimo, integrato nell’ipotetica bandiera nazionale della Grande Lombardia: fusione delle due Croci bianco-rosse padane con al centro, appunto, la vera “rosa” camuna.

Ad arricchire il quadro simbologico identitario, ecco la Razza viscontea, araldico motivo dei Visconti, che consiste in una raggiera gialla e rossa, che rappresenta il Sole Invitto, avente nel mezzo uno scudo vagamente tedesco argenteo contenente il Biscione azzurro coronato, un simbolo formidabile, ariano, pagano, terragno (per quanto, al solito, inflazionato dalla cristologia); la sunnominata Aquila latino-germanica, nera, ad una testa, parimenti coronata e su sfondo dorato, emblema classico della continuità imperiale romana ereditata dal mondo teutonico, a cui la Lombardia storica si ricollega; e naturalmente la ruota solare, il disco solare nero, schietta e perentoria insegna indoeuropea, banalizzata dal cristianesimo ma senza dubbio di filiazione pagana, che per noi rappresenta l’intera Europa e il suo retaggio ario.

Ci sarebbe anche la sacra tripartizione cromatica bianco-rosso-nera della parimenti tripartita società indoeuropea, ma per approfondire vi rimando alla più dettagliata pagina in materia di panoplia identitaria ed etnonazionalista di tutte le Lombardie, non solo di quella regionale.

Il piatto, ad ogni modo, è davvero ricco e la Lombardia in fatto di simboli non ha nulla da invidiare a nessuno, ed è chiaro sintomo di identità, di tradizione, di più che lecite aspirazioni all’autodeterminazione indipendentista, chiaramente su basi etniche, in virtù di una storia e di una civiltà, parte del cuore europeo, senza eguali.

La ruota solare, impreziosita dal cromatismo indoeuropeo, che ideai per i movimenti lombardisti, è il risultato dell’incontro fra la Croce di San Giorgio, la Croce di San Giovanni e il disco solare ariano, un’integrazione che riassume in sé il significato etnico della Lombardia: cisalpina, romano-germanica, indoeuropea.

I simboli, le bandiere, i colori, degni di rispetto e considerazione perché ammantati di sacri rimandi, sono sempre imbevuti di spirito guerriero, proprio per il fatto che la civiltà europea è stata plasmata dalle guerre. E la tradizione europea stessa passa proprio per le armi, che ci hanno garantito di poter ereditare un formidabile patrimonio che tutto il mondo ci invidia.

La concreta risposta alla funerea barbarie universalista figlia del giudeo-cristianesimo, del giacobinismo, del marxismo e dell’attuale mondialismo capitalistico e affaristico, è la simbologia tersa, solare, fulgida, retaggio di tutta Europa, destinata a concretizzarsi nella lotta identitaria per la salvaguardia del nostro lignaggio etnico, spirituale, nazionale.

Se essere lombardi ed europei, di stirpe indogermanica, ha ancora un senso per noi, è giunto il momento di farci valere per non soccombere di fronte al dilagante relativismo, frutto eziandio, e nemmeno troppo paradossalmente, dell’assolutismo cristiano basato sull’unico dio straniero di matrice semitica, e sulla sua opera di desertificazione e di castrazione delle genti continentali.

La questione etnica

Zampognari in Brianza (Giovanni Segantini)

Si sarà capito che per il sottoscritto il concetto di nazionalità, distinto da quello di cittadinanza, è rigorosamente determinato dallo ius sanguinis, essendo lo ius soli un’autentica buffonata progressista ed universalista, preso singolarmente. Il lombardista crede nell’azione combinata dei due diritti, e dunque in una cittadinanza identitaria che aderisca alla nazionalità.

Di conseguenza, un individuo è lombardo (ed europeo) se lo è per sangue e per suolo, e poi chiaramente per spirito; questo non è razzismo suprematista, questa è la natura delle cose, poiché la biologia non è fuffa. La questione culturale viene dopo, perché non basta parlare lombardo o mangiare lombardo per potersi a tutti gli effetti dire cisalpini.

Nello specifico, crediamo che un individuo possa fregiarsi dell’etnonimo di lombardo se ha almeno i 4 nonni, biologici ed europidi si capisce, cognominati alla lombarda, e in alcune zone è un autentico miracolo, credetemi. In aggiunta, residenza famigliare in Lombardia almeno dal 1900.

L’etnia è lombarda e dovrebbe esserlo pure la nazionalità: la nazione italiana estesa alla Padania non esiste, e quindi la nazionalità italiana allargata in maniera spropositata è una mascherata. Non concepisco nella maniera più assoluta una nazionalità basata su sciocchezze burocratiche e politiche, un qualcosa di artificiale, specie se confuso con l’arida cittadinanza degli stati di ispirazione giacobina.

La cittadinanza razionale, dunque, deve fondarsi su severi criteri nazionali, proprio perché la Grande Lombardia è una nazione, a differenza del fantozziano Stivale. A maggior ragione, non sono una nazione gli Usa, il cui intento è quello di ridurre l’Europa ad una loro fotocopia e succursale (cosa che in parte è già), anche quando si parla di nazionalità e di cittadinanza. Lombardi ed europei si nasce, non si diventa, il che non significa che tali popoli siano superiori agli altri. Significa, però, che la Cisalpina è una grande patria storica e che l’Europa è la nostra famiglia imperiale, aventi una ben precisa identità antropologica e genetica. Altrimenti possiamo pure cambiare i nomi delle nostre realtà etniche e tramutarle in bordelli cosmopoliti e multirazziali. Proprio come l’America.

Uno dei principali problemi della Lombardia etnica e storica, a partire da quella regionale, è la sovrappopolazione (10 milioni di abitanti su di un territorio di quasi 24.000 km², relativamente alla baracca del Pirellone) il che impone, al fine di preservare popolo e ambiente, di bloccare l’immigrazione e rimpatriare gradualmente buona parte dei puri allogeni che abbiamo in casa. Discorso che vale eziandio per i sud-italiani.

I lombardi devono riprendere a fare figli, ma è forse più importante cominciare a far rientrare nelle rispettive terre chi qui non ci dovrebbe stare. Ogni popolo, infatti, sta bene a casa propria. L’alternativa è il collasso: immigrati, cemento, inquinamento sono una miscela esplosiva. Credo sia nota ai più la disastrosa situazione di Milano e del suo hinterland, ma è ormai un’ossessione regionale quello del culto del capannone e del centro commerciale.

La popolazione della Padania andrebbe, in futuro, drasticamente ridimensionata, se vogliamo avere un destino eco- ed etnosostenibile, pure per una faccenda di sussistenza, preservazionismo ed equilibrio nel rapporto uomo-natura. Raggiungendo così parametri qualitativi alti, in termini di vita e di benessere. Si capisce bene il perché delle simpatie lombardiste verso endogamia, controllo delle nascite, aborto nei casi limite, eugenetica preventiva, fermo restando che la Lombardia abbia senza dubbio bisogno di rinsanguare la propria esanime schiatta.

C’è in ballo il nostro avvenire e non c’è cristianesimo militante o laico che tenga nella lotta per la sopravvivenza e per l’affermazione dei nostri sacrosanti diritti etnonazionalisti. Oppure l’identitarismo etnico è lecito solo ed esclusivamente se si tratta di popoli del sud del mondo?

Chiaramente, andrebbero rimpatriati gli allogeni veri e propri, extra-europei, ma andrebbe contenuta drasticamente anche l’immigrazione europea, fissando un tetto massimo che non preveda ulteriori arrivi, sulla base della compatibilità etnica; non me ne vogliano gli italiani, ma come detto poco sopra sarebbe parimenti il caso di promuovere il ritorno in patria di loro peninsulari. L’etnia lombarda va preservata, recuperata e tutelata perché sempre più minacciata di estinzione, soprattutto nell’area occidentale. Non basta parlare solo di cultura, perché la lombardità presuppone un ADN padano-alpino.

Non ne ho mai fatto una banale questione pecuniaria, per quanto lavoro e denaro possano essere importanti, ma eminentemente etnoculturale e territoriale, il che nobilita la mia battaglia e quella comunitarista, finalizzate all’indipendenza della Grande Lombardia.

Non sono soltanto ragioni etniche e culturali, per l’appunto, sono pure ambientali, perché la sovrappopolazione e l’immigrazione selvaggia cagionano inquinamento, cementificazione, urbanizzazione smodata, traffico congestionato da terzo mondo, avvelenamento del suolo, dell’aria, della flora, della fauna, delle acque, dei beni artistici e naturali, del nostro habitat insomma, dell’umo in cui affondano da millenni le nostre lombarde radici.

Lasciamo dunque perdere il progressismo, il liberalismo, il cristianesimo, l’universalismo e il mondialismo, nonché il pietismo e il capitalismo, ma anche quell’untuoso indipendentismo di matrice marxista o libertaria, europeista, il cui motto è roba del tipo “veneto è chi il veneto fa”. L’indipendentismo deve andare di pari passo con l’etnonazionalismo, sennò rischia di ridursi a ridicole battaglie micro-sciovinistiche ed egoistiche, dettate da tracotanza affaristica, e nemmeno da identitarismo genuino. Il campanilismo, e il regionalismo, sono nemici mortali delle nostre istanze.

Il sangue non è acqua, il suolo non è un mordi e fuggi da società dei consumi, lo spirito inteso come lingua, cultura, identità, tradizione non è flatus vocis; questa triade è ragione di vita per ogni degno lombardo, orgoglioso delle proprie origini, dei propri natali, della propria patria cisalpina ed europea, culla della civiltà plasmata dai nostri arii progenitori.

L’indipendentismo promosso dal lombardesimo è lotta razionale per l’autoaffermazione del nostro popolo, basata sui principi e sui valori etnicisti: non si tratta, infatti, di separatismo alla catalana, di secessionismo alla leghista o di “handipendentismo” liberal caro a certe latitudini europee, e malato di antifascismo, concerne il sacrosanto affrancamento, anzitutto, del sentimento identitario che unisce le genti cisalpine, la cui identità etnica e storica non esitiamo a definire lombarda.

Un serio cammino all’insegna dell’identitarismo völkisch si chiama comunitarismo, e contempla culto, oserei dire scientifico, della terra, della stirpe, dello spirito come vitale scintilla culturale della gente nostrana, ispirato all’azione indipendentista. Perché la Padania non è Italia e merita a pieno titolo l’autodeterminazione, contro il giogo statolatrico di una nazione artificiale, che spetta ad ogni vero popolo europeo.

L’azione politica, è pacifico, deve essere inoltre accompagnata da quella metapolitica, e anticipata dalla cultura militante, perché altrimenti ci si continua a comportare come automi indottrinati dal sistema-mondo e completamente privi di solide basi etnoculturali. E nulla, pertanto, può davvero cambiare, come ha dimostrato il fallimento dello stesso leghismo, un fenomeno privo di mordente genuinamente identitario.

Bisogna avere calma, cautela, pazienza, costanza, perseveranza, senso della misura e del reale, un pizzico di furbizia (cosa in cui i cisalpini non eccellono, si sa) evitando le indecenti banalizzazioni, operate da Bossi e compagnia e loro replicanti, che non hanno fatto altro che inficiare ragioni sacrosante.

Le associazioni da me fondate, il Movimento Nazionalista Lombardo e Grande Lombardia, hanno rappresentato nel loro piccolo l’unica via da percorrere, per quei lombardi desiderosi di promuovere serio comunitarismo etnico su suolo lombardo, contemplando, ovviamente, la soluzione politica indipendentista. Esse hanno gettato un seme, e sono certo che il futuro, grazie anche al lombardesimo, potrà essere roseo. Nulla, signori, è perduto.

Certo, non dobbiamo giocare a fare i politicanti, o i generali senza esercito, ma divenire sempre più esempio per i nostri connazionali, affinché si riscuotano dal torpore e seguano la via dell’identità, scongiurando la dissoluzione coloniale favorita dallo status quo tricolore.

Che forse ci vergogniamo di essere lombardi? Abbiamo davvero il cervello così lavato e ridotto ad omogeneizzato dai nostri nemici, che si spacciano per sedicenti amici?

Ricordatevi che il senso di appartenenza è innanzitutto etno-razziale: dobbiamo dunque tutelare e preservare il nostro retaggio caucasoide europeo, la nostra specificità nazionale ed etnica, nonché il nostro patrimonio fisico e genetico.

Prima il sangue, poi il suolo ed infine lo spirito con tutte le sue manifestazioni. La coscienza linguistica, la cultura, la tradizione sono importantissime, ma il dato biologico è il carburante delle battaglie etnonazionaliste. Sebbene sia chiaro: senza spirito che lo corrobori, il sangue rischia di ridursi a mero fluido.

Ad ogni buon conto, il resto viene dopo. Politica ed economia incluse. Ma ciò, chiaramente, non significa rinunziare ad una visuale a tutto tondo che permetta al patriota lombardo di esprimersi su di ogni argomento. La dottrina lombardista consente una visione del mondo completa, andando a toccare qualsiasi ambito della nostra esistenza.

Ma se non c’è la sacrale triade etnicista e razzialista, che fa di un insieme di individui un popolo conscio di essere nazione, è inutile blaterare di soldi, welfare, pensioni, politiche sociali, progresso e sviluppo. Non è possibile ragionare sempre ed esclusivamente in termini di ordinaria amministrazione.

Siamo uomini, non banchieri, mercanti, strozzini, o preti.

E da uomini e donne davvero liberi dobbiamo vivere un’esistenza piena in nome di identità e tradizione, senza le quali la vita non sarebbe che un mucchio di banalità materialistiche e animalesche, seppur importanti.

Lombardia futura

Dal satellite

Quale futuro per la nostra amata nazione?

Oggi la Lombardia tramutata in regione artificiale dello stato italiano, e priva dei suoi restanti territori etnici e storici, versa in condizioni critiche per colpa del sistema-Italia e del sistema-mondo che l’hanno ridotta ad una babele, barbaricamente sovrappopolata, inquinata e cementificata.

Avanti di questo passo non ci può che essere l’ecatombe di quel che rimane del nostro povero popolo, soprattutto nelle zone peggiori che ruotano attorno alle grandi città come Milano, Brescia, Monza e Bergamo.

Del tutto inutili partiti e movimenti d’opinione di matrice vetero-leghista o autonomista, perché la loro attenzione cade esclusivamente su questioni economiche e sociali che alla lunga risultano banali, piccole piccole, irritanti, come se il problema globalista si riducesse a faccende pecuniarie e di benessere materiale; non serve a nulla quel soggetto politico che se ne frega del sangue e del suolo, dello spirito della nostra patria, appiattendo tutto sul piano del capitale. E poi, ovviamente, l’autonomismo è soltanto una farsa propagandistica e finanziaria: la vera Lombardia ha bisogno di indipendentismo.

Diversamente, l’accento va posto proprio sul problema etnico, ambientale e culturale della Lombardia, che ogni giorno che passa viene lentamente divorata dagli agenti internazionalisti del cosmopolitismo genocida, dell’egualitarismo, del terzomondismo, del pietismo, del capitalismo sfrenato, del progressismo, del liberalismo dei neo-con e degli schiavi dell’eresia giudaica vaticana.

Calci nel sedere a chi ci consegna nelle grinfie del mondialismo, svendendoci per denari imbrattati dal sangue del nostro innocente popolo, macellato dai burattinai dello status quo; tenetevi il vostro progresso, la vostra ricchezza, la vostra democrazia, la vostra tecnologia se questi comportano la distruzione della terra cisalpina e l’inesorabile genocidio dei granlombardi, sacrificati dai sacerdoti abramitici sull’altare del moloc finanziocratico, in nome dei peggiori disvalori modernisti tutti basati sul culto del soldo, sul consumismo, sull’edonismo, sul rovesciamento dell’ordine e della moralità di stampo indoeuropeo (di quella cristiana ce ne freghiamo altamente).

Non ci può essere alcun roseo futuro per la Lombardia, avanti di questo passo.

Si prefigurano scenari desolati e desolanti in cui a farla da padrone saranno gli allogeni, gli squali, i rossi contemporanei, i banchieri, e tutte le marionette del politicamente corretto e dell’ideologia woke sul libro paga della sovversione universalista, dunque gente come i preti postconciliari.

La nostra nazione, anche solo nella sua versione monca, sarà letteralmente sbranata dall’industrializzazione selvaggia, zavorrata dall’immigrazione incontrollata e dal dilagante meticciamento, avvelenata dall’inquinamento di ogni tipo e dalla cementificazione, oppressa dallo squilibrio demografico rappresentato da milioni di immigrati che schiacciano quella che oggi è ancora maggioranza, ma un domani? Che poi, in certe zone insubriche, maggioranza non è più.

La Lombardia, come il resto dell’Europa avanzata, finirà stritolata dal “progresso”, e non solo nelle città e nei loro hinterland, ma anche nelle loro province, financo nei territori collinari, montani, selvaggi, oggi incontaminati quasi del tutto. Ma ancora per quanto?

Se continueremo a lasciarci prendere pel naso dall’Italietta repubblicana, dallo stellato panno della Ue, degli Usa, di Israele, dalla Chiesa e dal cristianesimo e da ogni nefasta ideologia relativista, il nostro destino apparirà inevitabilmente segnato, e per la Lombardia sarà la fine: ogni traccia di identità e tradizione sparirà col suo popolo e lo stesso suolo patrio cambierà nome e connotati per sempre, ridotto a succursale delle agenzie apolidi che spacciano globalizzazione per benessere eco- ed etno-sostenibile.

Nel medesimo modo anche Lega Italia, leghe patacca e finti indipendentisti servi della Ue e dei suoi principali scagnozzi contribuiscono al genocidio (o auto-genocidio?) lombardo, perché ormai totalmente disinteressati alla questione etnica, e tutti indirizzati alle ben più comode e quiete mene economiche; la Lombardia deve assolutamente liberarsi da Roma ma cambiare bandiera senza cambiare, parimenti, la condizione delle genti, equivarrebbe comunque a rimanere tra gli artigli dei nemici atlantisti e mondialisti. Diffidate di chi vi spaccia autonomie e secessioni, prive di autoaffermazione identitaria, per libertà, poiché la stirpe viene prima dei quattrini.

Non mi stancherò mai di dirlo: più urgente dell’azione politica è quella culturale, dottrinaria, filosofica, metapolitica, in chiave lombardista, perché solo così abbiamo l’opportunità di rigenerare, in direzione völkisch, la res publica. Una politica lombarda che la faccia finita col cialtronesco fenomeno leghista e, soprattutto, con quella stucchevole concezione fascio-nazionalista, in senso tricolore, spesso e volentieri veicolata dagli allogeni italiani. La Lombardia non è Italia, Roma è una capitale straniera, ed è tempo di battersi, senza più equivoci, per l’affrancamento identitario, tradizionale e comunitario delle plaghe alpino-padane.

Solo con una salutare rieducazione dei lombardi alla presa di coscienza etnicista, specie dei più giovani, si può pensare seriamente di salvare il salvabile sconfiggendo i diuturni nemici delle vere nazioni, perché anche se tutto pare contro di noi nulla è perduto finché vi saranno lombardi e lombarde pronti a combattere per la vittoria e la salvazione di sé stessi e della comunità nazionale cisalpina.

Ci sono centinaia di associazioni che si occupano di (innocua) cultura, ambiente, flora e fauna, beni artistici, cibo, volontariato ecc., ma ce ne fosse una che si batte per la cosa più importante di tutte: la consapevolezza di avere nelle proprie vene sangue lombardo, con tutte le ovvie implicazioni in termini di spirito d’appartenenza.

Eh no, sarebbe “razzismo”, perché chi comanda ci vuole divisi, rimescolati, smemorati, privi di identità e tradizione, senza lingua e cultura, e dunque deboli e sradicati: solo l’identitarismo etnico, dunque l’etnonazionalismo, avversa il mondialismo e i suoi diabolici scherani.

Insubrici, orobici, emiliani, piemontesi, uniti a romagnoli, liguri, tirolesi, veneti, friulani, giuliani (in una parola cisalpini) fanno tutti parte della medesima inclita nazione, che è la Grande Lombardia; appartenervi non è mica una vergogna sapete? O preferite davvero svendere una delle regioni storiche che è parte del cuore della civiltà europea per lasciarvi lavare il cervello dalla retorica e dalla propaganda italianiste, incentrate su caratteristiche che appartengono solo ed esclusivamente agli italiani etnici, al centrosud?

Non siamo italiani, svizzeri, austro-ungarici, francesi periferici, tedeschi di serie B, bensì lombardi e abbiamo il diritto, ma soprattutto il dovere, di combattere a spada tratta contro ogni nemico che ci impedisce di realizzarci e di liberare la Lombardia dal giogo forestiero, pseudo-nazionale o internazionale che sia, il quale alla lunga ci conduce alla tomba per sfinimento.

Viva l’Italia? Ci può stare, ma senza di noi, per il semplice fatto che non siamo italiani (se non, purtroppo, politicamente, ad oggi); l’attuale stato italiano rappresenta soltanto la Saturnia tellus, e dunque il centrosud genuinamente italico, e nella Cisalpina ha posto in essere una sorta di occupazione e colonizzazione, a scapito dell’elemento indigeno. A Roma sanno benissimo che la Padania non sia sorella della penisola, ma a certe latitudini fa indubbiamente comodo poter mungere l’antica Gallia a sud delle Alpi…

Vogliamo essere lombardi in tutto o per tutto o continuare a fungere da muli che pensano solo a sgobbare e a fare soldi, in nome del catastrofico mito del fatturato?

Se la Lombardia si vuole salvare ha unicamente una via, da dover percorrere, ed è quella dell’etnonazionalismo, logicamente indipendentista, che mediante comunitarismo e pensiero völkisch, nonché razionalismo mai sganciato dal Blut und Boden, si batta per l’autodeterminazione etnica del popolo lombardo, magari all’interno di una sacrosanta cornice confederale euro-siberiana, la nostra grande famiglia imperiale. Una nazione è un insieme di popoli relativamente omogenei e compatibili, e non si può negare che dopo 4.000 anni di storia esista una nazionalità padano-alpina plasmata dal Mediterraneo settentrionale, dalle Alpi, dagli indoeuropei Celti e Veneti, dalla romanità assorbita dai Galli di Cesare, e infine dai Longobardi del Regno. Da cui la Lombardia medievale, storica.

Quella suindicata è una via irta di ostacoli, certo, ma quale cammino che valga la pena di battere non lo è?

Ciò che è facile il più delle volte è anche fallace; ciò che invece è difficile è meritevole di essere affrontato e di essere domato, grazie ad una incrollabile fame e sete di verità, libertà, sicurtà. I separatismi alla leghista, farseschi e meramente dettati da questioni economiche e di welfare, si macchiano di meretricio progressista o liberista. Ma qui non si tratta di separare alcunché, dal momento che la nazione lombarda non è il nord di un bel nulla.

Lottiamo per una Lombardia lombarda, non italiana o europea in senso artificiale, libera da Roma e da ogni altro ente mondialista. Solo così potremo garantire ai nostri figli e ai posteri un avvenire radioso fatto di identitarismo, tradizionalismo, nazionalismo etnico, sotto l’egida della vera Europa dei popoli, delle reali nazioni indoeuropee, che non è la caricaturale Europa degli stati-apparato ottocenteschi, o dei francobolli libertari cari a leghisti e “handipendentisti”.

Lombardia aria, gentile, unita in tutte le sue parti, e ovviamente europide, fino alla vittoria e alla palingenesi patriottica!

Lombardia attuale

Regione “Lombardia”

Con il disastro bellico, l’Italia perdette Briga e Tenda, Nizzardo e Corsica (occupati), Monginevro, Valle Stretta, Moncenisio, Venezia Giulia storica, Dalmazia e gli altri territori sudorientali occupati.

Nel “nordest” vi fu l’abominevole fenomeno delle foibe, frutto delle perfide politiche genocide di Tito, e il conseguente drammatico esodo istro-dalmata verso l’attuale Repubblica Italiana.

Il finto Paese italiano era tra gli sconfitti, nonostante il vigliacco voltafaccia di monarchia, regio esercito e partigiani, e nonostante, in una maniera veramente maramaldesca e inutile, avesse dichiarato guerra all’ex alleato giapponese, prostrato poi dalle atomiche americane.

L’Italia aveva confidato troppo nella Germania, e d’altro canto non aveva certo le forze per sobbarcarsi un conflitto divenuto mondiale, e lo stesso Giappone era remoto per poter contare su suoi concreti aiuti durante le operazioni belliche; la guerra divenne planetaria e l’Asse si trovò a fronteggiare il mondo intero, stretta com’era tra alleati (e loro colonie) e sovietici. La sconfitta fu inevitabile, e stupisce comunque la resistenza tedesca durata cinque anni, cinque anni in cui dopotutto non aveva potuto contare su camerati valevoli. Si aggiunga che sia Hitler che Mussolini di guerra sapevano poco o nulla, e i loro capricci costarono caro a Germania, Italia ed Europa.

Nel 1946, nel referendum istituzionale del 2 giugno, tra monarchia e repubblica a spuntarla fu quest’ultima, anche grazie alle massicce preferenze lombarde, e granlombarde, in direzione repubblicana; i lombardi, memori dello sfacelo sabaudo durante il periodo di guerra, votarono al 64,1% contro la monarchia.

Purtroppo si trattò di una repubblica plasmata da partigiani, democristiani, rossi, liberali e tutti gli altri tirapiedi del blocco occidentale e (meno) orientale, ossia dei vincitori, e ancor oggi ne avvertiamo le conseguenze, dato che lo stato italiano è sempre più uno strumento dei capricci atlantisti degli Usa, alleato di Israele e pedina del mondialismo anti-identitario, nonché ente vieppiù svuotato di sovranità dalla franco-tedesca Unione Europea (già Comunità Europea). Del resto, parliamo di una finta nazione.

Il dopoguerra fu anche il periodo del boom economico, che interessò soprattutto la Padania, portando a quegli esodi “interni” sud-italiani che hanno stravolto il tessuto etno-sociale originario delle terre cisalpine occidentali. In parte, questo sviluppo fu certamente cagione degli aiuti americani, ma ben poco importa: quelli prima distruggono e poi si lavano la coscienza col Piano Marshall, avente il solo scopo di legare a sé ancor di più i destini degli europei dell’ovest. Il progresso moderno lombardo era comunque in atto ormai da secoli, frutto della nostra storia.

Negli anni ’50 e ’60 del Novecento, Milano si arricchì di edifici, infrastrutture, aziende, complessi industriali, servizi.

Venne inaugurata anche la stagione del terrorismo nero e rosso (etichette di comodo per coprire misfatti governativi internazionali) con l’attentato di piazza Fontana del dicembre ’69. Da ricordare, parimenti, quello di piazza della Loggia a Brescia, nel maggio del ’74. Atti terroristici che fecero decine di vittime e centinaia di feriti.

Nel 1970 nacque la Regione Lombardia, parziale raggruppamento di genti lombarde manchevole, anzitutto, di VCO, Novarese, Ticino, Grigioni lombardo e, volendo, Tortona, Piacenza e il Trentino occidentale, ossia i restanti territori etno-linguisticamente lombardi, in senso stretto. Sua insegna una ridicolizzazione commerciale delle incisioni rupestri camune, la famosa “rosa”, che in realtà sarebbe meglio rappresentata dallo swastika rinvenuto, fra gli altri, nei siti di Sellero e Paspardo. Ma si sa, il politicamente corretto impazza, e come simboli tradizionali della Lombardia centrale ci sarebbero pure il Ducale visconteo e la Croce di San Giorgio.

Vennero anche inaugurati parchi naturali come quello del Ticino, primo parco fluviale europeo, nel 1974. Altre aree protette di questo tipo sono quelle di Colli di Bergamo, Alto Garda bresciano, Alpi Orobiche bergamasche, Alpi Orobiche valtellinesi, Groane, Mincio, Serio, Adda, Adamello, Oglio, Pineta di Appiano Gentile e Tradate, Valle del Lambro.

Un ulteriore, molto meno nobile, primato è quello che inaugurò la stagione dei disastri ecologici europei: la fuoriuscita di diossina dalla Icmesa di Seveso, nel 1976.

Nel 1987 vi fu l’alluvione della Valtellina, classico caso “italiano” di dissesto idrogeologico, una piaga che affligge anche la Cisalpina.

Nel 1992 nacquero le province di Lecco e Lodi, che “rubarono” territori a Como, Bergamo e Milano, e andarono ad unirsi agli enti di Milano, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Pavia, Sondrio, Varese (già staccatosi da Como in precedenza); nel 2004 è stata istituita invece la provincia di Monza e Brianza, a svantaggio di quella milanese. Un processo alquanto ridicolo, quello dello scorporo di province storiche, in quanto invece di dare adito al campanilismo, la Lombardia dovrebbe tornare ad essere Grande, includendo tutte le sue plurisecolari terre, cominciando dal novero etnico padano.

Gli anni ’90 proseguirono l’impetuoso sviluppo della regione: l’aeroporto di Malpensa (nato nel ’48) divenne internazionale (vedi anche il progetto Malpensa 2000), quello di Orio al Serio (rinato nel ’70 come aeroporto civile) si irrobustì e vennero discussi progetti di grandi opere infrastrutturali come la BreBeMi e la Pedemontana (il cui impatto ambientale è ovviamente drammatico), poi in parte attuati. Il traffico autostradale lombardo è quello più intenso d’Europa.

L’altra nota dolente è la spaventosa sovrappopolazione di questo ente regionale (densità di 418,85 ab./km²!), già minato da cemento, inquinamento, traffico, aria irrespirabile, conseguenza dell’esodo meridionale e della più recente immigrazione allogena. L’area transabduana, ma anche la città di Brescia, sono un inferno.

Risultato? Oggi, su 10 milioni e rotti di abitanti della Lombardia regionale, alcuni non sono nativi, o comunque ibridati.

La regione del Pirellone è uno dei quattro motori europei (assieme a Baden-Württemberg, Catalogna e Rodano-Alpi), nonché estremità meridionale della cosiddetta “Banana blu”, dorsale economica e demografica che dalla Val Padana, attraversando il territorio dell’antica Lotaringia, culmina nell’Inghilterra meridionale.

Siamo indubbiamente un’area ricca, prospera, industriosa, fertile, avanzata e dalla grande tradizione imprenditoriale, i cui sforzi, economicamente parlando, vengono premiati; anche in materia di sanità, benessere, servizi, agricoltura, artigianato si è sicuramente ben messi. La Lombardia attuale è la regione trainante dello stato italiano, assieme al “nordest”, ma sarebbe anche ora di far camminare l’Italia etnica con le proprie gambe. Anche per questo l’indipendenza della Lombardia storica deve essere una priorità, per i lombardi.

Credo si dovrebbe pensare, peraltro, ad un rientro dei sud-italiani stabilitisi nella Padania, perché hanno svuotato le proprie aree d’origine per sovraffollare quelle cisalpine, specie del noto triangolo industriale.

Inutile dire che, al contempo, l’immigrazione allogena vada fermata con tanto di rimpatrio perché essa giova solo a chi la sfrutta, non certo agli indigeni, e nemmeno agli allogeni oserei dire, in quanto sradicati e catapultati in realtà straniere. Con le conseguenze che tutti conosciamo.

Nel 2005 è nato il nuovo polo fieristico Rho-Pero, parte del sistema della Fiera di Milano. Nel 2015 si è invece tenuta l’Esposizione Universale a Milano, tra maggio e ottobre, una grande vetrina intercontinentale per la capitale e la Lombardia ma anche, ahimè, una grande fonte di lucro per personaggi non molto cristallini.

Nel 2017 si è svolto un referendum per l’autonomia della regione, in cui il SÃŒ ha trionfato con una percentuale del 95,29%. Ovviamente, il voto popolare è rimasto senza esito, e del resto l’autonomismo applicato ad un ente inventato da Roma è paradossale, un inutile pannicello caldo.

Tre anni dopo, la Lombardia regionale fu al centro dell’emergenza coronavirus, morbo d’importazione asiatica che infuriò particolarmente nelle zone orientali e meridionali, cagionando una strage di anziani. La gestione demenziale della politica, di fronte alla crisi, per quanto inedita ed inaspettata, andò ad accrescere l’infausta portata di un fenomeno virale alimentato dalla stessa globalizzazione.

Nel 2026 sono previsti i Giochi olimpici invernali Milano Cortina, occasione interessante per mostrare al mondo il vero volto della Lombardia, offuscato dalle magagne italiane che agli occhi dei forestieri accomunano tutto il territorio della Repubblica Italiana.

Purtroppo, la Milano di oggi identitaria non è, e come tutte le altre metropoli europee presenta gravissime lacune in materia di preservazione etnoculturale. Si aggiunga che, a differenza di altre, presenta pure le suddette tare italiane, spalmate in lungo e in largo dalla sciagurata azione della politica romana, che passano anche per quella fastidiosa mancanza di coscienza etnica, culturale, tradizionale, linguistica, territoriale e ambientale tipica invece delle realtà germaniche, ad esempio alpine.

Le uniche manifestazioni di “orgoglio” lombardo, al di là delle innocue iniziative folcloristiche di provincia, sembrano essere quelle clericali, in una regione in cui l’unico dato identitario ufficiale è quello cattolico, che identitario di certo non è, soprattutto in epoca postconciliare.

Ma se ci pensate la Lombardia è stata proprio stritolata dal centralismo romano post-risorgimentale, con tutti i suoi bravi stereotipi sull’Italia mediterranea e meridionale, e naturalmente rintronata da bibbie, rosari, madonnine e santi inventati di ogni forma e colore. Le bianchissime province lombarde sono (o erano) l’anticamera del Vaticano, a sua volta un organo del mondialismo.

Al leghismo, fiorito negli anni ’80, va il merito di aver sollevato la questione “settentrionale”, poi banalizzata nel tempo con tutta una serie di pagliacciate propagandistiche culminate nella trovata elettorale della Padania bossiana, presto rinnegata per poter banchettare a Roma, complice il berlusconismo. Il fatto è che anche i lombardi, notoriamente grandi lavoratori, ma poco propensi alle attività umanistiche lasciate totalmente in mano agli italiani, hanno le proprie responsabilità, avendo ceduto le redini del processo risorgimentale. Un processo nefasto, sfuggito alla classe dirigente cisalpina, e a breve tramutatosi nella tomba della Padania stessa. Ricordiamoci che se la criminalità e il malcostume sud-italiani hanno da noi attecchito è perché hanno trovato terreno fertile, per quanto restino prodotti d’importazione dell’esodo da sud. Per non parlare di Tangentopoli, con svariati protagonisti locali.

Cavalcando “Mani pulite” e la fine della cosiddetta Prima Repubblica, con susseguente nascita della Seconda, la Lega Nord è riuscita a sfondare politicamente senza però ottenere nulla di concreto perché appiattitasi sulla linea dell’altro fenomeno nato in Lombardia, ossia il forzismo azzurro di Silvio Berlusconi, il controverso personaggio per vent’anni sulla cresta dell’onda, certo lombardo ma velenosamente intriso di italianità.

Umberto Bossi, lombardissimo come il Cavaliere e, nella sua fase calante, parimenti controverso (vedi alla voce “cerchio magico” ausonico), oltre che da sempre ben poco lucido, si è inventato la farsa del secessionismo, come detto rinnegata per far posto alle ricche prebende dell’occupante romano. Bossi, prima di Salvini, ha tradito la causa, preparando il terreno alla contemporanea Lega italianista.

La Lombardia etnica e storica – non la creazione italiana del 1970 – non ha alcun bisogno di farse propagandistiche: essa necessita di un robusto etnonazionalismo, che possa sbocciare nella piena autoaffermazione della nazione cisalpina. Dobbiamo poter respirare a pieni polmoni in senso identitario, e ciò è possibile soltanto divenendo indipendenti dall’Italia. Esatto, indipendenza, non secessione, poiché il concetto di secessione presuppone una separazione da un ente nazionale davvero unitario.

Il lombardesimo, alla luce di ciò, è nazionalismo etnico alpino-padano votato alla piena libertà della Grande Lombardia: non siamo il nord di nulla, poiché popolo unico, originale ed espressione di una realtà identitaria europea senza eguali, con una storia gloriosa ed esemplare. Lasciamo perdere la zavorra leghista, o identitari cisalpini, ed impegniamoci tutti quanti per una nazione lombarda libera, e cioè comunitaria, e sempre più europea. Attenzione, ho detto europea; nessuna allusione, dunque, all’Unione “Europea”, negazione mortale della nostra civiltà, esattamente come il patriottismo italiano esteso sino alle Alpi.

Note politiche

Sizzi

La mia visione politica è solidamente ancorata al credo völkisch. Non può esistere una politica fatta di compromessi, trasformismi e ribaltoni in tale ottica proprio perché prima di darsi a quest’arte ci sarebbe l’impellente necessità di riabituare la popolazione ai sani dettami etnonazionalisti, ormai sepolti sotto metri di letame liberale e progressista.

Gli stessi soggetti (meta)politici che animavo in precedenza, a differenza della galassia pataccara leghistoide, prima di imbarcarsi in avventure elettorali e amministrative decisero, assai saggiamente, di informare, formare e catechizzare i lombardi, per farli sentire tali, per acculturarli, per svolgere tra di essi una doverosa e costruttiva attività “missionaria” che mai nessun movimento/partito s’è preso la briga di condurre, essendo tarantolato dall’ansia elettorale e dalla fame di voti, poltrone e stipendi dorati.

La visuale indipendentista, maturata nel 2006 e relegata in soffitta (per fallace realpolitik) dal 2014 fino all’estate 2021, è fondamentale e più che mai attuale, doverosa per sgombrare il campo da ogni equivoco circa l’inesistente italianità della Grande Lombardia. La mia visione politica è assai realista e concreta e prima dello strumento governativo avverte tutta la necessità di rieducare i lombardi; ma l’obiettivo finale rimane la liquidazione della Repubblica Italiana e la totale autoaffermazione della nazione grande-lombarda, anche se ora può parere utopico.

Prima, comunque sia, si fa cultura, dottrina, propaganda ideologica e identitaria – lombardista nel nostro caso – e poi, se si hanno tutte le carte in regola, si può intraprendere la carriera politica. Farlo prematuramente sarebbe un suicidio per tutte le parti coinvolte. Però è chiaro: un soggetto politico ben avviato non deve più sottrarsi alla pugna e deve scendere in campo concretamente, dandosi da fare per la nazione lombarda, altrimenti la politica rimarrà sempre tra le grinfie dei plutocrati e degli utili idioti.

Ciò nonostante ho ben chiaro che tipo di politica io voglia per la Lombardia e l’Europa e non può che essere etnonazionalista e comunitarista, del tutto aliena dalle classiche politiche bizantine, liberali o progressiste, attuali. Degne dunque della repubblica che rappresentano, dell’occupazione italiana delle Lombardie.

Una delle tipiche tare della politica mediterranea orientale, ma ormai globale, è quella del compromesso, del cavillo, dell’inciucio, del cosiddetto politicamente corretto basato sulla perversa logica del do ut des, che ha un tremendo fortore mafioso.

Oggi la politica occidentale funziona così: americani ed ebrei, dunque israeliani, hanno sempre ragione, pertanto tutto il resto – a partire dall’Europa ridotta a Ue (ossia a cagna al guinzaglio dei ricchi padroni) – deve ruotare attorno ai loro capricci; non c’è alcuna possibilità di fare politica realmente basata sui bisogni del popolo amministrato, si deve sempre e solo sottostare ai dettami che provengono da oltreoceano, filtrati dagli enti supini come, appunto, l’Unione Europea e gli stati-apparato ottocenteschi, nati per strozzare le genti europee in favore del danaro, delle logge, delle mafie e degli interessi di pochissimi a scapito di moltissimi.

Sicché, chi decide di far politica deve ingoiare tutta una serie di rospi che portano inevitabilmente al crollo del proprio partito, se radicale, ma in compenso alla poltrona sicura per il politicante maneggione di turno, che ben si adatta ai vizi dei potenti. Camerieri in giacca e cravatta lautamente stipendiati.

Io sono del tutto nemico di una squallida politica simile; da lombardista, etnonazionalista, socialista nazionale non posso che avere in ispregio il compromesso e la modernità amministrativa che gira attorno al soldo e si dimentica del popolo; proprio per questo ritengo che prima di far politica si debba fare metapolitica, militanza con le mani libere (ma col cervello nel cranio, ovviamente) volta all’educazione degli elettori di domani, che oggi non sono altro che pecoroni, o figli di pecoroni, abituati a dire sempre di sì ai capricci dei poteri forti in cambio del classico panem et circenses.

Non auspico una dittatura, ci mancherebbe, ma vorrei che il dibattito politico non fosse inficiato dal dogmatismo liberale e socialdemocratico che pone mille paletti, mille tabù, mille bavagli a proposito di delicate e scottanti tematiche d’attualità, e che si configura – quello sì – come un regime dispotico. Si parla sempre, e sempre a sproposito, di libertà, e poi si finisce puntualmente con le censure, le leggi liberticide, le denunce con condanne, il tutto semplicemente perché si rivendica la libertà di pensiero e d’espressione che dovrebbe essere uno dei valori più cari di questa corrotta società “illuminista” e democratica.

Sappiamo però bene che l’Illuminismo non sia affatto sinonimo di libertà, semmai di semi-libertà all’interno di un regime carcerario che dura dal ‘700, salvo brevi luminose parentesi. E non parliamo delle rivoluzioni borghesi (o bolsceviche): scaturite da presupposti rispettabili – sbarazzarsi, cioè, dei parassiti – non sono state altro, nella loro degenerazione, che uno strumento anti-tradizionale nelle grinfie dei soliti noti. I padri “nobili” di antifascismo e antirazzismo vanno rintracciati in questi foschi periodi di egualitarismo sanguinario.

Non c’è spazio, oggi, per gli identitari seri in questa politica fatta mercimonio, una politica infida, mafiosa, massonica, vassalla del mondialismo e dei ricchi sfondati senza alcun merito e qualità. Ma è ora che gli identitari seri si diano da fare per poter, un domani, avere seriamente voce in capitolo.

Rivendico una visione politica schiettamente etnonazionalista, che nel caso lombardo traghetti l’attuale, inventata, Regione Lombardia dallo status quo italiano di artificiale entità amministrativa senza storia a motore insubrico di un’unificazione nazionale panlombarda che si batta per la libertà da Roma e dalla baracca euro-levantina del tricolore (così come da ogni altro ente sovranazionale che tiene l’Italia per le gonadi).

L’indipendenza è la tappa finale, cui si spera di approdare dopo aver posto le basi dell’irredentismo grande-lombardo: Insubria, Piemonte (e Val d’Aosta), Emilia, Orobia, Liguria, Romagna per la Lombardia occidentale “gallo-italica”, Veneto, Rezia cisalpina (Trentino e Alto Adige, cioè il vero Tirolo), Friuli e Venezia Giulia (storica, il Quarnaro è il confine naturale) per la Lombardia orientale reto-venetica. Questo per capirci; la distinzione canonica sizziana, come sapete, è quella tra Lombardia etnica e Grande Lombardia.

C’è una bella distinzione tra indipendentismo e famigerato “handipendentismo”: il primo è la sacrosanta battaglia di una nazione per l’affrancamento da una malata e corrotta entità statuale senza storia (Lombardia ∼ Repubblica Italiana), il secondo è una pagliacciata libertaria alla leghista, o alla progressista, fondata su tragicomiche rivendicazioni pseudo-nazionali dove l’oggetto del contendere è spesso una patetica micronazione. Gli stati-apparato vanno liquidati, ma non certo per fare spazio ad un’Europa ridotta a spezzatino in stile Liechtenstein, San Marino, Lussemburgo.

L’esempio negativo della Lega Nord è emblematico, anche perché funzionale all’inflazione e alla banalizzazione di tematiche altrimenti importantissime. A cosa sono serviti trent’anni di servaggio repubblicano (spesso governativo), nonostante una marea di proclami smargiassi prima autonomisti, poi federalisti, poi secessionisti, e ritorno? Dopo la farsa elettorale padanista, infatti, ecco di nuovo il federalismo, poi la devolution (termine molto padano, devo dire) e il federalismo solidale (?), tutto questo finalmente negato da una patetica svolta italianista dettata dal più becero opportunismo poltronaro. A che sono serviti, dicevamo? A nulla, se non a ridicolizzare l’istanza identitaria doverosamente indipendentista. Il leghismo, oltretutto, è sempre stato un fenomeno libertario, ora pitturato di rosso ora di nero a seconda della convenienza politica, del tutto avulso dall’etnonazionalismo (dunque dal razionale culto di sangue, suolo, spirito).

I furbastri verdoni (già, il verde, pacchiana trovata mercatistica) hanno però ottenuto – alle spalle dei cosiddetti “militonti” e dell’elettorato boccalone – poltrone, incarichi, ministeri, stipendi dorati, lauti vitalizi, ricche prebende, agevolazioni danarose d’ogni genere, scandalose immunità e la missione, per loro, è più che compiuta. Da qualche anno, per sopravvivere, colmano il vuoto lasciato dalla dipartita di Alleanza Nazionale nella destra italiana, anche se devono fare i conti col postfascismo meloniano, che è il vero erede di Almirante e Fini. Che triste epilogo, il “carroccio”…

Salvini ha definitivamente sgombrato il campo dagli equivoci padanisti della Lega, ma la situazione fu da subito evidente a tutti coloro che avevano un minimo di sale in zucca: la degenerazione italiana fu cagione dello stesso Bossi, uno che non disdegnava di circondarsi di “terroni” assorbendone il malcostume. Quelli con la cravatta verde – un po’ come oggi i pentastellati – dovevano conciare Roma per le feste rivoluzionandola, ma è stato l’esatto contrario: l’icastica immagine di un Umberto invalido, ingozzato di rigatoni dagli italici Alemanno e Polverini, è il ritratto perfetto della Lega Nord.

La scomparsa del leghismo vecchia scuola è un bene, perché non è mai stato nulla di genuinamente lombardista, anti-italiano, indipendentista. A livello locale, sicuramente, la Lega può anche aver avuto qualche merito, e alcuni personaggi vicini ad essa non sono stati degli imbecilli (penso a Gilberto Oneto). Oggi non esistono più partiti di peso che si occupino – anche se in maniera approssimativa e cialtronesca – dell’autodeterminazione grande-lombarda; ma, come dicevo sopra, prima occorre informare, rieducare, formare i popoli lombardi tramite l’acculturazione e la presa di coscienza della propria genuina identità, altrimenti è tutto inutile.

Esistono diversi soggetti politici padano-alpini che si occupano, senza la benché minima base ideologica e culturale, di fumosa indipendenza (per questioni meramente economiche, si capisce); sono gli orfani della Lega bossiana, fondamentalmente, che animano patacche e liste-civetta finalizzate ad ottenere qualche poltrona e nulla più. Oppure sono associazioni un po’ più serie, ma velleitarie, che ricalcano alcune realtà straniere per accreditarsi agli occhi dell’europeismo di Bruxelles, eleggendo a proprio campo d’azione regioni inventate dall’odiata Roma. L’indipendentismo privo di solido retroterra culturale (lombardista, nello specifico) è inutile e non farà altro che ricalcare gli errori “padani”, impelagandosi senza via d’uscita nelle solite faccende finanziarie.

Per carità, lasciamo perdere i replicanti leghisti e battiamoci, invece, per una vera e propria rivoluzione culturale etnonazionalista, che sia l’anticamera di una futura azione politica genuinamente indipendentista, non più fondata su finte nazioni, regioni artificiali, macroregioni di comodo ma sull’unica nazione dei popoli cisalpini, che è la Lombardia. E, naturalmente, giustificata non, o perlomeno non solo, da banali pretese pecuniarie (per quanto importanti) ma da ragioni etniche, culturali, linguistiche, geografiche, ambientali, antropologiche, storiche, civili, spirituali, folcloriche e così via.

Abbiamo tremendamente bisogno, anzitutto, di cultura militante, e poi, se tutto va per il verso giusto, di politica militante dura e pura che tenga in non cale la modernità e si batta con ogni mezzo per i diritti sacrosanti della Lombardia indipendente e di un’Europa confederale, imprigionate in gabbie amministrative e sovranazionali antistoriche che le opprimono in maniera inaccettabile.

Valori sacri come il sangue, il suolo, lo spirito (inteso come identità e tradizione) non possono essere negoziati, perché non si può negoziare sulla libertà e sulla vita degli europei. È una questione di civiltà, una civiltà ormai da troppo tempo violentata dal regime antifascista che tiranneggia il continente, soprattutto ad occidente, riannodandosi all’infame mentalità contemporanea che è il frutto del 1789.

La politica deve finalmente essere radicale, rinnovata da una salutare palingenesi, perentoria, e deve attingere da forze fresche che sappiano conciliare a meraviglia la formazione spirituale con quella fisica, partendo dal presupposto che si debba avere le carte in regola anche da un punto di vista etno-razziale. Altrimenti tanto vale rimanersene a casa a poltrire in pantofole, piuttosto che fare danni su danni che, naturalmente, si ripercuotono sul popolo e non sui politicanti di turno.

Servono uomini, servono lombardi, non polentoni, “italiani del nord” o “padani” (intesi in accezione legaiola). Vogliamo davvero farla finita con il perverso sistema-Italia (e il mendace concetto di nazione italiana) e il nefando sistema-mondo? Benissimo, dimostriamolo rivoluzionando la politica stessa sennò, davvero, la si smetta di bestemmiare il nome lombardo e si vada ad ingrassare le file dei partiti italiani di destra-centro-sinistra, tutti uniti nel leccare e riverire i padroni, essendo emanazione della rivoluzione borghese partita dalla Francia (altra finta nazione, sebbene non ai livelli demenziali dell’Italia).

Pertanto, prima si crei la base mediante cultura e attiva militanza metapolitica, mediante dottrina etnonazionalista, e poi e solo poi, se tutto va per il verso giusto, si scenda in politica come se si scendesse in battaglia, perché mentre si va al mercato delle vacche la gente ci rimette ogni giorno di più, schiacciata com’è da immigrati, regimi antifascisti e mondialisti, squali, rossi annacquati, preti degeneri, tasse, riforme suicide, reati d’opinione e via dicendo.

Prima lombardi, poi politici, non il contrario, altrimenti è davvero la pietra tombale dell’autodeterminazione etnica. Allo stesso modo, prima l’etnonazionalismo, poi le politiche economiche, sennò sembra che ogni scelta partitica debba venire dettata dal soldo e dal materialismo consumistico: la Lombardia non è la Regione Lombardia, la si smetta di confondere colpevolmente le due cose, come se l’unica cosa che contasse per davvero fosse il fatturato.

La vita è guerra, signori; traccheggiare in giacca e cravatta è solo opportunismo auto-genocida e credo sia davvero il caso che la Lombardia riveda il suo pantheon ideale: dall’eroe imprenditoriale, all’eroe patriottico, in senso lombardista, ovviamente.