L’etno-razionalismo

Uno dei capisaldi identitari del pensiero lombardista è costituito dal cosiddetto etno-razionalismo, sintesi di razionalismo ed etnonazionalismo. L’etno-razionalismo rievoca appunto l’etnonazionalismo unendolo ad un robusto razionalismo, poiché la ragione deve essere il faro che guida l’uomo e i popoli, soprattutto se europidi. Esso contempla anche del salutare realismo, grazie a cui la metafisica viene decisamente messa da parte; noi lombardisti rispettiamo tradizione e spiritualità, comprese le cattoliche, ma è logico che il nostro punto di riferimento sia rappresentato dalla natura e dalla realtà, una realtà che coincida, chiaramente, con la verità. Per le religioni non ci può essere spazio, in senso politico e ideologico, anche se per coerenza etnicista potremmo simpatizzare per i veri culti tradizionali, quelli gentili.

Ma la metafisica, dunque miti e religioni, vanno lasciati alle spalle, per quanto possano essere bagaglio identitario, pure soltanto in senso culturale. La realtà del lombardesimo contempla la ragione, la scienza, la verità, ponendo sangue e suolo come fondamento della nostra dottrina. Questo apre anche ad un materialismo razionale, che non diventi neopositivismo zoologico, si capisce, ma che teorizzi una visione tradizionale slegata dalla zavorra cultuale, specialmente se correlata alle religioni abramitiche, quale il cristianesimo stesso. È evidente come la spiritualità, slegata dalla razza e dall’etnia, incarni un gravissimo problema, perché mira ad annullare l’identità nell’universalismo e in una fede in qualcosa di estraneo all’Europa.

L’etno-razionalismo riconduce tutto alla concretezza del sangue, del suolo e dello spirito inteso come valore umanistico che passa per mentalità, carattere, cultura, lingua, civiltà – parlandone in termini individuali e, soprattutto, nazionali – e non quale principio metafisico. Anche i classici concetti di bene e male vanno inquadrati alla stregua di qualcosa di funzionale all’ottica identitaria e tradizionalista, poiché il bene assoluto è la piena affermazione antropologica e biologica di singolo e collettività, contro ogni nemico dei principi völkisch. Bene è tutto quello che rappresenta un valore positivo ai fini della preservazione e determinazione della razza, e ogni popolo del pianeta dovrebbe sviluppare una simile considerazione. Male è invece la condanna e il decadimento di identità e tradizione, e dunque tutto ciò che simboleggia il fallimento dell’autodeterminazione.

D’altra parte prendiamo le distanze dal manicheismo delle religioni monoteistiche, di matrice semitica, poiché il loro dio, e dunque i loro principi, sono un prodotto di un mondo all’Europa estraneo. L’Europa è la nostra grande, e vera, famiglia spirituale. Il feticcio abramitico, Geova, affonda le radici nell’ambito levantino e riflette perciò la mentalità e gli usi e costumi di popoli agli antipodi della nostra eredità ariana. Credere di poter conciliare il lombardesimo col cristianesimo, nonostante i circa 2.000 anni di cultura cattolica, è una forzatura destinata all’insuccesso, poiché è chiaro: o si serve la vera Europa, e le origini indoeuropee, o si serve Yahvè.

Come detto poco sopra, il lombardesimo accantona religiosità e spiritualità per potersi concentrare su ciò che esiste per davvero: la nazione lombarda. E siamo dell’idea che la ragione non possa accompagnarsi alla fede, essendo quest’ultima intrisa dell’assurdità che costituisce la linfa vitale della metafisica. Scervellarsi per il sesso degli angeli – e per gli angeli medesimi – è un affronto alla verità assoluta della patria, che a differenza di Dio esiste e si manifesta concretamente permettendoci di raggiungere quell’autoaffermazione oggi più che mai vitale. Un identitario europeo può credere in Dio? Pacifico, ma gli consiglierei di capire bene di quale dio si tratti e, in particolare, di non anteporlo alla stirpe.

L’etno-razionalismo lombardista è a suo modo anticristiano. Un anticristianesimo che non è satanismo acido bensì contrapposizione a quanto la Chiesa ci ha inculcato nei secoli, anche per tenerci buoni e succubi e per legarci mortalmente alle catene dell’asservimento, dell’ignoranza, della superstizione. Il cristianesimo, coerente, è oltretutto universalismo, pietismo, umanitarismo, egualitarismo, progressismo (a suo modo), e se pensiamo poi alle radici semitiche del culto in Cristo capite bene che lasciare spazio a tutto ciò diviene un problema. Riprendendo la domanda posta sopra, un lombardista può essere cristiano? Certo, ma a rischio e pericolo della sua coerenza e della sua serietà, sia verso il lombardesimo che il cristianesimo.

Non siamo interessati a scristianizzare la società in una maniera conforme alle fole dell’Illuminismo e dei suoi eredi (i laicisti arcobaleno, per capirci), o peggio ancora a discriminare e perseguitare chi si dice fedele di Cristo e cattolico. Del resto i nostri padri erano gentili, ma anche cristiani, e non possiamo disprezzarne la cultura religiosa, come se nulla fosse accaduto negli ultimi millenni. C’è eziandio il rischio di riempire il vuoto spirituale lasciato dal cattolicesimo (chi, ormai, va ancora in chiesa, vecchine a parte?) con la spazzatura edonista prodotta dal consumismo e dal capitalismo occidentale, ma di certo con il lombardesimo un simile pericolo non esiste.

Il lombardista, infatti, non ha nulla a che vedere coi moderni giacobini e rigetta tutti i disvalori progressisti, compresa la laicità antifascista che tanto eccita i nostalgici della Rivoluzione francese. Il materialismo lombardista di cui andavo parlando è il robusto buonsenso, quasi contadinesco, che contraddistingue Sizzi, e che lo porta a prendere le distanze da una spiritualità votata al servizio di Cristo e, dunque, del clero cattolico. Oggi abbiamo una Chiesa finalmente coerente coi dettami evangelici e proprio per questo infida e perigliosa, più del passato. Quando papi e preti non erano coerenti, cioè prima del Concilio Vaticano II, rappresentavano a loro modo un’opposizione all’anti-identitarismo e all’anti-tradizionalismo, sebbene a scapito della propria fede.

Perché è inutile girarci intorno: la Chiesa preconciliare era lontana dai dettami cristiani, certo cattolica ma dubbiamente cristiana, e serviva più il potere temporale che quello spirituale. Un discorso che vale anche per l’antisemitismo clericale, dacché Cristo e la sua cerchia erano ebrei, Dio (inteso come Geova, si capisce) è prodotto della mentalità ebraica, il cristianesimo rimonta alla Palestina e dunque il cristiano ostile agli ebrei è qualcosa di grottesco e assurdo. Certo, i tradizionalisti cattolici non sono esattamente antisemiti, sono giudeofobi, e cioè condannano l’ebraismo come fenomeno spirituale che disconosce Gesù. Nondimeno, resta ridicolo un sentimento negativo verso coloro che hanno praticamente portato al Messia: senza giudei non ci sarebbe Cristo.

Riparleremo di cristianesimo (segnatamente cattolico), ebraismo e islam, ma quanto detto in questo articolo è utile a comprendere come il credo lombardista, l’unico che abbia un senso davvero identitario, nel mondo cisalpino, sia fortemente e fermamente laico in un’accezione per davvero razionale, e razionalista. E coniugando questo razionalismo con l’etnicismo del nazionalismo völkisch pone in essere un’antitesi radicale al ciarpame tanto fideistico quanto ateistico, dove tale termine allude all’universalismo giacobino e massonico degli atei volgari. Noi crediamo nel sangue, nell’etnia, nella nazione e ad essi dedichiamo i nostri sforzi e il nostro impegno, per il benessere materiale e spirituale della Grande Lombardia.

Le ragioni di una battaglia

Tra 2019 e oggi ho cercato di conciliare la tradizione cattolica con l’ideologia lombardista, approdando all’idea di una Chiesa nazionale ambrosiana: un cattolicesimo lombardo, cioè, de-semitizzato, lontano da Roma e sublimato dal retaggio indoeuropeo della gentilità autoctona. Ho scritto diversi articoli, in merito a tale posizione, e non ho nulla da rinnegare, nulla di cui vergognarmi, tanto che tali pezzi resteranno sul blog, a mo’ di percorso graduale verso la verità indiscutibile. Anzi, quanto vergato può offrire ancora spunti valevoli di riflessione, a chi, come me, si interroga su patria e spiritualità. Tuttavia, è giunto il momento di consegnare questi scritti alla storia, guardando al futuro, e non più al passato. O, meglio, guardando sì ad un ben preciso passato ma proiettandosi in un futuro che sia schiettamente e genuinamente identitario.

Ho infatti deciso di riabbracciare le posizioni spirituali del prisco lombardesimo, quello nato dal pensiero del sottoscritto nel 2009, completando il quadro del ritorno integrale alle origini. Ebbene, dichiaro ufficialmente che visione del mondo lombardista e cristianesimo, anche cattolico e ambrosiano, non sono compatibili, in virtù di un necessario ed impellente recupero della coerenza primigenia. I valori cristiani, l’universalismo, le radici semitiche, la Bibbia e il Vangelo, la filosofia di vita cattolica, nonché la Chiesa stessa, non possono in alcun modo conciliarsi col lombardesimo, essendo quest’ultimo etnonazionalista, razzialista, comunitarista, europeista in senso völkisch e votato all’esaltazione razionalista di sangue e suolo.

Razionalismo, esatto. Un razionalismo, diciamo pure ateo, che si coniuga con l’etnicismo dando vita all’etno-razionalismo, pilastro dell’ideologia lombardista. Perché la ragione, signori, deve essere il nostro faro, senza naturalmente esondare nello scientismo, nell’Illuminismo, nel giacobinismo e in quell’ateismo o laicismo progressisti che incensano, sulla falsariga del cristianesimo, il cosmopolitismo relativista, certo intriso di irreligiosità apolide ma francamente giudaizzante. Personalmente non mi ritengo credente, pur essendo di formazione cattolica e avendo alle spalle una famiglia religiosissima, ma non sposo in alcun modo il “pensiero” acido del satanismo o dell’empietà figlia del 1789. Mi dico ateo, non ateista, sebbene ritenga che la religione sia un retaggio del passato che si può tranquillamente abbandonare.

Nelle riflessioni di questi circa 5 anni, avevo ritenuto che la soluzione ideale al problema spirituale e religioso, relativo alla Lombardia, fosse l’edificazione di una Chiesa nazionale ambrosiana, depurata dal semitismo ed esaltata dalle radici gentili e ariane; una sorta di soluzione di comodo per conciliare le due anime dell’identitarismo nostrano ed europeo, in una con il ritorno all’indipendentismo e all’etnonazionalismo radicale. Ma, ora, credo che tale trovata sia di difficile applicazione, oltreché poco seria: non ha alcun senso preservare il cristianesimo cattolico se si sente la necessità di nobilitarlo con la gentilità. Tanto vale recuperare la seconda in toto, se vogliamo sul serio intavolare un discorso spirituale e religioso maturo e logico.

E, infatti, giungo alla conclusione che l’unica forma di religiosità accettabile, nel contesto lombardo e lombardista, sia il paganesimo, chiaramente ripulito dal lato pagliaccesco del neopaganesimo, dalle tentazioni anti-tradizionali (vale a dire di ripudio di valori sacri trasversali quali patriarcato, eterosessualità, monogamia, virilità, conservatorismo nel giusto) e da quelle sfumature “sataniche” che propongono un anticristianesimo demenziale che va a braccetto con ideologie antifasciste, libertarie, radicali. Il lombardesimo deve essere anticristiano, diciamolo tranquillamente e serenamente, ma solo ed esclusivamente nel seguente verso: rifiuto dell’universalismo, rifiuto dei principi evangelici, rifiuto delle indubbie radici mediorientali della religione di Cristo, rifiuto del clero (peraltro compromesso da omosessualità e, quindi, pedofilia).

Inutile prenderci in giro, signori: il nazionalismo etnico, il razzialismo, l’etnicismo biologico non sono compatibili con il credo cristiano coerente, a meno che si voglia davvero fare salti mortali rasentando il ridicolo, e il suicidio. Accettiamolo con molta calma, e smettiamola di inventarci Cristi e Madonne ariani, solari, europei. Innegabile che il cristianesimo, segnatamente cattolico, abbia abitato (o parassitato) strutture e modelli di origine gentile, greco-romana od orientale (indo-persiana), ma l’essenza della religione fondata dall’ebreo Gesù di Nazareth prende le mosse dalla Palestina, ha ereditato appieno il retaggio giudaico e mira ad un dio straniero – dal punto di vista europeo – che è lo stesso dell’ebraico e dell’islamico.

Uno può inventarsi tutto ciò che vuole, e può infilare il cattolicesimo nel letto di Procuste del neopaganesimo, ma se siamo disposti a tollerare la fede in Cristo soltanto per degli echi paganeggianti, rigettando (come feci io) il lignaggio mosaico e biblico, alla lunga avremmo a che fare con un’impresa patetica, tragicomica, assurda. Come dicevo, si fa prima a riconciliarsi con la gentilità, sebbene questa, oggi, sia pressoché inesistente e priva di tradizione e cammino iniziatico, ancorché esistano dei gruppi e dei movimenti che, rifacendosi ai culti tradizionali, tentano di rivitalizzare la fede negli antichi dei. Opera che, sinceramente, non mi interessa.

Epperò, ribadisco: l’unica forma di religiosità tollerabile deve essere la gentile, chiaramente contestualizzata nell’ambito lombardo. Un recupero, dunque, dei culti indoeuropei di Liguri, Celti, Veneti, Galli, Gallo-Romani, Longobardi, che siano assolutamente fedeli e leali con il lombardesimo e la nazione lombarda, e quindi con lo Stato granlombardo, e che non finiscano per impelagarsi con il ciarpame new age che puzza di femminismo, sessualità ambigua, degenerazione modernista varia. Capisaldi comunitari quali la società patriarcale, i legami eterosessuali e monogami, il tradizionalismo famigliare non si toccano nella maniera più totale. E va da sé, oltretutto, che tale gentilità non debba in alcun modo divenire teocratica e ostacolare l’etnonazionalismo panlombardo.

In una Lombardia ideale, libera, unita e sovrana, può esserci spazio soltanto per una religione, o un credo, che combatta la dissoluzione universalista, egualitaria, umanitaria, fatta propria appieno dal cristianesimo, che ha in odio i vincoli di sangue e i legami schiettamente identitari. L’unico culto tollerabile è un prodotto culturale e spirituale indogermanico ed europeo, etnicista e razzialista, creato dagli europei per gli europei, dai lombardi per i lombardi. Non si tratta, ovviamente, di perseguitare i cristiani o di scristianizzare in maniera blasfema il territorio, anche perché sarebbe ridicolo negare l’importanza dell’eredità cattolica, giunta sino a noi grazie ai nostri avi. Ma i nostri avi, prima di essere cristiani, erano gentili, non va dimenticato.

Do per scontato che la condanna del cristianesimo (cattolico, ortodosso, protestante e settario) sia percepita come parallela a quella di tutte le religioni vieppiù esotiche, prime fra tutte ebraismo e islam. Il lombardesimo primigenio esprimeva critica e condanna nei confronti del monoteismo abramitico e dei suoi valori ma non tanto per lusingare il paganesimo, quanto per una sete di coerenza e di radicalità che ponesse la Lombardia sopra ad ogni cosa, in nome dell’etno-razionalismo. Finalmente, il lombardesimo riabbraccia gli albori, puntando tutto su di un salutare integralismo etnico e razziale, prendendo le distanze dal cristianesimo e da ogni altro frutto culturale di matrice esotica. Il lombardesimo si attesta su posizioni atee e agnostiche, ma in un senso ben preciso e diversissimo, agli antipodi rispetto al punto di vista relativista: archiviamo la religione ritenendo accettabile soltanto quella davvero tradizionale, indigena, ma smarcandoci del tutto dalla spazzatura dei philosophes, cioè di coloro che avversavano il cristianesimo erigendo al suo posto un demoniaco feticcio egualmente universalista.

Grande Lombardia

GL

Il 6 novembre 2013, data mediana tra equinozio d’autunno e solstizio d’inverno, nel suggestivo scenario medievale del Castello Visconteo di Pavia (la capitale morale lombarda), nasceva l’associazione politica Grande Lombardia, continuazione del fu Movimento Nazionalista Lombardo.

Ne uscii nell’aprile 2014 per via del desiderio, di allora, di recuperare la cornice italica, in chiave etnofederale, e prendere le distanze dall’indipendentismo, ma è stata un’esperienza degna di nota che ha certamente avuto il suo senso e rappresentato una tappa formativa del mio pensiero etnicista. Dopo essermi, nell’autunno 2021, riconciliato con le mie origini ideologiche, ne ho ulteriormente rivalutato la portata, confermando la natura rivoluzionaria del lombardesimo.

Nell’estate del 2013, il Movimento Nazionalista Lombardo, fondato da Adalbert Roncari e dal sottoscritto, fu sciolto per poter dare spazio a questo nuovo progetto lombardista, che senza rinnegare le posizioni di partenza le ha estese alla Lombardia storica orientale (nel Medioevo il termine ‘Lombardia’, come sappiamo, designava in buona sostanza la maggior parte del territorio “italiano” settentrionale).

Come MNL ci eravamo soffermati sulla Neustria longobarda, fondamentalmente, vale a dire Val d’Aosta, Piemonte, “Svizzera” lombarda, Regione Lombardia, Emilia fino al Panaro e altri brandelli di territorio padano appartenenti oggi a varie realtà amministrative; con GL si allargò il discorso lombardista all’Austria longobarda, ossia Trentino, Lombardia venetizzata e Friuli, escludendo per ragioni etno-storiche il Tirolo primigenio (ossia quello meridionale), il bacino dell’Isonzo, l’Istria, l’Emilia al di là del Panaro, la Romagna e le coste venete con l’entroterra.

Allo stesso modo escludemmo la Liguria dalla parte occidentale perché poco e tardi longobardizzata e, inoltre, quasi del tutto mediterranea a differenza del territorio lombardo etnico (che sarebbe un po’ anello di congiunzione fra Mediterraneo ed Europa centrale), e così Bolognese e Ferrarese, adriatici e solo all’ultimo conquistati dai Longobardi.

In un secondo momento integrammo anche i territori periferici suddetti, perché comunque parte del contesto geografico, storico, linguistico, culturale e politico alto-italiano (per capirsi), della Cisalpina, e per ragioni di logica e razionalità: che senso avrebbero una Liguria, una Romagna, un Alto Adige e una Venezia lagunare e giuliana indipendenti, staccati dal grosso del territorio padano-alpino e subcontinentale?

L’associazione politica Grande Lombardia, sorta nell’antica capitale longobarda, è stata fondata dall’Orobico, dal sepriese Adalbert Roncari (attuale presidente), dal pavese Achille Beltrami, dal friulano Ludovic Colomba e dall’oltrepadano Alessandro Poggi, e si propone di affrancare, mediante l’etnonazionalismo lombardo (lombardesimo), il sentimento identitario di tutte le genti cisalpine, che possono dirsi lombarde perché sviluppatesi dalla Langobardia Maior (e ‘Lombardia’ deriva da questo); logicamente, non si trattava di fare i germanisti e i nordicisti ma di preservare l’identità storica dei lombardi, che è il risultato della fusione tra Celti, Galli, Goti e Longobardi, senza dimenticare popoli come Liguri, Reti, Etruschi, Veneti antichi e Romani che hanno contribuito all’edificazione della Lombardia o, meglio ancora, della Grande Lombardia, che dà il nome al movimento.

Le posizioni di GL non sono mai state indipendentiste tout court, perché abbiamo sempre pensato che l’indipendenza sia un mezzo, non il fine, e perché l’enfasi lombardista è stata sempre posta, anzitutto, sulla questione etnica, biologica, antropologica, culturale, ambientale, storica. Altresì, l’etnonazionalismo, nel caso grande-lombardo, presuppone l’indipendentismo, ma non viceversa, come i separatismi storici europei dimostrano. Chi ha avuto modo di visitare il sito di Grande Lombardia avrà notato che l’impostazione non è secessionista, anche perché negli anni scorsi, durante la mia fase italianista, cercai di stabilire un contatto tra il gruppo lombardista superstite ed EreticaMente – per cui scrivevo – al fine di sviluppare una collaborazione.

Oggi GL è, per così dire, ibernata, attiva come pagina su Facebook ma per il resto dormiente; il sito non è più stato aggiornato. Chi ne fa parte (penso circa una decina di persone) ha sicuramente posizioni indipendentiste e anti-italiane, seppur il fine principale sia sempre stato quello dell’autodifesa etnoculturale e territoriale totale (vedi alla voce ‘comunitarismo’). Va da sé che la collocazione ideale della Grande Lombardia nella visione lombardista, e questo sin dagli albori, stia nella liberazione dal giogo tricolore. Io stesso, distaccandomi dalla passata esperienza patriottarda volta al tentativo di conciliare la Lombardia con l’Italia romana, mi sono riassestato su posizioni nettamente indipendentistiche, perché i palliativi, i brodini, i pannicelli caldi non sono consoni ad un’ideologia radicale, decisamente schierata contro il mondialismo (alimentato anche da Roma).

Grande Lombardia, indi, abbraccia le terre dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali e da quelle Centrali all’Appennino settentrionale (cioè lombardo), accomunate dall’eredità innanzitutto gallica cisalpina romanizzata e in secondo luogo dall’impronta longobarda, che ha caratterizzato tutto il cosiddetto nord vero e proprio della Repubblica Italiana; nel Medioevo, se un transalpino doveva varcare le Alpi era solito dire: «Vado in Lombardia» (d’altro canto, nello stesso periodo, il termine ‘Italia’ designava più il centro-nord che il sud, ma questo per motivi di prestigio e di antico retaggio politico romano).

I territori inizialmente estromessi sono stati poco e tardi longobardizzati (Liguria, Padova, Bologna e Ferrara) o per niente colonizzati dai Longobardi (Romagna e coste venetiche), oppure appartengono geograficamente e storicamente alla Lombardia allargata (Tirolo meridionale, Isonzo, Istria) ma etnicamente sono popolati da, tecnicamente, allogeni (bavari, sloveni, croati). Perciò, nei primevi intenti di GL, la cartina grande-lombarda escludeva le coste liguri, le Romagne (Emilia orientale, Romagna e terre gallo-picene), il Veneto costiero al di sotto di una immaginaria linea delle risorgive, il mondo retico cisalpino germanofono a nord del confine etnico di Salorno e la Venezia Giulia storica oggi inglobata da Slovenia e Croazia.

Ricordo con simpatia i bei tempi in cui il duo Sizzi-Roncari, inebriato dal purismo continentale e terragno, discriminava i popoli settentrionali costieri e lagunari in nome di una talassofobia “longobarda” da impenitenti consumatori di burro e strutto, contrapposta agli amanti “bizantini” dei boccioni d’olio d’oliva, del pomodoro, dei latticini di pecora e capra in odore di intolleranza al lattosio. Il Panaro come confine enogastronomico e zootecnico, confortato dalla storica dicotomia tra Langobardia e Romandiola, fu per anni uno dei pezzi forti delle rivendicazioni lombardiste. Eravamo tutti più giovani.

Ad ogni modo, la tenzone identitaria grande-lombarda è rivolta alle realtà galloromanze cisalpine longobardizzate e, dal Medioevo, ritenute lombarde (e qui si pensi a chi costituì la Lega originale, la Societas Lombardiae). Città come Trento e Verona, in antico, parlavano lombardo e non è affatto peregrino affermare che la porzione di Regione Veneto inclusa nelle allora cartine lombardiste (quella continentale, in pratica) sia stata venetizzata dalla Serenissima, spezzando quel continuum linguistico che doveva esserci in tutta la Cisalpina – Dante docet – grazie alla sovrapposizione di Celti e Longobardi latinizzati.

Il movimento Grande Lombardia prende, dunque, le mosse dalla realtà etnoculturale e geografica genuina della Lombardia, lo zoccolo duro, unendo le due Lombardie storiche, occidentale e orientale, nel nome della loro comune eredità e delle sfide presenti e future che le attendono.

L’esperienza lombardista precedente, quella del Movimento Nazionalista Lombardo, è stata una sorta di laboratorio, di cammino preparatorio al grande salto di qualità che punta a riunire tutti i lombardi sotto l’insegna della Croce lombardista (GL unisce, nel suo vecchio simbolo, le due croci alpino-padane storiche, integrandole alla ruota solare indoeuropea che rappresenta la grande famiglia continentale d’Europa), dello Swastika camuno e del Ducale visconteo, del Biscione; Grande Lombardia è un movimento politico, ma anche culturale, che non punta ai voti, alle poltrone, ai quattrini, ma ai lombardi e alle lombarde in senso etnico e storico, che vogliono battersi per l’affrancamento, la difesa, la promozione e l’autoaffermazione, innanzitutto identitaria, delle genti in questione.

Questa battaglia è tanto comunitarista, ruralista, solidarista quanto ispirata ad un salutare razionalismo che non ripudi lo sviluppo, il progresso (scientifico, si capisce), la tecnologia (come potremmo?) ma dia ad essi un volto sociale e nazionale mirato al benessere della collettività lombarda, senza anarco-individualismi o sterili passatismi. Proiettare la Grande Lombardia nel futuro, onorando il passato, e concretizzando un presente di sacrosante lotte metapolitiche. Gli scopi statutari e programmatici di GL combaciano coi miei, per quanto l’associazione sia, ad oggi, ferma. Mi distacco, solamente, dal vecchio punto relativo alla critica indiscriminata nei riguardi del cattolicesimo, ovviamente tradizionale – confuso con forme spurie di cristianesimo, ebraismo e islam – e alla scristianizzazione, che all’epoca condividevo ma da cui poi ho preso le distanze. Oggi sono convinto che, religiosamente parlando, l’ideale sia una fusione della gentilità precristiana cisalpina con il cattolicesimo ambrosiano, dando vita ad una Chiesa nazionale l0mbarda.

Nella primavera del 2014 sentii l’esigenza, suggestionato dall’antichità italica, latina, romana, di ampliare il mio sguardo estendendolo al quadro panitaliano, cercando di conciliare la visuale lombardista – mai rinnegata – con quella di un italianismo etnofederale supportato dalle glorie di Roma antica e da altre esperienze comuni (la civilizzazione etrusca, l’Italia augustea, l’epopea longobarda, l’italianizzazione linguistica). Portai avanti per sette anni quest’ottica ma fu un periodo in cui la preponderante componente etnonazionalista necessitava di una certa coerenza, e la realtà dei fatti non poteva essere nascosta o distorta dall’ideologia; dopo gli ardori iniziali, il mio italianismo si assestò su posizioni culturali e civili, recuperando quasi in toto l’enfasi sugli aspetti genuinamente nazionali, ossia lombardi. Sicché, venendo meno nell’estate 2021, sulla scorta di nuovi dati biologici e scientifici, la bontà dello zelo patriottico all’italiana, mi sono riavvicinato con convinzione alle origini, impugnando nuovamente, e senza compromessi, la bandiera del lombardesimo.

Per chi pone la triade sangue-suolo-spirito al di sopra di tutto è impossibile, alla lunga, conciliare l’inconciliabile, e la dirompente forza dell’etnicismo avrà il sopravvento su ogni proposito meramente culturale o storico. Fermo restando che, sebbene con mille forzature, l’Italia può essere ritenuta una sorta di civiltà eterogenea, il concetto di cultura italiana è del tutto moderno, artificiale e disomogeneo, basato sulla lingua toscana e su elementi comuni a molte altre realtà europee. Cattolicesimo, romanità e ambito neolatino sono un po’ pochino per parlare di nazione italiana dalle Alpi alla Sicilia…

Una cosa da me rivalutata, dopo la fine del periodo italianista, pertinente al progetto originale di GL, è l’inserimento della Lombardia in una sorta di macroregione gallo-teutonica centro-europea, cuore della civiltà continentale. Abbiamo molti elementi in comune con l’arco alpino, soprattutto nelle stesse aree alpine grandi-lombarde, e anche se la Pianura Padana – per non dire delle coste – si avvicina più alla Toscana o alla Provenza che alla Svevia e alla Baviera, il medievale spazio carolingio d’Europa andrebbe rivitalizzato. Detto questo lasciamo pure perdere le macroregioni europee e concentriamoci sulla nostra realtà etnonazionale, quella lombarda, anche se di certo il cuore europeo, cui la Cisalpina appartiene, rappresenta la papabile classe dirigente euro-siberiana.

Il potenziale originario di Grande Lombardia era importante e interessante soprattutto in direzione comunitarista, per sviluppare quel salutare attaccamento alla stirpe e alla terra, quella genuina solidarietà tra connazionali, quel robusto senso montanaro e contadino, terragno oserei dire, che contraddistingue i lombardi. Ma la Lombardia è anche le città, l’economia, l’industria, le eccellenze, la qualità, la ricchezza frutto del duro lavoro e il lombardesimo non ignora tutto questo, anzi, vuole dargli la giusta rilevanza, comunque in un contesto di etnonazionalismo e visione nazional-sociale.

Parlo di lombardesimo, cioè dell’ideologia da me plasmata, e che fu il motore dottrinario dell’MNL e di GL; per quanto il primo non esista più e non faccia parte, da anni, della seconda resta il fatto che gli unici movimenti/associazioni cui mi sia sentito legato sono ovviamente quelli da me fondati, e di cui conservo con soddisfazione ed orgoglio ottimi ricordi.

Quando, nel 2014, mi sganciai dall’ambito indipendentista non rinnegai, comunque, la difesa seria e razionale dell’identità e della tradizione lombarde che continuai a sentire, negli anni seguenti, come le più vicine a me: prima ero bergamasco e lombardo e poi, italiano. E mi sembra naturale. Davo a quell'”italiano” una valenza linguistica, culturale e civile, più che propriamente nazionale (e, dunque, etnica), e va da sé che l’italianità della Lombardia – come della Sardegna, per dire – sia una finzione, un orpello retorico patriottardo. Gli italiani sono gli indigeni centromeridionali della Repubblica, tutti gli altri sono italiani, sostanzialmente, sulla base di un pezzo di carta e della burocrazia statolatrica romana. E non mi si venga a dire che: «Gnè gnè gnè, parli italiano anche tu!», perché questa è soltanto la lingua di Firenze, e se l’adopero è solo per educazione, comodità, convenienza e comprensione. A cà Siss si favella in bergamasco, e solamente in tempi recenti il toscano è diventato la lingua corrente delle Lombardie. D’altronde, anche gli irlandesi parlano inglese, senza essere inglesi.

L’esperienza del Movimento Nazionalista Lombardo

Movimento Nazionalista Lombardo

Nella prima fase del lombardesimo radicale, ebbi modo di dare vita, assieme ad altri camerati lombardi, a due movimenti politico-culturali, di cui uno tuttora esistente: il Movimento Nazionalista Lombardo, defunto, e Grande Lombardia. Qui tratterò del primo.

Tutto ebbe inizio verso la fine di aprile del 2008. Il mio primo approccio con la politica militata risale ad allora, quando decisi di schierarmi attivamente dalla parte del Fronte Indipendentista Lombardia, partito nato due anni prima e conosciuto grazie ad un forum etnonazionalista, poi chiuso per via delle solite ingerenze.

Ciò mi permise di entrare in contatto con alcuni giovani in gamba desiderosi di battersi per il bene della Lombardia, in particolar modo con Adalbert Roncari. Egli non era un tesserato del Fronte ma, quanto me, conosceva alcuni suoi esponenti.

La mia esperienza frontista, tuttavia, durò praticamente un mese e non produsse, chiaramente, nulla di che; questo perché nel giugno 2008 il FIL, guidato da Max Ferrari, confluì nel solito cartello regionalista pataccaro, questa volta denominato Lombardia Autonoma e capeggiato da uno dei principali legaioli pataccari in circolazione: Roberto Bernardelli.

Essendomi tesserato per l’etnonazionalismo e l’indipendentismo, mandai tutto a quel paese e aspettai tempi migliori, rimanendo in contatto con altri ex frontisti con cui decisi di collaborare, al fine di creare un serio soggetto identitario lombardista.

Questa fase transitoria durò un biennio e nel 2009 conobbi il sunnominato Adalbert Roncari, luinese classe 1988, con cui fu subito intesa. Ne nacque un confronto sincero e schietto che corroborò il reciproco cameratismo, al punto di consolidarsi in una irremovibile posizione etnonazionalista, nonostante il resto dei soggetti con cui si imbastiva il progetto identitario scivolasse inesorabilmente verso il trasversalismo e l’opportunismo politico.

E fu così che, nell’agosto 2010, noi e la combriccola di “indipendentisti-e-basta” giungemmo in rotta di collisione e ognuno andò per la sua strada; questo anche perché i benpensanti non riuscivano a tollerare le posizioni un po’ estreme del sottoscritto, palesate attraverso i miei blog.

Liberati dal fardello politicamente corretto decidemmo, il sottoscritto e il Roncari, di stendere un nostro personale progetto lombardista, abbandonando al loro destino gli ex frontisti da cui poi, per la cronaca, nel settembre 2011, nacque pro Lombardia Indipendenza, movimento assestatosi su posizioni lib-dem e sterilmente indipendentiste, sulla falsariga dei movimenti separatisti storici europei. Ci attivammo subito, altresì, contattando ipotetici compagni di viaggio che potevano tornare utili alla bisogna.

Punti fondamentali del nostro programma erano il panlombardismo, che riunisse tutti i popoli lombardi etnici (insubrici, alpini, orobici, cenomani, padani, subalpini), l’identitarismo etnico – che puntasse all’autodifesa totale dei lombardi, ma anche dei mittel e degli europei – e la caustica critica al cristianesimo, nel quadro di un ridimensionamento filo-pagano dei monoteismi “abramitici”. All’epoca ero fresco fresco di rottura col cattolicesimo e smanioso di dare concretezza a quella che ritenevo una piena coerenza völkisch. Il tutto racchiuso in una Weltanschauung schiettamente etnonazionalista, lombardista e, ovviamente, indipendentista (cioè anti-italiana).

Nome pensato per il soggetto fu “Grande Lombardia”, affinché fosse chiaro da subito il nostro afflato panlombardo, in senso storico ed etno-geografico; simbolo la Croce lombardista, l’integrazione della lombarda Croce di San Giorgio con l’indogermanica ruota solare; esordio ufficiale previsto per il 21 dicembre 2010, capodanno astronomico e vigilia dello sciagurato annus horribilis 2011, anniversario dei 150 anni di baraccone statolatrico d’Italia.

Qualcosa però andò storto e due mesi prima di tale data, il 21 ottobre, la questura di Bergamo vide bene di spedirmi a casa due tizi della digos e due della polizia postale per farmi le pulci e rendermi nota l’indagine per istigazione all’odio razziale e vilipendio a mezzo internet.

Era da mettere in preventivo, chiaramente: da mesi ormai progressisti, liberali, pretaioli, antifascisti assortiti giuravano di farmela pagare per i miei “incendiari” scritti, non avendo nulla di meglio a cui pensare.

Il progetto lombardista ebbe, così, una battuta d’arresto, e io e Roncari decidemmo di attendere tempi più proficui, lasciando che le acque si chetassero.

Nel gennaio-febbraio 2011 riprendemmo in mano il progetto senza mutarlo dal punto di vista ideologico, dottrinale, programmatico, mantenendo come simbolo la Croce lombardista, arricchendola tramite l’impiego del sacrale cromatismo tripartito di origine indoeuropea rosso-bianco-nero, ma cambiando il nome del soggetto in un più concreto ed esplicito “Movimento Nazionalista Lombardo”; in fondo, la vera Lombardia è la Grande Lombardia, e la REGIONE “Lombardia” non è che un troncone di nazione lombarda, neutralizzato, rattrappito e italianizzato fino all’infiltrazione mafiosa.

Presidente nazionale dell’MNL Adalbert Roncari, segretario nazionale il sottoscritto, per evitare problemi (essendo il Sizzi indagato ufficialmente e, successivamente, sotto processo). A ranghi serrati, giungemmo ad una decina di associati militanti, stante la difficoltà ovvia nel reperire tesserati attivi.

Capisaldi ideologici dell’MNL, un movimento metapolitico (senza intenti meramente politici), erano il lombardesimo etnonazionalista, il razionalismo che sempre, puntualmente, manca ad ogni soggetto identitario tricolore o legaiolo, la critica al fanatismo religioso – prestato alla militanza – e ad un certo tipo di metafisica, in particolar modo a quelli di ispirazione semitica.

Insomma: sangue e suolo, popolo e razza, identità e tradizione (slegata dal confessionalismo), i binomi vincenti del Movimento Nazionalista Lombardo (in cui credo ancora, si capisce).

Esso venne alla luce nella luinese Valtravaglia, già parte del nobile contado longobardo del Seprio, il 6 maggio 2011, data mediana tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’estate, con i suoi due padri fondatori Roncari e Sizzi; lo scenario uno splendido ambiente naturale poco sopra il Verbano, con tanto di sacre farnie, la cascata della Froda (toponimo celtico) e massi erratici con incisioni solari. Nella sella del Pian Nave, nel comune di Porto Valtravaglia, vicinissima al luogo della fondazione dell’MNL, i nostri antichi padri celtici festeggiavano con roghi e ruote lignee ricoperte di fronde e incendiate il solstizio d’inverno.

Colore sociale dei nostri vessilli e delle nostre divise, impiegati non per scimmiottare corpi paramilitari del passato ma per dare un senso d’appartenenza ad ogni associato e un salutare tocco d’ordine e disciplina al movimento, il grigio plumbeo, colore asettico, razionale, spartano, “prussiano”, che nulla ha a che vedere con il grigiore conformistico, bensì con la virile morale indoeuropea.

Il Movimento Nazionalista Lombardo era un soggetto metapolitico che lottava per l’affrancamento del sentimento nazionale lombardo, riunendo sotto le proprie insegne tutti gli orgogliosi patrioti lombardi; bramavamo la salvazione e la vittoria della Lombardia mediante lombardesimo, nazionalismo etnico, razionalismo, ed indipendentismo mai e poi mai staccato dall’identitarismo Blut und Boden.

Per noi l’indipendenza era un mezzo per raggiungere la totale autoaffermazione lombarda, e non lo sterile fine da perseguire con la bassa cucina politica fatta di compromessi e vittimismo, e trasversale a cani e porci (magari antifascisti).

Tale soggetto durò pochi anni, come si può immaginare, dal 2011 all’autunno 2013, e poté fare solo iniziative simboliche. Essendo esordienti e sparpagliati, con pochi soldi, militanti, risorse – e con idee del tutto impopolari – non si poteva fare altrimenti.

Ciò nonostante facemmo la nostra brava propaganda multimediale, e discretamente noto divenne il canale YouTube lombardista che aprimmo, con le famose “video-prediche” realizzate dal sottoscritto. Qualche spezzone di quei filmati circola ancora in rete.

Venni anche intervistato, come sapete, per il Post di Sofri e Le invasioni barbariche della Bignardi, su La7, esponendomi in prima persona. Il camerata Adalbert preferì una posizione più defilata, concentrandosi su scritti di carattere economico e scientifico pubblicati sui canali ufficiali dell’MNL.

Nell’aprile del 2013, in seguito alla condanna in primo grado per i noti (e ridicoli) fatti ideologici legati a miei blog personali, decisi di togliermi dal movimento per lasciare spazio agli altri contubernali ed evitare di andare a pesare sulle sorti dello stesso, dovendo poi badare ai miei affari giudiziari.

L’associazione si sciolse, comunque, nell’estate di quell’anno e nell’autunno confluì in Grande Lombardia, un nuovo soggetto politico lombardista aperto anche alla Lombardia storica orientale, il Triveneto. Di GL parlerò in un altro articolo.

Nonostante questa esperienza sia durata poco, e sia stata di scarso peso, costituisce comunque una tappa del mio percorso formativo ed è servita a farmi un’idea circa la militanza e l’organizzazione di un movimento politico-culturale. Altresì, a suo modo, fu un’iniziativa rivoluzionaria poiché la Lombardia ha profondamente bisogno del lombardesimo e sono convinto, nel mio piccolo, di aver plasmato e promosso un’ideologia originale, innovativa e, per l’appunto, degna di memoria.

Del Movimento Nazionalista Lombardo, confluito in Grande Lombardia, rimane vivido il ricordo romantico del lombardesimo dei primordi, con l’enfasi etnonazionalista posta sul contesto della Lombardia etnica, e di quello zelo giovanile fatto di sano particolarismo culturale che mi ha portato a gustare intensamente gli aspetti peculiari della mia Urheimat.

Una cosa che faccio a tutt’oggi, chiaramente, inserita nell’ambito grande-lombardo, ma che allora era arricchita da quel rituale völkisch tradizionale condiviso che in un certo senso mi manca, ora, non essendo in alcun soggetto metapolitico, politico o anche solo culturale. Rimango, come è noto, vicino alle posizioni di Grande Lombardia ma per il momento marcio individualmente.

Forse, il retrogusto nazisteggiante del primo movimento lombardista può averne un po’ inflazionato l’efficacia; non si può certo negare che l’MNL abbia raccolto suggestioni nazionalsocialiste. D’altro canto, l’etnonazionalismo affonda le proprie radici in quell’humus etnicistico peculiare dell’epoca a cavaliere tra ‘800 e ‘900 in ambito germanico, debitore del romanticismo Blut und Boden e delle dottrine razziste (razziste in senso originale, si capisce, razziologiche). Oggi dobbiamo, certamente, adoperarci per nuovi modi di testimoniare l’identitarismo, ma senza rinnegare quei principi perenni basati sulla triade sacrale di sangue, suolo, spirito e sull’arianesimo, inteso come recupero e riscoperta del retaggio indoeuropeo. Hitler non ha inventato nulla.

Le plumbee casacche, il saluto lombardista, la simbologia potrebbero anche evocare certi scenari novecenteschi ma in quello stentoreo Salut Lombardia! elevato ai notturni cieli insubrici dal sottoscritto e dai sodali, attorno a crepitanti falò solstiziali, vi era, e vi è, tutta la dirompente potenza del nazionalismo etnico finalizzato all’affrancamento e all’autodeterminazione della nostra vera patria. Non certo l’artificiale Italietta giacobino-massonica, o antifascista, ma la terra di Celti, Galli e Longobardi, la Lombardia.