La questione etnica

Zampognari in Brianza (Giovanni Segantini)

Si sarà capito che per il sottoscritto il concetto di nazionalità, distinto da quello di cittadinanza, è rigorosamente determinato dallo ius sanguinis, essendo lo ius soli un’autentica buffonata progressista ed universalista, preso singolarmente. Il lombardista crede nell’azione combinata dei due diritti, e dunque in una cittadinanza identitaria che aderisca alla nazionalità.

Di conseguenza, un individuo è lombardo (ed europeo) se lo è per sangue e per suolo, e poi chiaramente per spirito; questo non è razzismo suprematista, questa è la natura delle cose, poiché la biologia non è fuffa. La questione culturale viene dopo, perché non basta parlare lombardo o mangiare lombardo per potersi a tutti gli effetti dire cisalpini.

Nello specifico, crediamo che un individuo possa fregiarsi dell’etnonimo di lombardo se ha almeno i 4 nonni, biologici ed europidi si capisce, cognominati alla lombarda, e in alcune zone è un autentico miracolo, credetemi. In aggiunta, residenza famigliare in Lombardia almeno dal 1900.

L’etnia è lombarda e dovrebbe esserlo pure la nazionalità: la nazione italiana estesa alla Padania non esiste, e quindi la nazionalità italiana allargata in maniera spropositata è una mascherata. Non concepisco nella maniera più assoluta una nazionalità basata su sciocchezze burocratiche e politiche, un qualcosa di artificiale, specie se confuso con l’arida cittadinanza degli stati di ispirazione giacobina.

La cittadinanza razionale, dunque, deve fondarsi su severi criteri nazionali, proprio perché la Grande Lombardia è una nazione, a differenza del fantozziano Stivale. A maggior ragione, non sono una nazione gli Usa, il cui intento è quello di ridurre l’Europa ad una loro fotocopia e succursale (cosa che in parte è già), anche quando si parla di nazionalità e di cittadinanza. Lombardi ed europei si nasce, non si diventa, il che non significa che tali popoli siano superiori agli altri. Significa, però, che la Cisalpina è una grande patria storica e che l’Europa è la nostra famiglia imperiale, aventi una ben precisa identità antropologica e genetica. Altrimenti possiamo pure cambiare i nomi delle nostre realtà etniche e tramutarle in bordelli cosmopoliti e multirazziali. Proprio come l’America.

Uno dei principali problemi della Lombardia etnica e storica, a partire da quella regionale, è la sovrappopolazione (10 milioni di abitanti su di un territorio di quasi 24.000 km², relativamente alla baracca del Pirellone) il che impone, al fine di preservare popolo e ambiente, di bloccare l’immigrazione e rimpatriare gradualmente buona parte dei puri allogeni che abbiamo in casa. Discorso che vale eziandio per i sud-italiani.

I lombardi devono riprendere a fare figli, ma è forse più importante cominciare a far rientrare nelle rispettive terre chi qui non ci dovrebbe stare. Ogni popolo, infatti, sta bene a casa propria. L’alternativa è il collasso: immigrati, cemento, inquinamento sono una miscela esplosiva. Credo sia nota ai più la disastrosa situazione di Milano e del suo hinterland, ma è ormai un’ossessione regionale quello del culto del capannone e del centro commerciale.

La popolazione della Padania andrebbe, in futuro, drasticamente ridimensionata, se vogliamo avere un destino eco- ed etnosostenibile, pure per una faccenda di sussistenza, preservazionismo ed equilibrio nel rapporto uomo-natura. Raggiungendo così parametri qualitativi alti, in termini di vita e di benessere. Si capisce bene il perché delle simpatie lombardiste verso endogamia, controllo delle nascite, aborto nei casi limite, eugenetica preventiva, fermo restando che la Lombardia abbia senza dubbio bisogno di rinsanguare la propria esanime schiatta.

C’è in ballo il nostro avvenire e non c’è cristianesimo militante o laico che tenga nella lotta per la sopravvivenza e per l’affermazione dei nostri sacrosanti diritti etnonazionalisti. Oppure l’identitarismo etnico è lecito solo ed esclusivamente se si tratta di popoli del sud del mondo?

Chiaramente, andrebbero rimpatriati gli allogeni veri e propri, extra-europei, ma andrebbe contenuta drasticamente anche l’immigrazione europea, fissando un tetto massimo che non preveda ulteriori arrivi, sulla base della compatibilità etnica; non me ne vogliano gli italiani, ma come detto poco sopra sarebbe parimenti il caso di promuovere il ritorno in patria di loro peninsulari. L’etnia lombarda va preservata, recuperata e tutelata perché sempre più minacciata di estinzione, soprattutto nell’area occidentale. Non basta parlare solo di cultura, perché la lombardità presuppone un ADN padano-alpino.

Non ne ho mai fatto una banale questione pecuniaria, per quanto lavoro e denaro possano essere importanti, ma eminentemente etnoculturale e territoriale, il che nobilita la mia battaglia e quella comunitarista, finalizzate all’indipendenza della Grande Lombardia.

Non sono soltanto ragioni etniche e culturali, per l’appunto, sono pure ambientali, perché la sovrappopolazione e l’immigrazione selvaggia cagionano inquinamento, cementificazione, urbanizzazione smodata, traffico congestionato da terzo mondo, avvelenamento del suolo, dell’aria, della flora, della fauna, delle acque, dei beni artistici e naturali, del nostro habitat insomma, dell’umo in cui affondano da millenni le nostre lombarde radici.

Lasciamo dunque perdere il progressismo, il liberalismo, il cristianesimo, l’universalismo e il mondialismo, nonché il pietismo e il capitalismo, ma anche quell’untuoso indipendentismo di matrice marxista o libertaria, europeista, il cui motto è roba del tipo “veneto è chi il veneto fa”. L’indipendentismo deve andare di pari passo con l’etnonazionalismo, sennò rischia di ridursi a ridicole battaglie micro-sciovinistiche ed egoistiche, dettate da tracotanza affaristica, e nemmeno da identitarismo genuino. Il campanilismo, e il regionalismo, sono nemici mortali delle nostre istanze.

Il sangue non è acqua, il suolo non è un mordi e fuggi da società dei consumi, lo spirito inteso come lingua, cultura, identità, tradizione non è flatus vocis; questa triade è ragione di vita per ogni degno lombardo, orgoglioso delle proprie origini, dei propri natali, della propria patria cisalpina ed europea, culla della civiltà plasmata dai nostri arii progenitori.

L’indipendentismo promosso dal lombardesimo è lotta razionale per l’autoaffermazione del nostro popolo, basata sui principi e sui valori etnicisti: non si tratta, infatti, di separatismo alla catalana, di secessionismo alla leghista o di “handipendentismo” liberal caro a certe latitudini europee, e malato di antifascismo, concerne il sacrosanto affrancamento, anzitutto, del sentimento identitario che unisce le genti cisalpine, la cui identità etnica e storica non esitiamo a definire lombarda.

Un serio cammino all’insegna dell’identitarismo völkisch si chiama comunitarismo, e contempla culto, oserei dire scientifico, della terra, della stirpe, dello spirito come vitale scintilla culturale della gente nostrana, ispirato all’azione indipendentista. Perché la Padania non è Italia e merita a pieno titolo l’autodeterminazione, contro il giogo statolatrico di una nazione artificiale, che spetta ad ogni vero popolo europeo.

L’azione politica, è pacifico, deve essere inoltre accompagnata da quella metapolitica, e anticipata dalla cultura militante, perché altrimenti ci si continua a comportare come automi indottrinati dal sistema-mondo e completamente privi di solide basi etnoculturali. E nulla, pertanto, può davvero cambiare, come ha dimostrato il fallimento dello stesso leghismo, un fenomeno privo di mordente genuinamente identitario.

Bisogna avere calma, cautela, pazienza, costanza, perseveranza, senso della misura e del reale, un pizzico di furbizia (cosa in cui i cisalpini non eccellono, si sa) evitando le indecenti banalizzazioni, operate da Bossi e compagnia e loro replicanti, che non hanno fatto altro che inficiare ragioni sacrosante.

Le associazioni da me fondate, il Movimento Nazionalista Lombardo e Grande Lombardia, hanno rappresentato nel loro piccolo l’unica via da percorrere, per quei lombardi desiderosi di promuovere serio comunitarismo etnico su suolo lombardo, contemplando, ovviamente, la soluzione politica indipendentista. Esse hanno gettato un seme, e sono certo che il futuro, grazie anche al lombardesimo, potrà essere roseo. Nulla, signori, è perduto.

Certo, non dobbiamo giocare a fare i politicanti, o i generali senza esercito, ma divenire sempre più esempio per i nostri connazionali, affinché si riscuotano dal torpore e seguano la via dell’identità, scongiurando la dissoluzione coloniale favorita dallo status quo tricolore.

Che forse ci vergogniamo di essere lombardi? Abbiamo davvero il cervello così lavato e ridotto ad omogeneizzato dai nostri nemici, che si spacciano per sedicenti amici?

Ricordatevi che il senso di appartenenza è innanzitutto etno-razziale: dobbiamo dunque tutelare e preservare il nostro retaggio caucasoide europeo, la nostra specificità nazionale ed etnica, nonché il nostro patrimonio fisico e genetico.

Prima il sangue, poi il suolo ed infine lo spirito con tutte le sue manifestazioni. La coscienza linguistica, la cultura, la tradizione sono importantissime, ma il dato biologico è il carburante delle battaglie etnonazionaliste. Sebbene sia chiaro: senza spirito che lo corrobori, il sangue rischia di ridursi a mero fluido.

Ad ogni buon conto, il resto viene dopo. Politica ed economia incluse. Ma ciò, chiaramente, non significa rinunziare ad una visuale a tutto tondo che permetta al patriota lombardo di esprimersi su di ogni argomento. La dottrina lombardista consente una visione del mondo completa, andando a toccare qualsiasi ambito della nostra esistenza.

Ma se non c’è la sacrale triade etnicista e razzialista, che fa di un insieme di individui un popolo conscio di essere nazione, è inutile blaterare di soldi, welfare, pensioni, politiche sociali, progresso e sviluppo. Non è possibile ragionare sempre ed esclusivamente in termini di ordinaria amministrazione.

Siamo uomini, non banchieri, mercanti, strozzini, o preti.

E da uomini e donne davvero liberi dobbiamo vivere un’esistenza piena in nome di identità e tradizione, senza le quali la vita non sarebbe che un mucchio di banalità materialistiche e animalesche, seppur importanti.

La tradizione secondo il lombardesimo

Nonostante il lombardesimo prenda le distanze dalla religione, specie se abramitica (ebraismo, cristianesimo, islam), mantiene una visuale fortemente tradizionalista, nel senso che identità e tradizione costituiscono un binomio fondamentale nell’ottica dell’etnonazionalismo lombardo. Sull’identità non vi è alcun dubbio: il lombardista difende a spada tratta l’etnicità e la cultura lombarde e plasma un identitarismo nettamente etnicistico. Circa la tradizione può esservi qualche equivoco, facilmente risolvibile, perché troppo spesso si crede che tradizione e religione vadano di pari passo, sebbene non sia necessariamente così. Pertanto, pur mantenendo un profilo laico (se non ostile a certa religiosità), ecco che il lombardesimo si fa baluardo a difesa della tradizione.

Ma quale tradizione, se ci si slega dall’ambito cultuale? Presto detto. Il lombardesimo è tradizionalista nella misura in cui preservi tutti quegli elementi su cui si fonda l’identità etnica e nazionale lombarda: la cultura, la lingua, gli usi e costumi, lo spirito, le consuetudini, la cucina. Inoltre, il lombardesimo è tradizionalista poiché difende la mentalità ereditata dai nostri padri indoeuropei, contro ogni forma di sovversione valoriale. Infatti, ecco che il pensiero lombardista promuove la società patriarcale, la comunità tradizionale, la famiglia naturale, l’eterosessualità, i legami monogamici, l’endogamia, gli innati ruoli di maschile e di femminile.

Insomma, non c’è alcun bisogno di fare riferimento ad una religione per proteggere e garantire la tradizione ed essere tradizionalisti, anzi; se la religione in questione è cristiana vi saranno sempre svariati ostacoli sulla via di una completa autoaffermazione tradizionale. Questo perché il cristianesimo, pur essendo radicato in Lombardia da quasi 2.000 anni, resta un corpo estraneo partorito dal Medio Oriente, e incarna dei valori incompatibili con la schietta e genuina civiltà europea, per quanto essa possa essere stata cristianizzata. Non solo, dunque, la tradizione deve svincolarsi dalla religione, sussistendo benissimo senza di essa, ma quest’ultima può anche diventare un problema, se parliamo di coerenza identitaria.

Si ritiene troppo spesso che senza cattolicesimo non esista tradizione, ma questa è una scempiaggine. Si può dire che senza cattolicesimo non esista una tradizione cattolica, ma di quest’ultima non abbiamo affatto esigenza. La nostra vera, immortale, eredità è quella indoeuropea, ed è proprio ai padri indoeuropei che dobbiamo fare riferimento. Molti degli elementi identitari e tradizionalisti che colleghiamo al cristianesimo sono, in realtà, un prodotto culturale indoeuropeo: il patriarcato, lo spirito virile, il piglio guerriero, la monogamia, il ruolo particolare della donna (certo non primario, ma nemmeno svilito, alla semitica) fanno parte del nostro retaggio ariano, per quanto la Chiesa possa essersene impossessata.

Dura a morire, quindi, la convinzione che senza cristianità non possa sussistere alcuna forma di tradizione, nonostante che proprio per via del cristianesimo sia, anzitutto, morta la tradizione pagana e, in secondo luogo, sia stato pervertito lo spirito dei padri. Pervertito perché mischiato senza capo né coda con tutto il bagaglio abramitico, dunque semitico, del culto di Cristo. Esistono delle religioni tradizionali, in senso europeo? Assolutamente sì, sono quelle gentili, frutto della temperie culturale indoeuropea e profondamente intrecciate con la sottorazza europide. E in tal senso direi che se un europeo, o lombardo, sentisse il bisogno di realizzare la propria spiritualità, coerentemente con il lignaggio bianco, potrebbe tranquillamente rivolgersi alla gentilità.

La cosa non mi riguarda, essendo laico, ma esiste l’errata convinzione che il paganesimo sia un brulicare di perversione, orge, omosessualità, promiscuità, come se i valori patriarcali, tradizionali ed eterosessuali, circa la salutare normalità della natura, fossero appannaggio dei culti semitici. Per quanto il sottoscritto non sia, appunto, religioso, cristiano o pagano che sia, è doveroso difendere i culti tradizionali dei padri dalle infamanti accuse levantine, soprattutto se pensiamo a chi, notoriamente, popoli seminari, chiese ed oratori… Del resto, qualcosa come il mos maiorum romano non era certo invenzione cattolica, anzi, il cattolicesimo l’ha abbondantemente parassitato.

Perciò non è necessario rifarsi alla Chiesa per poter avere una propria tradizione e difenderla, esaltando razionalmente la natura e coniugandola mirabilmente con il benessere della comunità etnonazionale. Peraltro, se ci pensate, il cristianesimo non ha alcun rapporto con la natura, prescinde da essa, mentre il paganesimo era profondamente intrecciato ad essa. So bene quanto il neopaganesimo scolori troppo spesso nelle pagliacciate e nel pattume new age, ma questo non è un valido motivo per affossare la rinascenza gentile preferendovi un culto estraneo all’Europa e alla sua vera anima. Non è compito del lombardesimo occuparsi di culti, ma di certo esso ha le idee chiare su cosa sia davvero compatibile con gli europidi.

D’altra parte, i valori tradizionali non hanno bisogno, come si diceva sopra, di un retaggio religioso per affermarsi: un uomo e una donna possono benissimo essere tradizionali senza per forza di cose avere una fede religiosa. Credo proprio che identità e tradizione siano così fondamentali da dover essere abbracciate al di là delle preferenze spirituali, poiché l’integrità, la forza e la salute di una nazione passano prima di tutto dai valori promossi dal nazionalismo etnico. E il lombardesimo non ha alcun dubbio: la tradizione, unita alla natura, porta al rispetto dell’ottica tradizionalista, in tutto e per tutto.

La stessa laicità promossa dal lombardesimo osserva scrupolosamente la contemplazione dei principi identitari e tradizionalisti che forgiano una comunità sana, fondata sulla famiglia naturale e benedetta dal legame eterosessuale tra maschio e femmina, dove il patriarcato sia rispettato e non esistano follie omofile, femministe, del “genere”. E lo stesso lombardesimo promuove gli ideali spirituali intesi come umanesimo identitario che rimetta al centro di tutto la dimensione etnica e razziale dei popoli, condannando l’universalismo cristiano e il relativismo modernista. Per quanto il pensiero lombardista sia etno-razionalista, e in un certo senso materialista (esiste ciò che si manifesta e viene percepito), comprendiamo tranquillamente l’esigenza di coltivare una spiritualità anche in direzione diciamo metafisica, pur non condividendo, a patto che non sia nulla di eversivo.

Ma, personalmente, resto dell’idea che il concetto lombardista di tradizione non abbisogni di Dio o dei – essendo peraltro argomento sterile – ma della concretezza di sangue e suolo, da cui lo spirito. La natura, la ragione, l’identità veicolano l’eredità anche spirituale dei nostri arii padri, che confluisce nell’etnonazionalismo lombardo. Ed è così che ci ergiamo a difesa della nazione, della comunità, della famiglia, in nome della verità assoluta di una tradizione che sia l’emblema radioso della salutare normalità identitaria, tradizionale, civile. Dove il termine ‘civile’ alluda alla cultura plasmata dall’uomo indoeuropeo, e non alla spazzatura progressista dei diritti “umani” e di quelli “civili”. Anche perché il concetto lombardista di umanità ricalca quello scientifico e razziale dell’Homo sapiens sapiens, non dell’essere umano globale e globalizzato.

Odiare ti costa? Solo se non sei un pagliaccio variopinto

Il 17 febbraio del 2020 (1-2 mesi prima del macello che sconquassò la Lombardia, segnatamente la Bergamasca) l’influencer, idolo dei semicolti e tipico ospite da salotto alla Fabio Fazio-so Roberto Burioni venne a cercare il sottoscritto su Twitter per digitare, in calce ad una mia foto in cui elogiavo – non senza un tocco di ironica provocazione – la qualità razziale donatami dalla natura, una trita corbelleria antifascista e antirazzista, smentita dalla stessa scienza che egli esalta. Il mio cinguettio originale, del giorno prima, era il seguente:

«Quando ammiro il mio cranio…»

Sul “Cinguettatore” ho sovente postato mie fotografie (o tavole craniometriche) con lo scopo di illustrare, fra il serio e il faceto, il fascino della disamina craniologica e antropometrica, aggiungendovi una sagace pennellata provocatoria, come in questo caso. Il tweet, dunque, voleva essere da una parte un’orgogliosa rivendicazione delle proprie origini biologiche (che ai popoli europidi, ai bianchi, è preclusa) e dall’altra una fustigazione di quel patetico cupio dissolvi che affligge il maschio bianco “cis-” eterosessuale (e normodotato), accusato dall’Occidente auto-genocida di essere il responsabile delle peggiori nefandezze.

Apriti cielo. Dopo aver pubblicato tale post si scatenò una gazzarra indecente, vergognosa, delinquenziale raggiungendo oltre 1.500 commenti. La stragrande maggioranza delle interazioni non fu altro che una sterminata sbrodolata acida di insulti, diffamazioni, prese per i fondelli con la bava alla bocca, biliosa isteria e, soprattutto, di sguaiato ricorso al più osceno body shaming. E questa cosa è certamente la più indicativa del delirio collettivo messo in scena, poiché, come potete immaginare, gli odiatori da tastiera intervenuti appartengono alla galassia del disagio liberal, cioè a quel pulviscolo umano che da mane a sera denuncia la torva derisione sessista dell’aspetto fisico.

Ma si sa, se il bersaglio è un “diverso” partono gli inni a Norimberga e piazzale Loreto, se invece è un “nazi” o un “fascio”, o più semplicemente uno che esprime dissenso nei confronti del regime woke, non c’è scrupolo petaloso che tenga, e il linciaggio mediatico diventa buono e giusto, sacrosanto. Questo deve essere stato lo stesso pensiero di alcune pagine Facebook antifasciste, gestite da illuminati semicolti ossessionati dall’analfabetismo funzionale (una delle tante idiozie alla Eco partorite dai reggicoda del sistema mondialista, per giustificare la svendita delle loro terga a chi, da oltre 75 anni, tiene per le gonadi l’Italietta dei Badoglio), che ripresero il commento di Burioni al mio tweet affermando che mi avrebbe “blastato”.

Ecco, anche l’imbecillità di tale termine ibrido (segnale della sudditanza e dell’imbastardimento dell’idioma di Dante a vantaggio della lingua della globalizzazione) la dice lunga sulla prostituzione ideologica dei castigamatti di regime, pupazzi piegati a 90° di fronte alle presunte autorità intellettuali e morali sulla cresta dell’onda, sommi sacerdoti del novello dogmatismo oscurantista: quello del pensiero debole. I gestori delle suddette pagine non si peritarono di dare in pasto alle torme di scalmanati omologati le mie parole e la mia immagine, a riprova di quanto la superiorità morale antifascista – liberale o progressista – sia una venefica menzogna, su cui si fondano intere istituzioni. Odiare ti costa? Sicuro, a meno che tu sia un pagliaccio variopinto.

Tra i livorosi commentatori di Twitter spiccarono alcuni tizi con tanto di profilo verificato (non si sa per quale ragione, visto che sono sconosciuti ai più, ma probabilmente la spunta blu – ante Musk – è una sorta di segno di riconoscimento tra caproni conformisti), su tutti Roberto Burioni, appunto, e Luca Bizzarri. Col secondo ebbi un protratto botta e risposta, ma i giullari del sistema non meritano qui ulteriore considerazione. Veniamo, piuttosto, alla scontata replica del fenomeno virologico di Pesaro, riportata qui sotto (e badate bene che nessuno l’aveva cercato, ne ha di tempo da sprecare, il narcisistico dottore):

Ipse dixit

Premessa: il Sizzi non è un antropologo, e uno scienziato, ma quando parla di razze sa ciò che dice, a differenza di quanto vorrebbe far credere il virologo vanesio prestato alla tuttologia, e venerato siccome feticcio dai contemporanei discepoli di positivismo e scientismo. Al personaggio altamente politicizzato, replicai che le razze umane (o meglio ancora sottospecie umane) esistono in quanto esistono i meticci; ergo, sussistono degli ecotipi originali di partenza. Del resto, fino a prova contraria, anche l’uomo è un animale e ad essere unica (dunque globalmente condivisa) è la SPECIE, non la razza. Roberto, passi le tue giornate ad esaltare la scienza e poi, tra le righe, difendi il concetto antiscientifico di “razza umana”? Andiamo!

Burioni, ovviamente, non replicò; il suo unico intento era quello di farsi un bagno di facili consensi, vellicando il proprio ego con la piaggeria delle larve di Twitter. Sarebbe stato interessante sentire la sua risposta, ricordandogli l’esistenza di farmaci specifici e diversificati a seconda della razza, e di malattie e disturbi tipici di alcuni gruppi razziali. Il nostro ha mai provato a curare l’ipertensione di un congoide con un ace-inibitore? O a somministrare statine ad alte dosi ad un mongoloide? Per non parlare delle intolleranze alimentari… Il ritornello antifa del “siamo-tutti-uguali” è una cialtroneria senza alcun fondamento medico-scientifico.

Curiosamente, il preclaro professore da social, nello stesso periodo in cui gettava alle ortiche il suo prezioso tempo per commentarmi (febbraio 2020, ricordiamo), minimizzava la portata del coronavirus irridendo chi indossava le mascherine e invocava severe restrizioni verso la Cina stigmatizzando la globalizzazione. Non scherziamo, ragazzi: il vero virus è il razzismo. In tempi più recenti, invece, dava dei sorci a coloro che non si vaccinavano e rifiutavano la certificazione verde, auspicandone la ghettizzazione permanente. Se gli araldi della cosiddetta comunità scientifica sono costoro è evidente che qualcosa, dopo il 1945, sia andato completamente storto. Mala tempora currunt.

Io, dal canto mio, mi schiero con tutti quei medici forensi, anatomopatologi, archeologi, paleontologi, osteologi, antropologi e genetisti che parlano ancora tranquillamente di razze umane, non certo coi venditori di fumo che spacciano l’antropologia culturale – fumisteria neomarxista erede di Boas, rimpinzata dalle smentite castronerie di Lewontin – per scienza esatta. E questo perché l’etnonazionalismo, pur diffidando delle derive scientiste e materialiste, deve avvalersi della razionalità e della scienza per corroborare i propri principi: l’identità è anzitutto biologica, dunque razziale.

Infine una nota di colore (no, non in senso sub-sahariano). La sera di quel 17 febbraio 2020, a coronamento della gigantesca canea suscitata dal mio cinguettio, poteva forse mancare la chiamata di Cruciani, supportato dal suo saltimbanco del cuore, lo scappellato Parenzo? La cosa più divertente è che, costoro, partono in quarta introducendo la telefonata con contumelie e derisioni, ma una volta che scatta il confronto in diretta inscenano il solito teatrino fatto di voci sopra la propria, urla, pollaio e uscite da bettola per far deragliare il discorso buttandolo in caciara. In questa occasione, a conferma della propria pochezza, arrivarono a chiudere in fretta e furia la chiamata sbattendomi il telefono in faccia. Una volta messi con le spalle al muro, consci dell’ennesima figura fecale confezionata col sottoscritto, un epilogo del genere è una comoda via di fuga*.

* Di tenore analogo l’ultima incursione zanzaresca, datata 27 gennaio 2023 (ma trasmessa ad inizio febbraio), reperibile sul “Tubo”. Oltre al consueto repertorio di cialtroneria assortita – di Parenzo non vale più nemmeno la pena parlare -, venendo a trattare di attualità e craniometria, va notato come il Cruciani, ogni volta, ami ricordare il mio infortunio giudiziario, sottolineando il reato (?) manciniano, di istigazione alla discriminazione razziale; peccato che la condanna verta, anzitutto, sul vilipendio del PdR, e poi sul razzismo. Sempre di ideologia e politica si tratta ma, moralmente, l’odio razziale, e dintorni, potrebbe apparire più riprovevole della lesa maestà. Ad ogni modo, meno male che il caro Giuseppe sarebbe un baluardo della lotta contro il ciarpame politicamente corretto e da cultura della cancellazione…

Note filosofiche

Lo sguardo di Sizzi sul mondo

Non ho particolari autori di riferimento se non la natura: il sangue, il suolo, lo spirito, me stesso. Non credo ci sia bisogno di ispirarsi a qualcuno per maturare una propria visione del mondo e prendere posizione nei vari campi che ci stanno a cuore; spesso basta il buonsenso, ma è chiaro che questo deve essere corroborato da una buona cultura generale e, soprattutto, da una visuale personale sulla vita che passi anche per l’esperienza quotidiana del contatto sociale.

In questo senso gli autori e studiosi classici dell’area etnonazionalista, identitaria e tradizionalista sono assai preziosi, soprattutto se al centro dell’azione (meta)politica mettono il sangue. Più che per me, lo dico per le giovani generazioni, oggi facili prede di cattivi maestri che si fanno alfieri della temperie mondialista.

La mia attuale visione filosofica della vita e del mondo, la mia Weltanschauung, nasce da un percorso di maturazione che mi ha portato dall’impostazione cattolica postconciliare delle origini, spesso banalmente reazionaria e bigotta, all’amore per la verità che solo le dottrine völkisch sanno infondere compiutamente.

Prima, diciamo fino ai 22 anni, il mio mondo ruotava, un po’ prosaicamente, attorno ai valori della triade Dio-patria-famiglia, laddove Dio sta per il Dio di Gesù Cristo (in chiave cattolica annacquata), la patria sta per un’Italia neoguelfa (campanilista e regionalista, dunque) e la famiglia sta per la famiglia cattolica tradizionale timorata di Dio.

Per carità, va detto che crescendo con questi valori ho preparato il terreno alla mia visione del mondo rinnovata, e ho vissuto un’adolescenza e una prima gioventù integerrime di fronte alle tentazioni mondane della corruzione che nascono dal tipico nichilismo e relativismo dell’ambito giovanile occidentale.

La fede cattolica – ancorché postconciliare – tramandata dai vecchi mi ha sicuramente preservato dai veleni del mondo (non solo quelli blasfemi, s’intende) e a suo modo mi ha consentito poi di spiccare il volo verso lidi più seriamente tradizionalisti e anti-mondani, nonché coerenti con la mia genuina indole identitaria; pertanto non mi sento di rinnegare nulla della mia formazione etica e spirituale, ed è stato un bene crescere fino ad un certo punto cattolico “da manuale”; se non fossi stato educato cattolicamente e in maniera conservatrice, forse, oggi sarei in pasto al neomarxismo, al liberalismo, all’indolenza totale, al pecoronismo qualunquista, all’epicureismo.

La mia personale esperienza cattolica (forse più esteriore che intima) mi ha indubbiamente instradato verso i valori maturi che oggi difendo a spada tratta e che vorrei infondere e tramandare ai posteri. Sarò sempre grato a mio padre, mia madre, i miei vecchi per l’educazione ricevuta e non oso immaginare cosa sarei oggi se fossi cresciuto in una famiglia borghese al passo coi tempi, “illuminata”, lacerata da separazioni e divorzi e, soprattutto, da principi ispirati alla moderna temperie liberal e antifascista.

È sicuramente una questione più culturale che religiosa, perché genuinamente cristiano, in fondo, non lo sono mai stato; all’epoca mi son sempre dichiarato una sottospecie di crociato in perenne lotta con la dilagante corruzione modernista che fa scempio tra i giovani. Ed in questo, sicuramente, l’educazione famigliare è stata fondamentale perché la spartana mentalità alpina dei miei consente di mantenersi integri di fronte alla depravazione, e conservatori (nel giusto) di fronte all’eradicazione dell’identità e della tradizione. Tuttavia, va detto, i miei genitori non hanno mai approvato gli estremismi del sottoscritto, segno di una certa autonomia sizziana rispetto all’impostazione classica della famiglia.

Staccandosi dal cordone ombelicale del pensiero famigliare, è avvenuta la mia maturazione, frutto di meditazione, riflessione e presa di coscienza davanti alle sfide del futuro che mi e ci attendono. Oggi, come sapete, rigetto l’anticristianesimo, ma per una decina di anni decisi di assumere un punto di vista ostile alla religione cristiana, allora accusata di essere un corpo estraneo anti-europeo contrapposto al pensiero völkisch. Ma era un’esagerazione controproducente: a ben vedere non esiste contraddizione tra fede cattolica romana (o ambrosiana) tradizionalista – preconciliare – ed etnonazionalismo.

Nel 2009 ritenni necessario abbandonare la fede cristiana perché la giudicai inconciliabile con l’ideologia razzialista e nazional-sociale, preferendovi un tradizionalismo paganeggiante più in linea con le radici precristiane dell’Europa; volli essere coerente con il radicalismo völkisch adottando il solito repertorio neopagano che accusa, in maniera indistinta, il cristianesimo di essere una fede “abramitica” scaturita dall’ebraismo, di avere lo stesso dio dei giudei, di fondarsi su una figura (Gesù Cristo) di origine ebraica e di adottare una morale buonista, ecumenista, progressista, terzomondista, egualitarista, immigrazionista per nulla indoeuropea.

Per inciso: sono accuse, quasi del tutto, campate per aria, provenienti da ambienti troppo spesso pagliacceschi che riciclano in salsa tragicomica le argomentazioni nicciane o nazionalsocialiste, senza oltretutto distinguere tra le varie forme di cristianesimo e tra cattolicesimo tradizionale e modernista. La cosa, forse, più singolare è che mentre accusano il cristianesimo di essere irrazionale, superstizioso, fanatico e oscurantista (come pidocchi sessantottini qualsiasi) ricostruiscano – non si sa bene su che basi – un credo abbandonato dagli stessi gentili e interrotto da quasi 2000 anni; credo che, oltretutto, non era certo più razionale della fede cristiana, tra mitologia, politeismo, sacrifici umani, baccanali, orge ed eccessi di ogni tipo. Per non parlare della critica alla religione cristiana di essere molle, disfattista, masochista, femminea, smentita non solo dalle tendenze bisessuali, omosessuali, pederastiche e matriarcali del mondo classico ma pure dalla storia, antica e recente, dell’Europa cattolica (od ortodossa).

Ai tempi, il sottoscritto non ci andò troppo per il sottile, anche perché profondamente disgustato dagli scempi postconciliari di una Chiesa sradicata, scesa a patti con il sistema mondialista, che lo indussero a rompere con gli ambienti parrocchiali. Pur non aderendo a gruppi di ispirazione neopagana, o convertendosi alle pasticciate credenze da essi propugnate, simpatizzai per le pulsioni identitarie in chiave gentile, sviluppando una forma di irreligiosità verso il monoteismo “straniero”. Tuttavia, rigettai l’ateismo militante, dal puzzo marxista, e l’agnosticismo dei borghesi.

Col senno di poi, posso dire che distaccarsi dal cattolicesimo postconciliare (e dallo stantio bigottismo provinciale) fu più che comprensibile, in quanto scelta meditata a lungo e non certo frutto di un colpo di testa. Ma sull’anticristianesimo paganeggiante meglio stendere un velo pietoso; o si è l’imperatore Flavio Claudio Giuliano o qualsiasi attacco postmoderno alla fede in Cristo finisce per diventare un favore agli anticristiani per antonomasia, che non sono certo quattro spostati neopagani. Rispetto la gentilità, non la sua parodia modernista (plasmata su internet), senza dimenticare che lo spirito solare ariano è confluito nel cattolicesimo romano. Le storture “cattoliche” che abbiamo sotto agli occhi oggi sono il prodotto del Concilio Vaticano II: Paolo IV, Pio V, Pio XII non possono essere confusi con Roncalli, Wojtyla e Bergoglio.

Certo, i valori tradizionali del cattolicesimo non sono solo quelli patriarcali, conservatori, identitari, guerrieri, eurocentrici (oggi rinnegati dalle sciagure bergogliane, principiate col mio famigerato conterraneo) ma anche quelli più squisitamente evangelici come l’amore, la pace, il perdono, la carità sebbene lo stesso Cristo non fosse di certo un pacifista e un buonista amante dei compromessi. Fermo restando che amore e perdono, o carità, hanno senso tra singoli, non tra Stati, e che la politica nazionale di un Paese deve essere ispirata al patriottismo, non al catechismo.

E per quanto riguarda le bubbole delle “radici giudaico-cristiane”, dei “fratelli maggiori” e del “cristianesimo eresia dell’ebraismo” basti dire che la fede cristiana è stata plasmata nel mondo greco-romano (Europa), che accostare giudaismo e cristianesimo è ossimorico e che il concetto corrente di ebraismo è qualcosa di medievale; ai tempi di Gesù (che nemmeno era un locutore dell’ebraico) aveva un senso parlare di tradizione mosaica, non di ebraismo, una religione moderna basata su Talmud, cabala e Torah (che non è la Bibbia). Cristo era ebreo? Gli avete scattato foto o fatto un esame dell’ADN? Inoltre, per un cristiano, la vera fede è quella nel Dio (trinitario) del Nazareno, l’unica alleanza tra il divino e l’umano è la nuova ed eterna Alleanza e il vero popolo “eletto” è quello cristiano. I giudei, uccidendo Gesù, si sono chiamati fuori da tutto questo. In che modo, dunque, il cristianesimo sarebbe un prodotto del giudaismo?

Personalmente, allo stato attuale delle cose, sebbene mi sia pacificato con le mie radici, non mi ritengo religioso, praticante, cristiano e per quanto di formazione cattolica il mio punto di vista non risente di influenze clericali, anche perché ho una concezione laica (non laicista) della politica. Va da sé che in Lombardia sarei disposto a tollerare solo il cattolicesimo tradizionale e una rinascenza pagana dei culti precristiani indigeni (anche se sono alquanto scettico al riguardo) e che la mia idea di laicità non ha nulla a che vedere con le cretinerie giacobino-massoniche dei liberali e dei democratici. Le radici dell’Europa affondano nella gentilità ariana e nella romanitas cristiana, non nell’Illuminismo, nelle rivoluzioni borghesi, nel giudeo-bolscevismo e nell’europeismo di cartapesta defecato dall’antifascismo.

Ad ogni modo, dopo i 22 anni, abbandonando gradualmente la fede cattolica (postconciliare) e la visione politica banalmente reazionaria e conservatrice, mi sono concentrato di più sulle verità di scienza, non di fede: l’uomo e la natura. Capiamoci: non l’essere umano inteso come apolide animale planetario (l’unico animale a non avere razza, stranamente) ma come uomo europeo plasmato dalla natura continentale.

Gli uomini non sono di certo tutti uguali, sono suddivisi in razze, che a loro volta sono suddivise in sottorazze, ibridazioni fenotipiche, etnie e quel che a me sta a cuore è la situazione europea, segnatamente cisalpina, che è il territorio di competenza della Grande Lombardia delineata dal sottoscritto sin dal 2006.

Inizialmente, più che sentirmi lombardo, tendevo a rinchiudermi nel guscio del campanilismo bergamasco che non rinnega l’italianità. Il localismo esasperato, in un certo senso, è un sottrarsi alle responsabilità maggiori etnonazionali, senza peraltro mettere in discussione l’innaturale baracca del tricolore.

Ora invece, grazie al percorso di crescita che mi ha consentito di maturare una visione comunque indipendente rispetto al retaggio famigliare (religioso e anche filosofico-politico), posso dirmi lombardista ed etno-europeista, assumendo posizioni eurasiatiste focalizzate su di un cameratismo “imperiale” tra Europa occidentale, Europa orientale e Federazione Russa. L’impero confederale degli europidi va mantenuto, assieme ai buoni rapporti con tutti gli individui di razza bianca, non rinnegati, sparsi per il globo.

Al centro della mia visione filosofica c’è l’Europa, rappresentata dal sangue e dallo spirito e concretizzata nelle sue comunità etnonazionali e nel loro suolo patrio, che unendosi al sangue della stirpe ne ha plasmato il carattere, l’indole, la cultura, la civiltà. Questo non per razzismo o suprematismo bianco, ma per coscienza identitaria.

Tutto deve ruotare attorno al concetto di identità che significa insieme di caratteristiche fisiche e genetiche tipiche di un gruppo di popoli e trasmissibili per via ereditaria; un concetto che include sangue-suolo-spirito, la triade tradizionalista che preferisco, essendo “Dio-patria-famiglia” inflazionata dal pensiero clerico-fascista. Non che la spiritualità, il patriottismo e il patriarcato siano superflui o scontati, anzi! Dipende però da come vengono inquadrati perché il sottoscritto non si riconosce nella reazione, nel nazionalismo italiano e nel fascismo. Nell’ottica etnonazionalista – la mia – il dato religioso e spirituale (pagano e cattolico) rientra in sangue-suolo-spirito, e così patria e famiglia, ispirate alla vera identità e alla vera tradizione (cioè senza degenerazioni tricolori, mediterraneo-levantine e fascistoidi).

“Identità” significa concretezza, contrapposta a tutte le balle di comodo religiose, politiche, filosofiche atte a giustificare la globalizzazione, il multirazzialismo, il relativismo, il pluralismo genocida che distrugge l’Europa in cui i veri identitari credono. E a giustificare anche finte nazioni, come l’Italia, che sono funzionali al sistema mondialista e allo status quo.

Se non ci basiamo sul razionale, ripeto, razionale culto dell’Europa come continente plasmato dalla razza europide e dai popoli di identità biologica europea – figli di sangue e suolo natii – e dunque su una sorta di etno-razionalismo, su cosa vogliamo poggiare la nostra filosofia di vita? Sulle menzogne del politicamente corretto, del buonismo e di religioni moderniste piegate al volere dispotico del sistema-mondo? La razionalità, e il realismo, non sono in contraddizione coi valori spirituali, fondamentali per evitare di farsi risucchiare dal positivismo e dal materialismo zoologico. Fede e ragione sono compatibili, e il connubio potrebbe evitare tanto i fanatismi teocratici da Medio Oriente quanto le degenerazioni atee e laiciste (non meno feroci dell’oscurantismo clericale).

Chi vuole vivere per davvero, nel pieno senso del termine, esalta la genuina identità e tutti i suoi ideali e valori; chi vuole lasciarsi vivere, invece, esalta acriticamente il pervertimento dell’universalismo (che, di base, non è cosmopolitismo nichilista) e il conseguente annientamento di ciò che viene sprezzantemente liquidato come particolarismo, dunque la verità e la natura di una nazione. È il quieto vivere delle amebe standardizzate ed imbastardite dall’idolatria consumista e capitalista, nemica non solo dell’uomo – e dei suoi principi più sacri – ma anche dell’ambiente naturale che lo circonda, del pianeta terra. E, purtroppo, nessuno si sottrae a questa satrapia globalista, tantomeno la Chiesa stravolta dalla rivoluzione dolciastra di Giovanni XXIII che ha barattato col volemosebbene la coerenza di un cattolicesimo tradizionalista nemico giurato della modernità.

Alla luce di tutto ciò, diciamocelo: se Roma non rinnegherà il CV II l’ipotesi di una Chiesa nazionale lombarda autocefala – parte comunque del mondo religioso latino – non sarebbe idea poi così peregrina e balzana.