Odiare ti costa? Solo se non sei un pagliaccio variopinto

Il 17 febbraio del 2020 (1-2 mesi prima del macello che sconquassò la Lombardia, segnatamente la Bergamasca) l’influencer, idolo dei semicolti e tipico ospite da salotto alla Fabio Fazio-so Roberto Burioni venne a cercare il sottoscritto su Twitter per digitare, in calce ad una mia foto in cui elogiavo – non senza un tocco di ironica provocazione – la qualità razziale donatami dalla natura, una trita corbelleria antifascista e antirazzista, smentita dalla stessa scienza che egli esalta. Il mio cinguettio originale, del giorno prima, era il seguente:

«Quando ammiro il mio cranio…»

Sul “Cinguettatore” ho sovente postato mie fotografie (o tavole craniometriche) con lo scopo di illustrare, fra il serio e il faceto, il fascino della disamina craniologica e antropometrica, aggiungendovi una sagace pennellata provocatoria, come in questo caso. Il tweet, dunque, voleva essere da una parte un’orgogliosa rivendicazione delle proprie origini biologiche (che ai popoli europidi, ai bianchi, è preclusa) e dall’altra una fustigazione di quel patetico cupio dissolvi che affligge il maschio bianco “cis-” eterosessuale (e normodotato), accusato dall’Occidente auto-genocida di essere il responsabile delle peggiori nefandezze.

Apriti cielo. Dopo aver pubblicato tale post si scatenò una gazzarra indecente, vergognosa, delinquenziale raggiungendo oltre 1.500 commenti. La stragrande maggioranza delle interazioni non fu altro che una sterminata sbrodolata acida di insulti, diffamazioni, prese per i fondelli con la bava alla bocca, biliosa isteria e, soprattutto, di sguaiato ricorso al più osceno body shaming. E questa cosa è certamente la più indicativa del delirio collettivo messo in scena, poiché, come potete immaginare, gli odiatori da tastiera intervenuti appartengono alla galassia del disagio liberal, cioè a quel pulviscolo umano che da mane a sera denuncia la torva derisione sessista dell’aspetto fisico.

Ma si sa, se il bersaglio è un “diverso” partono gli inni a Norimberga e piazzale Loreto, se invece è un “nazi” o un “fascio”, o più semplicemente uno che esprime dissenso nei confronti del regime woke, non c’è scrupolo petaloso che tenga, e il linciaggio mediatico diventa buono e giusto, sacrosanto. Questo deve essere stato lo stesso pensiero di alcune pagine Facebook antifasciste, gestite da illuminati semicolti ossessionati dall’analfabetismo funzionale (una delle tante idiozie alla Eco partorite dai reggicoda del sistema mondialista, per giustificare la svendita delle loro terga a chi, da oltre 75 anni, tiene per le gonadi l’Italietta dei Badoglio), che ripresero il commento di Burioni al mio tweet affermando che mi avrebbe “blastato”.

Ecco, anche l’imbecillità di tale termine ibrido (segnale della sudditanza e dell’imbastardimento dell’idioma di Dante a vantaggio della lingua della globalizzazione) la dice lunga sulla prostituzione ideologica dei castigamatti di regime, pupazzi piegati a 90° di fronte alle presunte autorità intellettuali e morali sulla cresta dell’onda, sommi sacerdoti del novello dogmatismo oscurantista: quello del pensiero debole. I gestori delle suddette pagine non si peritarono di dare in pasto alle torme di scalmanati omologati le mie parole e la mia immagine, a riprova di quanto la superiorità morale antifascista – liberale o progressista – sia una venefica menzogna, su cui si fondano intere istituzioni. Odiare ti costa? Sicuro, a meno che tu sia un pagliaccio variopinto.

Tra i livorosi commentatori di Twitter spiccarono alcuni tizi con tanto di profilo verificato (non si sa per quale ragione, visto che sono sconosciuti ai più, ma probabilmente la spunta blu – ante Musk – è una sorta di segno di riconoscimento tra caproni conformisti), su tutti Roberto Burioni, appunto, e Luca Bizzarri. Col secondo ebbi un protratto botta e risposta, ma i giullari del sistema non meritano qui ulteriore considerazione. Veniamo, piuttosto, alla scontata replica del fenomeno virologico di Pesaro, riportata qui sotto (e badate bene che nessuno l’aveva cercato, ne ha di tempo da sprecare, il narcisistico dottore):

Ipse dixit

Premessa: il Sizzi non è un antropologo, e uno scienziato, ma quando parla di razze sa ciò che dice, a differenza di quanto vorrebbe far credere il virologo vanesio prestato alla tuttologia, e venerato siccome feticcio dai contemporanei discepoli di positivismo e scientismo. Al personaggio altamente politicizzato, replicai che le razze umane (o meglio ancora sottospecie umane) esistono in quanto esistono i meticci; ergo, sussistono degli ecotipi originali di partenza. Del resto, fino a prova contraria, anche l’uomo è un animale e ad essere unica (dunque globalmente condivisa) è la SPECIE, non la razza. Roberto, passi le tue giornate ad esaltare la scienza e poi, tra le righe, difendi il concetto antiscientifico di “razza umana”? Andiamo!

Burioni, ovviamente, non replicò; il suo unico intento era quello di farsi un bagno di facili consensi, vellicando il proprio ego con la piaggeria delle larve di Twitter. Sarebbe stato interessante sentire la sua risposta, ricordandogli l’esistenza di farmaci specifici e diversificati a seconda della razza, e di malattie e disturbi tipici di alcuni gruppi razziali. Il nostro ha mai provato a curare l’ipertensione di un congoide con un ace-inibitore? O a somministrare statine ad alte dosi ad un mongoloide? Per non parlare delle intolleranze alimentari… Il ritornello antifa del “siamo-tutti-uguali” è una cialtroneria senza alcun fondamento medico-scientifico.

Curiosamente, il preclaro professore da social, nello stesso periodo in cui gettava alle ortiche il suo prezioso tempo per commentarmi (febbraio 2020, ricordiamo), minimizzava la portata del coronavirus irridendo chi indossava le mascherine e invocava severe restrizioni verso la Cina stigmatizzando la globalizzazione. Non scherziamo, ragazzi: il vero virus è il razzismo. In tempi più recenti, invece, dava dei sorci a coloro che non si vaccinavano e rifiutavano la certificazione verde, auspicandone la ghettizzazione permanente. Se gli araldi della cosiddetta comunità scientifica sono costoro è evidente che qualcosa, dopo il 1945, sia andato completamente storto. Mala tempora currunt.

Io, dal canto mio, mi schiero con tutti quei medici forensi, anatomopatologi, archeologi, paleontologi, osteologi, antropologi e genetisti che parlano ancora tranquillamente di razze umane, non certo coi venditori di fumo che spacciano l’antropologia culturale – fumisteria neomarxista erede di Boas, rimpinzata dalle smentite castronerie di Lewontin – per scienza esatta. E questo perché l’etnonazionalismo, pur diffidando delle derive scientiste e materialiste, deve avvalersi della razionalità e della scienza per corroborare i propri principi: l’identità è anzitutto biologica, dunque razziale.

Infine una nota di colore (no, non in senso sub-sahariano). La sera di quel 17 febbraio 2020, a coronamento della gigantesca canea suscitata dal mio cinguettio, poteva forse mancare la chiamata di Cruciani, supportato dal suo saltimbanco del cuore, lo scappellato Parenzo? La cosa più divertente è che, costoro, partono in quarta introducendo la telefonata con contumelie e derisioni, ma una volta che scatta il confronto in diretta inscenano il solito teatrino fatto di voci sopra la propria, urla, pollaio e uscite da bettola per far deragliare il discorso buttandolo in caciara. In questa occasione, a conferma della propria pochezza, arrivarono a chiudere in fretta e furia la chiamata sbattendomi il telefono in faccia. Una volta messi con le spalle al muro, consci dell’ennesima figura fecale confezionata col sottoscritto, un epilogo del genere è una comoda via di fuga*.

* Di tenore analogo l’ultima incursione zanzaresca, datata 27 gennaio 2023 (ma trasmessa ad inizio febbraio), reperibile sul “Tubo”. Oltre al consueto repertorio di cialtroneria assortita – di Parenzo non vale più nemmeno la pena parlare -, venendo a trattare di attualità e craniometria, va notato come il Cruciani, ogni volta, ami ricordare il mio infortunio giudiziario, sottolineando il reato (?) manciniano, di istigazione alla discriminazione razziale; peccato che la condanna verta, anzitutto, sul vilipendio del PdR, e poi sul razzismo. Sempre di ideologia e politica si tratta ma, moralmente, l’odio razziale, e dintorni, potrebbe apparire più riprovevole della lesa maestà. Ad ogni modo, meno male che il caro Giuseppe sarebbe un baluardo della lotta contro il ciarpame politicamente corretto e da cultura della cancellazione…