La biosfera, e cioè quella porzione della Terra che permette lo sviluppo della vita grazie alle proprie condizioni ambientali, è popolata da flora, fauna, umanità e naturalmente dai microrganismi. Anche l’uomo fa parte del mondo animale ma, certamente, si eleva al di sopra della ferinità grazie alla cultura, alla civiltà, allo spirito e alla ragione, e in virtù di tutto questo ha la facoltà di poter controllare la natura, dominandola laddove necessario. Purtroppo, si è lasciato prendere la mano sentendosi onnipotente, con ricadute disastrose sul mondo circostante, devastato da inquinamento, cemento, sovrappopolazione, città sempre più tentacolari e fenomeni migratori di massa. Non dobbiamo essere ipocriti, poiché lo sviluppo consente di migliorare le condizioni di vita promuovendo il benessere; tuttavia, lo sviluppo non può essere confuso col feticcio del progresso, che sacrifica sangue, suolo e spirito sull’altare della standardizzazione globalista, peste dei tempi moderni. La sfida che l’umanità deve affrontare è quella di cercare di preservare gli ecosistemi invertendo la rotta percorsa dalle società capitalistiche, in nome non solo di un ambientalismo razionale, ma pure dell’identitarismo etno-razziale.
La globalizzazione è la mortale nemica delle nazioni, dei popoli, delle comunità e, dunque, dell’ambiente incontaminato, degli organismi vegetali e animali, dell’intera biosfera di cui parlavamo in apertura. Lottare per un pianeta eco- ed etno-sostenibile implica bonificare la nostra esistenza quotidiana dalle scorie di un modernismo apolide che calpesta le leggi naturali, come se l’uomo, in fondo, non appartenesse al regno animale, e fosse piuttosto un concetto astratto frutto della storia e della politica, o delle dottrine religiose. È chiaro che gli esseri umani sovrastino le bestie, e che senza la culla della civiltà europea il mondo non sarebbe la stessa cosa, ma non dobbiamo dimenticarci che prima di essere gli artefici della cultura siamo figli del nostro habitat, al pari degli animali o delle piante. Per questo dobbiamo preservare lo statuto razziale che distingue i vari popoli del globo, ancorando la coscienza identitaria alla dimensione biologica dell’antropologia e della genetica, del sangue. Siamo animali, quindi come tutti gli animali abbiamo razze. Con buona pace della metafisica, dell’antifascismo, del progressismo e di tutte le balle sfornate dal ‘700 illuminista ed ereditate da sinistrorsi e liberali.
