Qualcuno mi chiedeva un commento circa il primo sì all’autonomia differenziata, recentemente passato al Senato; si attende ora il voto alla Camera. E, già qui, stiamo parlando di apparati dell’entità italiana. L’ennesima trovata propagandistica della Lega, dopo secessione, devolution, federalismo solidale, sembra riscuotere successo anche presso alcuni indipendentisti lombardi, che vedono in essa un tentativo di disgregazione della compagine tricolore, forse dimentichi dei trascorsi “padani”. Ben sapendo che ogni iniziativa volta a fiaccare – seriamente – il nazionalismo e l’unionismo italiani va accolta positivamente, resta però il fatto che la Lega (ex) Nord è membro di un governo capeggiato dalla destra italianista, che farebbe di tutto per ostacolare un razionale identitarismo cisalpino. Ma, allo stesso tempo, la medesima Lega a trazione salviniana ha in non cale il nazionalismo etnico panlombardo, digiuna com’è di principi völkisch, e forse ci si scorda che il declino leghista comincia proprio col secessionista (a parole) Bossi. Mica col “capitano”, che è stata la logica conseguenza dei fallimenti del genio di Cassano Magnago. Non è la prima volta che via Bellerio propone soluzioni volte al decentramento, ma al di là del loro successo o meno sorge un interrogativo: i leghisti hanno a cuore l’identità nazionale padano-alpina o soltanto i danari? La sensazione è che nemmeno sappiano dove stia di casa la prima, zavorrati come sono di retorica patriottarda da Libro Cuore.
Il 6 novembre 2013, data mediana tra equinozio d’autunno e solstizio d’inverno, nel suggestivo scenario medievale del Castello Visconteo di Pavia (la capitale morale lombarda), nasceva l’associazione politica Grande Lombardia, continuazione del fu Movimento Nazionalista Lombardo.
Ne uscii nell’aprile 2014 per via del desiderio, di allora, di recuperare la cornice italica, in chiave etnofederale, e prendere le distanze dall’indipendentismo, ma è stata un’esperienza degna di nota che ha certamente avuto il suo senso e rappresentato una tappa formativa del mio pensiero etnicista. Dopo essermi, nell’autunno 2021, riconciliato con le mie origini ideologiche, ne ho ulteriormente rivalutato la portata, confermando la natura rivoluzionaria del lombardesimo.
Nell’estate del 2013, il Movimento Nazionalista Lombardo, fondato da Adalbert Roncari e dal sottoscritto, fu sciolto per poter dare spazio a questo nuovo progetto lombardista, che senza rinnegare le posizioni di partenza le ha estese alla Lombardia storica orientale (nel Medioevo il termine ‘Lombardia’, come sappiamo, designava in buona sostanza la maggior parte del territorio “italiano” settentrionale).
Come MNL ci eravamo soffermati sulla Neustria longobarda, fondamentalmente, vale a dire Val d’Aosta, Piemonte, “Svizzera” lombarda, Regione Lombardia, Emilia fino al Panaro e altri brandelli di territorio padano appartenenti oggi a varie realtà amministrative; con GL si allargò il discorso lombardista all’Austria longobarda, ossia Trentino, Lombardia venetizzata e Friuli, escludendo per ragioni etno-storiche il Tirolo primigenio (ossia quello meridionale), il bacino dell’Isonzo, l’Istria, l’Emilia al di là del Panaro, la Romagna e le coste venete con l’entroterra.
Grande Lombardia, indi, abbraccia le terre dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali e da quelle Centrali all’Appennino settentrionale (cioè lombardo), accomunate dall’eredità innanzitutto gallica cisalpina romanizzata e in secondo luogo dall’impronta longobarda, che ha caratterizzato tutto il cosiddetto nord vero e proprio della Repubblica Italiana; nel Medioevo, se un transalpino doveva varcare le Alpi era solito dire: «Vado in Lombardia» (d’altro canto, nello stesso periodo, il termine ‘Italia’ designava più il centro-nord che il sud, ma questo per motivi di prestigio e di antico retaggio politico romano).
I territori inizialmente estromessi sono stati poco e tardi longobardizzati (Liguria, Padova, Bologna e Ferrara) o per niente colonizzati dai Longobardi (Romagna e coste venetiche), oppure appartengono geograficamente e storicamente alla Lombardia allargata (Tirolo meridionale, Isonzo, Istria) ma etnicamente sono popolati da, tecnicamente, allogeni (bavari, sloveni, croati). Perciò, nei primevi intenti di GL, la cartina grande-lombarda escludeva le coste liguri, le Romagne (Emilia orientale, Romagna e terre gallo-picene), il Veneto costiero al di sotto di una immaginaria linea delle risorgive, il mondo retico cisalpino germanofono a nord del confine etnico di Salorno e la Venezia Giulia storica oggi inglobata da Slovenia e Croazia.
Ricordo con simpatia i bei tempi in cui il duo Sizzi-Roncari, inebriato dal purismo continentale e terragno, discriminava i popoli settentrionali costieri e lagunari in nome di una talassofobia “longobarda” da impenitenti consumatori di burro e strutto, contrapposta agli amanti “bizantini” dei boccioni d’olio d’oliva, del pomodoro, dei latticini di pecora e capra in odore di intolleranza al lattosio. Il Panaro come confine enogastronomico e zootecnico, confortato dalla storica dicotomia tra Langobardia e Romandiola, fu per anni uno dei pezzi forti delle rivendicazioni lombardiste. Eravamo tutti più giovani.
Ad ogni modo, la tenzone identitaria grande-lombarda è rivolta alle realtà galloromanze cisalpine longobardizzate e, dal Medioevo, ritenute lombarde (e qui si pensi a chi costituì la Lega originale, la Societas Lombardiae). Città come Trento e Verona, in antico, parlavano lombardo e non è affatto peregrino affermare che la porzione di Regione Veneto inclusa nelle allora cartine lombardiste (quella continentale, in pratica) sia stata venetizzata dalla Serenissima, spezzando quel continuum linguistico che doveva esserci in tutta la Cisalpina – Dante docet – grazie alla sovrapposizione di Celti e Longobardi latinizzati.
Il movimento Grande Lombardia prende, dunque, le mosse dalla realtà etnoculturale e geografica genuina della Lombardia, lo zoccolo duro, unendo le due Lombardie storiche, occidentale e orientale, nel nome della loro comune eredità e delle sfide presenti e future che le attendono.
L’esperienza lombardista precedente, quella del Movimento Nazionalista Lombardo, è stata una sorta di laboratorio, di cammino preparatorio al grande salto di qualità che punta a riunire tutti i lombardi sotto l’insegna della Croce lombardista (GL unisce, nel suo vecchio simbolo, le due croci alpino-padane storiche, integrandole alla ruota solare indoeuropea che rappresenta la grande famiglia continentale d’Europa), dello Swastika camuno e del Ducale visconteo, del Biscione; Grande Lombardia è un movimento politico, ma anche culturale, che non punta ai voti, alle poltrone, ai quattrini, ma ai lombardi e alle lombarde in senso etnico e storico, che vogliono battersi per l’affrancamento, la difesa, la promozione e l’autoaffermazione, innanzitutto identitaria, delle genti in questione.
Questa battaglia è tanto comunitarista, ruralista, solidarista quanto ispirata ad un salutare razionalismo che non ripudi lo sviluppo, il progresso (scientifico, si capisce), la tecnologia (come potremmo?) ma dia ad essi un volto sociale e nazionale mirato al benessere della collettività lombarda, senza anarco-individualismi o sterili passatismi. Proiettare la Grande Lombardia nel futuro, onorando il passato, e concretizzando un presente di sacrosante lotte metapolitiche. Gli scopi statutari e programmatici di GL combaciano coi miei, per quanto l’associazione sia, ad oggi, ferma. Mi distacco, solamente, dal vecchio punto relativo alla critica indiscriminata nei riguardi del cattolicesimo, ovviamente tradizionale – confuso con forme spurie di cristianesimo, ebraismo e islam – e alla scristianizzazione, che all’epoca condividevo ma da cui poi ho preso le distanze. Oggi sono convinto che, religiosamente parlando, l’ideale sia una fusione della gentilità precristiana cisalpina con il cattolicesimo ambrosiano, dando vita ad una Chiesa nazionale l0mbarda.
Per chi pone la triade sangue-suolo-spirito al di sopra di tutto è impossibile, alla lunga, conciliare l’inconciliabile, e la dirompente forza dell’etnicismo avrà il sopravvento su ogni proposito meramente culturale o storico. Fermo restando che, sebbene con mille forzature, l’Italia può essere ritenuta una sorta di civiltà eterogenea, il concetto di cultura italiana è del tutto moderno, artificiale e disomogeneo, basato sulla lingua toscana e su elementi comuni a molte altre realtà europee. Cattolicesimo, romanità e ambito neolatino sono un po’ pochino per parlare di nazione italiana dalle Alpi alla Sicilia…
Una cosa da me rivalutata, dopo la fine del periodo italianista, pertinente al progetto originale di GL, è l’inserimento della Lombardia in una sorta di macroregione gallo-teutonica centro-europea, cuore della civiltà continentale. Abbiamo molti elementi in comune con l’arco alpino, soprattutto nelle stesse aree alpine grandi-lombarde, e anche se la Pianura Padana – per non dire delle coste – si avvicina più alla Toscana o alla Provenza che alla Svevia e alla Baviera, il medievale spazio carolingio d’Europa andrebbe rivitalizzato. Detto questo lasciamo pure perdere le macroregioni europee e concentriamoci sulla nostra realtà etnonazionale, quella lombarda, anche se di certo il cuore europeo, cui la Cisalpina appartiene, rappresenta la papabile classe dirigente euro-siberiana.
Il potenziale originario di Grande Lombardia era importante e interessante soprattutto in direzione comunitarista, per sviluppare quel salutare attaccamento alla stirpe e alla terra, quella genuina solidarietà tra connazionali, quel robusto senso montanaro e contadino, terragno oserei dire, che contraddistingue i lombardi. Ma la Lombardia è anche le città , l’economia, l’industria, le eccellenze, la qualità , la ricchezza frutto del duro lavoro e il lombardesimo non ignora tutto questo, anzi, vuole dargli la giusta rilevanza, comunque in un contesto di etnonazionalismo e visione nazional-sociale.
Parlo di lombardesimo, cioè dell’ideologia da me plasmata, e che fu il motore dottrinario dell’MNL e di GL; per quanto il primo non esista più e non faccia parte, da anni, della seconda resta il fatto che gli unici movimenti/associazioni cui mi sia sentito legato sono ovviamente quelli da me fondati, e di cui conservo con soddisfazione ed orgoglio ottimi ricordi.
Lotta spietata, soprattutto a livello culturale, contro il commercio e lo spaccio delle droghe di qualsiasi tipo. Far capire ai giovani che l’effimero stato di euforia ha ripercussioni devastanti sulla loro salute, causando al contempo l’arricchimento di criminali senza scrupoli, è fondamentale. Sempre in ottica di tutela del benessere individuale e collettivo, predisposizione di forti incentivi contro il tabagismo. Responsabilizzazione sul consumo di alcol: le bevande alcoliche sono parte della nostra cultura (la coltivazione della vite ha anche plasmato il nostro paesaggio) e non sono problematiche se consumate moderatamente, ma l’abuso va assolutamente evitato. La questione relativa al contrasto di commercio, spaccio e consumo di droga è un dovere legale e morale che lo Stato deve assumersi, sia per sradicare questa piaga criminale che per educare i giovani, indirizzandoli lungo la retta via. Ma noi lombardisti siamo contrari anche al fumo, un pessimo vizio che corrompe l’uomo, in tutti i sensi, e al consumo di cibo spazzatura: l’uno e l’altro sono pure fonte inesauribile di guadagno da parte di lobby e multinazionali.
Consentire l’adozione spontanea di alcune piccole misure eugenetiche a fini preventivi (si sottolinei, preventivi) e terapeutici. Non esistono vite degne o indegne di essere vissute, biologicamente parlando, ma i comportamenti responsabili volti al benessere della comunità sono servigio di carattere sociale e patriottico. Occorre rivalutare la riapertura dei manicomi (anche criminali) o di altri istituti specifici per gestire soggetti problematici, asociali, inabili, onde evitare ricadute che impattino sull’armonia della collettività nazionale. Siamo possibilisti, inoltre, di fronte ad aborto ed eutanasia, qualora intrapresi per il bene soprattutto comunitario. Un’altra emergenza da gestire, sebbene non riguardi la Lombardia direttamente (ma indirettamente, dati i flussi migratori massicci, sicuramente sì), è quella relativa al tasso di fertilità del sud del pianeta, che ha raggiunto livelli insostenibili: urge, pertanto, una perentoria politica di controllo delle nascite, anche per tutelare l’ambiente medesimo. La natalità esorbitante del terzo/quarto mondo è una vera e propria bomba demografica, che va disinnescata il prima possibile, date le ricadute negative sulla stessa Europa, approdo di una marea di disperati. Oltretutto, lo ribadiamo: l’immigrazione di massa non risolve problemi, li crea, pure agli stessi migranti, e di fronte alla miseria imperante non sarebbe il caso di riprodursi senza posa.
Aborto consentito in casi di stupro (allogeno, in particolare), pericolo di vita della madre, anomalie gravi del feto. Eutanasia consentita nei casi irreversibili, laddove una vita normale sia compromessa e il malato sia terminale o in stato vegetativo. Serve una forma di razionalismo bioetico, rispettoso della sensibilità religiosa ed individuale ma dotato di robusto buonsenso, giustificato dalla lucidità scientifica. Siamo nettamente ostili ad una bioetica asservita al mercato e al capitalismo, che riduce la vita umana (surrogata e manipolata in laboratorio) ad oggetto di consumo e capriccio borghese; aborto ed eutanasia possono essere giustificati dal bene supremo, che è quello della comunità nazionale, e naturalmente da casi limite, ma in nessun modo devono venire sdoganati se impiegati per becero individualismo e se, dunque, non sono strettamente necessari e umanamente comprensibili. Viviamo in un mondo occidentale in cui ormai queste pratiche vengono servite sul comodino ed il confine tra aborto ed omicidio, ed eutanasia e suicidio è davvero molto labile. Noi siamo assolutamente contrari alla macelleria di laboratorio e, di conseguenza, a mezzi terapeutici piegati al volere del singolo scriteriato o, magari, di uno Stato che ha perso di vista l’etica.
Per quanto la Grande Lombardia sia sovrappopolata e una riduzione della popolazione sia cosa buona e giusta, l’attuale tasso di fertilità degli indigeni ha raggiunto un livello troppo basso per l’autosostentamento della nazione. Per questo motivo vanno predisposti adeguati sostegni alle famiglie con figli, contrastando la precarietà giovanile e riducendo il costo degli affitti. Dall’altro lato è anche importante stimolare nei ragazzi e nelle ragazze una salutare presa di responsabilità circa le loro azioni. Servono incentivi per la crescita demografica indigena, naturalmente in linea con i criteri di ecosostenibilità e di contenimento della secolare sovrappopolazione padana: sostegni alle famiglie appunto, contrasto alla disoccupazione giovanile, garanzie e migliorie per il benessere e la sicurezza dei lavoratori. Molto dipende, tuttavia, da educazione e valori; lo Stato deve supportare economicamente e socialmente le giovani coppie ma deve anche promuovere responsabilizzazione mediante famiglie e comunità , facilitando così una salutare coscienza patriottica, fondamentale per garantire un futuro roseo alla nostra nazione.
Basta code interminabili negli ospedali e attese di un anno per una visita o, peggio ancora, per un esame o un intervento urgente. Bisogna riportare la sanità pubblica – naturalmente lombarda – a fornire prestazioni decenti dando, ovviamente, la precedenza agli indigeni. Vanno, altresì, predisposti adeguati piani di gestione di possibili future pandemie, facendo tesoro dell’esperienza del coronavirus. Le emergenze sanitarie, infatti, vanno gestite a livello nazionale, senza demandare ad organizzazioni mondialiste esterne, e allo stesso modo farmaci, vaccini, dispositivi di protezione individuale vanno prodotti in patria, per conto dello Stato. Inaccettabile che la nazione rinunci alla presa in carico di delicatissime questioni relative alla sanità pubblica, lasciando campo libero a lobby farmaceutiche e organismi sovranazionali. E, a proposito di pandemie, deve essere chiaro che un punto fondamentale è rappresentato dall’isolazionismo nei riguardi delle terre esotiche e del terzo mondo, da cui solitamente provengono malattie altamente contagiose e sovente letali. La lotta alla globalizzazione e alle ingerenze straniere, negli affari della nazione lombarda, va portata avanti anche in campo sanitario, visto il rischio di altre pandemie.
Dobbiamo imparare a ragionare da lombardi e da europidi, ponendo così le basi per un solido cameratismo bianco che si concretizzi nel progetto euro-siberiano. La difesa degli interessi nazionali e comunitari delle genti europee è fondamentale, soprattutto oggi, e lo sviluppo di una salda rete di alleanze continentali può rappresentare una grandissima opportunità per i nostri popoli, anche di fronte ad emergenze come quella del covid. La sanità pubblica, risollevata dalle macerie dell’esperienza tricolore, può essere potenziata grazie alla promozione di uno stile di vita sano, che passi per la salubrità del proprio ambiente e dell’alimentazione, responsabilizzando l’individuo stesso (molti comportamenti sbagliati possono essere corretti dalla condotta virtuosa del singolo, senza appesantire le strutture e la macchina sanitaria). Cruciale importanza va data, dunque, all’opera di educazione e sensibilizzazione di tutta la popolazione, col fine di far comprendere ai membri della comunità nazionale che sono i principali responsabili del proprio stato di salute (a tutto vantaggio, come detto, anche dell’apparato pubblico). È assolutamente indispensabile, infine, che il sistema sanitario sia adeguatamente finanziato per garantirne efficacia ed efficienza e che consenta una rapida e semplice risoluzione e gestione delle pratiche burocratiche, consentendo un trattamento telematico delle stesse.