Lombardia futura

Dal satellite

Quale futuro per la nostra amata nazione?

Oggi la Lombardia tramutata in regione artificiale dello stato italiano, e priva dei suoi restanti territori etnici e storici, versa in condizioni critiche per colpa del sistema-Italia e del sistema-mondo che l’hanno ridotta ad una babele, barbaricamente sovrappopolata, inquinata e cementificata.

Avanti di questo passo non ci può che essere l’ecatombe di quel che rimane del nostro povero popolo, soprattutto nelle zone peggiori che ruotano attorno alle grandi città come Milano, Brescia, Monza e Bergamo.

Del tutto inutili partiti e movimenti d’opinione di matrice vetero-leghista o autonomista, perché la loro attenzione cade esclusivamente su questioni economiche e sociali che alla lunga risultano banali, piccole piccole, irritanti, come se il problema globalista si riducesse a faccende pecuniarie e di benessere materiale; non serve a nulla quel soggetto politico che se ne frega del sangue e del suolo, dello spirito della nostra patria, appiattendo tutto sul piano del capitale. E poi, ovviamente, l’autonomismo è soltanto una farsa propagandistica e finanziaria: la vera Lombardia ha bisogno di indipendentismo.

Diversamente, l’accento va posto proprio sul problema etnico, ambientale e culturale della Lombardia, che ogni giorno che passa viene lentamente divorata dagli agenti internazionalisti del cosmopolitismo genocida, dell’egualitarismo, del terzomondismo, del pietismo, del capitalismo sfrenato, del progressismo, del liberalismo dei neo-con e degli schiavi dell’eresia giudaica vaticana.

Calci nel sedere a chi ci consegna nelle grinfie del mondialismo, svendendoci per denari imbrattati dal sangue del nostro innocente popolo, macellato dai burattinai dello status quo; tenetevi il vostro progresso, la vostra ricchezza, la vostra democrazia, la vostra tecnologia se questi comportano la distruzione della terra cisalpina e l’inesorabile genocidio dei granlombardi, sacrificati dai sacerdoti abramitici sull’altare del moloc finanziocratico, in nome dei peggiori disvalori modernisti tutti basati sul culto del soldo, sul consumismo, sull’edonismo, sul rovesciamento dell’ordine e della moralità di stampo indoeuropeo (di quella cristiana ce ne freghiamo altamente).

Non ci può essere alcun roseo futuro per la Lombardia, avanti di questo passo.

Si prefigurano scenari desolati e desolanti in cui a farla da padrone saranno gli allogeni, gli squali, i rossi contemporanei, i banchieri, e tutte le marionette del politicamente corretto e dell’ideologia woke sul libro paga della sovversione universalista, dunque gente come i preti postconciliari.

La nostra nazione, anche solo nella sua versione monca, sarà letteralmente sbranata dall’industrializzazione selvaggia, zavorrata dall’immigrazione incontrollata e dal dilagante meticciamento, avvelenata dall’inquinamento di ogni tipo e dalla cementificazione, oppressa dallo squilibrio demografico rappresentato da milioni di immigrati che schiacciano quella che oggi è ancora maggioranza, ma un domani? Che poi, in certe zone insubriche, maggioranza non è più.

La Lombardia, come il resto dell’Europa avanzata, finirà stritolata dal “progresso”, e non solo nelle città e nei loro hinterland, ma anche nelle loro province, financo nei territori collinari, montani, selvaggi, oggi incontaminati quasi del tutto. Ma ancora per quanto?

Se continueremo a lasciarci prendere pel naso dall’Italietta repubblicana, dallo stellato panno della Ue, degli Usa, di Israele, dalla Chiesa e dal cristianesimo e da ogni nefasta ideologia relativista, il nostro destino apparirà inevitabilmente segnato, e per la Lombardia sarà la fine: ogni traccia di identità e tradizione sparirà col suo popolo e lo stesso suolo patrio cambierà nome e connotati per sempre, ridotto a succursale delle agenzie apolidi che spacciano globalizzazione per benessere eco- ed etno-sostenibile.

Nel medesimo modo anche Lega Italia, leghe patacca e finti indipendentisti servi della Ue e dei suoi principali scagnozzi contribuiscono al genocidio (o auto-genocidio?) lombardo, perché ormai totalmente disinteressati alla questione etnica, e tutti indirizzati alle ben più comode e quiete mene economiche; la Lombardia deve assolutamente liberarsi da Roma ma cambiare bandiera senza cambiare, parimenti, la condizione delle genti, equivarrebbe comunque a rimanere tra gli artigli dei nemici atlantisti e mondialisti. Diffidate di chi vi spaccia autonomie e secessioni, prive di autoaffermazione identitaria, per libertà, poiché la stirpe viene prima dei quattrini.

Non mi stancherò mai di dirlo: più urgente dell’azione politica è quella culturale, dottrinaria, filosofica, metapolitica, in chiave lombardista, perché solo così abbiamo l’opportunità di rigenerare, in direzione völkisch, la res publica. Una politica lombarda che la faccia finita col cialtronesco fenomeno leghista e, soprattutto, con quella stucchevole concezione fascio-nazionalista, in senso tricolore, spesso e volentieri veicolata dagli allogeni italiani. La Lombardia non è Italia, Roma è una capitale straniera, ed è tempo di battersi, senza più equivoci, per l’affrancamento identitario, tradizionale e comunitario delle plaghe alpino-padane.

Solo con una salutare rieducazione dei lombardi alla presa di coscienza etnicista, specie dei più giovani, si può pensare seriamente di salvare il salvabile sconfiggendo i diuturni nemici delle vere nazioni, perché anche se tutto pare contro di noi nulla è perduto finché vi saranno lombardi e lombarde pronti a combattere per la vittoria e la salvazione di sé stessi e della comunità nazionale cisalpina.

Ci sono centinaia di associazioni che si occupano di (innocua) cultura, ambiente, flora e fauna, beni artistici, cibo, volontariato ecc., ma ce ne fosse una che si batte per la cosa più importante di tutte: la consapevolezza di avere nelle proprie vene sangue lombardo, con tutte le ovvie implicazioni in termini di spirito d’appartenenza.

Eh no, sarebbe “razzismo”, perché chi comanda ci vuole divisi, rimescolati, smemorati, privi di identità e tradizione, senza lingua e cultura, e dunque deboli e sradicati: solo l’identitarismo etnico, dunque l’etnonazionalismo, avversa il mondialismo e i suoi diabolici scherani.

Insubrici, orobici, emiliani, piemontesi, uniti a romagnoli, liguri, tirolesi, veneti, friulani, giuliani (in una parola cisalpini) fanno tutti parte della medesima inclita nazione, che è la Grande Lombardia; appartenervi non è mica una vergogna sapete? O preferite davvero svendere una delle regioni storiche che è parte del cuore della civiltà europea per lasciarvi lavare il cervello dalla retorica e dalla propaganda italianiste, incentrate su caratteristiche che appartengono solo ed esclusivamente agli italiani etnici, al centrosud?

Non siamo italiani, svizzeri, austro-ungarici, francesi periferici, tedeschi di serie B, bensì lombardi e abbiamo il diritto, ma soprattutto il dovere, di combattere a spada tratta contro ogni nemico che ci impedisce di realizzarci e di liberare la Lombardia dal giogo forestiero, pseudo-nazionale o internazionale che sia, il quale alla lunga ci conduce alla tomba per sfinimento.

Viva l’Italia? Ci può stare, ma senza di noi, per il semplice fatto che non siamo italiani (se non, purtroppo, politicamente, ad oggi); l’attuale stato italiano rappresenta soltanto la Saturnia tellus, e dunque il centrosud genuinamente italico, e nella Cisalpina ha posto in essere una sorta di occupazione e colonizzazione, a scapito dell’elemento indigeno. A Roma sanno benissimo che la Padania non sia sorella della penisola, ma a certe latitudini fa indubbiamente comodo poter mungere l’antica Gallia a sud delle Alpi…

Vogliamo essere lombardi in tutto o per tutto o continuare a fungere da muli che pensano solo a sgobbare e a fare soldi, in nome del catastrofico mito del fatturato?

Se la Lombardia si vuole salvare ha unicamente una via, da dover percorrere, ed è quella dell’etnonazionalismo, logicamente indipendentista, che mediante comunitarismo e pensiero völkisch, nonché razionalismo mai sganciato dal Blut und Boden, si batta per l’autodeterminazione etnica del popolo lombardo, magari all’interno di una sacrosanta cornice confederale euro-siberiana, la nostra grande famiglia imperiale. Una nazione è un insieme di popoli relativamente omogenei e compatibili, e non si può negare che dopo 4.000 anni di storia esista una nazionalità padano-alpina plasmata dal Mediterraneo settentrionale, dalle Alpi, dagli indoeuropei Celti e Veneti, dalla romanità assorbita dai Galli di Cesare, e infine dai Longobardi del Regno. Da cui la Lombardia medievale, storica.

Quella suindicata è una via irta di ostacoli, certo, ma quale cammino che valga la pena di battere non lo è?

Ciò che è facile il più delle volte è anche fallace; ciò che invece è difficile è meritevole di essere affrontato e di essere domato, grazie ad una incrollabile fame e sete di verità, libertà, sicurtà. I separatismi alla leghista, farseschi e meramente dettati da questioni economiche e di welfare, si macchiano di meretricio progressista o liberista. Ma qui non si tratta di separare alcunché, dal momento che la nazione lombarda non è il nord di un bel nulla.

Lottiamo per una Lombardia lombarda, non italiana o europea in senso artificiale, libera da Roma e da ogni altro ente mondialista. Solo così potremo garantire ai nostri figli e ai posteri un avvenire radioso fatto di identitarismo, tradizionalismo, nazionalismo etnico, sotto l’egida della vera Europa dei popoli, delle reali nazioni indoeuropee, che non è la caricaturale Europa degli stati-apparato ottocenteschi, o dei francobolli libertari cari a leghisti e “handipendentisti”.

Lombardia aria, gentile, unita in tutte le sue parti, e ovviamente europide, fino alla vittoria e alla palingenesi patriottica!

Lombardesimo e cristianesimo

Il rapporto del lombardesimo nei confronti del cristianesimo non può che essere di critica e di condanna, alla luce dell’estraneità identitaria cristiana al cospetto della civiltà europea. Potrebbe sembrare azzardato, ma le radici dell’Europa non sono affatto cristiane, e nonostante circa 2.000 anni di radicamento clericale nel continente, il monoteismo abramitico, cui il cristianesimo appartiene, resta decisamente un corpo estraneo. Innegabile che l’identità lombarda ed europea risenta dell’influenza della Chiesa, ma a ben vedere quando si parla di culti per davvero tradizionali non si può certo alludere alle religioni monoteistiche frutto del Levante. Ne consegue la netta presa di distanza lombardista dal mondo cristiano che, peraltro, ha rappresentato a suo modo una sciagura.

Il cristianesimo è un’eresia del giudaismo primigenio, fondata da un personaggio di dubbia storicità, Gesù di Nazareth, proclamatosi figlio del dio ebreo. Una religione, dunque, semitica, sorella di ebraismo e islam, trapiantata in Europa in epoca romana per opera di individui levantini (non solo di origine) e la cui essenza risulta aliena alla spiritualità primigenia del nostro continente. L’invenzione del dio unico, e cioè dell’universalismo abramitico, è stata un’anticipazione del mondialismo, e cioè di una forma di assolutismo superstizioso votato all’eradicazione e alla distruzione dell’identità genuina dei popoli europei.

La portata del cristianesimo è stata perciò altamente distruttiva nei riguardi dell’Europa, perché oltre all’importazione di un credo alieno plasmato da giudei dobbiamo registrare l’imposizione di valori, ideali e principi che hanno spalancato le porte, oltre che all’universalismo, all’umanitarismo, all’egualitarismo, al cosmopolitismo e, indirettamente, a progressismo e relativismo poiché il monoteismo abramitico sacrifica sull’altare di Geova sangue, suolo, spirito. Può sembrare assurdo, ma è proprio così: progressismo e relativismo si nutrono della morale cristiana, laicizzandola, al fine di creare una nuova religione dispotica sulla falsariga del credo nel dio unico. Ecco perché affermo che da Geova si sia facilmente scivolati nel nuovo oscurantismo.

Pertanto la zavorra cristiana risulta esiziale sotto due aspetti, quello delle radici e quello dei valori. Per non parlare della Chiesa e della sua venefica opera che ha logorato, indebolito e pervertito lo spirito delle nazioni europee, rendendole schiave della superstizione, del terrore della morte e dell’ignoto, della fede in un dio straniero figlio del deserto mediorientale. Chiaramente si parla del passato, dacché oggi, per cagione dell’Illuminismo, l’Europa non crede più in nulla, nemmeno nel valore sacrale del sangue, e il vuoto lasciato dal cristianesimo è stato colmato dal ciarpame modernista che la stessa Chiesa ha finito per spalleggiare, pur di sopravvivere.

Parlando di Lombardia si viene a trattare di cattolicesimo, forma di cristianesimo che, certamente, ha plasmato nel bene e nel male la cultura dei nostri territori. Sarebbe assurdo negare che l’identità lombarda sia anche cristiana ma resta il fatto che il cristianesimo, pure nella versione cattolica, sia frutto d’importazione e sorta di parassitismo che ha attinto a piene mani dal paganesimo, abitando modelli gentili che non appartenevano al credo in Cristo. La fede romana, oltre a legarci mortalmente a quell’odiata città, ha rinsanguato la venefica dimensione dello spirito imperiale, e in effetti se in un certo senso il cristianesimo ha favorito il crollo dell’Impero di Roma, da un altro punto di vista ne ha ereditato la decadenza, ponendo le basi di una nuova schiavizzazione delle genti europee, appiattite sulla linea di una auto-genocida religiosità per “categorie protette”.

Capisco bene che certi identitari lombardi, ed europei, cerchino di conciliare il nazionalismo etnico con il cristianesimo, ma è un’opera inane: o si serve Cristo o l’Europa. Io stesso tentai una sorta di compromesso tradizionalista ma alla lunga si è rivelato tempo ed energia sprecati, che andrebbero infatti impiegati in qualcosa di più costruttivo. Per quanto il cattolicesimo abbia assorbito elementi della solarità indoeuropea, non si può occultare la vera natura della fede cristiana, che resta profondamente estranea, in rapporto alla genuina civiltà ariana; oltretutto, se dovessimo tollerare la Chiesa soltanto per degli echi pagani sarebbe certo molto più assennato ripristinare l’antica fede, senza compromessi.

La galassia cristiana comprende anche ortodossia e protestantesimo. Se la prima, significativamente legata alle popolazioni orientali, riflette la grecità ed è molto più tradizionalista, conservatrice e battagliera del cattolicesimo postconciliare, il secondo è pura depravazione, riflesso della degenerazione nordica e anticamera della mentalità liberal. Ad esso vanno associate tutte le varie sette americane che hanno trasformato la cristianità, già di per sé esecrabile, in un circo di pagliacci e cialtroni asserviti al capitalismo, a cominciare dal calvinismo e dall’immondezzaio dei suoi derivati. D’altra parte, la Riforma fu il ritorno alle primeve radici ebraiche del cristianesimo, la riconciliazione col terribile dio biblico al netto di ogni influsso paganeggiante mediato da Roma.

La morale cristiana ha indebolito, castrato e fiaccato il luminoso spirito che gli europei hanno ereditato dai loro ariani padri, asservendo l’Europa ad un sistema di “valori” devastatori quali fratellanza globale, pacifismo, amore indiscriminato, perdono, disprezzo di sé stessi, umiltà, mortificazione, rinuncia alla solare gioia di vivere e tetraggine pecoronica da catafalco. Per tacere dell’assurdo concetto di “peccato”. Il tutto per un mesto baratto tra la vita terrena – esistente – e quella – inesistente – oltremondana, facendo leva sugli strati più poveri e deboli della popolazione. Del resto il cristianesimo è stato un ottimo mezzo di controllo del popolo, epoche addietro, terrorizzato dallo spauracchio dell’inferno ed inchiodato, con cristiana (appunto) rassegnazione, alla condizione di minorità fortemente voluta da ceti parassitari quali nobiltà e clero, trono e altare.

Oggi l’Europa, secolarizzata fino al midollo, si è lasciata la fede in Cristo alle spalle, sostituendola purtroppo con materialismo irrazionale, edonismo, progressismo, consumismo e relativismo, mentre la Chiesa di Roma può contare sullo sterminato bacino dei fedeli del sud del mondo. Anche per questa ragione l’identitario lombardista deve liquidare il cattolicesimo – che è universalismo già a partire dall’etimologia del nome – perché non è possibile professare una religione andando a braccetto con sudamericani, negri, levantini, filippini (e pure sud-italiani). Bisogna scegliere, pure per una questione di coerenza, ed è inutile cercare di conciliare l’inconciliabile.

Non ho rinunciato del tutto all’idea della Chiesa nazionale ambrosiana, di cui avrò modo di riparlare compiutamente, ma va da sé che per il cristianesimo non ci possa essere posto nell’ideologia lombardista, pena il sacrificio della coerenza, della maturità, della radicalità etnonazionalista. Se proprio il popolo lombardo ambisse ad una forma di spiritualità che soddisfi la sua sete di infinito (per chi ci crede, ovviamente) questa non può che essere la gentilità celtica, gallo-romana, longobarda, nonostante l’etno-razionalismo sia comunque la posizione ufficiale, in materia di metafisica, del lombardesimo.

Lasciamo dunque perdere il cristianesimo e la cristianità, intollerabili al cospetto della visione del mondo etnicista, e riscopriamo la solare, virile, combattiva, patriarcale e genuinamente tradizionale etica indogermanica, nella consapevolezza che per un salutare conservatorismo identitario non serva assolutamente invischiarsi nella pania clericale, bensì rivalutare tutti quegli aspetti culturali e civili che afferiscono alla dimensione indoeuropea dell’esistenza. Per condannare ed eliminare i disvalori contemporanei non abbiamo affatto bisogno del cristianesimo, perché esso stesso è complice dell’estinzione, biologica e culturale, delle nostre genti.

La tradizione secondo il lombardesimo

Nonostante il lombardesimo prenda le distanze dalla religione, specie se abramitica (ebraismo, cristianesimo, islam), mantiene una visuale fortemente tradizionalista, nel senso che identità e tradizione costituiscono un binomio fondamentale nell’ottica dell’etnonazionalismo lombardo. Sull’identità non vi è alcun dubbio: il lombardista difende a spada tratta l’etnicità e la cultura lombarde e plasma un identitarismo nettamente etnicistico. Circa la tradizione può esservi qualche equivoco, facilmente risolvibile, perché troppo spesso si crede che tradizione e religione vadano di pari passo, sebbene non sia necessariamente così. Pertanto, pur mantenendo un profilo laico (se non ostile a certa religiosità), ecco che il lombardesimo si fa baluardo a difesa della tradizione.

Ma quale tradizione, se ci si slega dall’ambito cultuale? Presto detto. Il lombardesimo è tradizionalista nella misura in cui preservi tutti quegli elementi su cui si fonda l’identità etnica e nazionale lombarda: la cultura, la lingua, gli usi e costumi, lo spirito, le consuetudini, la cucina. Inoltre, il lombardesimo è tradizionalista poiché difende la mentalità ereditata dai nostri padri indoeuropei, contro ogni forma di sovversione valoriale. Infatti, ecco che il pensiero lombardista promuove la società patriarcale, la comunità tradizionale, la famiglia naturale, l’eterosessualità, i legami monogamici, l’endogamia, gli innati ruoli di maschile e di femminile.

Insomma, non c’è alcun bisogno di fare riferimento ad una religione per proteggere e garantire la tradizione ed essere tradizionalisti, anzi; se la religione in questione è cristiana vi saranno sempre svariati ostacoli sulla via di una completa autoaffermazione tradizionale. Questo perché il cristianesimo, pur essendo radicato in Lombardia da quasi 2.000 anni, resta un corpo estraneo partorito dal Medio Oriente, e incarna dei valori incompatibili con la schietta e genuina civiltà europea, per quanto essa possa essere stata cristianizzata. Non solo, dunque, la tradizione deve svincolarsi dalla religione, sussistendo benissimo senza di essa, ma quest’ultima può anche diventare un problema, se parliamo di coerenza identitaria.

Si ritiene troppo spesso che senza cattolicesimo non esista tradizione, ma questa è una scempiaggine. Si può dire che senza cattolicesimo non esista una tradizione cattolica, ma di quest’ultima non abbiamo affatto esigenza. La nostra vera, immortale, eredità è quella indoeuropea, ed è proprio ai padri indoeuropei che dobbiamo fare riferimento. Molti degli elementi identitari e tradizionalisti che colleghiamo al cristianesimo sono, in realtà, un prodotto culturale indoeuropeo: il patriarcato, lo spirito virile, il piglio guerriero, la monogamia, il ruolo particolare della donna (certo non primario, ma nemmeno svilito, alla semitica) fanno parte del nostro retaggio ariano, per quanto la Chiesa possa essersene impossessata.

Dura a morire, quindi, la convinzione che senza cristianità non possa sussistere alcuna forma di tradizione, nonostante che proprio per via del cristianesimo sia, anzitutto, morta la tradizione pagana e, in secondo luogo, sia stato pervertito lo spirito dei padri. Pervertito perché mischiato senza capo né coda con tutto il bagaglio abramitico, dunque semitico, del culto di Cristo. Esistono delle religioni tradizionali, in senso europeo? Assolutamente sì, sono quelle gentili, frutto della temperie culturale indoeuropea e profondamente intrecciate con la sottorazza europide. E in tal senso direi che se un europeo, o lombardo, sentisse il bisogno di realizzare la propria spiritualità, coerentemente con il lignaggio bianco, potrebbe tranquillamente rivolgersi alla gentilità.

La cosa non mi riguarda, essendo laico, ma esiste l’errata convinzione che il paganesimo sia un brulicare di perversione, orge, omosessualità, promiscuità, come se i valori patriarcali, tradizionali ed eterosessuali, circa la salutare normalità della natura, fossero appannaggio dei culti semitici. Per quanto il sottoscritto non sia, appunto, religioso, cristiano o pagano che sia, è doveroso difendere i culti tradizionali dei padri dalle infamanti accuse levantine, soprattutto se pensiamo a chi, notoriamente, popoli seminari, chiese ed oratori… Del resto, qualcosa come il mos maiorum romano non era certo invenzione cattolica, anzi, il cattolicesimo l’ha abbondantemente parassitato.

Perciò non è necessario rifarsi alla Chiesa per poter avere una propria tradizione e difenderla, esaltando razionalmente la natura e coniugandola mirabilmente con il benessere della comunità etnonazionale. Peraltro, se ci pensate, il cristianesimo non ha alcun rapporto con la natura, prescinde da essa, mentre il paganesimo era profondamente intrecciato ad essa. So bene quanto il neopaganesimo scolori troppo spesso nelle pagliacciate e nel pattume new age, ma questo non è un valido motivo per affossare la rinascenza gentile preferendovi un culto estraneo all’Europa e alla sua vera anima. Non è compito del lombardesimo occuparsi di culti, ma di certo esso ha le idee chiare su cosa sia davvero compatibile con gli europidi.

D’altra parte, i valori tradizionali non hanno bisogno, come si diceva sopra, di un retaggio religioso per affermarsi: un uomo e una donna possono benissimo essere tradizionali senza per forza di cose avere una fede religiosa. Credo proprio che identità e tradizione siano così fondamentali da dover essere abbracciate al di là delle preferenze spirituali, poiché l’integrità, la forza e la salute di una nazione passano prima di tutto dai valori promossi dal nazionalismo etnico. E il lombardesimo non ha alcun dubbio: la tradizione, unita alla natura, porta al rispetto dell’ottica tradizionalista, in tutto e per tutto.

La stessa laicità promossa dal lombardesimo osserva scrupolosamente la contemplazione dei principi identitari e tradizionalisti che forgiano una comunità sana, fondata sulla famiglia naturale e benedetta dal legame eterosessuale tra maschio e femmina, dove il patriarcato sia rispettato e non esistano follie omofile, femministe, del “genere”. E lo stesso lombardesimo promuove gli ideali spirituali intesi come umanesimo identitario che rimetta al centro di tutto la dimensione etnica e razziale dei popoli, condannando l’universalismo cristiano e il relativismo modernista. Per quanto il pensiero lombardista sia etno-razionalista, e in un certo senso materialista (esiste ciò che si manifesta e viene percepito), comprendiamo tranquillamente l’esigenza di coltivare una spiritualità anche in direzione diciamo metafisica, pur non condividendo, a patto che non sia nulla di eversivo.

Ma, personalmente, resto dell’idea che il concetto lombardista di tradizione non abbisogni di Dio o dei – essendo peraltro argomento sterile – ma della concretezza di sangue e suolo, da cui lo spirito. La natura, la ragione, l’identità veicolano l’eredità anche spirituale dei nostri arii padri, che confluisce nell’etnonazionalismo lombardo. Ed è così che ci ergiamo a difesa della nazione, della comunità, della famiglia, in nome della verità assoluta di una tradizione che sia l’emblema radioso della salutare normalità identitaria, tradizionale, civile. Dove il termine ‘civile’ alluda alla cultura plasmata dall’uomo indoeuropeo, e non alla spazzatura progressista dei diritti “umani” e di quelli “civili”. Anche perché il concetto lombardista di umanità ricalca quello scientifico e razziale dell’Homo sapiens sapiens, non dell’essere umano globale e globalizzato.

L’etno-razionalismo

Uno dei capisaldi identitari del pensiero lombardista è costituito dal cosiddetto etno-razionalismo, sintesi di razionalismo ed etnonazionalismo. L’etno-razionalismo rievoca appunto l’etnonazionalismo unendolo ad un robusto razionalismo, poiché la ragione deve essere il faro che guida l’uomo e i popoli, soprattutto se europidi. Esso contempla anche del salutare realismo, grazie a cui la metafisica viene decisamente messa da parte; noi lombardisti rispettiamo tradizione e spiritualità, comprese le cattoliche, ma è logico che il nostro punto di riferimento sia rappresentato dalla natura e dalla realtà, una realtà che coincida, chiaramente, con la verità. Per le religioni non ci può essere spazio, in senso politico e ideologico, anche se per coerenza etnicista potremmo simpatizzare per i veri culti tradizionali, quelli gentili.

Ma la metafisica, dunque miti e religioni, vanno lasciati alle spalle, per quanto possano essere bagaglio identitario, pure soltanto in senso culturale. La realtà del lombardesimo contempla la ragione, la scienza, la verità, ponendo sangue e suolo come fondamento della nostra dottrina. Questo apre anche ad un materialismo razionale, che non diventi neopositivismo zoologico, si capisce, ma che teorizzi una visione tradizionale slegata dalla zavorra cultuale, specialmente se correlata alle religioni abramitiche, quale il cristianesimo stesso. È evidente come la spiritualità, slegata dalla razza e dall’etnia, incarni un gravissimo problema, perché mira ad annullare l’identità nell’universalismo e in una fede in qualcosa di estraneo all’Europa.

L’etno-razionalismo riconduce tutto alla concretezza del sangue, del suolo e dello spirito inteso come valore umanistico che passa per mentalità, carattere, cultura, lingua, civiltà – parlandone in termini individuali e, soprattutto, nazionali – e non quale principio metafisico. Anche i classici concetti di bene e male vanno inquadrati alla stregua di qualcosa di funzionale all’ottica identitaria e tradizionalista, poiché il bene assoluto è la piena affermazione antropologica e biologica di singolo e collettività, contro ogni nemico dei principi völkisch. Bene è tutto quello che rappresenta un valore positivo ai fini della preservazione e determinazione della razza, e ogni popolo del pianeta dovrebbe sviluppare una simile considerazione. Male è invece la condanna e il decadimento di identità e tradizione, e dunque tutto ciò che simboleggia il fallimento dell’autodeterminazione.

D’altra parte prendiamo le distanze dal manicheismo delle religioni monoteistiche, di matrice semitica, poiché il loro dio, e dunque i loro principi, sono un prodotto di un mondo all’Europa estraneo. L’Europa è la nostra grande, e vera, famiglia spirituale. Il feticcio abramitico, Geova, affonda le radici nell’ambito levantino e riflette perciò la mentalità e gli usi e costumi di popoli agli antipodi della nostra eredità ariana. Credere di poter conciliare il lombardesimo col cristianesimo, nonostante i circa 2.000 anni di cultura cattolica, è una forzatura destinata all’insuccesso, poiché è chiaro: o si serve la vera Europa, e le origini indoeuropee, o si serve Yahvè.

Come detto poco sopra, il lombardesimo accantona religiosità e spiritualità per potersi concentrare su ciò che esiste per davvero: la nazione lombarda. E siamo dell’idea che la ragione non possa accompagnarsi alla fede, essendo quest’ultima intrisa dell’assurdità che costituisce la linfa vitale della metafisica. Scervellarsi per il sesso degli angeli – e per gli angeli medesimi – è un affronto alla verità assoluta della patria, che a differenza di Dio esiste e si manifesta concretamente permettendoci di raggiungere quell’autoaffermazione oggi più che mai vitale. Un identitario europeo può credere in Dio? Pacifico, ma gli consiglierei di capire bene di quale dio si tratti e, in particolare, di non anteporlo alla stirpe.

L’etno-razionalismo lombardista è a suo modo anticristiano. Un anticristianesimo che non è satanismo acido bensì contrapposizione a quanto la Chiesa ci ha inculcato nei secoli, anche per tenerci buoni e succubi e per legarci mortalmente alle catene dell’asservimento, dell’ignoranza, della superstizione. Il cristianesimo, coerente, è oltretutto universalismo, pietismo, umanitarismo, egualitarismo, progressismo (a suo modo), e se pensiamo poi alle radici semitiche del culto in Cristo capite bene che lasciare spazio a tutto ciò diviene un problema. Riprendendo la domanda posta sopra, un lombardista può essere cristiano? Certo, ma a rischio e pericolo della sua coerenza e della sua serietà, sia verso il lombardesimo che il cristianesimo.

Non siamo interessati a scristianizzare la società in una maniera conforme alle fole dell’Illuminismo e dei suoi eredi (i laicisti arcobaleno, per capirci), o peggio ancora a discriminare e perseguitare chi si dice fedele di Cristo e cattolico. Del resto i nostri padri erano gentili, ma anche cristiani, e non possiamo disprezzarne la cultura religiosa, come se nulla fosse accaduto negli ultimi millenni. C’è eziandio il rischio di riempire il vuoto spirituale lasciato dal cattolicesimo (chi, ormai, va ancora in chiesa, vecchine a parte?) con la spazzatura edonista prodotta dal consumismo e dal capitalismo occidentale, ma di certo con il lombardesimo un simile pericolo non esiste.

Il lombardista, infatti, non ha nulla a che vedere coi moderni giacobini e rigetta tutti i disvalori progressisti, compresa la laicità antifascista che tanto eccita i nostalgici della Rivoluzione francese. Il materialismo lombardista di cui andavo parlando è il robusto buonsenso, quasi contadinesco, che contraddistingue Sizzi, e che lo porta a prendere le distanze da una spiritualità votata al servizio di Cristo e, dunque, del clero cattolico. Oggi abbiamo una Chiesa finalmente coerente coi dettami evangelici e proprio per questo infida e perigliosa, più del passato. Quando papi e preti non erano coerenti, cioè prima del Concilio Vaticano II, rappresentavano a loro modo un’opposizione all’anti-identitarismo e all’anti-tradizionalismo, sebbene a scapito della propria fede.

Perché è inutile girarci intorno: la Chiesa preconciliare era lontana dai dettami cristiani, certo cattolica ma dubbiamente cristiana, e serviva più il potere temporale che quello spirituale. Un discorso che vale anche per l’antisemitismo clericale, dacché Cristo e la sua cerchia erano ebrei, Dio (inteso come Geova, si capisce) è prodotto della mentalità ebraica, il cristianesimo rimonta alla Palestina e dunque il cristiano ostile agli ebrei è qualcosa di grottesco e assurdo. Certo, i tradizionalisti cattolici non sono esattamente antisemiti, sono giudeofobi, e cioè condannano l’ebraismo come fenomeno spirituale che disconosce Gesù. Nondimeno, resta ridicolo un sentimento negativo verso coloro che hanno praticamente portato al Messia: senza giudei non ci sarebbe Cristo.

Riparleremo di cristianesimo (segnatamente cattolico), ebraismo e islam, ma quanto detto in questo articolo è utile a comprendere come il credo lombardista, l’unico che abbia un senso davvero identitario, nel mondo cisalpino, sia fortemente e fermamente laico in un’accezione per davvero razionale, e razionalista. E coniugando questo razionalismo con l’etnicismo del nazionalismo völkisch pone in essere un’antitesi radicale al ciarpame tanto fideistico quanto ateistico, dove tale termine allude all’universalismo giacobino e massonico degli atei volgari. Noi crediamo nel sangue, nell’etnia, nella nazione e ad essi dedichiamo i nostri sforzi e il nostro impegno, per il benessere materiale e spirituale della Grande Lombardia.

Paolo Sizzi sulla religione

Sizzi, cioè chi scrive, è di formazione cattolica e nasce in una famiglia alquanto religiosa, che ha peraltro dato alla Chiesa due sacerdoti (e ce ne sarebbe anche un terzo, da parte materna, poi spretatosi). Il Nostro è cresciuto, dunque, immerso in un ambiente cattolicissimo e sino ai 24 anni è stato un credente, praticante e devoto, fedele alla causa cristiana, in virtù della propria educazione ma anche della propria spontanea affermazione. A partire dalla primavera del 2009, tuttavia, si è distaccato dalla Chiesa, maturando una visione del mondo decisamente etnonazionalista e ostile, di conseguenza, a tutto il sistema di valori cattolico, che certamente non è compatibile con una ideologia völkisch integrale.

Il 2009 è l’anno in cui è andato concretizzandosi il lombardesimo, dopo una gestazione principiata nel 2006, frutto di una radicale presa di coscienza etnonazionalista di Sizzi volta all’esaltazione razionale degli ideali di sangue, suolo, spirito, che sono la triade fondamentale su cui deve edificarsi una nazione degna di questo nome, come la Lombardia. Dal 2009 al 2019, anche durante il periodo italianista, Paolo ha portato avanti una visuale anticristiana, ostile alle religioni ma con simpatie culturali pagane, poiché era necessario sviluppare un’ottica che fosse estranea tanto ad un credo semitico di importazione mediorientale quanto alle fedi religiose in genere.

Dal 2019 ad oggi, invece, il sottoscritto ha cercato di conciliare la coerenza etnicista con un recupero identitario dello stesso cristianesimo cattolico, naturalmente in chiave preconciliare e rivestito di solarità indoeuropea, provando così a stabilire un connubio cristiano-pagano che rappresentasse le due grandi anime spirituali della nostra terra. Un’operazione certo non dettata dalla fede e dall’afflato religioso, che Sizzi non ha più, ma dal desiderio di tentare una conciliazione, per il bene della Lombardia medesima. Dopo quasi 5 anni ho deciso di lasciar perdere perché le incongruenze erano troppe e perché la coerenza völkisch impone altro. Direi che è stucchevole tollerare il cattolicesimo soltanto per via di una patina indoeuropea; a questo punto si recuperi direttamente il paganesimo.

Certo, l’idea della Chiesa nazionale ambrosiana, cattolico-pagana, non era un’intuizione da cestinare del tutto, anzi, avrò modo di riparlarne come soluzione culturale originale per dare un volto tollerabile alla religiosità padano-alpina. Tuttavia, il pensiero etnonazionalista, alla lunga, non può essere conciliabile con il credo in Gesù di Nazareth, poiché sono troppe le contraddizioni che turberebbero un compromesso di questo tipo. Nondimeno, Paolo non è religioso, non è credente e non ha esigenze spirituali (intese come rapporto con il trascendentale), né gentili né cristiane, e appare quindi utile promuovere nuovamente, e senza edulcorazioni, l’originale etno-razionalismo lombardista. Lo spirito esiste come insieme di elementi culturali, civili, caratteriali, mentali, artistici, intellettuali di un popolo, e in tal senso, giustamente, parlo sovente di sangue, suolo, spirito.

Tutto questo per dire cosa? Semplice: Paolo Sizzi prende le distanze da ogni religione, frutto della cultura umana, e dal divino, frutto dell’inventiva umana, perché intende rimettere al centro del dibattito quel fondamentale razionalismo emendato da ogni squallido elemento illuminista (dunque cosmopolita, egualitarista, modernista, laicista in accezione progressista e ateo in senso “acido”). Il razionalismo etnico del lombardesimo esalta la vera ragione, la cui culla è l’Europa, come strumento indispensabile per un’esistenza improntata ai valori etnici, razziali, patriottici, proprio perché la ragione depone a favore di quell’identitarismo antropologico e biologico senza il quale l’Europa stessa sarebbe perduta. Ed esalta il realismo, al di là di ogni credenza, mito o timore superstizioso.

La religione non ha più nulla da darci, e possiamo tranquillamente lasciarcela alle spalle. Questo è il caso, soprattutto, di un cristianesimo che nasce come corpo estraneo semitico, al pari di giudaismo e islam, e che è animato da un punto di vista e da una filosofia di vita universalisti, umanitaristi, antirazzisti in nome di un dio biblico, dunque levantino, che non ha nulla a che vedere con il nostro continente. Dio e dei non esistono, sono chiaramente il prodotto della mitologia e dei bisogni spirituali umani (fortemente intrisi di ignoranza, paura, ansia dell’ignoto e della morte), ed è sterile cercare di conciliare questi concetti con l’inconciliabile, e cioè con l’identitarismo etnico e il razzialismo lombardisti.

La religione, ormai, è un qualcosa che trova sbocco soltanto nel secondo/terzo mondo, dove cioè regnano miseria, povertà, oscurantismo, sovrappopolazione, superstizione, analfabetismo, degrado e infatti lo stesso cattolicesimo oggi galleggia grazie a fedeli provenienti in maniera schiacciante dal sud del globo. Può, forse, l’etnonazionalismo scendere a patti con qualcosa di simile, diametralmente opposto al pensiero völkisch? Ovviamente no. E allora il cristianesimo, fratello di ebraismo e islam e devoto di un dio mediorientale creato da popoli mediorientali, va abbandonato, senza se e senza ma. Ciò non significa perseguitare i cristiani o scristianizzare “satanicamente” la nostra società, ma consegnare finalmente alla storia il credo cattolico (nel caso lombardo), e la Chiesa.

Altresì, è la religione in genere che va abbandonata, perché oggi del tutto inutile e buona solamente per popoli sottosviluppati (e non certo bianchi). Troppo spesso la spiritualità diventa un ostacolo sul cammino identitario e davvero tradizionalista dell’uomo europide, e dunque sul percorso che conduce alla piena autoaffermazione, e direi proprio che sarebbe folle sacrificare la verità assoluta di sangue e suolo in favore della superstizione e del terrore verso la morte. Per di più a favore di un culto di importazione. Certo, abbiamo la gentilità, il paganesimo, che sarebbe sicuramente molto più coerente col lombardesimo essendo il frutto dello spirito indigeno, indoeuropeo, ma personalmente trovo anch’esso inutile, essendo il sottoscritto ateo.

Ma il mio ateismo è un ateismo identitario, tradizionalista, etno-razionalista, e non c’entra nulla con l’ateismo “convenzionale”, che è cioè ciarpame progressista degno dell’Illuminismo. Stesso discorso per il laicismo, quella tendenza a voler secolarizzare e scristianizzare la società per fare un favore a chi, in Europa, non dovrebbe starci nemmeno dipinto. Del resto, questo ateismo “convenzionale” è a sua volta una religione, una superstizione giacobino-massonica, perché del tutto irrazionale, dal momento che, come il cristianesimo medesimo, è votato all’universalismo, all’antifascismo, all’antirazzismo, proprio sulla base delle castronerie dei philosophes.

Concludendo, la mia opinione, sulla religione oggi, è negativa. La religiosità fa parte del nostro retaggio culturale e civile, nessuno lo nega, e la stessa identità lombarda è permeata di cattolicesimo, assieme alle radici pagane. Ma possiamo farne tranquillamente a meno, essendo ormai un problema che impedisce di affrontare di petto la questione che più ci sta a cuore: la totale realizzazione del progetto lombardista. Un lombardo può tranquillamente dirsi cattolico o gentile – ci sarebbe poi da discutere anche sulla stessa bontà iniziatica e spirituale della gentilità e, infatti, ne riparleremo – ma il lombardesimo prende nettamente le distanze dalla religione. Può tollerare una rinascenza pagana, in quanto culturalmente e ideologicamente compatibile col nazionalismo etnico, per chi proprio ha esigenze spirituali, ma il credo lombardista è votato all’unica verità indiscutibile, che è quella razziale.

Le ragioni di una battaglia

Tra 2019 e oggi ho cercato di conciliare la tradizione cattolica con l’ideologia lombardista, approdando all’idea di una Chiesa nazionale ambrosiana: un cattolicesimo lombardo, cioè, de-semitizzato, lontano da Roma e sublimato dal retaggio indoeuropeo della gentilità autoctona. Ho scritto diversi articoli, in merito a tale posizione, e non ho nulla da rinnegare, nulla di cui vergognarmi, tanto che tali pezzi resteranno sul blog, a mo’ di percorso graduale verso la verità indiscutibile. Anzi, quanto vergato può offrire ancora spunti valevoli di riflessione, a chi, come me, si interroga su patria e spiritualità. Tuttavia, è giunto il momento di consegnare questi scritti alla storia, guardando al futuro, e non più al passato. O, meglio, guardando sì ad un ben preciso passato ma proiettandosi in un futuro che sia schiettamente e genuinamente identitario.

Ho infatti deciso di riabbracciare le posizioni spirituali del prisco lombardesimo, quello nato dal pensiero del sottoscritto nel 2009, completando il quadro del ritorno integrale alle origini. Ebbene, dichiaro ufficialmente che visione del mondo lombardista e cristianesimo, anche cattolico e ambrosiano, non sono compatibili, in virtù di un necessario ed impellente recupero della coerenza primigenia. I valori cristiani, l’universalismo, le radici semitiche, la Bibbia e il Vangelo, la filosofia di vita cattolica, nonché la Chiesa stessa, non possono in alcun modo conciliarsi col lombardesimo, essendo quest’ultimo etnonazionalista, razzialista, comunitarista, europeista in senso völkisch e votato all’esaltazione razionalista di sangue e suolo.

Razionalismo, esatto. Un razionalismo, diciamo pure ateo, che si coniuga con l’etnicismo dando vita all’etno-razionalismo, pilastro dell’ideologia lombardista. Perché la ragione, signori, deve essere il nostro faro, senza naturalmente esondare nello scientismo, nell’Illuminismo, nel giacobinismo e in quell’ateismo o laicismo progressisti che incensano, sulla falsariga del cristianesimo, il cosmopolitismo relativista, certo intriso di irreligiosità apolide ma francamente giudaizzante. Personalmente non mi ritengo credente, pur essendo di formazione cattolica e avendo alle spalle una famiglia religiosissima, ma non sposo in alcun modo il “pensiero” acido del satanismo o dell’empietà figlia del 1789. Mi dico ateo, non ateista, sebbene ritenga che la religione sia un retaggio del passato che si può tranquillamente abbandonare.

Nelle riflessioni di questi circa 5 anni, avevo ritenuto che la soluzione ideale al problema spirituale e religioso, relativo alla Lombardia, fosse l’edificazione di una Chiesa nazionale ambrosiana, depurata dal semitismo ed esaltata dalle radici gentili e ariane; una sorta di soluzione di comodo per conciliare le due anime dell’identitarismo nostrano ed europeo, in una con il ritorno all’indipendentismo e all’etnonazionalismo radicale. Ma, ora, credo che tale trovata sia di difficile applicazione, oltreché poco seria: non ha alcun senso preservare il cristianesimo cattolico se si sente la necessità di nobilitarlo con la gentilità. Tanto vale recuperare la seconda in toto, se vogliamo sul serio intavolare un discorso spirituale e religioso maturo e logico.

E, infatti, giungo alla conclusione che l’unica forma di religiosità accettabile, nel contesto lombardo e lombardista, sia il paganesimo, chiaramente ripulito dal lato pagliaccesco del neopaganesimo, dalle tentazioni anti-tradizionali (vale a dire di ripudio di valori sacri trasversali quali patriarcato, eterosessualità, monogamia, virilità, conservatorismo nel giusto) e da quelle sfumature “sataniche” che propongono un anticristianesimo demenziale che va a braccetto con ideologie antifasciste, libertarie, radicali. Il lombardesimo deve essere anticristiano, diciamolo tranquillamente e serenamente, ma solo ed esclusivamente nel seguente verso: rifiuto dell’universalismo, rifiuto dei principi evangelici, rifiuto delle indubbie radici mediorientali della religione di Cristo, rifiuto del clero (peraltro compromesso da omosessualità e, quindi, pedofilia).

Inutile prenderci in giro, signori: il nazionalismo etnico, il razzialismo, l’etnicismo biologico non sono compatibili con il credo cristiano coerente, a meno che si voglia davvero fare salti mortali rasentando il ridicolo, e il suicidio. Accettiamolo con molta calma, e smettiamola di inventarci Cristi e Madonne ariani, solari, europei. Innegabile che il cristianesimo, segnatamente cattolico, abbia abitato (o parassitato) strutture e modelli di origine gentile, greco-romana od orientale (indo-persiana), ma l’essenza della religione fondata dall’ebreo Gesù di Nazareth prende le mosse dalla Palestina, ha ereditato appieno il retaggio giudaico e mira ad un dio straniero – dal punto di vista europeo – che è lo stesso dell’ebraico e dell’islamico.

Uno può inventarsi tutto ciò che vuole, e può infilare il cattolicesimo nel letto di Procuste del neopaganesimo, ma se siamo disposti a tollerare la fede in Cristo soltanto per degli echi paganeggianti, rigettando (come feci io) il lignaggio mosaico e biblico, alla lunga avremmo a che fare con un’impresa patetica, tragicomica, assurda. Come dicevo, si fa prima a riconciliarsi con la gentilità, sebbene questa, oggi, sia pressoché inesistente e priva di tradizione e cammino iniziatico, ancorché esistano dei gruppi e dei movimenti che, rifacendosi ai culti tradizionali, tentano di rivitalizzare la fede negli antichi dei. Opera che, sinceramente, non mi interessa.

Epperò, ribadisco: l’unica forma di religiosità tollerabile deve essere la gentile, chiaramente contestualizzata nell’ambito lombardo. Un recupero, dunque, dei culti indoeuropei di Liguri, Celti, Veneti, Galli, Gallo-Romani, Longobardi, che siano assolutamente fedeli e leali con il lombardesimo e la nazione lombarda, e quindi con lo Stato granlombardo, e che non finiscano per impelagarsi con il ciarpame new age che puzza di femminismo, sessualità ambigua, degenerazione modernista varia. Capisaldi comunitari quali la società patriarcale, i legami eterosessuali e monogami, il tradizionalismo famigliare non si toccano nella maniera più totale. E va da sé, oltretutto, che tale gentilità non debba in alcun modo divenire teocratica e ostacolare l’etnonazionalismo panlombardo.

In una Lombardia ideale, libera, unita e sovrana, può esserci spazio soltanto per una religione, o un credo, che combatta la dissoluzione universalista, egualitaria, umanitaria, fatta propria appieno dal cristianesimo, che ha in odio i vincoli di sangue e i legami schiettamente identitari. L’unico culto tollerabile è un prodotto culturale e spirituale indogermanico ed europeo, etnicista e razzialista, creato dagli europei per gli europei, dai lombardi per i lombardi. Non si tratta, ovviamente, di perseguitare i cristiani o di scristianizzare in maniera blasfema il territorio, anche perché sarebbe ridicolo negare l’importanza dell’eredità cattolica, giunta sino a noi grazie ai nostri avi. Ma i nostri avi, prima di essere cristiani, erano gentili, non va dimenticato.

Do per scontato che la condanna del cristianesimo (cattolico, ortodosso, protestante e settario) sia percepita come parallela a quella di tutte le religioni vieppiù esotiche, prime fra tutte ebraismo e islam. Il lombardesimo primigenio esprimeva critica e condanna nei confronti del monoteismo abramitico e dei suoi valori ma non tanto per lusingare il paganesimo, quanto per una sete di coerenza e di radicalità che ponesse la Lombardia sopra ad ogni cosa, in nome dell’etno-razionalismo. Finalmente, il lombardesimo riabbraccia gli albori, puntando tutto su di un salutare integralismo etnico e razziale, prendendo le distanze dal cristianesimo e da ogni altro frutto culturale di matrice esotica. Il lombardesimo si attesta su posizioni atee e agnostiche, ma in un senso ben preciso e diversissimo, agli antipodi rispetto al punto di vista relativista: archiviamo la religione ritenendo accettabile soltanto quella davvero tradizionale, indigena, ma smarcandoci del tutto dalla spazzatura dei philosophes, cioè di coloro che avversavano il cristianesimo erigendo al suo posto un demoniaco feticcio egualmente universalista.

La Lombardia

La Lombardia in epoca carolingia

Il concetto di Lombardia etnica (o di Grande Lombardia per come lo interpretavo agli albori), di Lombardia storica, di Lombardia tout court, insomma, contrapposta alla “Pirellonia” già “Formigonia”, diffuso dal Movimento Nazionalista Lombardo, ricalcava più o meno quello che proposi nel settembre del 2009 sul mio vecchio blog.

Oggi, come sapete, in virtù dell’esperienza di GL, distinguo tra una Lombardia etnica padana (grossomodo il nordovest della Repubblica Italiana) e una Grande Lombardia cisalpina (il settentrione della RI), individuando anche una terza forma di lombardità data dal connubio linguistico-culturale (e qui si può, ulteriormente, separare una Lombardia etnolinguistica ristretta, “insubrica”, che ricalca la famiglia idiomatica lombarda dei linguisti, dal contesto gallo-italico).

Secondo alcuni, ‘Lombardia’ è un concetto vago, parziale, arbitrario che potrebbe essere applicato a buona parte dell’Italia (intesa in senso romano), in quanto ex Regno longobardo (Langobardia Maior /Langobardia Minor, un etnonimo impiegato dai Bizantini per riferirsi ai territori in mano longobarda, tanto che Lombardìa è accentato alla greca, non alla latina; in effetti, sarebbe meglio chiamarla Lombàrdia). Se i Franchi non avessero sgominato gli antichi Vinnili, forse, l’intera Italia sarebbe divenuta Lombardia, anche se il prestigio del coronimo italico, in definitiva, sarebbe stato più forte.

Tuttavia, per quanto mi riguarda – e non credo sia idea peregrina -, ‘Lombardia’ si attaglia perfettamente alla cosiddetta “Alta Italia”, alla Cisalpina, segnatamente alla sua porzione occidentale. Il fulcro del Regno longobardo, la Langobardia Maior, era il settentrione con la Toscana, e anche in quest’ultima, subito conquistata e colonizzata da Alboino, i Longobardi lasciarono una forte impronta, anche in senso genetico e fisico. Ciò nonostante, l’etnonimo lombardo raramente, nel Medioevo, designò i toscani, come lo stesso Dante dimostra distinguendo, linguisticamente, il tosco dal lombardo.

Da un punto di vista storico, etnico, geografico e linguistico-culturale col termine ‘Lombardia’ si suole indicare l’intera Cisalpina, in particolar modo il nordovest (con le ben note propaggini orientali trentine e veronesi). Peraltro, anche agli occhi degli stranieri dell’Età di mezzo, varcare le Alpi, o l’Appennino, significava recarsi in Lombardia, e i Lombards medievali non erano altro che i banchieri, i ricchi mercanti e i prestamonete dell’Alta Italia presenti nel Nord Europa. Questa era anche, più o meno, la mira panlombardista dell’MNL.

La mia idea primigenia di Grande Lombardia, poi nel tempo corretta, era la seguente: Regione Lombardia, Ticino, Grigioni lombardofono, Piemonte orientale, Trentino occidentale, Emilia, Bologna e Ferrara e pure la Lunigiana. Era piuttosto in linea, tra l’altro, con l’idea geografica padana che l’Alighieri palesò nella Commedia, parlando di un oscuro personaggio bolognese:

rimembriti di Pier da Medicina,
se mai torni a veder lo dolce piano
che da Vercelli a Marcabò dichina.

(Inferno XXVIII, 73-75)

(Vercelli la conosciamo; Mercabò, o Marcabò, era una fortezza eretta dai veneziani sul Delta del Po.)

Correggendo il tiro, nei primi mesi del 2010 sistemai la mia vecchia idea grande-lombarda giungendo, anche grazie al confronto col sodale Adalbert Roncari, alla posizione dell’MNL: Regione Lombardia, Ticino, Grigioni lombardofono, tutto quanto il Piemonte, la Val d’Aosta, Trentino occidentale, Emilia priva della parte estrema fuori dal bacino del Po (dallo statuto ibrido lombardo-romagnolo) e alcune porzioncine di Veneto. Senza però Massa e Carrara che sono liguri anche se tendenti alla lombardofonia per influssi ducali padani.

Espongo, dunque, l’allora pensiero lombardista, tratto dai vecchi blog, che aderisce al concetto storico di Lombardia come marca terragna nata in epoca carolingia:

Parlando di Lombardia, la prima cosa di cui si deve tener conto, il primo punto fermo, sono i sacri ed intoccabili confini geografici: la Lombardia combacia col bacino idrografico del fiume Po.

Per questo, ma non solo, ritroviamo nella nostra idea di Lombardia territori franco-provenzali, occitani e liguri, perché facenti parte dell’ambito alpino-padano.

E davanti ai confini geografici, davanti ai baluardi naturali, signori miei, c’è poco da questionare.

In secondo luogo, abbiamo l’amalgama etnico gallo-germanico, celto-longobardo, che accomuna tutti i lombardi, quelli centrali (insubrici), orientali (valtellinesi, orobici, cenomani), occidentali (piemontesi) e meridionali (padano-emiliani); parimenti, l’amalgama linguistico galloromanzo cisalpino, escludendo la Romagna che non è lombarda (a cui possiamo tranquillamente aggiungere le papalino-bizantine Bologna e Ferrara) e la Liguria che è mediterranea.

Da ultimo, c’è la questione culturale e storica, nata nel Medioevo, che dopo la Gallia Cisalpina e la Langbobardia ha visto il sorgere della marca imperiale di Lombardia, dei liberi comuni, delle signorie germaniche, del Ducato di Milano e poi di Lombardia, prima della frammentazione cinquecentesca.

E, dunque, ecco una Grande Lombardia così ripartita: Lombardia centrale (Insubria), Lombardia orientale (Valtellina-Orobia-Cenomania), Lombardia occidentale (Piemonte, Val d’Aosta), Lombardia meridionale (Emilia-Padania).

All’interno del nostro territorio possiamo trovare minoranze franco-provenzali e provenzali a ovest, liguri a sud e alemanniche (walser) a nord.

Abbiamo pensato anche ad una ripartizione del territorio stesso.

Per mere questioni statistiche e di comodo suddividiamo la Lombardia in quattro aree geografiche (appunto centro-est-ovest-sud) a loro volta suddivise in cantoni con capoluoghi e distretti.

Avremo così: Lombardia centrale – Bassa Insubria (Milano capitale storica di Lombardia, con i distretti di Busto Arsizio, Monza, Lodi e Pavia), Alta Insubria (Como, con i distretti di Lecco, Lugano e Varese), Lebecia (Novara, con i distretti di Vercelli, Biella, Varallo e Vigevano), Leponzia (Locarno, con i distretti di Domodossola, Intra, Bellinzona); Lombardia orientale – Orobia (Bergamo, con i distretti di Crema, Clusone, Zogno), Rezia (Sondrio, con i distretti di Tirano e Chiavenna), Alta Cenomania (Brescia, con i distretti di Rovato, Desenzano, Darfo e Riva), Bassa Cenomania (Cremona, con i distretti di Casalmaggiore e Mantova); Lombardia occidentale – Alta Taurinia (Torino, con Ivrea, Lanzo, Pinerolo, Susa), Bassa Taurinia (Cuneo, con Alba, Mondovì, Saluzzo), Ambronia (Alessandria, con Asti, Casale, Acqui e Novi), Salassia (Aosta); Lombardia meridionale – Marizia Occidentale (Piacenza, con Voghera e Tortona), Marizia Orientale (Parma, con Fidenza e Fiorenzuola), Bononia (Modena, con Reggio di Lombardia e Carpi).

I nomi dei cantoni sono etnonimi che si rifanno alla principale popolazione, celtica o celto-ligure, che ha dato l’impronta fondamentale al territorio; i capoluoghi sono le città principali dei cantoni; i distretti sono le città minori.

Milano è la grande ed unica capitale di Lombardia, motore della sua potenza e della sua gloria, volano del lombardesimo assieme al nordico Seprio e al nucleo lombardo, lo zoccolo duro insubrico, (la grande Insubria golasecchiana dal Sesia al Serio che costituisce la Lombardia basica), guida aristocratica di tutta la nazione.

C’è da dire che la nostra ipotetica suddivisione amministrativa rispecchia anche la nostra idea politica di Lombardia che più che federalista è moderatamente centralista (a che serve il federalismo tra fratelli?), con Milano intoccabile capitale, presidenziale, repubblicana ma aristocratica, senza tutta quella patetica e farraginosa intelaiatura federale o pseudo tale che rischia di fomentare le solite grandi pecche lombarde ossia egoismo, particolarismo, campanilismo e materialismo.

Quella delineata qui sopra non è la Grande Lombardia (la Cisalpina) individuata nel 2013, e di cui tratto ancor oggi, ma la Lombardia etnica. Sul sito di Grande Lombardia (GL) è possibile osservare nel dettaglio, grazie a pregevoli cartine realizzate dal buon Ronchee, gli areali, le suddivisioni amministrative attuali e quelle cantonali ipotetiche tanto della Lombardia etnica (grossomodo il nordovest) quanto della Grande Lombardia (la Padania scientifica, non legaiola).

La concezione lombardista di Lombardia, stabilizzatasi nel tempo, si innerva dunque sulla distinzione in Lombardia etnica e Grande Lombardia. Più sopra accennavo, comunque, ad una terza forma di Lombardia (le tre lombardità di cui parlavo nel blog precedente), che è quella etnolinguistica: ristretta (la Regione Lombardia, senza gli Oltrepò, con Novarese, VCO, Tortonese, Svizzera lombarda e Trentino occidentale) e allargata (il continuum galloromanzo cisalpino, gallo-italico, cioè il settore occidentale della Cisalpina che include anche Romagna e Liguria).

C’è da dire, come ho sempre sostenuto, che la Regione Lombardia, la simpaticamente detta “Pirellonia”, pur essendo totalmente lombarda, è una boiata artificiale creata a tavolino dal centralismo romano, che si avvale di regioni pseudostoriche per banalizzare gli orgogli etnici (e genuinamente nazionali), facendo finire tutto nel tritacarne tricolore. Gli studiosi, giustamente, individuano una famiglia linguistica lombarda – ristretta – che va da Novara a Brescia e da Bellinzona a Cremona; ma va detto che le parlate cisabduane, insubriche, hanno più in comune con quelle del Piemonte orientale o del Piacentino, che con bergamasco e bresciano.

Gli stessi linguisti, qui colpevolmente, in ossequio all’italocentrismo, usano un’etichetta sciocca, “gallo-italico”, per evitare di impiegare il termine corretto (in senso allargato), “lombardo”, in riferimento alla macro-famiglia linguistica della Padania. Le lingue lombarde, che nel Medioevo interessavano anche il Veneto continentale e padano e il Trentino, hanno influenzato il ligure (che, oggi, è ritenuto gallo-italico, dunque lombardo), comprendono il romagnolo e si spingono fino alle Marche settentrionali e alla Lunigiana, con un’isola nel Conero e lambendo la Garfagnana.

L’esistenza di una nazione lombarda, anche linguisticamente, è insindacabile, corroborata dalla stretta affinità con gli idiomi retoromanzi (romancio, ladino e friulano), oggi distinti dalla famiglia lombarda ma un tempo ancor più prossimi alla stessa. La lingua veneta attuale, certo ben diversa dal lombardo, si è espansa in tutto il Veneto ma è modellata sul prestigio del veneziano (storicamente legato al toscano per questioni letterarie) e ha nei secoli rimpiazzato parlari affini a quelli lombardi contemporanei. Il sostrato celtico e il superstrato longobardo hanno riguardato anche il Triveneto.

La designazione altomedievale del territorio lombardo, modellato sulle suddivisioni politiche longobarde e franche, si concentrava sul settore “italiano” nordoccidentale tralasciando, per ovvie ragioni, la Romagna, ossia l’Esarcato bizantino. Anche Liguria ed Emilia orientale erano di statuto incerto, poiché conquistate tardivamente dai Longobardi; ciò nonostante, Genova era ritenuta la porta della Lombardia (anche grazie ad un bisticcio etimologico latineggiante) e, nella mappa postata in apertura, Bologna e Ferrara mancano in quanto donate da Carlo Magno al papa, pur essendo state alfine prese dai Longobardi.

Quest’area coincide con la Padania intesa come bacino imbrifero del fiume Po, col fulcro della Gallia Cisalpina e della Langobardia Maior (Pavia, Milano e Monza) e ricalca, inoltre, il territorio che con i Carolingi assunse per la prima volta il toponimo ‘Lombardia’: per l’appunto, il nordovest, la Lombardia etnica.

Il Triveneto, porzione orientale della Grande Lombardia, rientrava nella designazione più ampia di Lombardia medievale (vedi Lega Lombarda), ma assunse un proprio profilo politico peculiare grazie a Venezia, Aquileia, Verona, Trento; la Romagna è (quasi) sempre stata esclusa dall’ambito longobardo/lombardo, pur essendo anch’essa Gallia Cisalpina. Il “nord Italia”, ossia la nazione della Grande Lombardia, va, anche etno-culturalmente, dalle Alpi allo spartiacque appenninico (linea linguistica Massa-Senigallia) e dal fiume Varo al Monte Nevoso, nella Venezia Giulia storica.

Nessuno nega che il “nord” non sia del tutto omogeneo e che, al suo interno, vi siano alcune differenze peculiari. Lasciando da parte le minoranze storiche, esiste certamente una distinzione tra l’ambito alpino/prealpino e padano, così come tra ovest ed est, e la realtà romagnola appare periferica e tendente all’ambito tosco-mediano. Anche la geografia è variegata, sebbene l’areale grande-lombardo sia primariamente continentale e sub-mediterraneo. Ma è altrettanto innegabile che la dimensione nazionale abbracci l’intero contesto padano-alpino, a partire dalla Lombardia etnica.

Il percorso ideologico di Paolo Sizzi

P. Sizzi

Credo valga la pena stendere una riflessione su quel che è stato il mio periodo italianista, o meglio, su ciò che mi spinse ad allargare lo sguardo etnonazionalista al contesto panitaliano (termine improprio, ma impiegato per capirsi), e lo faccio approfittando di un articoletto di un tizio coperto da pseudonimo e pubblicato, nell’aprile 2014, su Giornalettismo, testata online il cui nome è fin troppo eloquente.

Fu scritto, per l’appunto, all’indomani del mio cambio di registro nei confronti dell’Italia (intesa come “nazione” storica, non come stato ottocentesco o repubblica partigiana postbellica, beninteso; non avrei, comunque, potuto nutrire alcuna simpatia nei confronti della RI) e l’unico intento che animò l’anonima penna fu, ovviamente, quello di pigliarmi per i fondelli, considerando che l’inclinazione del giornaletto multimediale è quella del più banale pressapochismo antifascista e petaloso.

La sicumera dei democratici è risaputa quando si tratta di analizzare fenomenologie identitarie: loro sono moralmente superiori in quanto sinistrorsi/sinistrati all’acqua di rose, tutti gli altri sono casi umani da compatire perché retrogradi, disadattati, repressi, complessati, pazzi e chi più ne ha più ne metta. Loro sono i geni, gli altri sono i reietti.

Di conseguenza, chi non si genuflette di fronte alla vulgata resistenzial-democratico-repubblicana, benedetta dagli americani (ossia dai paladini della sinistra italica ed europea), è un povero imbecille da guardare con compassione dall’alto in basso. E il nostro baldo orobico può, forse, fare eccezione, nella mente di cotanti intellettuali?

Il suddetto tizio mi sbrodolò addosso le consuete logore fesserie, da leggersi tra le righe: nazista da strapazzo, lombrosiano, caso umano, fenomeno da baraccone; altresì, ridicolizzando sia la primeva fase lombardista che la svolta italianista, ridusse ad una farsa opportunistica il passaggio dal lombardesimo all’italianesimo (così chiamato all’epoca), come se non fosse altro che una cialtronata di poco momento e non, piuttosto, il frutto di una approfondita riflessione, una sorta di maturazione (più che una conversione o, addirittura, un tradimento del prima lombardista, come l’individuo scrisse con assoluta leggerezza). A testimonianza della razionalità di questo articolo, comunque, ecco la perla: io sarei un tifoso laziale. Prego?

La sua “analisi” si incentrò su quanto di me noto tramite la rete, fra cui i documenti di cui ho già parlato in questo blog, ovvero l’intervista al Post e alle Invasioni barbariche.

L’anonimo si soffermò sulla mia passione per la razziologia considerandola alla stregua di ciarpame degno dell’astrologo giudeo Lombroso, mostrando grande ignoranza se si pensa che è la frenologia ad essere pseudoscienza, non la craniometria e la tassonomia delle razze e sottorazze umane, con relative varianti fenotipiche. Per non parlare della genetica delle popolazioni, che rimarca pure le note differenze tra “italiani”.

Illuminante, però, appare la chiusura del patetico scritto: «il nazionalismo che chiama in causa le aquile romane, pur declinato come etno-nazionalismo federale, ha invece tutt’altro sapore e non fa ridere come l’arianesimo orobico» – e ancora – «Una grande occasione d’intrattenimento persa e Sizzi che cade dalla padella alla brace». Capito?

Lo scopo dell’autore era palese: ridicolizzare e demonizzare l’area identitaria e i suoi protagonisti, soprattutto i più genuini e non corrotti dalla politica di professione, esprimendo ironico rammarico per l’abbandono delle posizioni lombardiste originarie; il soggetto sembrava più allarmato dall’aura fascistoide del cambio di rotta, minimizzando la portata dell’etnonazionalismo lombardo. L’insipiente non può che ridere (a denti stretti) di ciò che è per davvero rivoluzionario, palesando tutta la sua imbarazzante arroganza e ignoranza.

A quei tempi, convinto della bontà dell'”evoluzione” italianista, pensai che anche le scomposte reazioni di soggetti come quello citato fossero il tributo involontario ad una scelta ponderata e matura: mettendo da parte l’identitarismo “regionale” solleticato dall’indipendentismo, il nazionalismo italianista rispettoso dell’istanza etnofederale appariva meritorio nel contesto nostrano, perché unificante. Ma l’Italia, signori miei, come vado ripetendo spesso, non è la soluzione, è il problema, se interpretata come Stivale fantozziano che arriva sino alla Pianura Padana…

Nella primavera del 2014, e in quelle successive, l’intento sizziano fu di conciliare l’istanza lombardista con quella “nazionale” ma, più che altro, da un punto di vista civile, culturale, geopolitico; vedevo l’Italia come uno dei pilastri imperiali europei e difendevo la suggestione latina di grande civiltà romana, pagana, cattolica, italiana in senso moderno e contemporaneo, alla luce dell’unificazione linguistica. Fino all’estate del 2019 posi parecchia enfasi sulla questione delle radici precristiane – con toni non molto concilianti verso il cristianesimo cattolico – poi optai per un ammorbidimento poiché la Tradizione va difesa integralmente, ed equiparare il culto di Cristo a giudaismo e islam è una sciocchezza.

Tuttavia, smaltita la sbornia del neofita, mi assestai su posizioni comunque etnonazionaliste, dove prevalse – e non poteva essere altrimenti – la componente etnicistica: il mio faro è sempre stata la triade sangue, suolo, spirito e la realtà biologica (da cui tutto il resto) dell’Italia non poteva certo essere taciuta o distorta per fini propagandistici. E allora parlai estesamente, per anni, di Italie, di patto etnofederale, di etnonazionalismo declinato in chiave rigorosamente federale, perché le differenze tra “italiani” sono sotto gli occhi di tutti, retorica patriottarda a parte.

Alla lunga, come è poi avvenuto, l’esperienza italianista si è esaurita e ho preferito riabbracciare in toto, coerentemente, quanto da me teorizzato agli esordi, tornando ad affermare che se di Italia si può e, si deve, parlare va fatto riferendosi squisitamente al centrosud, ossia all’Italia primigenia. Lo capite che, se ci si dichiara nemici giurati del mondialismo, non è possibile indugiare oltre su posizioni che, involontariamente, diventano un servigio al moloc globalista: l’Italia artificiale in chiave 1861 non è altro che uno stato, non una nazione, e ripropone in piccolo la barbarie che il sistema-mondo pratica su vasta scala. Come non esiste una “razza umana” così non esiste una “razza italiana”: non si può combattere il nichilismo unipolare all’americana con quello in tredicesimi del tricolore.

Con buona pace delle aquile romane, la forza dell’etnonazionalismo non ha eguali, e la sacralità della lotta identitaria e tradizionalista deve necessariamente passare per la coscienza etno-razziale. Anche perché parlare di Italia dalle Alpi alla Sicilia in nome di latinità, romanità, echi gentili, religione cattolica e lingua fiorentina è un po’ pochino… Tolto l’idioma franco di Firenze, la romanitas è il comun denominatore di altri territori europei, mica solo di quelli a sud dell’arco alpino.

Se per sette anni mi sono professato italianista (ovviamente secondo la mia visione: prima bergamasco e lombardo, poi italiano) è stato in assoluta buonafede, non per opportunismo. Gli argomenti di cui mi sono occupato e mi occupo sono pura passione, e non ho mai avuto la fregola del soldo, della poltrona, della carica o del posticino al sole. Ho sempre preferito cultura e metapolitica alla politica, anche solo come velleità.

Per quanto concerne, invece, le trite e ritrite pagliacciate apotropaiche di gente che, come sempre, non ha nemmeno il coraggio di mostrare nome e faccia ma adora sputare sentenze (stile l’autore dell’articolo commentato), sono la regola, nonché l’indice della pochezza antifascista: di fronte alla radicalità del patriottismo völkisch i ragli d’asino non finiranno mai di cessare. E non fatevi ingannare dalla criminalizzazione lib-dem della galassia neofascista, poiché chi sventola tricolori, in un modo o nell’altro, fa un servizio alla piovra mondialista.

C’è di buono che, con il periodo italiano, per così dire, mi sono dato una regolata, fors’anche per l’età. Nel 2014 avevo 30 anni, una crescita dunque, e ho cominciato da quel momento a lasciarmi alle spalle gli eccessi e i furori ideologici (non la coerenza e la radicalità, ovviamente), evitando di impelagarmi in ulteriori grane. Anche la soluzione etnofederalista voleva essere un equilibrio tra due posizioni estreme e poco pratiche: indipendentismo da una parte e fascismo dall’altra. Ma l’Italia come sacrale federazione indoeuropea e romana di piccole patrie non è, dopotutto, da meno, considerando che razza di stato abbiamo per le mani, e il gioco non vale la candela.

Qualcuno pensa che un Paese diviso e litigioso faccia solo comodo allo straniero. Un Paese, appunto: l’Italia non lo è. E, fra l’altro, l’occupazione atlanto-americana continentale, peninsulare e insulare è possibile proprio grazie a questa artificiale unità, in cui Roma è una delle più fedeli pedine dell’Occidente a trazione statunitense. L’indipendentismo assennato, ossia quello etnonazionalista, non fa il gioco del forestiero, perché il vero ascaro del globalismo è lo stato senza nazione di matrice ottocentesca, perfettamente incarnato dalla Repubblica Italiana.

Da parte mia era doveroso il ritorno al lombardesimo, depurandolo dagli elementi controversi degli esordi (ero ventenne, d’altronde), non solo perché ideologia da me lanciata ma pure in quanto salutare riscoperta di quella coerenza necessaria per affrontare, col piglio giusto, le sfide del domani. L’italianismo di otto anni fa era animato da nobili intenti ma è inutile ai fini della battaglia etnonazionalista; il sottoscritto è utile, alla causa identitaria, come teorico lombardista, che prima dell’indipendenza della Lombardia auspica l’affrancamento della sua sopita identità nazionale.

Al di là della politica e delle beghe fra centralismo, federalismo, autonomismo ed indipendentismo, infatti, la cosa basilare rimane l’identitarismo etnico, la salvaguardia di sangue-suolo-spirito, fermo restando che la Grande Lombardia merita appieno la totale autoaffermazione nei confronti di Roma e dell’Italia. Non si tratta di fantasticare – come facevo agli albori –  di un nord celto-germanico “e basta” (manco fossimo inglesi o fiamminghi!), in ossequio a certo nordicismo neonazista, ma di contestualizzare le Lombardie nel quadro europeo centromeridionale, anello di congiunzione tra Mediterraneo e Mitteleuropa.

All’epoca del Movimento Nazionalista Lombardo, immaginavamo una Cisalpina inserita in una confederazione “gallo-teutonica”; da italianista la collocavo nel contesto panitaliano; adesso, razionalmente, la concepisco per conto proprio, poiché le macroregioni sono delle sciocchezze dal puzzo tecnocratico e affaristico. La famiglia imperiale eurussa sta bene, ma qui dobbiamo badare all’autodeterminazione nazionale dei lombardi, senza scendere a compromessi né con Roma né con Bruxelles. Degli altri nemmeno parlo. Al più, avrebbe senso un rapporto stretto con le realtà dell’arco alpino o della (vera) Alta Italia, ossia Toscana e Corsica, fermo restando che, nella storia, è certamente esistito uno spazio carolingio di impronta celto-germanica che comprendeva anche la Padania.

Volenti o nolenti, dobbiamo certamente fare i conti con la realtà, ma senza perdere di vista l’obiettivo fondamentale, che è quello di opporci risolutamente all’omologazione dello status quo divenendo esempio e applicando, nel concreto, i dettami del nazionalismo etnico. Come individui e come popolo. E senza dimenticarci che, prima della politica, viene la cultura poiché se mancasse quest’ultima la res publica sarebbe completamente svuotata di significato. A che giova portare alle urne i lombardi se questi non sanno nemmeno chi sono?  L’indipendenza e la liberazione della Lombardia cominciano dalle nostre menti e coscienze.

Non rinnego la fase italianista, così come non rinnego i primordi lombardisti, e se oggi posso gustare appieno, nella maturità dei miei quasi 40 anni, il lombardesimo è anche grazie a quei precedenti sette anni in cui tra meditazioni, riflessioni e studi ho fortificato la convinzione che ogni rinascita di orgoglio patrio deve necessariamente passare per la verità del sangue, la sacralità del suolo e la luminosità dello spirito. E, dunque, oggi più che mai affermo con convinzione che la mia patria è la Grande Lombardia.

Grande Lombardia

GL

Il 6 novembre 2013, data mediana tra equinozio d’autunno e solstizio d’inverno, nel suggestivo scenario medievale del Castello Visconteo di Pavia (la capitale morale lombarda), nasceva l’associazione politica Grande Lombardia, continuazione del fu Movimento Nazionalista Lombardo.

Ne uscii nell’aprile 2014 per via del desiderio, di allora, di recuperare la cornice italica, in chiave etnofederale, e prendere le distanze dall’indipendentismo, ma è stata un’esperienza degna di nota che ha certamente avuto il suo senso e rappresentato una tappa formativa del mio pensiero etnicista. Dopo essermi, nell’autunno 2021, riconciliato con le mie origini ideologiche, ne ho ulteriormente rivalutato la portata, confermando la natura rivoluzionaria del lombardesimo.

Nell’estate del 2013, il Movimento Nazionalista Lombardo, fondato da Adalbert Roncari e dal sottoscritto, fu sciolto per poter dare spazio a questo nuovo progetto lombardista, che senza rinnegare le posizioni di partenza le ha estese alla Lombardia storica orientale (nel Medioevo il termine ‘Lombardia’, come sappiamo, designava in buona sostanza la maggior parte del territorio “italiano” settentrionale).

Come MNL ci eravamo soffermati sulla Neustria longobarda, fondamentalmente, vale a dire Val d’Aosta, Piemonte, “Svizzera” lombarda, Regione Lombardia, Emilia fino al Panaro e altri brandelli di territorio padano appartenenti oggi a varie realtà amministrative; con GL si allargò il discorso lombardista all’Austria longobarda, ossia Trentino, Lombardia venetizzata e Friuli, escludendo per ragioni etno-storiche il Tirolo primigenio (ossia quello meridionale), il bacino dell’Isonzo, l’Istria, l’Emilia al di là del Panaro, la Romagna e le coste venete con l’entroterra.

Allo stesso modo escludemmo la Liguria dalla parte occidentale perché poco e tardi longobardizzata e, inoltre, quasi del tutto mediterranea a differenza del territorio lombardo etnico (che sarebbe un po’ anello di congiunzione fra Mediterraneo ed Europa centrale), e così Bolognese e Ferrarese, adriatici e solo all’ultimo conquistati dai Longobardi.

In un secondo momento integrammo anche i territori periferici suddetti, perché comunque parte del contesto geografico, storico, linguistico, culturale e politico alto-italiano (per capirsi), della Cisalpina, e per ragioni di logica e razionalità: che senso avrebbero una Liguria, una Romagna, un Alto Adige e una Venezia lagunare e giuliana indipendenti, staccati dal grosso del territorio padano-alpino e subcontinentale?

L’associazione politica Grande Lombardia, sorta nell’antica capitale longobarda, è stata fondata dall’Orobico, dal sepriese Adalbert Roncari (attuale presidente), dal pavese Achille Beltrami, dal friulano Ludovic Colomba e dall’oltrepadano Alessandro Poggi, e si propone di affrancare, mediante l’etnonazionalismo lombardo (lombardesimo), il sentimento identitario di tutte le genti cisalpine, che possono dirsi lombarde perché sviluppatesi dalla Langobardia Maior (e ‘Lombardia’ deriva da questo); logicamente, non si trattava di fare i germanisti e i nordicisti ma di preservare l’identità storica dei lombardi, che è il risultato della fusione tra Celti, Galli, Goti e Longobardi, senza dimenticare popoli come Liguri, Reti, Etruschi, Veneti antichi e Romani che hanno contribuito all’edificazione della Lombardia o, meglio ancora, della Grande Lombardia, che dà il nome al movimento.

Le posizioni di GL non sono mai state indipendentiste tout court, perché abbiamo sempre pensato che l’indipendenza sia un mezzo, non il fine, e perché l’enfasi lombardista è stata sempre posta, anzitutto, sulla questione etnica, biologica, antropologica, culturale, ambientale, storica. Altresì, l’etnonazionalismo, nel caso grande-lombardo, presuppone l’indipendentismo, ma non viceversa, come i separatismi storici europei dimostrano. Chi ha avuto modo di visitare il sito di Grande Lombardia avrà notato che l’impostazione non è secessionista, anche perché negli anni scorsi, durante la mia fase italianista, cercai di stabilire un contatto tra il gruppo lombardista superstite ed EreticaMente – per cui scrivevo – al fine di sviluppare una collaborazione.

Oggi GL è, per così dire, ibernata, attiva come pagina su Facebook ma per il resto dormiente; il sito non è più stato aggiornato. Chi ne fa parte (penso circa una decina di persone) ha sicuramente posizioni indipendentiste e anti-italiane, seppur il fine principale sia sempre stato quello dell’autodifesa etnoculturale e territoriale totale (vedi alla voce ‘comunitarismo’). Va da sé che la collocazione ideale della Grande Lombardia nella visione lombardista, e questo sin dagli albori, stia nella liberazione dal giogo tricolore. Io stesso, distaccandomi dalla passata esperienza patriottarda volta al tentativo di conciliare la Lombardia con l’Italia romana, mi sono riassestato su posizioni nettamente indipendentistiche, perché i palliativi, i brodini, i pannicelli caldi non sono consoni ad un’ideologia radicale, decisamente schierata contro il mondialismo (alimentato anche da Roma).

Grande Lombardia, indi, abbraccia le terre dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali e da quelle Centrali all’Appennino settentrionale (cioè lombardo), accomunate dall’eredità innanzitutto gallica cisalpina romanizzata e in secondo luogo dall’impronta longobarda, che ha caratterizzato tutto il cosiddetto nord vero e proprio della Repubblica Italiana; nel Medioevo, se un transalpino doveva varcare le Alpi era solito dire: «Vado in Lombardia» (d’altro canto, nello stesso periodo, il termine ‘Italia’ designava più il centro-nord che il sud, ma questo per motivi di prestigio e di antico retaggio politico romano).

I territori inizialmente estromessi sono stati poco e tardi longobardizzati (Liguria, Padova, Bologna e Ferrara) o per niente colonizzati dai Longobardi (Romagna e coste venetiche), oppure appartengono geograficamente e storicamente alla Lombardia allargata (Tirolo meridionale, Isonzo, Istria) ma etnicamente sono popolati da, tecnicamente, allogeni (bavari, sloveni, croati). Perciò, nei primevi intenti di GL, la cartina grande-lombarda escludeva le coste liguri, le Romagne (Emilia orientale, Romagna e terre gallo-picene), il Veneto costiero al di sotto di una immaginaria linea delle risorgive, il mondo retico cisalpino germanofono a nord del confine etnico di Salorno e la Venezia Giulia storica oggi inglobata da Slovenia e Croazia.

Ricordo con simpatia i bei tempi in cui il duo Sizzi-Roncari, inebriato dal purismo continentale e terragno, discriminava i popoli settentrionali costieri e lagunari in nome di una talassofobia “longobarda” da impenitenti consumatori di burro e strutto, contrapposta agli amanti “bizantini” dei boccioni d’olio d’oliva, del pomodoro, dei latticini di pecora e capra in odore di intolleranza al lattosio. Il Panaro come confine enogastronomico e zootecnico, confortato dalla storica dicotomia tra Langobardia e Romandiola, fu per anni uno dei pezzi forti delle rivendicazioni lombardiste. Eravamo tutti più giovani.

Ad ogni modo, la tenzone identitaria grande-lombarda è rivolta alle realtà galloromanze cisalpine longobardizzate e, dal Medioevo, ritenute lombarde (e qui si pensi a chi costituì la Lega originale, la Societas Lombardiae). Città come Trento e Verona, in antico, parlavano lombardo e non è affatto peregrino affermare che la porzione di Regione Veneto inclusa nelle allora cartine lombardiste (quella continentale, in pratica) sia stata venetizzata dalla Serenissima, spezzando quel continuum linguistico che doveva esserci in tutta la Cisalpina – Dante docet – grazie alla sovrapposizione di Celti e Longobardi latinizzati.

Il movimento Grande Lombardia prende, dunque, le mosse dalla realtà etnoculturale e geografica genuina della Lombardia, lo zoccolo duro, unendo le due Lombardie storiche, occidentale e orientale, nel nome della loro comune eredità e delle sfide presenti e future che le attendono.

L’esperienza lombardista precedente, quella del Movimento Nazionalista Lombardo, è stata una sorta di laboratorio, di cammino preparatorio al grande salto di qualità che punta a riunire tutti i lombardi sotto l’insegna della Croce lombardista (GL unisce, nel suo vecchio simbolo, le due croci alpino-padane storiche, integrandole alla ruota solare indoeuropea che rappresenta la grande famiglia continentale d’Europa), dello Swastika camuno e del Ducale visconteo, del Biscione; Grande Lombardia è un movimento politico, ma anche culturale, che non punta ai voti, alle poltrone, ai quattrini, ma ai lombardi e alle lombarde in senso etnico e storico, che vogliono battersi per l’affrancamento, la difesa, la promozione e l’autoaffermazione, innanzitutto identitaria, delle genti in questione.

Questa battaglia è tanto comunitarista, ruralista, solidarista quanto ispirata ad un salutare razionalismo che non ripudi lo sviluppo, il progresso (scientifico, si capisce), la tecnologia (come potremmo?) ma dia ad essi un volto sociale e nazionale mirato al benessere della collettività lombarda, senza anarco-individualismi o sterili passatismi. Proiettare la Grande Lombardia nel futuro, onorando il passato, e concretizzando un presente di sacrosante lotte metapolitiche. Gli scopi statutari e programmatici di GL combaciano coi miei, per quanto l’associazione sia, ad oggi, ferma. Mi distacco, solamente, dal vecchio punto relativo alla critica indiscriminata nei riguardi del cattolicesimo, ovviamente tradizionale – confuso con forme spurie di cristianesimo, ebraismo e islam – e alla scristianizzazione, che all’epoca condividevo ma da cui poi ho preso le distanze. Oggi sono convinto che, religiosamente parlando, l’ideale sia una fusione della gentilità precristiana cisalpina con il cattolicesimo ambrosiano, dando vita ad una Chiesa nazionale l0mbarda.

Nella primavera del 2014 sentii l’esigenza, suggestionato dall’antichità italica, latina, romana, di ampliare il mio sguardo estendendolo al quadro panitaliano, cercando di conciliare la visuale lombardista – mai rinnegata – con quella di un italianismo etnofederale supportato dalle glorie di Roma antica e da altre esperienze comuni (la civilizzazione etrusca, l’Italia augustea, l’epopea longobarda, l’italianizzazione linguistica). Portai avanti per sette anni quest’ottica ma fu un periodo in cui la preponderante componente etnonazionalista necessitava di una certa coerenza, e la realtà dei fatti non poteva essere nascosta o distorta dall’ideologia; dopo gli ardori iniziali, il mio italianismo si assestò su posizioni culturali e civili, recuperando quasi in toto l’enfasi sugli aspetti genuinamente nazionali, ossia lombardi. Sicché, venendo meno nell’estate 2021, sulla scorta di nuovi dati biologici e scientifici, la bontà dello zelo patriottico all’italiana, mi sono riavvicinato con convinzione alle origini, impugnando nuovamente, e senza compromessi, la bandiera del lombardesimo.

Per chi pone la triade sangue-suolo-spirito al di sopra di tutto è impossibile, alla lunga, conciliare l’inconciliabile, e la dirompente forza dell’etnicismo avrà il sopravvento su ogni proposito meramente culturale o storico. Fermo restando che, sebbene con mille forzature, l’Italia può essere ritenuta una sorta di civiltà eterogenea, il concetto di cultura italiana è del tutto moderno, artificiale e disomogeneo, basato sulla lingua toscana e su elementi comuni a molte altre realtà europee. Cattolicesimo, romanità e ambito neolatino sono un po’ pochino per parlare di nazione italiana dalle Alpi alla Sicilia…

Una cosa da me rivalutata, dopo la fine del periodo italianista, pertinente al progetto originale di GL, è l’inserimento della Lombardia in una sorta di macroregione gallo-teutonica centro-europea, cuore della civiltà continentale. Abbiamo molti elementi in comune con l’arco alpino, soprattutto nelle stesse aree alpine grandi-lombarde, e anche se la Pianura Padana – per non dire delle coste – si avvicina più alla Toscana o alla Provenza che alla Svevia e alla Baviera, il medievale spazio carolingio d’Europa andrebbe rivitalizzato. Detto questo lasciamo pure perdere le macroregioni europee e concentriamoci sulla nostra realtà etnonazionale, quella lombarda, anche se di certo il cuore europeo, cui la Cisalpina appartiene, rappresenta la papabile classe dirigente euro-siberiana.

Il potenziale originario di Grande Lombardia era importante e interessante soprattutto in direzione comunitarista, per sviluppare quel salutare attaccamento alla stirpe e alla terra, quella genuina solidarietà tra connazionali, quel robusto senso montanaro e contadino, terragno oserei dire, che contraddistingue i lombardi. Ma la Lombardia è anche le città, l’economia, l’industria, le eccellenze, la qualità, la ricchezza frutto del duro lavoro e il lombardesimo non ignora tutto questo, anzi, vuole dargli la giusta rilevanza, comunque in un contesto di etnonazionalismo e visione nazional-sociale.

Parlo di lombardesimo, cioè dell’ideologia da me plasmata, e che fu il motore dottrinario dell’MNL e di GL; per quanto il primo non esista più e non faccia parte, da anni, della seconda resta il fatto che gli unici movimenti/associazioni cui mi sia sentito legato sono ovviamente quelli da me fondati, e di cui conservo con soddisfazione ed orgoglio ottimi ricordi.

Quando, nel 2014, mi sganciai dall’ambito indipendentista non rinnegai, comunque, la difesa seria e razionale dell’identità e della tradizione lombarde che continuai a sentire, negli anni seguenti, come le più vicine a me: prima ero bergamasco e lombardo e poi, italiano. E mi sembra naturale. Davo a quell'”italiano” una valenza linguistica, culturale e civile, più che propriamente nazionale (e, dunque, etnica), e va da sé che l’italianità della Lombardia – come della Sardegna, per dire – sia una finzione, un orpello retorico patriottardo. Gli italiani sono gli indigeni centromeridionali della Repubblica, tutti gli altri sono italiani, sostanzialmente, sulla base di un pezzo di carta e della burocrazia statolatrica romana. E non mi si venga a dire che: «Gnè gnè gnè, parli italiano anche tu!», perché questa è soltanto la lingua di Firenze, e se l’adopero è solo per educazione, comodità, convenienza e comprensione. A cà Siss si favella in bergamasco, e solamente in tempi recenti il toscano è diventato la lingua corrente delle Lombardie. D’altronde, anche gli irlandesi parlano inglese, senza essere inglesi.

Paolo Sizzi sbarca sulla “Scossa”

Signori, ci siamo: ho preso la decisione di sbarcare sulla “Scossa”, Twitch, e potete reperire il mio profilo qui. La scelta è dettata dall’esigenza di dare più qualità alla divulgazione e alla propaganda, unendo così l’ambito culturale ed etnoantropologico a quello ideologico, politico e dottrinario, ovviamente in accezione squisitamente lombardista. È una nuova avventura per me, un’iniziativa, che si spera coinvolgente e accattivante, volta a sfruttare al meglio gli strumenti tecnologici offerti dalla rete, al fine di imprimere più efficacia all’azione culturale e ideologica di Paolo Sizzi. Grazie, sin da ora, per la pazienza, la collaborazione e il supporto, di varia natura, che offrirete, e vi invito a poter partecipare attivamente alle dirette, anche per mostrare come esista una comunità lombardista, per quanto, al momento, prevalentemente virtuale. Il contenuto delle trasmissioni sarà di carattere, come detto, culturale ed etnoantropologico (spazio, insomma, a craniometria e genetica delle popolazioni) senza tralasciare il lato ideologico e dottrinario, sulla falsariga di quanto portato avanti su Telegram e YouTube. Margine per del sagace intrattenimento, con un tocco di salutare becerume (censura permettendo), ovviamente tollerabile, perché ci sarà anche da ridere, sviluppando un dibattito che risulti appassionante a partire dall’esposizione dei contenuti di rilievo che il Sizzi ha nel carniere. Lombardia al primo posto.

Penso vi potrà anche essere un angolo dedicato alle disamine craniometriche, unito all’approfondimento antro-genetico, fermo restando che il fulcro delle dirette sarà comunque quello relativo al lombardesimo, sia in senso culturale che dottrinario. So che Twitch è una piattaforma diversa, rispetto al “Telegramma” e al “Tubo”, e bisognerà cercare di conciliare la divulgazione e la propaganda con il pubblico ivi presente, senza però snaturare l’opera sizziana. Credo sia una bella novità per tutti e staremo a vedere come si svilupperà nel tempo, lasciando un po’ di posto anche all’improvvisazione, per osservare il divenire di ciò che verrà mandato in onda. Ne approfitto di nuovo per invitarvi ad interagire concretamente, in maniera costruttiva (sebbene un po’ di goliardia non guasti), mettendo ad ogni modo in conto le incursioni dei soliti detrattori, ma fa parte del giuoco. Da ultimo un promemoria e un ringraziamento. Sto pensando a tre dirette settimanali, di cui una, fissa, alla domenica (soledì) sera, e le altre due a seconda degli impegni; la fascia oraria di riferimento è sempre 20-21. Avrò comunque occasione di essere più preciso nel prosieguo. E infine un sentito grazie a dei ragazzi lombardisti, molto giovani e in gamba, che oltre a sostenermi hanno contribuito, nel concreto, alla creazione e gestione di alcuni spazi. Dopotutto, il buon Sizzi è (quasi) un “boomer”.