4) Minoranze storiche

Valle d’Aosta, Alpi Occidentali, Nizzardo, Liguria, Romagne, lagune venete, Tirolo primigenio (quello meridionale), Slavia friulana, Isonzo, Istria sono territori storici, o marginali, che rientrano nell’ambito geografico cisalpino, dunque della Grande Lombardia. Bisogna quindi favorire l’assimilazione delle popolazioni storiche, punto o poco lombarde, che abitano tali terre, consentendo il mantenimento culturale delle loro identità ma senza degenerazioni campanilistiche. In questo senso valutiamo una salutare opera di lombardizzazione delle aree periferiche, sopprimendo gli statuti autonomi e assecondando il rimpatrio di quanti non siano disposti ad accettare l’autorità e la sovranità della Grande Lombardia, e dunque l’assimilazione. Parlando di minoranze storiche ve ne sono di compatibili (occitani, arpitani, alemanni, bavari) e non, ed è questo il caso della minoranza slovena e croata e della sparuta minoranza istroromena, che andrebbero senz’altro rimpatriate. Al contempo, vediamo di buon occhio un’integrazione, nel territorio a sud delle Alpi, dei romanci del Grigioni, fratelli di ladini e friulani e strettamente affini agli altri galloromanzi cisalpini. Siamo, perciò, a favore di “Opzioni”, per le minoranze alloctone in oggetto: assimilazione o rimpatrio nei territori degli avi.

L’inconfutabile verità su cui deve fondarsi la ragion d’essere di un futuro etnostato granlombardo è che la Lombardia appartiene ai lombardi, e che la Cisalpina è lo spazio vitale di un solo ethnos, quello lombardo. Le minoranze tollerabili devono giurare fedeltà alla Grande Lombardia e optare per l’assimilazione, qualora decidessero di rimanere su suolo cisalpino; potrebbero anche beneficiare di una blanda tutela culturale e linguistica, ma sempre nella prospettiva di una nazione granlombarda indiscutibilmente padano-alpina. Chiaramente, da lombardisti, preferiamo l’assimilazione totale. Peraltro, se decidessero di ritornare nella terra dei propri padri, potrebbero andare a rinsanguare i popoli originari, e in quest’ottica avrebbe senso uno “scambio” tra romanci e germanofoni dell’Alto Adige, ad esempio. La lombardizzazione deve basarsi sul nerbo etnico della Lombardia, che è il bacino padano, e per quanto possa far storcere il naso a qualcheduno sarebbe un formidabile strumento per raggiungere coesione nazionale, espandendo l’etnia lombarda più schietta nei territori marginali. Ovviamente, ogni paragone con la situazione italiana e gli esodi ausonici è del tutto fuori luogo.

3) Definizione e preservazione dell’etnia lombarda

Nazionalità e cittadinanza devono finalmente coincidere, mediante la congiunta applicazione di ius sanguinis e di ius soli. Per definire la lombardità di un individuo vi sono due differenti criteri, uno più moderato l’altro più severo: il primo è quello dell’associazione politica Grande Lombardia, secondo il quale è lombardo chi ha 4 nonni biologici geneticamente europei, di cui almeno 2 geneticamente lombardi; il secondo è il criterio sizziano, del sottoscritto, ed è più rigido perché reputa lombardo chi ha 4 nonni biologici, ovviamente europidi, cognominati alla cisalpina e la cui residenza in Lombardia risalga almeno al 1900. La cosa su cui le due visioni concordano è la necessità del legame di sangue diretto con la terra lombarda, tollerando blandi apporti genetici di popolazioni compatibili con la nostra. Vengono in mente, anzitutto, le genti dell’arco alpino, ma anche “francesi”, “tedeschi” e nord-italiani (toscani e corsi). Più problematica la questione sud-italiana: l’esodo del secondo dopoguerra e il massiccio fenomeno di ibridazione ha portato, in talune zone padane, ad un vero e proprio etnocidio ai danni della popolazione lombarda. Si pensi allo sciagurato “triangolo industriale”.

Gli italiani etnici, segnatamente del sud, sono da noi giudicati incompatibili con la schiatta cisalpina, anche alla luce di quanto accaduto nella Grande Lombardia occidentale, e ricordato pocanzi. La spaventosa disgregazione del tessuto etnoculturale originale della Padania è stata una catastrofe, perché ogniqualvolta un popolo si estingue, anche se ricco e sviluppato, è una rovina irreparabile nei confronti della biodiversità e di quel positivo etno-pluralismo che contraddistingue il pianeta. Infatti, a proposito di biodiversità, millenni di evoluzione e di sviluppo della stessa non devono essere distrutti per capricci di chi non sa controllare i propri impulsi. Bisogna, dunque, favorire le unioni tra lombardi, tollerando unicamente blandi apporti di genti compatibili, viste poco sopra. Meticciato e ibridazione sono fenomeni esiziali che vanno condannati (anche per le ovvie ricadute culturali), dissuadendo le unioni miste. E questo anche nell’interesse identitario degli altri popoli (europei e non) ritenuti da noi estranei all’ADN cisalpino. L’etnia (gran)lombarda va rinsanguata, bloccando eziandio l’italianizzazione che, come detto, ha cagionato un democratico genocidio dei cisalpini occidentali, dei lombardi etnici.

2) Diffusione del concetto di Grande Lombardia

La Grande Lombardia, nell’ottica lombardista, è, sin dal Medioevo, la Lombardia lato sensu, la Lombardia storica, sovrapposizione della Gallia Cisalpina alla Langobardia Maior. Essa è corroborata dalla geografia subcontinentale, e dalla natura di anello di congiunzione fra Europa mediterranea e centrale. La Grande Lombardia è, altresì, parte della Romània occidentale, come concetto linguistico, e più nello specifico, in senso etnico-linguistico, della Gallo-Romània. Suoi confini irrinunciabili sono le Alpi, le acque del Mar Ligure e dell’Alto Adriatico e l’Appennino tosco-lombardo, che è il limite meridionale che combacia con la barriera etnolinguistica, e nazionale, Massa-Senigallia. La capitale, naturalmente, è Milano, quella morale – grazie a Goti, Longobardi e Franchi – Pavia. La Lombardia medievale, intesa come diretta continuazione del Regno longobardo, e del Regno d’Italia (nome banalmente dovuto al prestigio della Roma antica), è erede fondamentalmente dei due grandi blocchi di età longobarda della Neustria e dell’Austria, che grossomodo corrispondono alla Grande Lombardia occidentale e a quella orientale (cosiddetto “Triveneto”). Milano capitale è il giusto tributo alla città cisalpina più importante, sebbene per taluni possa essere una scelta divisiva.

Ma per qualche bello spirito è divisivo anche chiamare “Lombardia” l’intera Padania, dimentico di come tutto quanto il nord della Repubblica Italiana (e non solo) non foss’altro, fino all’800, che Lombardia storica. Non esiste altro nome – che è pure un etnonimo – per designare la nostra patria, essendo gli altri dei semplici coronimi, con buona pace di chi crede che la Lombardia sia semplicemente la regione creata da Roma per cancellare, storpiare e occultare la verità etnica, culturale, linguistica, geografica e storica. Siamo globalmente lombardi, per quanto lo siano, anzitutto, le genti del bacino padano, ed è bene cominciare a ragionare da tali, lasciandosi alle spalle le inflazioni, le banalizzazioni e le confusioni ingenerate anche dal leghismo e dal padanismo. Il lombardesimo non è espansionismo insubrico – sebbene l’Insubria, certamente, sia il centro e il cuore pulsante della nostra nazione -, è il nazionalismo etnico lombardo, volto ad affratellare tutti i popoli padano-alpini sotto l’egida dei nostri grandi padri comuni: Celti, Gallo-Romani, Longobardi, in primis. Per questo la vera Lombardia è la Grande Lombardia, a partire dalla sua porzione occidentale.

1) Diffusione del concetto di Lombardia etnica

Veniamo ora ai 50 punti programmatici del lombardesimo. Sono ripartiti, a gruppi di 5, in 10 grandi aree tematiche: politiche etniche, socioculturali/comunitarie, statuali, estere, giuridiche, socioeconomiche, educative, agricole e ambientali, infrastrutturali/energetiche, demo-sanitarie. Cominciamo con il primo, fondamentale, punto. La Lombardia etnica, come la chiamiamo noi lombardisti, è la terra cisalpina racchiusa dal bacino idrografico padano e caratterizzata dalla stratificazione identitaria celto-ligure, gallo-romana, longobarda, dalla presenza degli idiomi lombardi (ovvero galloromanzi cisalpini) e dall’azione unificatrice della Lega Lombarda medievale e del Ducato visconteo. Essa costituisce il fulcro della nazione lombarda ed è, per questo, meritevole di particolare tutela e di un preciso riconoscimento giuridico. Sua capitale naturale, e storica, è Milano data l’importanza, la centralità e il ruolo politico, culturale, linguistico ed economico esercitato da secoli. Accanto al concetto di Lombardia etnica, vi è anche quello della Lombardia etnolinguistica (o culturale) e della Grande Lombardia (o Lombardia storica); quest’ultimo lo vedremo al punto 2, mentre il concetto di lombardità etnolinguistica concerne l’intera famiglia gallo-italica, cosiddetta, e dunque tutta la Padania occidentale.

Lombardia etnica, etnolinguistica e Grande Lombardia costituiscono le tre lombardità teorizzate dal lombardesimo, ma l’enfasi viene posta sulla prima, che rappresenta il cuore della Lombardia storica, e sulla terza, che è la massima estensione della nazione lombarda. I territori etnolinguistici riguardano la Lombardia etnica e, in aggiunta, Emilia orientale, Romagna e Liguria. Insomma, la Grande Lombardia occidentale. Va, comunque, ricordato che nel Medioevo l’intero Trentino e buona parte del Veneto continentale (Verona, soprattutto) ricadevano nella lombardofonia, poi sommersa, ad oriente, dall’espansione del veneziano. E, all’epoca, la Gallo-Romània cisalpina comprendeva, unendole, le contrade gallo-italiche e quelle retoromanze, in un’unità spezzata dal suddetto veneziano e dall’avanzare del fiorentino letterario, che ha annacquato i parlari cisalpini. Le tre forme di lombardità individuate non contemplano la “Regione Lombardia”, un’entità tricolore creata da Roma che non corrisponde ad alcuna compatta realtà etnoculturale, per quanto il moncone di Lombardia in questione sia centrale, nel quadro padano-alpino. I lombardi sono tali, anzitutto, nel contesto della Lombardia etnica, una terra che esclude il tratto terminale del Po, Ferrarese e Bolognese, ricalcando l’antico confine del Panaro, per ragioni identitarie ben ponderate.

X – Europeismo völkisch

L’Europa è una grande famiglia – o, meglio ancora, una civiltà – continentale e imperiale che va da Capo Nord a Malta e dalla Galizia agli Urali, raggiungendo Vladivostok se consideriamo la Russia come un impero retto dall’elemento etno-razziale europide di quella nazione. L’Europa, dunque, esiste ma non va vilipesa con un’accozzaglia di stati forgiati sul modello giacobino-massonico francese, bensì coesa e armonizzata mediante una confederazione di vere nazioni, che siglino un patto di alleanza soprattutto per questioni economiche e commerciali, oltre che identitarie. Non più unioni che di europeo hanno solo il nome, sibbene consorzi identitari e tradizionali che ricreino un grande spazio euro-siberiano, anche per poter beneficiare di risorse e materie prime (in senso autarchico) e per avere un adeguato peso geopolitico sullo scacchiere internazionale. Insomma, il lombardesimo carezza l’ipotesi di un europeismo etnicista, völkisch, finalmente basato su sangue, suolo, spirito, che rigetti una volta per tutte l’europeismo pezzente di tecnocrati, banchieri, usurai e di fessi liberali, e liberal, col mito dell’Europa di cartapesta retta da finti valori democratici.

Siamo indubbiamente europei, ma non col significato inteso dai tromboni tricolori di destra, centro e sinistra che amano impaludarsi negli stracci blu-stellati delirando di radici giudaico-cristiane, valori antifascisti, origini illuministe e altro ciarpame dell’armamentario stile Ventotene. E, infatti, prima di essere europei siamo europidi, ramo bianco della razza caucasoide, depositari di una civiltà senza eguali oggi pervertita e snaturata dal dispotismo finanziocratico del Benelux. L’idea di una confederazione europea (che includa la Russia) è eccellente, e deve comprendere anche la Russia (geograficamente) asiatica; il problema della nazione moscovita è la presenza di consistenti minoranze allogene, e in questo senso andrebbe senza dubbio de-asianizzata. Ma per il resto fa parte della nostra civiltà, e non può esserne esclusa per sciocche pregiudiziali dal puzzo atlantista. Le guerre fra popoli europei vanno scongiurate, o terminate il prima possibile, a patto però che si raggiunga un nuovo ordine ario dove gli occupanti a stelle e strisce, gli agenti mondialisti, e gli internazionalisti della dittatura progressista vengano cacciati dal continente. Urge una rivoluzione völkisch, a cui ogni europeo degno di questo etnonimo dovrebbe anelare.

IX – Econazionalismo

Il buon lombardista ha a cuore l’ambiente padano-alpino, e si batte per la sua difesa e preservazione. Vale, quindi, per l’habitat, il paesaggio, la flora e la fauna locali, insomma per quell’elemento “suolo” che affianca sangue e spirito. Va da sé: se si vuole tutelare il sangue del popolo va tutelato anche il suolo patrio che ha plasmato l’elemento etnoculturale; del resto, dall’incontro di sangue e terra nasce lo spirito, e dunque la civiltà e la cultura di una nazione, nel nostro caso la Lombardia. Però, intendiamoci: se si tutela l’ambiente, a maggior ragione, va difeso il popolo indigeno che lo abita, altrimenti sarebbe sterile ed inutile battersi per salvaguardare vegetazione, animali, cibo e territorio sorvolando sulla questione etno-razziale. Questo è l’imbarazzante limite del classico ambientalismo liberal, da salottino buono o da piazze monopolizzate da brufolosi adolescenti mesmerizzati da Greta Thunberg, che però si ricorda dell’etnia quando si viene a parlare di popolazioni del Sud del mondo. Gli amazzonici devono tutelare la propria identità etnoculturale, i lombardi invece no, devono scomparire senza fiatare, altrimenti diventano nazisti.

Ed è proprio così. L’orgoglio etno-razziale è precluso ai popoli europidi, ai bianchi, e se per caso accostano i destini delle proprie genti a quelli della terra natia viene evocato lo spettro del razzismo. Blut und Boden era un motto nazionalsocialista, ma prima ancora romantico; Herder prima di Darré, per capirci. Ecco dunque la necessità di un ecologismo che vada di pari passo con il nazionalismo etnico, lombardo nel nostro caso, e quindi ecco l’econazionalismo. Bisogna smetterla di prendersi in giro, e sottolineare come non basti lottare per il solo ambiente, se vogliamo avere un futuro. Bisogna lottare anche per la preservazione del popolo, a casa propria, come è giusto che facciano pure le altre razze del pianeta. E gli europei non sono figli di un dio minore, anzi, più di tutti dovrebbero impegnarsi per tutelare l’elemento indigeno, minacciato da meticciato, società multirazziale, immigrazione allogena selvaggia. Basti pensare a ciò che accade oltralpe per comprendere come gli europidi siano seriamente a rischio estinzione, per giunta nelle loro contrade. E allora urgono etno- ed eco- sostenibilità, per un continente davvero migliore, dove l’orgoglio identitario non sia più un crimine ma il viatico per una rinascita patriottica che assieme all’habitat naturale si ricordi del popolo, e non solo per dell'”innocua” cultura.

VIII – Etno-razionalismo

Un’innovativa idea promossa dal lombardesimo è quella dell’etno-razionalismo, ossia dell’etnonazionalismo razionale, che è la conciliazione tra realismo/razionalismo e nazionalismo etnico. Essa serve a coniugare due capisaldi del pensiero lombardista, per lasciarsi alle spalle un certo tipo di metafisica, di religiosità e di spiritualità, affidandosi alla ragione e al (positivo) sviluppo scientifico. Troppo spesso la fede si tramuta in un ostacolo, sulla via che conduce all’autoaffermazione nazionale. Tale posizione è cara soprattutto ad Adalbert Roncari, essendo di formazione scientifica ed agnostico, mentre altri lombardisti, tra cui il sottoscritto, sono più possibilisti (in materia di rapporto credo-politica, si capisce). Una cosa su cui concordiamo, tuttavia, è la condanna delle ingerenze religiose – soprattutto vaticane, per quanto riguarda la nostra realtà – negli affari dello Stato, poiché la Lombardia è un bene di tutti i lombardi e va messo in cima agli interessi della nazione medesima. Non siamo certo laicisti e atei di stampo progressista, ma riteniamo la spiritualità fatto secondario, che ovviamente non deve intralciare il cammino del lombardesimo. Forse il punto dell’etno-razionalismo può rappresentare una contraddizione con il precedente caposaldo relativo al tradizionalismo, ma in verità ragione e tradizione possono tranquillamente andare di pari passo. Ed è ben chiara una cosa: non ci serve la Roma contemporanea per fustigare l’andazzo occidentale in materia di famiglia, sessualità e bioetica.

La ragione, infatti, appoggia identità e tradizione, perché esecra l’irrazionalità di quei movimenti culturali e politici che supportano universalismo, ecumenismo, relativismo, antirazzismo ed antifascismo. “Siamo tutti uguali” è una fesseria antiscientifica, soprattutto parlando di razze umane, e la stessa comunità scientifica dovrebbe depurarsi da quegli aspetti ideologici e settari che impediscono un sereno dibattito, anche in materia razziale. Dopo il secondo conflitto mondiale, come tutti sappiamo, la biodiversità umana è diventata un tabù e il pensiero si è appiattito sulla linea politicizzata e propagandistica dell’antropologia culturale, che di razionale ha davvero gran poco quando si viene a trattare di antropogenetica. Purtroppo le grandi religioni monoteiste appoggiano spesso e volentieri tale visione, che è peraltro la stessa dell’ateismo “acido” e del laicismo, dimostrandosi irrazionali. La nostra condanna riguarda le posizioni moderniste e progressiste, soprattutto della Chiesa cattolica, poiché scolorano nelle ingerenze anti-identitarie e, per assurdo, pure anti-tradizionaliste. Noi lombardisti ci battiamo per preservare la tradizione, anche spirituale, a patto però che non diventi nemica, in quanto pervertita e snaturata, dei destini etno-razziali del popolo. Pertanto la religione, come detto, non ha primaria importanza e non ci avventuriamo in dispute teologiche. Il lombardesimo è laico, anche se non ateo e laicista, e carezza l’idea di una Chiesa nazionale ambrosiana e di un recupero razionale della gentilità, piuttosto di indugiare nel cattolicesimo postconciliare, in altri culti esotici oppure nella moderna paccottiglia new age.