Purtroppo, nel 2025, l’accezione di patriottismo e nazionalismo riguarda l’esaltazione di patrie, nazioni fasulle, che non sono altro che stati, meri e vuoti contenitori plasmati dalla temperie sette-ottocentesca giacobino-massonica. Francia, Italia, Spagna, Belgio, Germania, Regno Unito, Romania, ex Iugoslavia ecc., con le loro belle bandierine artificiali, ci ricordano cosa voglia dire volgarmente “nazione”, in età contemporanea: un’entità politica, del tutto priva di sangue e suolo, tenuta assieme da quella untuosa religione civica che si rifà alla Rivoluzione francese, e prima ancora alla nefasta epoca dei “lumi”. Dunque, nulla a che vedere col reale concetto di patria, bensì un sinonimo erroneo di stato-apparato, proprio come quelli sunnominati, basati fondamentalmente sullo sciagurato esempio della Parigi rivoluzionaria (e dell’altrettanto sciagurata parabola napoleonica).
Il lombardesimo, l’etnonazionalismo lombardo/cisalpino, abbraccia invece la visione del mondo völkisch, battendosi per riaffermare il vero significato di nazione: un insieme di popoli compatibili e omogenei, accomunati dalle medesime radici biologiche e culturali, riuniti in un unico territorio patrio e animati da un condiviso sentimento d’appartenenza, che passa per le diverse sfaccettature di identità e tradizione. Per dirla con Carlo Tullio-Altan epos, ethos, logos, genos, topos. La Lombardia storica, teorizzata e difesa dai lombardisti, si appoggia su questi pilastri etnici, sull’ethnos dunque, perché a differenza dell’Italia attuale è una vera e propria nazione, per quanto dormiente e dallo spirito comunitario sopito, da rivitalizzare.
I granlombardi, cioè i veri lombardi, sono etnia, popolo e nazione. Hanno dalla loro tradizioni, usi e costumi, folclore; spirito e mentalità, che hanno forgiato una civiltà storica senza pari; una grande famiglia linguistica – galloromanza cisalpina – esemplarmente rappresentata dal prestigio del milanese classico; profilo antropogenetico, basato su aspetto fisico, fenotipico, e realtà genetica più e più volte approfondita dal pensiero lombardista medesimo; un sacro suolo natio, che corrisponde allo spazio geografico padano-alpino che, a sua volta, racchiude l’intera nazione lombarda.
La distorta idea di italianità, oggi intesa fantozzianamente dalle Alpi alla Sicilia (andando a ricalcare un’assurdità imperialista antico-romana), non ha niente da spartire con la genuina nazionalità, e quindi con l’identità di sangue, suolo, spirito e, non a caso, si confonde con la statolatria repubblicana, e prima ancora monarchica e fascista, che ha eretto a feticcio un organismo statuale che è la brutta copia della Francia giacobina. Il tricolore italiano stesso, per quanto nato in Padania, è il calco slavato di quello francese, nato come scimmiottatura concepita dai nostrani reggicoda del Bonaparte. Essere italiani, in senso corrente, significa semplicemente avere un pezzo di carta che lo afferma.
Pertanto, l’Italia contemporanea, molto semplicemente, come nazione è del tutto inesistente, un mero ente burocratico suddito dei potentati internazionali e sovranazionali. Credere che idioma di Firenze, romanità di cartapesta e religione cattolica possano bastare per poter blaterare di “fratelli d’Italia” è pura demenza. Sono dell’avviso, tuttavia, che l’Italia in un certo senso esista, a guisa di realtà etnonazionale, vale a dire come dimensione identitaria peninsulare (dall’Appennino toscano alla Calabria) che comprende anche Corsica e Sicilia, isole italiche e italo-romanze. Solo in questo senso non diventa ridicolo parlare di Italia unita, poiché si resta nel seminato patriottico legittimo e razionalmente giustificabile. Ma al di fuori di ciò, ogni tipo di retorica patriottarda merita soltanto pernacchie, in quanto sottoprodotto di un’epoca storica che di realmente identitario e tradizionalista non aveva alcunché.
