Uno degli orgogli storici, e delle cifre identitarie e civili, della Lombardia è senza alcun dubbio l’epopea del libero comune, che ha rappresentato il riscatto cittadino nei confronti dell’incastellamento del contado e dunque dell’intraprendenza “borghese” micro-comunitaria a scapito di egoismi feudali recati dall’aristocrazia di campagna. La civiltà comunale riassume l’essenza lombarda: spirito imprenditoriale, libera iniziativa, solidarietà tra pari, autodeterminazione, orgoglio cittadino, prosperità e laboriosità . Un insieme di elementi mentali e caratteriali che, certo, hanno portato alla proverbiale ricchezza delle genti cisalpine, specie del bacino padano, ma anche a tutta una serie di difetti che ancor oggi riscontriamo negli autoctoni. Il campanilismo, l’individualismo, l’affarismo e il culto del fatturato, l’afflato libertario, grettezza e piccineria, scarso patriottismo panlombardo e quel conformismo – dettato dall’ossequio pedissequo nei confronti dell’autorità – che rende i lombardi un popolo dall’indole di mulo: conta lavorare e avere il patrimonio, e al diavolo tutto il resto. È la cosiddetta mentalità alpina, croce e delizia della nostra nazione, che alla lunga ci ha portati sull’orlo del baratro, mentre i forestieri se ne approfittano danneggiandoci mortalmente.
La città è il cuore pulsante di questo sistema di valori e disvalori (dipende sempre dai punti di vista, ma oggi ci si sbilancia verso i secondi), una città che in età contemporanea è divenuta una gigantesca conurbazione chiamata, da molti geografi e storici, “megalopoli padana”. Le metropoli occidentali perno del famigerato triangolo industriale (Milano, Torino, Genova), oggi ridotte a tristi entità multirazziali e multietniche senza più un’anima e sempre più appiattite sulla logica barbarica dei non-luoghi (con tutte le implicazioni del caso, come le follie cosmopolite, antifasciste, progressiste), hanno schiacciato i popoli sulla linea di un capitalismo euro-americano i cui frutti materialistici, edonistici e consumistici rendono la Lombardia storica appendice dell’attuale marasma continentale. Se da un lato fanno piacere la ricchezza, l’industriosità , lo sviluppo, i primati, dall’altro ci si dispera, da identitari, per la misera condizione di poli tentacolari vieppiù fotocopia di un “primo mondo” completamente svuotato di principi e ideali, mestamente avviato all’auto-genocidio. Per quanto, dunque, la civiltà cittadina, che affonda le proprie radici nel medioevo comunale, sia parte integrante del nostro ADN storico, resta il fatto che la degenerazione contemporanea sia il sintomo del collasso valoriale degli indigeni, il cui unico rimedio sta nella doverosa riscoperta del comunitarismo e dello spirito rurale che preserva sangue, suolo e spirito.
