
Il 17 gennaio ricorre la festività di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali da cortile. Ma chi si cela dietro questa figura cristiana? E dietro il suo peculiare porcello? Semplice, come sempre, dietro il santo, si nasconde un’antica personalità divina precristiana, in questo caso agreste e dagli echi celtici; ma anche una figura druidica – si pensi al sonaglio e al bastone – o il dio Lug medesimo, dio celtico figlio del sole protettore del cinghiale (ed ecco il nostro porcello, bestia oltretutto molto presente e rinomata nei territori cisalpini popolati dai Celti, tanto da esser reputato sacro, da essi), animale totemico gallico per eccellenza. Da qui, col consueto sincretismo che mischia solari simboli precristiani indoeuropei a personaggi mediorientali cari alla Chiesa, otteniamo il noto protettore e patrono degli animali, soprattutto domestici, il cui santino (nell’immagine sopra) si trovava in ogni stalla dei nostri vecchi. Soggetti cristiani come Santa Lucia, il Cristo natalizio ed epifanico e Sant’Antonio sono tutti camuffamenti di figure pagane che scandiscono il cammino del sole durante il suo percorso astronomico solstiziale, il quale, lentamente, porta le giornate ad allungarsi a scapito delle tenebre notturne.Â
Ma anche altri elementi peculiari di Sant’Antonio Abate rimandano al celtismo: il ruolo taumaturgico, il fuoco, il campanello, la sovrapposizione all’eremitico “uomo selvatico”, personaggio tipico del folclore alpino-padano, e non solo, spesso rappresentato con folta pelliccia fulva (colore associato alla peluria “celtica”). Quella di accendere fuochi in onore del santo, tra le altre cose, è una tradizione che ritrova nei riti solari di memoria pagana tutta la sua potenza evocativa. Attraverso l’incendio di cataste di legna, spesso fomentate da sterpaglie di ginepro per aumentarne il fragore, si sosteneva il risveglio del sole dopo il lungo letargo invernale. E lo stesso Arlecchino, simbolo del carnevale lombardo, trova similarità con l’òm saà dech demonizzato, irriso ed emarginato, ma anche con Wotan/Godan che guida la spettrale ridda della Caccia Selvaggia invernale, essendo infatti Arlecchino maschera che fonde due grandi filoni folclorici: quello diabolico del re infernale di origine franco-germanica con la tradizione degli zanni lombardo-veneti, divenuti maschere della Commedia dell’Arte (vedi il variopinto servitore brembano, Brighella e altri). Ma della tipica maschera bergamasca, e del Carnevale, parleremo meglio prossimamente. Sant’Antonio, celebrato in un periodo prossimo a quello delle dodici notti sacre solstiziali, è personaggio squisitamente pagano, non solo perché denso di riferimenti precristiani ma anche perché emblema della realtà rustica, del pagus, dove i riti antichi sopravvissero all’espansione del cristianesimo mediata dalla città .Â
