La festa della Gioeubbia

Rogo della Giubiana

L’ultimo giovedì del mese di gennaio (quest’anno cade il 30) ricorre la festa della Giobia (o Giubiana, vedi milanese gioeubbia ‘giovedì’). Trattasi di popolare ricorrenza padano-alpina celebrata tra gennaio e febbraio, quando in antico si riteneva finisse l’inverno ed iniziasse la primavera. Il tradizionale fantoccio arso nel falò simboleggia proprio l’allontanamento della stagione invernale per propiziare la rinascita primaverile della natura, e può assumere le fattezze di una strega denominata Giubiana-Joviana (forse con rovesciamento apotropaico cristiano della figura di Giunone). Tale usanza, che affonda le proprie radici nelle costumanze celtiche di questa fase dell’anno, tra le quali vi è Imbolc, è tipica del territorio insubrico, ma si può trovare anche nel Bergamasco, ad esempio, dove ad Ardesio (alta Valle Seriana) si celebra la Scassada dol Zenerù. Il fuoco delle feste invernali ricopre un significato assai importante, poiché sta a significare la luce del sole, che pian piano rinasce, ma anche la purificazione del periodo freddo; non è un caso che la Giobia ricorra in concomitanza dei proverbiali giorni della merla, tradizionalmente i più freddi dell’anno, in cui il rito propiziatorio per scacciare le tenebre, il gelo, i rigori mortiferi dell’inverno (mortiferi per tutta la natura, che apparentemente muore, riposando) si fa fondamentale. E questo anche per rinsaldare i legami di sangue della solidarietà comunitaria.

Fuoco, roghi, fracasso, fantocci dati alle fiamme, baccano di ragazzi e anche goliardia che prefigura il Carnevale, riti propiziatori, apotropaici, purificatori, sono tutti elementi alla base di queste festività invernali celebrate tra gennaio e febbraio, ancora molto sentite in Lombardia. Elementi che confluiscono potentemente nel mese di febbraio, il periodo per antonomasia della purificazione, in cui vengono celebrate ricorrenze tanto pagane quanto cristiane (o meglio, pagane cristianizzate), ed è il caso dei citati giorni della merla – uno dei temi forti del folclore nostrano – e di Imbolc, della Candelora (e di San Biagio), del Carnevale ed infine della Quaresima, tempo dell’anno cristianizzato ma che rivela ancor oggi tratti inequivocabilmente pagani, propedeutico al trionfo della primavera, Ostara, da cui la Pasqua convenzionale. La Chiesa, come sempre, ha tentato – in parte, invano – di cancellare la natura gentile di queste usanze dandole una caratterizzazione cristiana/cristologica; ma se ci pensiamo, lo stesso Cristo (al netto del presunto personaggio storico ebreo) non è che la trasposizione evangelica del dio solare comune a tutte le antiche religioni indoeuropee, perpetrata per nobilitare la principale eresia del mondo giudaico antico, consentendole di penetrare in Europa come una sottospecie di cavallo di Troia. Vedremo meglio, nei prossimi appuntamenti, le celebrazioni pagane di questi giorni, sempre cercando di fare… luce sulle nostre vere radici spirituali.