Lombardesimo e ateismo

Come sapete, l’ideologia lombardista teorizza il cosiddetto etno-razionalismo, e cioè un salutare razionalismo unito all’etnonazionalismo. Promuove, dunque, una visione del mondo razionale, scientifica, realista, che vada al di là della metafisica e non si impantani con le religioni, soprattutto abramitiche. L’etno-razionalismo è a suo modo ateo, ma prende le distanze dall’accezione corrente di ateismo che è frutto di una secolarizzazione e di un laicismo di matrice giacobino-massonica e progressista. Il lombardesimo elabora una filosofia laica e francamente atea, essendo profondamente innamorato della natura e della scienza, ma allo stesso tempo difende lo spirito, ovviamente inteso non come qualcosa di trascendentale bensì come basilare elemento umanistico che dà linfa vitale al sangue e al suolo.

Le posizioni di Paolo Sizzi e Adalbert Roncari, i due camerati storici lombardisti, sono attestate sulla linea di un ateismo-agnosticismo che rifiuti e condanni il monoteismo mediorientale, prodotto estraneo alle vere radici – gentili – d’Europa, e che sviluppi un robusto buonsenso identitario e tradizionalista rispettoso della ragione. Essa deve essere il faro dell’uomo, in particolar modo bianco, e ogni zavorra oscurantista e superstiziosa va senz’altro rigettata. Sizzi e Roncari, pur essendo decisamente razionalisti, riconoscono comunque la legittimità di un filone cultuale pagano, espressione della spiritualità europea, e ne promuovono la riscoperta come mezzo culturale utile alla causa del lombardesimo.

Pertanto vi sono due forme di ateismo: una classica, frutto dell’Illuminismo, che si batte non solo per l’empietà ma soprattutto per la difesa di una squallida visione delle cose di taglio liberal (o libertaria), con tutte le ricadute negative del caso (omofilia, femminismo, materialismo zoologico, anarco-individualismo, antifascismo, egualitarismo, cosmopolitismo), e una per così dire innovativa, legata all’etno-razionalismo. Quest’ultima, certo rispettosa della scienza ma non degli eccessi scientisti (perciò del dispotismo dell’attuale comunità scientifica), evita lo strascico di spazzatura progressista perché mette bene in chiaro che la negazione dell’esistenza di divinità non deve assolutamente mischiarsi al ciarpame “giacobino”. Un ateismo, dunque, identitario e votato alla salvaguardia di ciò che esiste per davvero: sangue, suolo, spirito.

Potremmo anche dire, tranquillamente, che la visione lombardista è essenzialmente materialista, ma anche in questo caso non di un materialismo animalesco, proiettato verso consumismo ed edonismo, poiché si tratterebbe del riconoscimento di un mondo materiale reale, concreto, presente ai nostri sensi e alla nostra esperienza umana, scevro di afflati spirituali ma anche di affabulazioni illuministiche. Non crediamo in Dio, nell’anima, nell’aldilà, nella metafisica e nel mondo astratto delle idee ma non per questo assecondiamo i bassi appetiti anarcoidi della moderna mentalità occidentale. Del resto, non sta scritto da nessuna parte che per essere seri tradizionalisti serva essere credenti.

Non abbiamo, infatti, alcun bisogno di deità, chiese e religioni per sposare una visione del mondo identitaria e tradizionalista, virile e patriarcale, conservatrice nel giusto ed eroica, anzi, una metafisica soprattutto universalistica rischierebbe soltanto di banalizzare la vocazione patriottica dell’etno-razionalismo, che riconosce la nazione sopra ad ogni cosa. Siamo dell’idea che la religione sia soltanto un ingombro inutile, sottoprodotto dell’ignoranza, della miseria, della superstizione e oggi legata ad una morale untuosa che nel caso della Chiesa vira pericolosamente verso mondialismo, terzomondismo e universalismo apolide. Nondimeno distinguiamo, dai credi semitici, la gentilità che per via del suo intimo legame con l’Europa rappresenta una forma di culto per davvero tradizionale.

L’ateismo lombardista, per quanto non sia militante e fondamentale (la religione, dopotutto, è un fatto secondario, nella nostra ottica), assume perciò le caratteristiche scientifiche di un razionalismo leale con l’etica solare dei nostri padri indoeuropei, e desideroso di risolvere gli equivoci ingenerati dall’ateismo classico, appunto, che è sottoprodotto della temperie illuministica e giacobina. Una miscredenza che, oltretutto, finisce per combaciare coi deliri della coerenza evangelica. Teniamo in non cale i philosophes, disprezziamo la Rivoluzione francese e le sue conseguenze esiziali, e pur non ergendoci a difensori di trono e altare riconosciamo la bontà e la legittimità delle posizioni tradizionaliste, ancorché slegate da una fede religiosa.

Va da sé che il cattolicesimo e il cristianesimo in genere, come ebraismo e islam, siano qualcosa di estraneo al nostro continente, alieno dallo spirito pagano e ariano, ed è naturale dunque sviluppare una visuale razionalista incentrata su ciò che esiste, si manifesta e viene esperito ogni giorno della nostra vita e della vita dei nostri popoli. La religione è vecchiume superfluo, anacronismo che ci inchioda ad una mentalità servile, fanatica, levantina (si parla, naturalmente, di credo mediorientale) e ad un pensiero debole volto alla castrazione dello spirito eroico degli europei.

Non è certo un caso che la religiosità oggi prosperi presso le genti del terzo mondo, le vecchie, gli “ultimi”, e non lo si dica in termini di disprezzo classista – ci mancherebbe! – ma di condanna verso una spiritualità che esalta tutto ciò che sa di sconfitta, di fallimento, di anormalità e di diversità, ed è soprattutto il caso del cristianesimo. Le ovvie conseguenze di una simile morale sono la criminalizzazione del razzialismo, del nazionalismo, dell’etnicismo, il che rende il Vaticano conforme alle perverse logiche della modernità e del mondialismo. Fra l’altro, giusto per sopravvivere e non affondare nell’oceano dell’indifferenza dell’Occidente contemporaneo.

Non vorremmo sorgessero degli equivoci, comunque. Noi condanniamo la religione cristiana perché estranea all’Europa, semitica, anacronistica, debole, effeminata, serva, oscurantista – per quanto oggi schiava della contemporaneità, appunto per galleggiare – e non perché disprezzata da una gioventù massificata che non crede più in nulla. Noi ripudiamo l’ateismo e l’agnosticismo come elaborazioni della mentalità consumistica attaccata al denaro e al benessere, succube dei miti del successo, del progresso e dell’edonismo, e non vorremmo mai che il vuoto lasciato dal cattolicesimo venga colmato dal liquame della decadenza occidentale. Anche per questo sosteniamo a spada tratta l’etno-razionalismo, in qualità di laica forma di identitarismo scientifico e naturale chiamato a sconfiggere le tenebre del satanismo mondialista.

Insomma, non ci serve un dio, una religione, una metafisica per dirci identitari e tradizionalisti, ed essere critici nei confronti della spiritualità, segnatamente semitica, non significa abbracciare la spazzatura di una secolarizzazione figlia del 1789, e quindi  malata di egualitarismo. Certo, non vogliamo sottostare ad un assolutismo che ci veda schiavi di inesistenti dei, in balia del fantomatico peccato e bisognosi di riscatto e redenzione, perché inferiori esseri finiti, e non vogliamo mortificarci con un dogmatismo elaborato da intriganti per beffare e sottomettere gli ignoranti, sacrificando la nostra esistenza all’assurdità di una inesistente vita oltremondana. A questo proposito, il nostro tradizionalismo è differente: rispettoso dell’ethos indogermanico, a difesa di patriarcato, eterosessualità, monogamia, nemico di qualsiasi forma di perversione anti-identitaria ma al contempo proiettato in un futuro in cui scienza ed etnonazionalismo collaborino, sbarazzandosi finalmente di ogni fardello irrazionale ed incompatibile col vero spirito europeo.

Lombardesimo e islam

L’islam è il fratello minore di giudaismo e cristianesimo, anch’esso partorito dal deserto mediorientale e figlio di genti semitiche. È un’eresia del cristianesimo, che a sua volta è un’eresia del prisco ebraismo, e con le altre due religioni monoteistiche condivide il culto per un dio abramitico, che con l’Europa non c’entra alcunché. Ne risulta che la presenza islamica nel nostro continente è intollerabile, anche perché profondamente ancorata a decine di milioni di fedeli appartenenti al terzo mondo, dunque allogeni nel contesto europeo. Infatti, il problema più grave della religione musulmana non è il credo in sé – non poi così diverso dal cristianesimo – ma la zavorra migratoria che rappresenta.

È anche un problema culturale, certamente. La fede di Maometto è intrinsecamente legata al Medio Oriente e alle sue costumanze, pertanto è un corpo estraneo, in Europa, ancor più della religione di Cristo (che, un minimo, è europeizzata). L’importazione di usi, costumi, tradizioni e mentalità fondamentalmente arabi, per non parlare della cultura da sud del globo, non è compatibile con le nostre radici, il nostro spirito e la nostra identità, e teniamo bene a mente che prima di riferirlo all’islam lo indirizziamo a giudaismo e cristianesimo; il primo è un prodotto ebraico praticato da genti ebraiche, il secondo non ha accezione etnica ma è di matrice levantina e, per di più, a vocazione universalistica.

Mosè, Gesù e Maometto sono immigrati mediorientali da rispedire al mittente, per quanto il cristianesimo sia radicato in Europa da circa 2.000 anni. Vi sono certi ambienti, diciamo pure nazisteggianti, che strizzano l’occhio al musulmanesimo, visto come religione virile, guerriera, “cattiva”, contrapposta al giudeo-cristianesimo. Sebbene io non condivida la pacchiana islamofobia in stile Oriana Fallaci, Roberto Calderoli, Matteo Salvini, Geert Wilders o Michel Houellebecq, e dunque il disprezzo liberale e filo-giudaico (quindi filo-sionista) per Maometto, ritengo che la fede islamica vada espulsa dal nostro continente, assieme ai suoi credenti allogeni.

Esistono contrade europee, basti pensare ai Balcani, in cui l’islam ha attecchito storicamente, presentandosi oggi come rimasuglio di domini esotici (ottomani), e per quanto i fedeli siano indigeni d’Europa (i famosi musulmani dagli occhi azzurri) praticano un culto che è una spina levantina nel fianco del nostro continente, direi intollerabile. Se le chiese cattoliche od ortodosse possono essere accettate, più che altro in qualità di musei, sinagoghe e moschee, in Europa, sono un insulto alla nostra storia e alla nostra identità e andrebbero smantellate. La cultura maomettana non è compatibile con le nazioni europidi, e se ne sta dunque bene in altri lidi.

D’altra parte, riconosco tranquillamente che l’islam sappia essere un valido alleato contro il mondialismo giudeo-americano, soprattutto se si parla di musulmani sciiti, ma questo ha un senso laddove i popoli islamici in oggetto restino nella propria patria. In caso contrario essi diventano pedine manovrate dal sistema, e riversate in Europa per distruggere identità, tradizione, spirito. Sarebbe comunque bene comprendere che, a suo modo, anche il musulmanesimo è una forma di mondialismo, al pari del cristianesimo, del comunismo, del capitalismo e del multipolarismo dei BRICS, proprio perché ha aspirazioni universalistiche. Ciò è inaccettabile, specialmente qualora le scimitarre mirino alla conquista del continente europeo e all’assoggettamento e alla conversione degli europei.

Cosa già accaduta in Iberia, Sicilia, Balcani, Tracia, Cipro, Caucaso ma ricordiamoci di Poitiers, di Lepanto, di Vienna e di tutte quelle battaglie che hanno rappresentato una riconquista bianca, di casa propria, contro degli invasori alloctoni, perché ribadiamo che il peggior problema islamico è, appunto, la natura esotica dei suoi credenti. Sarebbe infatti sterile sparare a zero su Maometto per questioni meramente religiose, dal momento che l’Europa è stata cristianizzata, perciò i nostri strali si appuntano in particolare sulla questione etnica e razziale. Poi, chiaramente, anche culturale. Lo spirito arabo ha concepito una religione araba ed è assurdo volerla trasporre in chiave europea. Non si può essere giudeo-cristiani ed europei allo stesso tempo, e non si può esserlo nemmeno con il maomettismo.

Le simpatie “identitarie” per le sottane del “profeta” sono, dunque, francamente patetiche, anche perché l’islam è roba da terzo mondo. La stessa critica e condanna riguarda cristianesimo e, soprattutto, giudaismo e se lombardi ed europei anelano ad una vita spirituale possono tranquillamente riscoprirla grazie ad un rinnovato fervore gentile, in linea con le radici e le origini delle nostre terre. Il fascino per l’islam è assurdo: la virilità, il piglio guerriero, il patriarcato, la lotta contro il modernismo e la secolarizzazione progressista (con tutto quello che ne consegue, vedi ad esempio il femminismo) sono mirabilmente incarnati dalla tradizione indoeuropea, ed è proprio ai padri ariani che dobbiamo guardare.

A volte, chi ammira l’islam lo fa perché disgustato da un cattolicesimo all’acqua di rose che imbarca acqua da tutte la parti, poiché finalmente coerente con la sua natura evangelica. Il cristianesimo propone una mentalità debole, schiava, effeminata, remissiva, perdente, direi masochistica e lo si vede anche nella tipologia di martiri che la religione cristiana propone: gente che si lascia umiliare e ammazzare, come lo stesso Gesù. L’islam, invece, è aggressivo, conquistatore, fanatico e offre figure di martiri completamente diverse da quelle del cristianesimo, come lo stesso fondamentalismo dimostra.

Anche per tali ragioni, in certe frange dell’estrema destra nostrana, esiste una certa fascinazione per Maometto e il suo culto, visti come antidoto al mondialismo, al laicismo ateo dell’Illuminismo e alla sovversione valoriale incarnata dal feticcio del consumismo e dell’edonismo occidentali. Ma, ribadisco, non abbiamo nessun bisogno dell’islam per ritrovare patriarcato, piglio guerriero e virile, mentalità da eroi e padroni, vocazione allo spirito uranico e solare: basta guardare, nuovamente e con rinnovato entusiasmo, al mondo indoeuropeo, che sta alla base della civiltà europea ed è l’artefice della nostra natura. Peraltro, sarebbe esilarante ripudiare il cristianesimo per fiondarsi tra le braccia di una religione di semiti, camiti, negri e meticci.

Lasciamo perdere il monoteismo abramitico, signori, sia esso giudeo-cristiano o islamico, in quanto prodotto mediorientale, faccenda per levantini, non per europei. La posizione del lombardesimo è di condanna nei confronti delle religioni abramitiche, perché la riscoperta identitaria e tradizionale deve passare per i veri culti europei, che sono quelli ariani, fermo restando che l’etno-razionalismo è la visione lombardista predominante in materia di spirito. Ciò non toglie che la religione possa avere un posto, nella dottrina etnonazionalista cisalpina, e per questa ragione la pista conduce alla Chiesa nazionale ambrosiana. Ma avremo modo di riparlarne.

Lombardesimo e gentilità

L’unica forma di religiosità che il lombardesimo può davvero tollerare è il paganesimo, poiché insieme dei culti realmente tradizionali che caratterizzano la spiritualità europea genuina. A differenza del monoteismo abramitico, cristianesimo incluso, la gentilità è espressione cultuale delle genti europee, in particolare con riferimento alla cultura indoeuropea, e si concilia perfettamente con la stessa ideologia lombardista, in nome delle nostre vere radici. Seppur il lombardesimo releghi la religione ad aspetto secondario, è chiaro che le manifestazioni spirituali non siano tutte uguali e dunque il paganesimo può ambire ad un ruolo culturale importante in seno alla società plasmata dal pensiero etnonazionalista.

Capiamoci, oggi non esiste più il prisco paganesimo, essendosi interrotto il cammino iniziatico circa 2.000 anni fa, e abbiamo dunque a che fare col neopaganesimo; troppo spesso esso esonda nelle pagliacciate e nelle mascherate e sarebbe quindi bene riorganizzare la “chiesa” pagana affinché possa rappresentare una spiritualità depurata dalla cialtroneria e coerente col disegno etnicista. Parlando di Grande Lombardia, e avremo modo di riprendere il discorso più avanti, l’ideale sarebbe una Chiesa nazionale ambrosiana trasmutata in una nuova forma di paganesimo razionale, affinché la religiosità nostrana sia finalmente incarnata da qualcosa di davvero coerente con l’etnonazionalismo. È chiaro che la religione non debba in alcun modo ostacolare la politica, pertanto è necessario che la prima non rappresenti qualcosa di alieno e di estraneo al nazionalismo etnico.

I culti tradizionali d’Europa sono manifestazione spirituale delle genti europee, pensando soprattutto alle antiche radici ariane. Il paganesimo, perciò, va di pari passo con l’etnia, la cultura, la mentalità, gli usi e costumi e il folclore e si fa araldo di una visione tradizionalista che non si mischi col monoteismo semitico, cui il cristianesimo appartiene. Personalmente, la religione non mi interessa, e così nell’ottica lombardista resta in secondo piano, ma ben sapendo che il popolo abbia bisogno di una vita spirituale – in contrasto ad una secolarizzazione instradata su binari progressisti – sono favorevole al supporto nei confronti di una rinnovata forma di gentilità.

È tuttavia chiara una cosa: tale forma di gentilità deve essere del tutto coerente col lombardesimo, non deve mettergli i bastoni fra le ruote e deve incarnare appieno i valori lombardisti; per tale ragione, ogni aspetto equivoco del paganesimo va liquidato in favore di una schietta visione tradizionale e tradizionalista, che rimetta al centro della dimensione comunitaria la mentalità patriarcale, virile, guerriera, eterosessuale, monogama, endogama. Un razionale conservatorismo coerente con il preservazionismo culturale e cultuale, frutto del nostro retaggio indoeuropeo. Il mondo ariano deve essere il nostro faro, contro ogni devianza modernista.

Forse qualcuno può pensare che il razionalismo, il realismo e il materialismo del lombardesimo difficilmente possano conciliarsi con la spiritualità indoeuropea, votata com’è alla sfera solare, uranica, celeste, ma credo non sia così. Il lombardesimo ha certamente una robusta visione razionalista ma non condanna le forme di spiritualità compatibili col nostro mondo e reputa tollerabili una riscoperta ed una rinascenza della religiosità pagana, emendate dalle buffonate in stile wicca e new age. Il sottoscritto è francamente ateo, ma non ateista, non intende cioè portare avanti un ateismo militante che si sostituisca all’oscurantismo semitico, anche perché la religione è un aspetto culturale che fa parte della nostra identità. E dunque lo spirito solare, tipico degli Indoeuropei, va convogliato nel sistema di valori del nazionalismo etnico lombardo.

Fra l’altro, una rinascenza identitaria gentile potrebbe sostenere entusiasticamente il lombardesimo, perché marcerebbero nella stessa direzione: l’esaltazione di sangue, suolo e spirito, la difesa dell’europeismo etnicista, l’affrancamento della Grande Lombardia da Roma (e dal Vaticano) e da ogni altro ente sovranazionale, la liberazione delle nostre terre dal dispotismo cattolico in quanto corpo estraneo di origine ebraica. La religione si occupa di faccende, a mio dire, superflue, e si concentra su aspetti irrazionali, assurdi, astratti; nonostante questo posso però riconoscere che rappresenti un elemento culturale interessante, che sia di sostegno allo spirito inteso in chiave lombardista.

Spirito, dunque, concepito come frutto dell’unione di sangue e suolo, espressione di carattere, mentalità, psiche, cultura, civiltà, arte, letteratura, folclore e filosofia di vita delle nostre genti, che una religione per davvero patriottica esalterebbe senz’altro. Con il cristianesimo non è possibile, e non solo perché la Chiesa, oggi, si è allineata al mondialismo, bensì perché la religione di Cristo è intimamente estranea al mondo europeo, incarna principi incompatibili con l’etnonazionalismo, è votata all’universalismo e promuove una morale patetica lontana anni luce dall’ethos indoeuropeo e lombardista. Il dio dei cristiani è lo stesso dio di ebrei e musulmani, espressione culturale e mentale di un ambito a noi totalmente estraneo.

Certo, si potrebbe pensare che il paganesimo sia meno credibile del cristianesimo, con tutto il bagaglio di miti e leggende, ma lo stesso cristianesimo attinge da una Bibbia che è parimenti fonte di irrazionalità, allegorie, astrazioni, e il concetto del Dio unico di tutti è una sorta di anticipazione del mondialismo, in ispregio della biodiversità razziale ed etnica umana. Inoltre, la religione di Cristo si fonda su di un personaggio dalla dubbia storicità (sicuramente non figlio di un inesistente dio), ha assorbito il mondo pagano, celebra festività che ricalcano quelle gentili e abita modelli culturali che non sono suoi propri. Si pensi, appunto, al calendario liturgico, all’organizzazione del clero, alle festività, al culto dei santi e delle madonne, all’uso del latino, al retaggio greco-romano, al parassitismo nei confronti del pensiero filosofico greco, e così via.

La religione non è qualcosa di credibile, è evidente, e va infatti letta con gli occhi dell’irrazionalità, dell’assurdo, del mondo astratto delle idee spirituali, o se volete della fede e della speranza. Un frutto della superstizione e dell’ignoranza, della paura della morte e dell’ignoto, delle manipolazioni pretesche e dello stato di minorità del popolino antico – vessato in ogni modo da un clero parassitario -, e proprio per questo è e resta, nell’ottica lombardista, del tutto secondaria, pur riconoscendo che sia espressione della cultura di un popolo. Ma dobbiamo capirci: la religione del popolo lombardo deve essere coerente, compatibile e funzionale al lombardesimo, che pone la patria lombarda sopra ad ogni cosa, il nostro vero paradiso da salvare dalla barbarie contemporanea.

Lascio che ad addentrarsi nell’irrazionale mondo della spiritualità siano altri, e non voglio certo occuparmi di dispute teologiche che rischiano di mettere in secondo piano ciò che conta per davvero: sangue e suolo. Nonostante questo, ritengo che una visione tradizionale possa anche contemplare il recupero di una forma di religiosità, a patto che essa sia coerentemente schierata a favore dell’edificazione di una società völkisch. E, allora, il paganesimo può farsi carico di tale ruolo, poiché insieme di elementi cultuali e culturali elaborati dai nostri padri liguri, celti, veneti, gallo-romani, longobardi. Come l’induismo, per fare un esempio, rappresenta le credenze di origine ariana dell’India, così una Chiesa nazionale ambrosiana, e lombardista, può animare una religiosità squisitamente lombarda, nel solco tracciato dai popoli antichi e dai loro culti, per davvero tradizionali.

Lombardesimo e spirito

Ho avuto modo diverse volte di parlare dello spirito, per come viene concepito dal pensiero lombardista, ma credo valga la pena approfondire la questione. Il lombardesimo tiene in non cale la metafisica, preferendo ad essa la concretezza della ragione, della scienza e della natura, e come è già stato detto reputa la religione inutile, assieme alla spiritualità, pur rispettando chi si dice religioso (a patto che non professi nulla di eversivo, rispettando a sua volta la nazione). Altresì, se la religiosità in questione è gentile può essere comprensibile e giustificata dalle nostre vere radici tradizionali, e viene riconosciuta parte integrante del bagaglio culturale e civile della lombardità. Ma resta il fatto che questi temi siano secondari, poiché prima di tutto viene la verità assoluta della patria.

In tal senso, quando parliamo di spirito, alludiamo al dato umanistico che contraddistingue il nostro e gli altri popoli d’Europa, senza sconfinare, appunto, nella metafisica. Cosicché lo spirito rappresenta cultura, civiltà, mentalità, carattere, arte, identità, tradizione, folclore e non qualcosa di astratto e assurdo che, non esistendo, non si manifesta. L’insieme di valori, principi e ideali che animano il lombardesimo sono, parimenti, spirito e lo spirito è ciò che nasce dall’incontro di sangue e suolo, e dunque quell’energia vitale etnica e razziale fondamentale ai fini della preservazione identitaria.

Sovente, affermo che il sangue, senza spirito, si riduca a mero fluido biologico, e così il suolo ad un ammasso di terra; sangue e suolo sono il binomio fondamentale del nazionalismo etnico ma, si capisce, hanno bisogno dello spirito. In tal senso lo spirito è la linfa vitale di popolo, etnia e nazione perché va da sé che senza la forza delle idee, del carattere, della mentalità la verità naturale della razza rischia di svilirsi e di ridursi a materialismo zoologico. Il lombardesimo, in un certo senso, è materialista, perché esalta razionalmente la concretezza di sangue e suolo, ma fa riferimento ad un materialismo nobile, filosoficamente alto, centrato su ciò che esiste e può essere percepito.

Da qui, pur riconoscendo la basilare importanza dello spirito, ecco che il nostro pensiero va oltre la metafisica, essendo questa una perdita di tempo giocata su di un campo totalmente irrazionale. A che giova discutere di Dio, dei, anima, aldilà, spiritualità quando vi sono questioni molto più importanti e cruciali, senza alcun dubbio fondate sulla concretezza e la verità della natura? La metafisica esiste soltanto nella testa dell’uomo, frutto, certo, della sua creatività e inventiva ma priva di riscontri oggettivi che ne testimonino la bontà. Alla meglio una perdita di tempo, alla peggio una truffa consumata sulla pelle dei popoli per sfruttarli da corpi parassitari, quali ad esempio la Chiesa e le monarchie.

Un coerente razionalismo, che si fa etnico nel caso lombardista, deve prendere le distanze da qualsiasi religione, credenza o altro surrogato metafisico per poter spiegare quello che non si comprende. Noi confidiamo nella ragione, che è il faro dell’uomo e dei popoli bianchi, e non ci mischiamo a credenti e preti, soprattutto nel caso del monoteismo abramitico, vero e proprio oggetto estraneo in terra europea. La ragione è specie-specifica dell’Homo sapiens sapiens e ci garantisce di poter raggiungere e conoscere la verità, senza esondare nello scientismo o nell’ateismo progressista, universalista quanto le religioni semitiche.

Nel ventunesimo secolo dovrebbe essere chiaro agli occhi di qualsiasi persona con minima istruzione e medie capacità cognitive che le varie metafisiche non sono state altro che l’illusorio frutto dell’incapacità umana antica di dare una spiegazione a fenomeni che apparivano irragionevoli. Ovviamente, come detto, agli occhi dell’uomo dell’antichità. La metafisica, comprensibile in tempi arcaici, è una grave fallacia della ragione e della logica che si è in seguito evoluta in un ottimo metodo di controllo sociale e in un’ottima legittimazione dello sfruttamento dei ceti più deboli, terrorizzati dall’idea (irrazionale) dell’inferno e del castigo divino, a partire dall’ignoto rappresentato dalla morte.

Ma la morte, aprendo una piccola parentesi, non è altro che la fine della vita, il naturale epilogo della parabola umana e animale (o vegetale), dove cessiamo di esistere senza di certo approdare a mondi ultraterreni, inventati di sana pianta dai popoli antichi digiuni di scienza, così come nel caso delle divinità. È pertanto assurdo temere qualcosa che fa da sempre parte dell’esperienza dell’uomo ed è assurdo alimentare le irrazionali e superstiziose dicerie metafisiche sull’ignoto, su ciò che sta al di là della vita. Al di là della vita non c’è un bel nulla, molto semplicemente, e oggi dovrebbe essere chiaro quanto i preti abbiano campato di rendita sulle ataviche e irragionevoli paure del popolino.

La critica del lombardesimo, sempre a proposito di spirito e spiritualità, è rivolta soprattutto al monoteismo abramitico, vero e proprio assolutismo, nonché dogmatismo e oscurantismo, precursore della moderna dittatura del pensiero unico mondialista, che in quanto prodotto culturale di origine mediorientale ha deviato l’Europa con tutta una serie di idee aliene al nostro continente e allo spirito indoeuropeo, andando peraltro a pervertire dottrine filosofiche autoctone, piegate a guisa di ancelle alle vere e proprie assurdità della teologia.

Gli unici strumenti che possono garantire, una volta per tutte, la fine di queste subdole circonvenzioni ai danni dell’umanità bianca sono la diffusione della vera informazione scientifica, sganciata dal conformismo della sedicente “comunità scientifica” (che, tanto per dirne una, è negazionista della razza), e lo sviluppo del senso critico, così come dell’indagine filosofica a tutto campo. Mi rendo conto che la secolarizzazione laicista abbia ormai ridotto ai minimi termini la fede, col rischio di colmare il vuoto lasciato, nel nostro caso, dal cattolicesimo romano con il ciarpame progressista, ma l’idea di un ateismo identitario ed etno-razionalista è seducente ed eliminerebbe in un sol colpo le balle dei preti e quelle dei liberal, che gareggiano coi primi in fatto di superstizione universalista.

Naturalmente il rifiuto delle varie declinazioni della metafisica e della spiritualità non implica, tuttavia, il rigetto automatico anche di quelli che sono alcuni suoi prodotti, che storicamente hanno rappresentato un elemento di differenziazione culturale, quali l’arte, la letteratura e le tradizioni europee, segnatamente gentili, e che ancor oggi costituiscono il retaggio tradizionale che ci giunge dai padri ariani. Pertanto possiamo tranquillamente rispettare la rinascenza pagana, a patto che non si tramuti in una pagliacciata new age o wicca e che rispetti gli elementi culturali fondamentali su cui si è edificata la civiltà europea: il patriarcato, la guida virile del continente, il piglio guerriero, la famiglia naturale, l’endogamia, la monogamia, l’eterosessualità e la difesa degli innati ruoli di maschile e femminile, con netta condanna di tutta la spazzatura ideologica antifascista.

L’etno-razionalismo

Uno dei capisaldi identitari del pensiero lombardista è costituito dal cosiddetto etno-razionalismo, sintesi di razionalismo ed etnonazionalismo. L’etno-razionalismo rievoca appunto l’etnonazionalismo unendolo ad un robusto razionalismo, poiché la ragione deve essere il faro che guida l’uomo e i popoli, soprattutto se europidi. Esso contempla anche del salutare realismo, grazie a cui la metafisica viene decisamente messa da parte; noi lombardisti rispettiamo tradizione e spiritualità, comprese le cattoliche, ma è logico che il nostro punto di riferimento sia rappresentato dalla natura e dalla realtà, una realtà che coincida, chiaramente, con la verità. Per le religioni non ci può essere spazio, in senso politico e ideologico, anche se per coerenza etnicista potremmo simpatizzare per i veri culti tradizionali, quelli gentili.

Ma la metafisica, dunque miti e religioni, vanno lasciati alle spalle, per quanto possano essere bagaglio identitario, pure soltanto in senso culturale. La realtà del lombardesimo contempla la ragione, la scienza, la verità, ponendo sangue e suolo come fondamento della nostra dottrina. Questo apre anche ad un materialismo razionale, che non diventi neopositivismo zoologico, si capisce, ma che teorizzi una visione tradizionale slegata dalla zavorra cultuale, specialmente se correlata alle religioni abramitiche, quale il cristianesimo stesso. È evidente come la spiritualità, slegata dalla razza e dall’etnia, incarni un gravissimo problema, perché mira ad annullare l’identità nell’universalismo e in una fede in qualcosa di estraneo all’Europa.

L’etno-razionalismo riconduce tutto alla concretezza del sangue, del suolo e dello spirito inteso come valore umanistico che passa per mentalità, carattere, cultura, lingua, civiltà – parlandone in termini individuali e, soprattutto, nazionali – e non quale principio metafisico. Anche i classici concetti di bene e male vanno inquadrati alla stregua di qualcosa di funzionale all’ottica identitaria e tradizionalista, poiché il bene assoluto è la piena affermazione antropologica e biologica di singolo e collettività, contro ogni nemico dei principi völkisch. Bene è tutto quello che rappresenta un valore positivo ai fini della preservazione e determinazione della razza, e ogni popolo del pianeta dovrebbe sviluppare una simile considerazione. Male è invece la condanna e il decadimento di identità e tradizione, e dunque tutto ciò che simboleggia il fallimento dell’autodeterminazione.

D’altra parte prendiamo le distanze dal manicheismo delle religioni monoteistiche, di matrice semitica, poiché il loro dio, e dunque i loro principi, sono un prodotto di un mondo all’Europa estraneo. L’Europa è la nostra grande, e vera, famiglia spirituale. Il feticcio abramitico, Geova, affonda le radici nell’ambito levantino e riflette perciò la mentalità e gli usi e costumi di popoli agli antipodi della nostra eredità ariana. Credere di poter conciliare il lombardesimo col cristianesimo, nonostante i circa 2.000 anni di cultura cattolica, è una forzatura destinata all’insuccesso, poiché è chiaro: o si serve la vera Europa, e le origini indoeuropee, o si serve Yahvè.

Come detto poco sopra, il lombardesimo accantona religiosità e spiritualità per potersi concentrare su ciò che esiste per davvero: la nazione lombarda. E siamo dell’idea che la ragione non possa accompagnarsi alla fede, essendo quest’ultima intrisa dell’assurdità che costituisce la linfa vitale della metafisica. Scervellarsi per il sesso degli angeli – e per gli angeli medesimi – è un affronto alla verità assoluta della patria, che a differenza di Dio esiste e si manifesta concretamente permettendoci di raggiungere quell’autoaffermazione oggi più che mai vitale. Un identitario europeo può credere in Dio? Pacifico, ma gli consiglierei di capire bene di quale dio si tratti e, in particolare, di non anteporlo alla stirpe.

L’etno-razionalismo lombardista è a suo modo anticristiano. Un anticristianesimo che non è satanismo acido bensì contrapposizione a quanto la Chiesa ci ha inculcato nei secoli, anche per tenerci buoni e succubi e per legarci mortalmente alle catene dell’asservimento, dell’ignoranza, della superstizione. Il cristianesimo, coerente, è oltretutto universalismo, pietismo, umanitarismo, egualitarismo, progressismo (a suo modo), e se pensiamo poi alle radici semitiche del culto in Cristo capite bene che lasciare spazio a tutto ciò diviene un problema. Riprendendo la domanda posta sopra, un lombardista può essere cristiano? Certo, ma a rischio e pericolo della sua coerenza e della sua serietà, sia verso il lombardesimo che il cristianesimo.

Non siamo interessati a scristianizzare la società in una maniera conforme alle fole dell’Illuminismo e dei suoi eredi (i laicisti arcobaleno, per capirci), o peggio ancora a discriminare e perseguitare chi si dice fedele di Cristo e cattolico. Del resto i nostri padri erano gentili, ma anche cristiani, e non possiamo disprezzarne la cultura religiosa, come se nulla fosse accaduto negli ultimi millenni. C’è eziandio il rischio di riempire il vuoto spirituale lasciato dal cattolicesimo (chi, ormai, va ancora in chiesa, vecchine a parte?) con la spazzatura edonista prodotta dal consumismo e dal capitalismo occidentale, ma di certo con il lombardesimo un simile pericolo non esiste.

Il lombardista, infatti, non ha nulla a che vedere coi moderni giacobini e rigetta tutti i disvalori progressisti, compresa la laicità antifascista che tanto eccita i nostalgici della Rivoluzione francese. Il materialismo lombardista di cui andavo parlando è il robusto buonsenso, quasi contadinesco, che contraddistingue Sizzi, e che lo porta a prendere le distanze da una spiritualità votata al servizio di Cristo e, dunque, del clero cattolico. Oggi abbiamo una Chiesa finalmente coerente coi dettami evangelici e proprio per questo infida e perigliosa, più del passato. Quando papi e preti non erano coerenti, cioè prima del Concilio Vaticano II, rappresentavano a loro modo un’opposizione all’anti-identitarismo e all’anti-tradizionalismo, sebbene a scapito della propria fede.

Perché è inutile girarci intorno: la Chiesa preconciliare era lontana dai dettami cristiani, certo cattolica ma dubbiamente cristiana, e serviva più il potere temporale che quello spirituale. Un discorso che vale anche per l’antisemitismo clericale, dacché Cristo e la sua cerchia erano ebrei, Dio (inteso come Geova, si capisce) è prodotto della mentalità ebraica, il cristianesimo rimonta alla Palestina e dunque il cristiano ostile agli ebrei è qualcosa di grottesco e assurdo. Certo, i tradizionalisti cattolici non sono esattamente antisemiti, sono giudeofobi, e cioè condannano l’ebraismo come fenomeno spirituale che disconosce Gesù. Nondimeno, resta ridicolo un sentimento negativo verso coloro che hanno praticamente portato al Messia: senza giudei non ci sarebbe Cristo.

Riparleremo di cristianesimo (segnatamente cattolico), ebraismo e islam, ma quanto detto in questo articolo è utile a comprendere come il credo lombardista, l’unico che abbia un senso davvero identitario, nel mondo cisalpino, sia fortemente e fermamente laico in un’accezione per davvero razionale, e razionalista. E coniugando questo razionalismo con l’etnicismo del nazionalismo völkisch pone in essere un’antitesi radicale al ciarpame tanto fideistico quanto ateistico, dove tale termine allude all’universalismo giacobino e massonico degli atei volgari. Noi crediamo nel sangue, nell’etnia, nella nazione e ad essi dedichiamo i nostri sforzi e il nostro impegno, per il benessere materiale e spirituale della Grande Lombardia.

Paolo Sizzi sulla religione

Sizzi, cioè chi scrive, è di formazione cattolica e nasce in una famiglia alquanto religiosa, che ha peraltro dato alla Chiesa due sacerdoti (e ce ne sarebbe anche un terzo, da parte materna, poi spretatosi). Il Nostro è cresciuto, dunque, immerso in un ambiente cattolicissimo e sino ai 24 anni è stato un credente, praticante e devoto, fedele alla causa cristiana, in virtù della propria educazione ma anche della propria spontanea affermazione. A partire dalla primavera del 2009, tuttavia, si è distaccato dalla Chiesa, maturando una visione del mondo decisamente etnonazionalista e ostile, di conseguenza, a tutto il sistema di valori cattolico, che certamente non è compatibile con una ideologia völkisch integrale.

Il 2009 è l’anno in cui è andato concretizzandosi il lombardesimo, dopo una gestazione principiata nel 2006, frutto di una radicale presa di coscienza etnonazionalista di Sizzi volta all’esaltazione razionale degli ideali di sangue, suolo, spirito, che sono la triade fondamentale su cui deve edificarsi una nazione degna di questo nome, come la Lombardia. Dal 2009 al 2019, anche durante il periodo italianista, Paolo ha portato avanti una visuale anticristiana, ostile alle religioni ma con simpatie culturali pagane, poiché era necessario sviluppare un’ottica che fosse estranea tanto ad un credo semitico di importazione mediorientale quanto alle fedi religiose in genere.

Dal 2019 ad oggi, invece, il sottoscritto ha cercato di conciliare la coerenza etnicista con un recupero identitario dello stesso cristianesimo cattolico, naturalmente in chiave preconciliare e rivestito di solarità indoeuropea, provando così a stabilire un connubio cristiano-pagano che rappresentasse le due grandi anime spirituali della nostra terra. Un’operazione certo non dettata dalla fede e dall’afflato religioso, che Sizzi non ha più, ma dal desiderio di tentare una conciliazione, per il bene della Lombardia medesima. Dopo quasi 5 anni ho deciso di lasciar perdere perché le incongruenze erano troppe e perché la coerenza völkisch impone altro. Direi che è stucchevole tollerare il cattolicesimo soltanto per via di una patina indoeuropea; a questo punto si recuperi direttamente il paganesimo.

Certo, l’idea della Chiesa nazionale ambrosiana, cattolico-pagana, non era un’intuizione da cestinare del tutto, anzi, avrò modo di riparlarne come soluzione culturale originale per dare un volto tollerabile alla religiosità padano-alpina. Tuttavia, il pensiero etnonazionalista, alla lunga, non può essere conciliabile con il credo in Gesù di Nazareth, poiché sono troppe le contraddizioni che turberebbero un compromesso di questo tipo. Nondimeno, Paolo non è religioso, non è credente e non ha esigenze spirituali (intese come rapporto con il trascendentale), né gentili né cristiane, e appare quindi utile promuovere nuovamente, e senza edulcorazioni, l’originale etno-razionalismo lombardista. Lo spirito esiste come insieme di elementi culturali, civili, caratteriali, mentali, artistici, intellettuali di un popolo, e in tal senso, giustamente, parlo sovente di sangue, suolo, spirito.

Tutto questo per dire cosa? Semplice: Paolo Sizzi prende le distanze da ogni religione, frutto della cultura umana, e dal divino, frutto dell’inventiva umana, perché intende rimettere al centro del dibattito quel fondamentale razionalismo emendato da ogni squallido elemento illuminista (dunque cosmopolita, egualitarista, modernista, laicista in accezione progressista e ateo in senso “acido”). Il razionalismo etnico del lombardesimo esalta la vera ragione, la cui culla è l’Europa, come strumento indispensabile per un’esistenza improntata ai valori etnici, razziali, patriottici, proprio perché la ragione depone a favore di quell’identitarismo antropologico e biologico senza il quale l’Europa stessa sarebbe perduta. Ed esalta il realismo, al di là di ogni credenza, mito o timore superstizioso.

La religione non ha più nulla da darci, e possiamo tranquillamente lasciarcela alle spalle. Questo è il caso, soprattutto, di un cristianesimo che nasce come corpo estraneo semitico, al pari di giudaismo e islam, e che è animato da un punto di vista e da una filosofia di vita universalisti, umanitaristi, antirazzisti in nome di un dio biblico, dunque levantino, che non ha nulla a che vedere con il nostro continente. Dio e dei non esistono, sono chiaramente il prodotto della mitologia e dei bisogni spirituali umani (fortemente intrisi di ignoranza, paura, ansia dell’ignoto e della morte), ed è sterile cercare di conciliare questi concetti con l’inconciliabile, e cioè con l’identitarismo etnico e il razzialismo lombardisti.

La religione, ormai, è un qualcosa che trova sbocco soltanto nel secondo/terzo mondo, dove cioè regnano miseria, povertà, oscurantismo, sovrappopolazione, superstizione, analfabetismo, degrado e infatti lo stesso cattolicesimo oggi galleggia grazie a fedeli provenienti in maniera schiacciante dal sud del globo. Può, forse, l’etnonazionalismo scendere a patti con qualcosa di simile, diametralmente opposto al pensiero völkisch? Ovviamente no. E allora il cristianesimo, fratello di ebraismo e islam e devoto di un dio mediorientale creato da popoli mediorientali, va abbandonato, senza se e senza ma. Ciò non significa perseguitare i cristiani o scristianizzare “satanicamente” la nostra società, ma consegnare finalmente alla storia il credo cattolico (nel caso lombardo), e la Chiesa.

Altresì, è la religione in genere che va abbandonata, perché oggi del tutto inutile e buona solamente per popoli sottosviluppati (e non certo bianchi). Troppo spesso la spiritualità diventa un ostacolo sul cammino identitario e davvero tradizionalista dell’uomo europide, e dunque sul percorso che conduce alla piena autoaffermazione, e direi proprio che sarebbe folle sacrificare la verità assoluta di sangue e suolo in favore della superstizione e del terrore verso la morte. Per di più a favore di un culto di importazione. Certo, abbiamo la gentilità, il paganesimo, che sarebbe sicuramente molto più coerente col lombardesimo essendo il frutto dello spirito indigeno, indoeuropeo, ma personalmente trovo anch’esso inutile, essendo il sottoscritto ateo.

Ma il mio ateismo è un ateismo identitario, tradizionalista, etno-razionalista, e non c’entra nulla con l’ateismo “convenzionale”, che è cioè ciarpame progressista degno dell’Illuminismo. Stesso discorso per il laicismo, quella tendenza a voler secolarizzare e scristianizzare la società per fare un favore a chi, in Europa, non dovrebbe starci nemmeno dipinto. Del resto, questo ateismo “convenzionale” è a sua volta una religione, una superstizione giacobino-massonica, perché del tutto irrazionale, dal momento che, come il cristianesimo medesimo, è votato all’universalismo, all’antifascismo, all’antirazzismo, proprio sulla base delle castronerie dei philosophes.

Concludendo, la mia opinione, sulla religione oggi, è negativa. La religiosità fa parte del nostro retaggio culturale e civile, nessuno lo nega, e la stessa identità lombarda è permeata di cattolicesimo, assieme alle radici pagane. Ma possiamo farne tranquillamente a meno, essendo ormai un problema che impedisce di affrontare di petto la questione che più ci sta a cuore: la totale realizzazione del progetto lombardista. Un lombardo può tranquillamente dirsi cattolico o gentile – ci sarebbe poi da discutere anche sulla stessa bontà iniziatica e spirituale della gentilità e, infatti, ne riparleremo – ma il lombardesimo prende nettamente le distanze dalla religione. Può tollerare una rinascenza pagana, in quanto culturalmente e ideologicamente compatibile col nazionalismo etnico, per chi proprio ha esigenze spirituali, ma il credo lombardista è votato all’unica verità indiscutibile, che è quella razziale.

Note religiose

Paolo

Ho già affrontato il tema religioso nel precedente articolo sul mio pensiero filosofico (qui), ma ora riprendo la questione nel dettaglio. Il sottoscritto è, infatti, nato e cresciuto in una realtà famigliare e sociale paesana in cui la componente cattolica è (o era) fondamentale, e che di certo ha segnato profondamente la sua formazione.

Da secoli la Bergamasca è considerata un po’ come “l’anticamera del Vaticano”, non solo per la mitologia del “papa buono” di Sotto il Monte (che dista pochi chilometri da Brembate di Sopra, dove risiedo) ma anche perché assai radicato è il tradizionalismo cattolico espresso dalla terra orobica, una terra alquanto rustica e contadina (un tempo, perlomeno).

Il fatto ilare è che, prima del Concilio di Trento, le cose non dovevano essere esattamente così: vuoi per la tradizione medievale ghibellina (a differenza di Milano e Brescia), vuoi per le eresie che attraversavano il nostro territorio precedentemente alla Controriforma, vuoi anche per la tolleranza della Serenissima proprio nel Bergamasco fu possibile una consistente immigrazione di protestanti (e capitali) svizzeri, il che la dice lunga. Negli ultimi secoli, tuttavia, la Chiesa orobica è diventata assai potente ed influente, rendendo Bergamo una delle città più “bianche” e “reazionarie” della Cisalpina.

Anche in tempi recenti, nonostante la sciagurata svolta ecumenista del Concilio Vaticano II, l’Orobia rimane nota per lo zelo cattolico dei suoi figli più conservatori, particolarmente quelli che, quanto me, sono nati in famiglie vetuste della prima metà del ‘900, le cui origini affondano nell’humus povera e semplice del contado bergamasco tra le due guerre mondiali. Naturalmente anche a Bergamo e suo territorio, oggi, la presa del cattolicesimo è alquanto ridimensionata, sebbene l’alone di perbenismo da sacrestia rimanga; l’imponente seminario vescovile che domina la Città Alta è semivuoto.

I miei genitori – classe ’35 il padre e ’45 la madre – sono stati allevati a suon di imperativi morali cattolici, famigliari e lavorativi: cà-césa-laurà, laurà-césa-cà, in cui “ol Signùr” rimane sempre al centro delle preoccupazioni e degli interessi. Per carità, ottimo antidoto ai veleni della modernità (e dell’antifascismo), se non fosse che i preti ci marciavano (assieme alla bògia, l’epa, dei marchesi). Ho ancora impressi gli aneddoti paterni e materni sulla meschinità del clero dell’epoca – e sul parassitismo dei “nobili” – e per quanto non mi reputi certo un (neo)giacobino prendo le distanze dallo spirito vandeano: il binomio trono-altare non mi fa impazzire, anzi…

Dicevo, ho sempre riconosciuto il ruolo per certi versi positivo della triade vernacolare succitata; il culto della casa sprona all’endogamia famigliare proficua e al radicamento nel territorio, il che comporta attaccamento ai propri natali; il culto della religione cattolica allontana i grilli dalla testa della gioventù e contribuisce ad acquisire uno stile di vita sobrio e austero; il culto del lavoro allontana gli spettri dell’assistenzialismo e del lassismo che imperversano nel vero sud europeo (cioè nell’Italia etnica, per capirsi) suscitando le mafie, il familismo amorale e il profitto parassitario e truffaldino.

Però, si capisce, vi sono anche delle controindicazioni: il culto della casa può rendere ottusi, misoneisti, campanilisti, misantropi (individualisti in senso negativo, insomma); il culto della Chiesa – di questa Chiesa – rende schiavi del nefasto mito “giudaico-cristiano” e del malato universalismo postconciliare; il culto del lavoro – e del fatturato – intossica il lombardo facendogli credere che si viva per lavorare (e non che si lavori per vivere), cosicché i furbastri se ne approfittano e noialtri facciamo la figura degli asini da soma ignoranti, bifolchi e succubi del sistema che ci frega ormai da decenni, dopotutto per il nostro disinteresse politico o per il gretto conformismo unionista.

Insomma, è una questione di equilibrio e razionalità e di ridimensionamento del concetto di ‘culto’, che si addice invece, pienamente, alla patria. La nazione (la Lombardia) non può essere messa in discussione ed è ciò che deve rappresentare, per tutti i lombardi, la priorità, il bene inestimabile da difendere con le unghie e con i denti, il valore fondamentale che unisce, invece di dividere. Mi si consenta l’inciso sotto, a questo proposito.

La mia idea di Grande Lombardia non avrà nulla da spartire con quella di un ipotetico antifascista “lombardista”, però è suggestivo pensare che, finalmente, pure chi ha idee politiche agli antipodi delle mie possa guardare non più alla finta patria dalle Alpi alla Sicilia ma a quella vera dal Monviso al Nevoso e dal Gottardo al Cimone. Il concetto storico di Lombardia e il sentimento nazionale lombardo non sono l’elucubrazione di un pensatore o di un partito/movimento (che ne hanno l’esclusiva), sono la verità che tutti i lombardi dovrebbero riconoscere ed abbracciare, a prescindere dalle ideologie. Detto questo, il lombardesimo (inteso come etnonazionalismo lombardo) è una cosa ben precisa e per nulla inclusiva, ma la patria lombarda non è una fantasia o una proprietà intellettuale del sottoscritto. Ci possono essere diversi modi di essere lombardisti anche se, forse un po’ narcisisticamente, in questi anni ho rivendicato l’appellativo per me e per i miei sodali.

Torniamo a noi. Il credo famigliare delineato più sopra è profondamente intriso di alpinismo (antropologicamente parlando), risente cioè della mentalità tipicamente alpina, con le sue virtù ma anche i suoi bravi vizi: bigottismo, grettezza, feticismo del lavoro e del denaro, parsimonia esondante nella taccagneria, cocciutaggine scontrosa che però, spesso, svanisce di fronte al pungolo delle gerarchie – che se ne approfittano delle paure del popolino nostrano – dando luogo alla più bieca omologazione.

La Chiesa contemporanea sfrutta a meraviglia queste innate debolezze lombarde: se un tempo il clero si dilettava nel tenere immersi i poveracci nell’ignoranza più crassa e nell’oscurantismo, funzionali al suo arricchimento parassitario, oggi flagella i loro figli col terzomondismo e con quella melassa ecumenista e sincretica tesa ad accattivarsi le simpatie del mondialismo e del sistema (un sistema, paradossalmente, ateo, progressista e del tutto secolarizzato dalle ingordigie plutocratiche di una certa matrice).

A conti fatti la moderna religione cattolica non preserva affatto dall’auto-genocidio degli Europei, anzi, lo fomenta! Risulta peggiore dell’ortodossia in questo e in pari con gli eretici nordici: il luteranesimo ha spalancato le porte al delirio suicida dell’Europa settentrionale, imitato con zelo proprio dalla Chiesa postconciliare varata da Roncalli e Montini (è curioso come la distruzione del cattolicesimo sia avvenuta per opera di un tandem bergamasco-bresciano).

‘Cattolico’ significa ‘universale’, essendo la Chiesa di Roma erede dell’ideale imperiale romano, ma la coloritura che il Concilio Vaticano II ha dato al concetto di universalismo non è altro che un pervertimento di stampo progressista. ‘Universale’ non significa meticcio, cosmopolita, pluralista, relativista, arlecchinesco (in tutti i sensi), giudaizzato, tutti aggettivi che si confanno al cristianesimo cattolico uscito dal triennio da incubo 1962-1965.

Il sottoscritto, come ho già avuto modo di dire, è rimasto cattolico credente fino al 17 marzo 2009 anche se praticante smisi di esserlo nell’ottobre 2008. Questo distacco scaturì da un generale prolasso religioso principiato nella primavera del 2006 proprio quando mi avvicinai alla dottrina etnonazionalista.

Fino ad allora ero stato, a partire dai 14 anni, un cattolico duro e puro, gran bigotto, assiduo frequentatore di chiese e oratori, spietato nemico di blasfemia, ateismo, agnosticismo, modernismo, sincretismo, deviazionismi, eresie, sette e ostile agli altri credi, tra cui quelli neopagani (che non confonderei col paganesimo originale). Naturalmente, ma quello ancora oggi, ostile anche al degrado morale e spirituale delle giovani generazioni che mi circondavano. Più che intimamente cristiano ero esteriormente cattolico, insomma.

Prima dei 14, il mio cammino religioso non fa testo essendo frutto dell’educazione famigliare impartita dall’alto a tutti quelli della mia generazione, ma sicuramente acuita, nel mio caso, dall’anziana natura dell’ambiente domestico e sociale da cui provengo. La mia famiglia diede alla Chiesa due sacerdoti: un prozio e uno zio paterni. E anche dal lato di mia madre vi sono un sacerdote spretato e una suora.

Nel 2006, dunque, la svolta che mi portò nel giro di tre anni a piantare in asso la fede cattolica e tutti gli annessi e connessi. Abbandonai il cattolicesimo, il cristianesimo, e la religione medesima, perché stanco del mondo clericale “impreziosito” dal terzomondismo egualitarista; stanco di un credo che bollavo come semitico, e dunque all’Europa estraneo; stanco della superstizione, del bigottismo, dell’oscurantismo che promanano dalla religione in generale e dal cattolicesimo in particolare (questo ciò che credevo allora).

Con il 17 marzo 2009, giorno simbolico di San Patrizio (ovverosia il compromesso tra cristianesimo e paganesimo autoctono), divenni gradualmente anticristiano, irreligioso, empio tanto che feci del razionalismo identitario un nuovo credo, al fine di preservare l’identità e la tradizione genuine (per i parametri dell’epoca), senza più inquinamenti “giudeo-cristiani” e islamici.

Ho già ricordato come mi sia lasciato alle spalle questo periodo di furore ideologico giovanile (durato una decina d’anni), sorta di ribellione culturale ad un passato asfittico fatto di educazione cattolica maldigerita e mai vissuta come qualcosa di veramente genuino e cristiano. Tra l’altro non abbandonai la Chiesa per divenire neopagano, ma per sviluppare un punto di vista amorale (con riferimento alla filosofia di vita cristiana) mirato alla critica di ogni fenomeno religioso, sebbene – per coerenza etnicista – benevola nei riguardi dei credi tradizionali precristiani.

Oggi, pur non essendo religioso, riconosco tranquillamente la mia formazione cattolica, difendo il tradizionalismo tanto gentile quanto cristiano e prendo le distanze da quanto andavo dicendo sino all’estate 2019; maturando definitivamente (sono alla soglia degli -anta) posso conciliare l’anima pagana dell’Europa con quella cattolica, anche perché la solarità ariana della prima è confluita nella seconda. Il cattolicesimo cui mi riferisco, ovviamente, è quello preconciliare, e la gentilità che ho in mente è quella vera, precristiana. Il nuovo corso della Chiesa è uno snaturamento del cattolicesimo, e il neopaganesimo nient’altro che una pagliacciata modernista.

Non sono molto interessato alla spiritualità, non è il mio campo, tuttavia riconosco l’importanza culturale della religione nella vita identitaria di una comunità; a patto che non si metta di traverso in campo politico. Il cristianesimo cattolico alla Wojtyla mi ha attossicato, ma sarebbe sbagliato fare di tutte l’erbe un fascio sparando a zero su ogni culto (legato alla Lombardia e all’Europa, ovviamente). Nutro stima e simpatia per la religione tradizionale eurocentrica, perché marcia stando al passo col nazionalismo etnico, senza anteporvi stupidaggini irrazionali e buoniste che sono frutto dell’opportunismo di chi vuole sopravvivere inciuciando con la modernità. Difendo i valori spirituali, religiosi, culturali ereditati dall’epoca ariana, che sono certamente in linea coi valori razziali, ancorché filtrati dall’ottica greco-romana (quindi cattolica).

La paccottiglia postconciliare esalta la fantomatica componente giudaica del cristianesimo, rinnegando la classicità e l’eredità indoeuropea che sono alla base del credo cattolico. Il cristianesimo non è un’eresia dell’ebraismo, i fratelli maggiori dei cristiani non esistono, le radici giudeo-cristiane dell’Europa sono un mito a cui giusto il papa polacco (non per niente) e i suoi accoliti possono credere seriamente. E gli ebrei restano gli uccisori del Cristo, i deicidi, con buona pace del mio pingue conterraneo riformista.

Gli innumerevoli elementi gentili mutuati dal cattolicesimo smentiscono ogni macabra fantasia di ammucchiate ebraiche. La liturgia, il calendario, la gerarchia ecclesiastica, il culto dei santi, le festività precipue e minori, il marianesimo (oggi decisamente eccessivo e invadente, sempre per cagione del polacco), gli antichissimi riti, le preghiere, la figura del pontefice (!), l’adozione del latino sono tutti elementi gentili ricoperti di vesti cristiane. Che cos’è il cattolicesimo se non l’insegnamento di Gesù di Nazareth innestato sulla precedente religio romana? Per non parlare della scolastica, del tomismo, dell’apologetica che sono debitori del pensiero filosofico greco, sviluppatosi in contesti pagani. Possiamo concepire il cristianesimo senza mondo classico greco-romano?

E che dire della centrale figura del Cristo? Gesù era, certo, di formazione mosaica ma la sua figura storica scolora in quella sacrale della solarità indogermanica, tanto da venire accostato a diverse deità orientali venerate da popoli ariani. Il suo Natale è quello del Sole Invitto, la sua Pasqua di Risurrezione è la rinascita primaverile della natura osservata con sensibilità cosmologica dalla religiosità dei nostri arii padri. Il Dio (trinitario) di Gesù Cristo non è il dio dei moderni giudei e dei musulmani: i primi praticano un credo medievale raccogliticcio avulso dal mosaismo “positivo” del Nazareno, i secondi praticano un’eresia del cristianesimo.

Il concetto di “religioni abramitiche” è una delle tante baggianate pressapochistiche che piacciono alla galassia modernista – nata su internet – dei vari neopagani, new age, wicca, amanti di magia ed “energia” e chi più ne ha più ne metta, le cui fissazioni e conclusioni nichilistiche non sono poi molto diverse da quelle dei liberal. Come si può mettere la cristianità cattolica, dunque la romanitas, sullo stesso piano di chi crede nel Talmud e nella cabala o nel Corano? Di chi si circoncide, per costumanze desertiche, e ha una forte connotazione etnica semitica? Di chi è intriso di Medio Oriente e in Europa è un corpo estraneo?

Gli ebrei non sono “fratelli maggiori”, perché il cristianesimo non è un prodotto dell’ebraismo (che, ripetiamo, per come lo conosciamo oggi è un culto medievale) e accostare chi mise a morte Gesù con chi ne ha abbracciato il credo è blasfemo (e poi, gli ebrei, prima di essere dei praticanti di una religione sono un insieme di popoli accomunati dalla matrice semitica; un cattolico europeo sarà fratello di costoro?). E i maomettani non sono “fratelli minori”, perché il loro culto desertico, totalmente estraneo all’Europa, sebbene eresia del cristianesimo non è fondato sul Dio di Gesù Cristo (per non parlare, anche qui, del bagaglio culturale levantino e della natura etnica e razziale della stragrande maggioranza dei credenti musulmani).

Mi fa molto divertire l’islamofilia anticristiana di alcuni ambienti neonazisti e neofascisti (nostalgici delle gesta filo-arabe degli originali, che avevano un senso ben preciso): da una parte fissati fino alla malattia con tutto ciò che è nordico, biondazzurro, gelido dall’altra con una fascinazione femminea per le scimitarre e la mitica “virilità guerriera” dei seguaci di Maometto, più semitici e desertici degli stessi israeliti. Come se poi cristianesimo ed ebraismo fossero, appunto, la stessa cosa e come se l’Europa cattolica fosse stata imbelle, castrata, matriarcale ed effeminata… Ricordo anche, a questi soggetti, che la simbologia solare ariana (nonché l’iconografia della croce) è stata assorbita dalla cristologia; ai giudei le stelle a sei punte, ai musulmani le stelle e le mezzelune.

Qualcuno dice che Gesù di Nazareth era ebreo: gli avete scattato delle foto che attestino la sua supposta fisionomia armenoide od orientalide? Oppure lo avete sottoposto ad un test genetico? Magari, già che ci siete, sposate anche tutto il resto del repertorio antirazzista della sinistra petalosa che va dal “Gesù profugo” al “Gesù alternativo” (con le varie diffamazioni empie dei bestemmiatori variopinti). Gesù, per chi crede, era anche Dio, e Dio non può avere caratterizzazione etnica o razziale. Se, comunque, qualche tizio anticristiano del XXI secolo ha i suoi raw data di 23andMe me li dia che li carico su Gedmatch. Sempre che alla storicità di Gesù Cristo questi personaggi ci credano perché mentre gli danno dell’eresiarca ebreo dicono che non sia mai esistito…

Sarcasmo a parte, dico queste cose non solo pensando alla scomposta galassia neopagana (in cui, peraltro, possono anche esserci persone e associazioni rispettabili) ma pure a ciò che io stesso asserivo anni fa, in buonafede ma con indubbia superficialità e fanatismo. L’intento era quello di essere il più coerente possibile con l’etnonazionalismo völkisch e il nativismo, ma non resi un buon servigio alla causa schiettamente identitaria: non si può concepire un’Europa senza cristianesimo, e scristianizzarla equivarrebbe ad assecondare le empie brame del sistema-mondo (e di chi lo manovra), non certo quelle di 4 gatti “gentili”. Altresì, è una sciocchezza reputare il cristianesimo un corpo estraneo, non solo perché radicato nel nostro continente da quasi duemila anni ma anche perché, a ben vedere, non è un corpo estraneo, come già ricordato. Ovviamente, concepisco il cristianesimo esclusivamente in chiave cattolica tradizionalista: gli ortodossi sono scismatici, i protestanti eretici, i postconciliari giudaizzati.

Il mio punto di vista è quello di un laico che, nonostante le tentazioni razionaliste e anticlericali estreme del passato, riconosce l’importanza storica e culturale della religione, a patto che di religione cattolica genuina si tratti. Le altre, per quanto mi riguarda, non hanno alcuna legittimità in Lombardia. Posso tollerare una rinascenza pagana, perché affonda le radici nel passato precristiano celtico, gallo-romano, germanico, ma sono assai scettico sulla fattibilità e la serietà dell’impresa. Anche perché dovrebbe comunque essere un qualcosa che si inserisca nell’alveo del patriottismo lombardo, ed è facile per chi si professa pagano e anticristiano tracimare nella solita isteria antifa che accusa la società tradizionale forgiata dai nostri padri (che erano soprattutto cattolici, prima che gentili) delle peggiori nefandezze.

Sapete com’è: si comincia con le accuse al “monoteismo desertico” e si finisce per sposare i deliri dell’immondezzaio woke d’oltreoceano tra femminismo, antifascismo, antirazzismo, omofilia e piagnistei scomposti che puntano il ditino contro la proterva figura patriarcale del “privilegiato maschio bianco cis- eterosessuale cristiano normodotato”, il tutto condito dal delirium tremens di asterischi, pronomi e schwa. In questo, mi spiace dirlo, ma il paganesimo presta assai più il fianco del cattolicesimo (pure contemporaneo) alla barbarie postmoderna, con le sue ambiguità bisessuali, matriarcali, libertine, relativiste.

Sono, dunque, laico ma non ateo, laicista, pluralista, inclusivista e con soggetti stile Uaar non voglio avere nulla a che fare. Sogno uno Stato etnico lombardo non certo teocratico o confessionale ma che riconosca le radici gentili e cristiane della Lombardia e riconosca dignità e legittimità, in patria, soltanto alle forme indigene di religiosità: cattolicesimo (romano e ambrosiano, latino) e rinascita pagana. Il Vaticano ce lo siamo giocato e, salvo improbabili restaurazioni, meno ficca il naso nei nostri affari interni meglio è. Non ci serve a nulla un papa che fa da carabiniere al sistema, anche se di tanto in tanto si ricorda, stancamente, della tradizione e della lotta al relativismo. Non disdegno, a tal proposito, il progetto di una Chiesa nazionale lombarda autocefala, che sia per davvero tradizionalista e nemica giurata dei veleni della modernità, nonché della Roma che conosciamo.

Allo stesso modo non vorrei che qualche “druido” improvvisato mettesse i bastoni tra le ruote al lombardesimo in nome di chissà quale fola politeista, facendo le veci degli anemici preti castrati dal CVII. Ragazzi, va bene tutto, anche il ricostruzionismo (se proprio ci tenete) ma la politica non può andare al guinzaglio di una fede religiosa, che deve occuparsi di tutt’altro. Il credo assoluto della mia idea di entità statuale grande-lombarda è il sangue, il suolo, lo spirito, dove lo spirito attinge senz’altro alla cultura ariana e romano-cristiana ma senza indugiare nel confessionalismo. Non serve una teocrazia per liquidare il marasma progressista e democratico e condannare ogni forma di rilassatezza dei costumi in materia di etica, bioetica e famiglia.

E dico questo non per lisciare il pelo alla società occidentale secolarizzata, che dal dogmatismo e dall’oscurantismo della Chiesa di secoli e secoli fa è passata al dispotismo “illuminato” dell’assolutismo areligioso. Oggi, nel mondo occidentale (concetto che aborro, io sono lombardo, europeo, bianco, non un affiliato alla succursale europeista degli Usa), si irride e discrimina chi crede in Dio mentre ci si prostra di fronte all’idolo dei diritti umani e civili, prostituendosi al peggior conformismo ateo e laicista. I sommi sacerdoti dello scientismo e del liberticidio vigilano grifagni, a suon di “mancinate”.

A questo punto qualcuno potrebbe chiedermi se, in definitiva, sono credente oppure no, e in cosa. Non mi pongo troppo il problema; essendo argomento personale, complesso, intimo e nobile al momento non vi è una risposta netta, posso dire di considerarmi alla ricerca, senza pregiudizi atei, per quanto la mia sensibilità spirituale sia debitrice della formazione cattolica (anche perché non mi sono mai accostato ad altre religioni) e mi sia rappacificato con le origini. Ma nella Chiesa attuale non mi riconosco.

La religione è un fatto importante, ma non fondamentale ai fini della politica  e del governo di una nazione. Esiste un’eredità spirituale europea – laica – che abbraccia la cura militare e sportiva del corpo, lo studio, il lavoro (per vivere) e soprattutto la cura dottrinale, ideologica, culturale, politica della propria mente, della propria indole, della propria anima; oggi più che mai sarebbe necessario riviverla affinché gli europei tornino guerrieri, padroni di sé stessi e della propria terra, ed indomiti avversari vittoriosi della superstizione mondialista (genocida ed auto-genocida) e del relativismo anti-identitario. L’attuale religiosità occidentale, fondamentalmente incarnata dal cattolicesimo (l’eresia luterana e calvinista non fa testo), sta perdendo il mordente spirituale e proprio per questo scende a patti col regime per riguadagnare terreno, con conseguenze disastrose. Ma la soluzione è la tradizione, non la blasfemia.

Note filosofiche

Lo sguardo di Sizzi sul mondo

Non ho particolari autori di riferimento se non la natura: il sangue, il suolo, lo spirito, me stesso. Non credo ci sia bisogno di ispirarsi a qualcuno per maturare una propria visione del mondo e prendere posizione nei vari campi che ci stanno a cuore; spesso basta il buonsenso, ma è chiaro che questo deve essere corroborato da una buona cultura generale e, soprattutto, da una visuale personale sulla vita che passi anche per l’esperienza quotidiana del contatto sociale.

In questo senso gli autori e studiosi classici dell’area etnonazionalista, identitaria e tradizionalista sono assai preziosi, soprattutto se al centro dell’azione (meta)politica mettono il sangue. Più che per me, lo dico per le giovani generazioni, oggi facili prede di cattivi maestri che si fanno alfieri della temperie mondialista.

La mia attuale visione filosofica della vita e del mondo, la mia Weltanschauung, nasce da un percorso di maturazione che mi ha portato dall’impostazione cattolica postconciliare delle origini, spesso banalmente reazionaria e bigotta, all’amore per la verità che solo le dottrine völkisch sanno infondere compiutamente.

Prima, diciamo fino ai 22 anni, il mio mondo ruotava, un po’ prosaicamente, attorno ai valori della triade Dio-patria-famiglia, laddove Dio sta per il Dio di Gesù Cristo (in chiave cattolica annacquata), la patria sta per un’Italia neoguelfa (campanilista e regionalista, dunque) e la famiglia sta per la famiglia cattolica tradizionale timorata di Dio.

Per carità, va detto che crescendo con questi valori ho preparato il terreno alla mia visione del mondo rinnovata, e ho vissuto un’adolescenza e una prima gioventù integerrime di fronte alle tentazioni mondane della corruzione che nascono dal tipico nichilismo e relativismo dell’ambito giovanile occidentale.

La fede cattolica – ancorché postconciliare – tramandata dai vecchi mi ha sicuramente preservato dai veleni del mondo (non solo quelli blasfemi, s’intende) e a suo modo mi ha consentito poi di spiccare il volo verso lidi più seriamente tradizionalisti e anti-mondani, nonché coerenti con la mia genuina indole identitaria; pertanto non mi sento di rinnegare nulla della mia formazione etica e spirituale, ed è stato un bene crescere fino ad un certo punto cattolico “da manuale”; se non fossi stato educato cattolicamente e in maniera conservatrice, forse, oggi sarei in pasto al neomarxismo, al liberalismo, all’indolenza totale, al pecoronismo qualunquista, all’epicureismo.

La mia personale esperienza cattolica (forse più esteriore che intima) mi ha indubbiamente instradato verso i valori maturi che oggi difendo a spada tratta e che vorrei infondere e tramandare ai posteri. Sarò sempre grato a mio padre, mia madre, i miei vecchi per l’educazione ricevuta e non oso immaginare cosa sarei oggi se fossi cresciuto in una famiglia borghese al passo coi tempi, “illuminata”, lacerata da separazioni e divorzi e, soprattutto, da principi ispirati alla moderna temperie liberal e antifascista.

È sicuramente una questione più culturale che religiosa, perché genuinamente cristiano, in fondo, non lo sono mai stato; all’epoca mi son sempre dichiarato una sottospecie di crociato in perenne lotta con la dilagante corruzione modernista che fa scempio tra i giovani. Ed in questo, sicuramente, l’educazione famigliare è stata fondamentale perché la spartana mentalità alpina dei miei consente di mantenersi integri di fronte alla depravazione, e conservatori (nel giusto) di fronte all’eradicazione dell’identità e della tradizione. Tuttavia, va detto, i miei genitori non hanno mai approvato gli estremismi del sottoscritto, segno di una certa autonomia sizziana rispetto all’impostazione classica della famiglia.

Staccandosi dal cordone ombelicale del pensiero famigliare, è avvenuta la mia maturazione, frutto di meditazione, riflessione e presa di coscienza davanti alle sfide del futuro che mi e ci attendono. Oggi, come sapete, rigetto l’anticristianesimo, ma per una decina di anni decisi di assumere un punto di vista ostile alla religione cristiana, allora accusata di essere un corpo estraneo anti-europeo contrapposto al pensiero völkisch. Ma era un’esagerazione controproducente: a ben vedere non esiste contraddizione tra fede cattolica romana (o ambrosiana) tradizionalista – preconciliare – ed etnonazionalismo.

Nel 2009 ritenni necessario abbandonare la fede cristiana perché la giudicai inconciliabile con l’ideologia razzialista e nazional-sociale, preferendovi un tradizionalismo paganeggiante più in linea con le radici precristiane dell’Europa; volli essere coerente con il radicalismo völkisch adottando il solito repertorio neopagano che accusa, in maniera indistinta, il cristianesimo di essere una fede “abramitica” scaturita dall’ebraismo, di avere lo stesso dio dei giudei, di fondarsi su una figura (Gesù Cristo) di origine ebraica e di adottare una morale buonista, ecumenista, progressista, terzomondista, egualitarista, immigrazionista per nulla indoeuropea.

Per inciso: sono accuse, quasi del tutto, campate per aria, provenienti da ambienti troppo spesso pagliacceschi che riciclano in salsa tragicomica le argomentazioni nicciane o nazionalsocialiste, senza oltretutto distinguere tra le varie forme di cristianesimo e tra cattolicesimo tradizionale e modernista. La cosa, forse, più singolare è che mentre accusano il cristianesimo di essere irrazionale, superstizioso, fanatico e oscurantista (come pidocchi sessantottini qualsiasi) ricostruiscano – non si sa bene su che basi – un credo abbandonato dagli stessi gentili e interrotto da quasi 2000 anni; credo che, oltretutto, non era certo più razionale della fede cristiana, tra mitologia, politeismo, sacrifici umani, baccanali, orge ed eccessi di ogni tipo. Per non parlare della critica alla religione cristiana di essere molle, disfattista, masochista, femminea, smentita non solo dalle tendenze bisessuali, omosessuali, pederastiche e matriarcali del mondo classico ma pure dalla storia, antica e recente, dell’Europa cattolica (od ortodossa).

Ai tempi, il sottoscritto non ci andò troppo per il sottile, anche perché profondamente disgustato dagli scempi postconciliari di una Chiesa sradicata, scesa a patti con il sistema mondialista, che lo indussero a rompere con gli ambienti parrocchiali. Pur non aderendo a gruppi di ispirazione neopagana, o convertendosi alle pasticciate credenze da essi propugnate, simpatizzai per le pulsioni identitarie in chiave gentile, sviluppando una forma di irreligiosità verso il monoteismo “straniero”. Tuttavia, rigettai l’ateismo militante, dal puzzo marxista, e l’agnosticismo dei borghesi.

Col senno di poi, posso dire che distaccarsi dal cattolicesimo postconciliare (e dallo stantio bigottismo provinciale) fu più che comprensibile, in quanto scelta meditata a lungo e non certo frutto di un colpo di testa. Ma sull’anticristianesimo paganeggiante meglio stendere un velo pietoso; o si è l’imperatore Flavio Claudio Giuliano o qualsiasi attacco postmoderno alla fede in Cristo finisce per diventare un favore agli anticristiani per antonomasia, che non sono certo quattro spostati neopagani. Rispetto la gentilità, non la sua parodia modernista (plasmata su internet), senza dimenticare che lo spirito solare ariano è confluito nel cattolicesimo romano. Le storture “cattoliche” che abbiamo sotto agli occhi oggi sono il prodotto del Concilio Vaticano II: Paolo IV, Pio V, Pio XII non possono essere confusi con Roncalli, Wojtyla e Bergoglio.

Certo, i valori tradizionali del cattolicesimo non sono solo quelli patriarcali, conservatori, identitari, guerrieri, eurocentrici (oggi rinnegati dalle sciagure bergogliane, principiate col mio famigerato conterraneo) ma anche quelli più squisitamente evangelici come l’amore, la pace, il perdono, la carità sebbene lo stesso Cristo non fosse di certo un pacifista e un buonista amante dei compromessi. Fermo restando che amore e perdono, o carità, hanno senso tra singoli, non tra Stati, e che la politica nazionale di un Paese deve essere ispirata al patriottismo, non al catechismo.

E per quanto riguarda le bubbole delle “radici giudaico-cristiane”, dei “fratelli maggiori” e del “cristianesimo eresia dell’ebraismo” basti dire che la fede cristiana è stata plasmata nel mondo greco-romano (Europa), che accostare giudaismo e cristianesimo è ossimorico e che il concetto corrente di ebraismo è qualcosa di medievale; ai tempi di Gesù (che nemmeno era un locutore dell’ebraico) aveva un senso parlare di tradizione mosaica, non di ebraismo, una religione moderna basata su Talmud, cabala e Torah (che non è la Bibbia). Cristo era ebreo? Gli avete scattato foto o fatto un esame dell’ADN? Inoltre, per un cristiano, la vera fede è quella nel Dio (trinitario) del Nazareno, l’unica alleanza tra il divino e l’umano è la nuova ed eterna Alleanza e il vero popolo “eletto” è quello cristiano. I giudei, uccidendo Gesù, si sono chiamati fuori da tutto questo. In che modo, dunque, il cristianesimo sarebbe un prodotto del giudaismo?

Personalmente, allo stato attuale delle cose, sebbene mi sia pacificato con le mie radici, non mi ritengo religioso, praticante, cristiano e per quanto di formazione cattolica il mio punto di vista non risente di influenze clericali, anche perché ho una concezione laica (non laicista) della politica. Va da sé che in Lombardia sarei disposto a tollerare solo il cattolicesimo tradizionale e una rinascenza pagana dei culti precristiani indigeni (anche se sono alquanto scettico al riguardo) e che la mia idea di laicità non ha nulla a che vedere con le cretinerie giacobino-massoniche dei liberali e dei democratici. Le radici dell’Europa affondano nella gentilità ariana e nella romanitas cristiana, non nell’Illuminismo, nelle rivoluzioni borghesi, nel giudeo-bolscevismo e nell’europeismo di cartapesta defecato dall’antifascismo.

Ad ogni modo, dopo i 22 anni, abbandonando gradualmente la fede cattolica (postconciliare) e la visione politica banalmente reazionaria e conservatrice, mi sono concentrato di più sulle verità di scienza, non di fede: l’uomo e la natura. Capiamoci: non l’essere umano inteso come apolide animale planetario (l’unico animale a non avere razza, stranamente) ma come uomo europeo plasmato dalla natura continentale.

Gli uomini non sono di certo tutti uguali, sono suddivisi in razze, che a loro volta sono suddivise in sottorazze, ibridazioni fenotipiche, etnie e quel che a me sta a cuore è la situazione europea, segnatamente cisalpina, che è il territorio di competenza della Grande Lombardia delineata dal sottoscritto sin dal 2006.

Inizialmente, più che sentirmi lombardo, tendevo a rinchiudermi nel guscio del campanilismo bergamasco che non rinnega l’italianità. Il localismo esasperato, in un certo senso, è un sottrarsi alle responsabilità maggiori etnonazionali, senza peraltro mettere in discussione l’innaturale baracca del tricolore.

Ora invece, grazie al percorso di crescita che mi ha consentito di maturare una visione comunque indipendente rispetto al retaggio famigliare (religioso e anche filosofico-politico), posso dirmi lombardista ed etno-europeista, assumendo posizioni eurasiatiste focalizzate su di un cameratismo “imperiale” tra Europa occidentale, Europa orientale e Federazione Russa. L’impero confederale degli europidi va mantenuto, assieme ai buoni rapporti con tutti gli individui di razza bianca, non rinnegati, sparsi per il globo.

Al centro della mia visione filosofica c’è l’Europa, rappresentata dal sangue e dallo spirito e concretizzata nelle sue comunità etnonazionali e nel loro suolo patrio, che unendosi al sangue della stirpe ne ha plasmato il carattere, l’indole, la cultura, la civiltà. Questo non per razzismo o suprematismo bianco, ma per coscienza identitaria.

Tutto deve ruotare attorno al concetto di identità che significa insieme di caratteristiche fisiche e genetiche tipiche di un gruppo di popoli e trasmissibili per via ereditaria; un concetto che include sangue-suolo-spirito, la triade tradizionalista che preferisco, essendo “Dio-patria-famiglia” inflazionata dal pensiero clerico-fascista. Non che la spiritualità, il patriottismo e il patriarcato siano superflui o scontati, anzi! Dipende però da come vengono inquadrati perché il sottoscritto non si riconosce nella reazione, nel nazionalismo italiano e nel fascismo. Nell’ottica etnonazionalista – la mia – il dato religioso e spirituale (pagano e cattolico) rientra in sangue-suolo-spirito, e così patria e famiglia, ispirate alla vera identità e alla vera tradizione (cioè senza degenerazioni tricolori, mediterraneo-levantine e fascistoidi).

“Identità” significa concretezza, contrapposta a tutte le balle di comodo religiose, politiche, filosofiche atte a giustificare la globalizzazione, il multirazzialismo, il relativismo, il pluralismo genocida che distrugge l’Europa in cui i veri identitari credono. E a giustificare anche finte nazioni, come l’Italia, che sono funzionali al sistema mondialista e allo status quo.

Se non ci basiamo sul razionale, ripeto, razionale culto dell’Europa come continente plasmato dalla razza europide e dai popoli di identità biologica europea – figli di sangue e suolo natii – e dunque su una sorta di etno-razionalismo, su cosa vogliamo poggiare la nostra filosofia di vita? Sulle menzogne del politicamente corretto, del buonismo e di religioni moderniste piegate al volere dispotico del sistema-mondo? La razionalità, e il realismo, non sono in contraddizione coi valori spirituali, fondamentali per evitare di farsi risucchiare dal positivismo e dal materialismo zoologico. Fede e ragione sono compatibili, e il connubio potrebbe evitare tanto i fanatismi teocratici da Medio Oriente quanto le degenerazioni atee e laiciste (non meno feroci dell’oscurantismo clericale).

Chi vuole vivere per davvero, nel pieno senso del termine, esalta la genuina identità e tutti i suoi ideali e valori; chi vuole lasciarsi vivere, invece, esalta acriticamente il pervertimento dell’universalismo (che, di base, non è cosmopolitismo nichilista) e il conseguente annientamento di ciò che viene sprezzantemente liquidato come particolarismo, dunque la verità e la natura di una nazione. È il quieto vivere delle amebe standardizzate ed imbastardite dall’idolatria consumista e capitalista, nemica non solo dell’uomo – e dei suoi principi più sacri – ma anche dell’ambiente naturale che lo circonda, del pianeta terra. E, purtroppo, nessuno si sottrae a questa satrapia globalista, tantomeno la Chiesa stravolta dalla rivoluzione dolciastra di Giovanni XXIII che ha barattato col volemosebbene la coerenza di un cattolicesimo tradizionalista nemico giurato della modernità.

Alla luce di tutto ciò, diciamocelo: se Roma non rinnegherà il CV II l’ipotesi di una Chiesa nazionale lombarda autocefala – parte comunque del mondo religioso latino – non sarebbe idea poi così peregrina e balzana.