La Lombardia transpadana orientale (Orobia)

Swastika camuno allineato

La Lombardia transpadana orientale (volgarmente detta Orobia in contrapposizione all’Insubria, ma l’Orobia vera e propria sarebbe il solo Bergamasco) comprende i territori transabduani, alpini (retici) e di transizione fra Transpadana e Cispadana (Emilia). La fascia meridionale lombarda verrà comunque trattata a parte.

A differenza della Lombardia transpadana occidentale, l’Insubria, non ha mai avuto un grande centro catalizzatore che esercitasse anche una forma di koinè linguistica e culturale e questo perché la comunemente chiamata Lombardia orientale è un territorio composito e non omogeneo: geograficamente parlando, troviamo una Valtellina linguisticamente insubrica (quantomeno ad ovest) assieme al Grigioni lombardofono [1], un nerbo lombardo orientale bergamasco-bresciano, e una fascia di transizione meridionale.

Il nome convenzionale di ‘Orobia’ [2] può essere quindi usato solo per comodità; trattare di Lombardia transpadana (o transabduana) orientale è certamente meglio (in epoca italianista teorizzai un ‘Insubria orientale’, considerando l’inedita denominazione che mi venne in mente sulla scorta della lombardofonia tradizionale, ma ingenererebbe soltanto equivoci).

La Lombardia orientale, qui designata, comprende i territori di Sondrio, Valtellina, Bregaglia, Poschiavo, Bergamo e tutta la sua Val San Martino, Camunia, Brescia, Giudicarie, Riva del Garda [3], la sponda occidentale del Benaco, Crema, Cremona, Mantova. Alcune porziuncole di territorio come la Val di Lei (Madesimo), Livigno e l’Oltremincio sarebbero geograficamente extra-lombarde (in senso etnico), così come l’Oltrepò mantovano andrebbe considerato Emilia, sulla base dei confini naturali.

La Valtellina, seppur di idioma insubrico, non è certo centrale, è retica e orientale, e dunque va considerata assieme a Bergamo e Brescia, che sarebbero un po’ il fulcro della regione (le Alpi Orobie, peraltro, sono anche valtellinesi); Cremona è linguisticamente di transizione fra lombardo orientale e meridionale ma è al di qua del Po quanto Mantova, linguisticamente emiliana. L’alto Mantovano è invece orientale anche a livello di dialetto [4], così come il Trentino occidentale.

La parte meridionale della Regione Lombardia (Pavia, Cremona, Mantovano centrosud), assieme a Tortona, Voghera e Piacenza, che io colloco in Emilia, verranno trattate in un altro articolo, col resto della Lombardia cispadana, per quanto la Bassa occidentale sia considerabile Insubria e quella orientale Orobia in senso esteso.

La suddivisione amministrativa, cantonale e distrettuale, di queste terre potrebbe essere la seguente:

  • Brescia (Alta Cenomania), con Rovato, Desenzano, Darfo e Riva;
  • Bergamo (Orobia), con Crema, Clusone e Zogno;
  • Cremona (Bassa Cenomania), con Mantova, Ghedi e Casalmaggiore;
  • Sondrio (Vennonezia), con Tirano e Chiavenna.

Parliamo della provincia di Sondrio (con il Grigioni lombardo, ma senza Mesolcina che è ticinese); della provincia di Bergamo (con tutta la Val San Martino che in parte, dal 1992, è sotto Lecco e il Cremasco); della provincia di Brescia (con l’alto Mantovano ma senza l’estremo sud); di quelle di Cremona (senza Cremasco ma con l’estremo sud bresciano) e di Mantova (senza la zona settentrionale, l’Oltremincio e l’Oltrepò). Il cantone bresciano ingloba il Trentino occidentale, lombardofono, delimitato ad est dal Sarca-Mincio.

Gli stemmi cantonali si rifanno a quelli dei capoluoghi, e dunque l’inquartato bianco-azzurro per Sondrio (anche se esiste un vessillo storico valtellinese a strisce verticali bianche e rosse), il bipartito rosso-dorato per Bergamo, il bipartito bianco-azzurro per Brescia, il fasciato bianco-rosso per Cremona (in antico, il ghibellino capoluogo cremonese optava per la Croce di San Giovanni Battista).

La cosiddetta “rosa camuna” invece, ma non quella dell’attuale Regione Lombardia bensì lo swastika delle incisioni rupestri, è uno stemma che può designare, globalmente, l’Orobia in senso lato, anche se, come sapete, noi lombardisti non crediamo nelle classiche regioni, per quanto confortate da elementi storici. Meglio la soluzione cantonale che va a ricalcare i contadi medievali, spesso dalle radici romane.

La Lombardia etnica orientale, quindi, è costituita da un nucleo orobico-cenomane linguisticamente orientale, da un nord retico linguisticamente occidentale, o alpino, (eccetto le vallate orientali) e da un sud padano-cenomane linguisticamente di transizione, sebbene il dialetto mantovano di transizione non sia essendo tradizionalmente considerato emiliano.

I dialetti genuinamente orientali, da un punto di vista idiomatico, sono bergamasco, cremasco, alto mantovano, bresciano, camuno, trentino occidentale, parlate gardesane [5] e il famoso gaì, il gergo dei pastori bergamaschi e camuni.

Il valtellinese, con bormino, livignasco, chiavennasco e il dialetto del Grigioni lombardo, sono occidentali (o in taluni casi alpini, ma è quasi la stessa cosa); il cremonese è a cavallo tra lombardo classico ed emiliano; il mantovano è considerato emiliano.

Non esiste alcuna koinè orobica, nonostante il bergamasco sia per svariati motivi il dialetto lombardo orientale più prestigioso e noto, nonché parodiato. Si pensi, infatti, che nel ‘500 era riconosciuto dagli umanisti come uno dei principali volgari della cosiddetta Italia, senza dimenticare tutta la letteratura che ruota attorno a Bergamo, dalla Commedia dell’Arte alle traduzioni di testi toscani famosi, fino ai burattini e ad Olmi, passando per i saggi gallo-italici del Biondelli [6].

La Lombardia orientale insomma, a differenza di quella occidentale classica, non è molto omogenea. La Valtellina, che comprende anche il Grigioni lombardo, etnicamente è celto-retica e linguisticamente alpino-occidentale; così anche le Orobie e la Val Camonica soprattutto, sebbene esse siano orientali linguisticamente, pur risentendo del sostrato retico (pensate alle famose s sorde aspirate); Bergamo e il Bergamasco occidentale facevano parte della Cultura di Golasecca e hanno quindi radici proto-celtiche (orobiche) ed insubriche (in senso gallico), ma il dialetto è orientale (in questo gli influssi veneti furono decisivi) quanto nel Bresciano e nei territori che gli gravitano attorno (Giudicarie, Garda, la Bassa, l’alto Mantovano); questi ultimi sono etnicamente cenomani allo stesso modo di Cremona e Mantova, e pure di Trento e Verona, solo che Cremona è “ibrida”, Mantova è padana, Trento sta bene col Tirolo storico, quello meridionale, e Verona col Veneto. Non dimentichiamoci poi dei forti influssi etruschi nella Lombardia etnica sudorientale.

Come ben sappiamo buona parte della Lombardia orientale finì nelle mani di Venezia e della Serenissima ma questo incise solo linguisticamente e in minima parte culturalmente; nonostante una porzione di questa regione lombarda, già in epoca romana, venisse associata alla Venetia, popoli venetici qui non ce ne furono, poiché gli Euganei delle valli bresciane erano reto-liguri. Gli influssi veneti sono sensibili nell’area bresciana orientale ma per questioni confinarie. D’altra parte, l’influsso è reciproco, e la stessa Verona nel Medioevo presentava aspetto idiomatico gallo-italico [7].

Riconosco il buongoverno cinque-secentesco di San Marco, rispetto al marasma franco-spagnolo che imperversava ad ovest, ma questo non giustifica nella maniera più assoluta le patetiche rivendicazioni dei venetisti che si aggrappano a tre secoli di politica glissando spaventosamente sulla vera storia delle nostre terre, che è storia eminentemente lombarda, come lombarda è la lingua e lombarda è l’etnia, plasmata da Celto-Liguri e Longobardi, comprendendo la romanizzazione su sostrato gallico. Piuttosto, parlando di Lombardia transpadana orientale, va riconosciuto il contributo tirrenico che era retico a nord ed etrusco a sud.

Il Veneto comprende i veneti e non gli ex sudditi della Repubblica di San Marco; pertanto lombardi etnici orientali, friulani, ladini, istriani, dalmati e abitanti vari del Mediterraneo orientale, se indigeni, non sono veneti. Non ci vuol poi molto a capirlo, non parlano nemmeno la lingua veneta.

A livello fenotipico i lombardi orientali sono essenzialmente alpinidi, con forti influssi dinaridi; trova spazio anche il consueto tipo padano del Biasutti (dinaride + atlanto-mediterranide) e qualche spruzzata nordide soprattutto lungo l’arco alpino. In Lombardia il tipo nordico è prevalentemente periferico, dunque miscelato con elementi autoctoni (nordo-mediterranide, alpino-nordide/sub-nordide, dinaro-nordide/noride).

La Lombardia etnica orientale fu Austria longobarda, ariana – se non sotto sotto pagana -, bellicosa e assai tradizionalista rispetto alla Neustria occidentale monarchica e cattolica, orbitante attorno a Pavia. Questo ha sicuramente inciso sui nostri popoli, anche a livello somatico e caratteriale.

Nonostante l’est, da un punto di vista economico e sociale, sia storicamente rimasto indietro, rispetto all’ovest, tra Ottocento e metà Novecento, il divario è stato ampiamente colmato e purtroppo il progresso ha avuto le sue velenose ricadute: immigrati da ogni dove, quartieri cittadini ridotti a ghetti, forte “meridionalizzazione”. La situazione si fa davvero drammatica soprattutto a Brescia e dintorni.

Se poi ci aggiungiamo l’atavico bigottismo cattolico, lo strapotere delle curie e la nefanda politica di radice democristiana, unita alla cialtroneria del fumo negli occhi verde, il quadro è ancor meglio definito. Un caso l’accoppiata Roncalli-Montini?

La nostra terra non è sicuramente rimescolata quanto il Piemonte e la povera Insubria, e lo stesso vale per la zona meridionale della Regione Lombardia, perché lo sviluppo ha attecchito più tardi e identità e tradizione, custodite dalle origini contadine, sono dure a morire, seppur inquinate da cattolicesimo e socialismo marxista.

La Lombardia transpadana orientale deve fare del proprio conservatorismo (non cristiano o reazionario) il punto di forza che aiuti la Cisalpina occidentale tutta a sbarazzarsi del laido disinteresse per le proprie radici e la propria storia e cultura.

Noi orientali abbiamo moltissimo da dare in termini di forze fresche, dure e pure, decise, determinate, pronte a correre in soccorso dei fratelli occidentali proprio come accadde nella battaglia di Legnano, in cui il nerbo guerriero era costituito in maniera consistente dalla fanteria transabduana.

D’altro canto, in tutta la Lombardia, è forte il campanilismo e la rivalità provinciale (Bergamo e Brescia, Monza e Como, Varese e Como, Cremona e Piacenza, e tutti contro Milano!) ma oggi come oggi può avere un senso solo a livello di intrattenimento, segnatamente sportivo.

Oggi occorre riscoprirsi lombardi, ed europidi naturalmente, per fare fronte comune contro il nemico mortale delle nostre terre, che è la globalizzazione, la quale si serve dell’Italia e di Roma per distruggere l’identità indigena.

Note

[1] Secondo alcuni linguisti nella Lombardia settentrionale si parla lombardo alpino, più che insubrico, ma si tratta di sottofamiglie affini.

[2] ‘Orobia’, nome coniato dagli umanisti, trae origine dai celto-liguri Orumbovii, popolo antico il cui etnico potrebbe, come viene suggerito da Delamarre, essere ricondotto al sostantivo plurale gallico orbioi significante ‘eredi’. Vedi qui.

[3] La lombardofonia trentina, teoricamente, riguarderebbe un territorio più esteso, in senso settentrionale, anche se linguisticamente in regresso.

[4] Usiamo il termine ‘dialetto’ inteso come variante, vernacolo, della famiglia linguistica lombarda (gallo-italica), che vede nel milanese il lombardo per antonomasia. Ma, si capisce, anche i “dialetti” sono lingue.

[5] Esiste un influsso di tipo bresciano anche lungo la sponda orientale del Garda.

[6] Che, addirittura, considera il bresciano suddialetto del bergamasco.

[7] Come ben sappiamo, nel Medioevo tutta la Cisalpina era Lombardia, e l’estensione linguistica lombarda riguardava anche il Triveneto.

La Lombardia transpadana occidentale (Insubria)

Biscione visconteo

La Lombardia transpadana occidentale, o Insubria [1] etnica come la si potrebbe chiamare per comodità, è il fulcro della Grande Lombardia, il centro della nazione, suo cervello, cuore e motore.

‘Insubria’ deriva dal termine celtico, rafforzato, *suebro- ‘forte, violento’, riferito agli antichi celto-liguri Insubri [2]. Tale etnonimo passò poi ai Galli storici del IV secolo avanti era volgare (probabilmente Biturigi) che occuparono il territorio lombardo fino al fiume Oglio (a Bergamo, contrariamente a quanto si crede comunemente, si stanziarono proprio questi, e non i Cenomani, e il Bergamasco infatti venne inserito, dai Romani, con Milano nella Gallia Transpadana, e non nella Venetia con Brescia). Anche la Cultura di Golasecca andava dal fiume Sesia fino al Serio, altro corso d’acqua locale, in territorio orobico, dove si trovavano appunto i celto-liguri Orobi.

L’Insubria corrisponde all’antico territorio abitato fondamentalmente dai celto-liguri Insubri e Leponzi, e dopo Roma discretamente germanizzato dai Longobardi che si diedero come centri vitali Milano, Monza, e il Seprio (Pavia, la capitale, è situata nella fascia insubrica meridionale, influenzata dal mondo padano) e che più tardi corrisponderà al nerbo del Ducato di Milano.

Milano, la grande capitale della Lombardia etnica e della Lombardia storica, è da sempre il perno dell’Insubria, la città che ha plasmato il territorio circostante, da Lodi al Ticino. Socialmente, politicamente, culturalmente, linguisticamente.

L’area insubrica genuina è formata dalle terre di Milano, Lodi, Monza, Brianza, Lecco, Como, Legnano, Busto Arsizio, Varese, Novara, Intra e Pallanza (Verbania), Canton Ticino e Mesolcina (quest’ultimi, oggi, sotto la Confederazione Elvetica). La Svizzera inoltre comprende anche la valle del Sempione, essa pure parte insubrica del bacino del Po, come la restante regione lombarda. Noi lombardisti tendiamo inoltre a legare all’Insubria, intesa in senso statistico e demografico, Pavia, Valsesia, Vercelli e Biella.

Si tratta, come fulcro storico, di una regione piuttosto omogenea, sia etnicamente che culturalmente, con un solido sostrato proto-celtico/celto-ligure (Golasecca e Canegrate) e gallico (Insubres romani), corroborato dalla dominazione longobarda che ha profondamente inciso sul territorio, e poi dalla signoria dei Visconti, che sotto l’egida del germanico Bisson ha retto le sorti dell’Insubria ducale si può dire fino al 1500.

La romanizzazione, per quanto fondamentale in termini culturali e identitari, non stravolse il territorio, e portò ad una lenta assimilazione dell’elemento celtico nativo, che adottò spontaneamente i costumi latini. Questo, certamente, dopo i ben noti fatti bellici che contrapposero i Galli ai Romani, portando alla sconfitta e alla pacificazione dei primi.

L’area è omogenea pure linguisticamente perché la koinè milanese ha costituito un ottimo collante politico-culturale, anche se degni di nota sono pure il ticinese, il brianzolo, il laghee, il lodigiano e le parlate più occidentali influenzate dal piemontese.

Parimenti, Valtellina, Grigioni lombardofono e Pavese risentono degli influssi del milanese e le parlate di quei luoghi, i primi due soprattutto, sono classificate come lombardo occidentale (che nella terminologia dei moderni linguisti indica l’insubrico/cisbaduano). I dialetti di Pavia (eccetto quelli della Lomellina), invece, sono di transizione con l’emiliano. Un discorso simile si potrebbe fare con la Valsesia, stretta fra Piemonte e Insubria, fermo restando che il piemontese orientale mostra certamente alcuni fenomeni di transizione.

Volendo suddividere amministrativamente la Lombardia transpadana occidentale, che è poi la Lombardia etnica centrale di noi lombardisti (con l’aggiunta del territorio pavese e del Piemonte orientale), avremmo i seguenti ambiti cantonali, con relativi distretti:

  • Milano (Bassa Insubria), con Busto Arsizio, Monza, Lodi e Pavia;
  • Como (Alta Insubria), con Lecco, Lugano e Varese;
  • Novara (Lebecia), con Vercelli, Biella, Varallo e Vigevano;
  • Locarno (Leponzia), con Domodossola, Intra e Bellinzona.

Attenzione: il lombardesimo non propugna, nel contesto grande-lombardo, la creazione di vere e proprie regioni, bensì di cantoni, e loro distretti,  blandamente federati. Non siamo certo regionalisti, anche se riconosciamo tranquillamente l’esistenza di realtà storico-culturali, come la stessa Insubria in termini correnti (e poetici).

Non serve dunque un’insegna globale insubrica perché quella classica del Ducale visconteo (Aquila imperiale e Biscione), a mio avviso, è l’ideale stemma della Lombardia intera, emblema dell’etnostato cisalpino. I cantoni, invece, possono tranquillamente utilizzare le insegne delle loro città precipue (o dei territori storici), e dunque Croce di San Giorgio per Milano, bandiera sepriese a scacchi bianco-rossi per Como, Croce di San Giovanni Battista per Novara, bipartito rosso-blu ticinese per Locarno. Segnaliamo, comunque sia, la nota Scrofa semilanuta, uno dei simboli gallici della capitale lombarda.

La Croce di San Giorgio milanese, anche se non può vantare le origini e la storia della genovese (che ha inciso su quella d’Albione), ha un profilo autonomo, all’interno delle vicende medievali; emblema del comune di Milano, della Lega Lombarda, di moltissime città padane guelfe esprime la coscienza patriottica dei lombardi e il loro spirito d’appartenenza, mirabilmente sfociati nel giuramento di Pontida e, soprattutto, nella battaglia di Legnano. Unita alla Croce di San Giovanni Battista, ghibellina, e allo Swastika camuno, appare quale ideale bandiera nazionale cisalpina.

Naturalmente abbiamo poi il Biscione e il Ducale viscontei, originari dell’Insubria, che costituiscono, il primo, il simbolo se vogliamo del popolo lombardo, del suo retaggio celto-germanico (essendo di ascendenze nordiche) e della sua cultura storica, il secondo, il miglior emblema possibile per la nazione lombarda, rappresentato da un quadripartito bianco-dorato in cui, alternandosi, troviamo l’Aquila del Sacro Romano Impero, latino-germanica, e il Bisson, blasone prima visconteo (ma in origine della città ambrosiana e delle sue milizie comunali) e poi sforzesco, indissolubilmente legato a Milano e alla Lombardia intera.

Per quanto riguarda invece la questione linguistica diamo qui una veloce carrellata dei principali dialetti occidentali – in realtà centrali – del lombardo: milanese (il lombardo per antonomasia), dialetti milanesi, legnanese, brianzolo, ticinese, ossolano, varesotto, bustocco, comasco, laghee, lecchese, lodigiano, novarese, lomellino e alcune parlate gergali. Inoltre, dobbiamo aggiungere le parlate della Valtellina e del Grigioni lombardo, in territorio orientale ma tassonomicamente insubriche.

Questione etnica. Il grosso della Lombardia transpadana occidentale è etnicamente celto-romanzo, gallo-italico, e le sue componenti principali sono la ligure arcaica, la celto-ligure, la gallica (insubrica), la coloniale italo-romana e quella germanica (Goti e Longobardi). A livello sub-razziale/fenotipico, predomina il tipo alpino assieme a quello atlanto-mediterranide, o meglio ancora padanide (dinaride + atlanto-mediterranide), con spruzzate nordiche qua e là, soprattutto in area prealpina e alpina. L’unica minoranza indigena è quella degli alemannici walser che si trovano nel nordovest del territorio.

L’Insubria tradizionale è racchiusa nel bacino imbrifero del Padus, zona tipicamente lacustre, ed è delimitata a nord dalle Alpi Lepontine, ad ovest dal Sesia, a sud dal Po, e ad est dall’Adda. Pavia, come abbiamo visto, è una via di mezzo tra Insubria e Padania (intesa qui come Emilia), rammentando che l’Oltrepò è da considerarsi cispadano in tutti i sensi.

È da sempre il motore della Lombardia, l’area economicamente più ricca e avanzata, animata da intraprendente spirito imprenditoriale perfettamente incarnato dai milanesi e dal Ducato che fu. Dal secondo dopoguerra, per via del boom economico e anche di sciagurate politiche romane, il cosiddetto triangolo industriale capeggiato da Milano è stato investito da milioni di sud-italiani che hanno, volenti o nolenti, stravolto il tessuto etnico e sociale del cuore etnico lombardo, soprattutto per arricchire i soliti noti, a scapito degli indigeni.

Tutte le immigrazioni di massa sono sbagliate, in particolare qualora comportino l’afflusso di realtà etniche e razziali incompatibili. Se l’Insubria oggi annaspa sotto il peso di smog, cemento, inquinamento e traffico “indiano” è anche per questo.

Assieme agli italiani meridionali, circa un milione di veneti si è spostato in territorio occidentale, uniti agli esuli istro-dalmati cacciati dal criminale Tito. Anche molti orobici cercarono fortuna ad ovest.

L’Insubria oggi è piuttosto malridotta e martoriata da una densità demografica mostruosa, dovuta a immigrazione selvaggia (da ogni dove), e dall’industrializzazione scriteriata, ed è un vero peccato perché il territorio insubrico è incantevole, tra laghi prealpini, fiumi, aree collinari, campi e pianure, risaie, e ovviamente Prealpi e Alpi.

La soluzione a questi guai, ovviamente, è l’indipendentismo. Prima ancora, il comunitarismo, che permette il recupero della solidarietà fondamentale, tra connazionali, al fine di riscoprire e dunque difendere le proprie radici.

Gli insubrici sono in via d’estinzione, e in talune zone purtroppo già estinti, anche per colpe proprie, si capisce. Dobbiamo promuovere serie politiche etniciste per far riguadagnare ad essi terreno, perché con la loro scomparsa parlare di Insubria non avrebbe più senso. E allo stesso modo, parlare di Lombardia e di Europa senza più i rispettivi autoctoni.

Note

[1] In senso geografico può essere chiamata Insubria tutta la fascia prealpina e collinare della Regione Lombardia.

[2] L’etimologia viene suggerita qui.

La Lombardia

La Lombardia in epoca carolingia

Il concetto di Lombardia etnica (o di Grande Lombardia per come lo interpretavo agli albori), di Lombardia storica, di Lombardia tout court, insomma, contrapposta alla “Pirellonia” già “Formigonia”, diffuso dal Movimento Nazionalista Lombardo, ricalcava più o meno quello che proposi nel settembre del 2009 sul mio vecchio blog.

Oggi, come sapete, in virtù dell’esperienza di GL, distinguo tra una Lombardia etnica padana (grossomodo il nordovest della Repubblica Italiana) e una Grande Lombardia cisalpina (il settentrione della RI), individuando anche una terza forma di lombardità data dal connubio linguistico-culturale (e qui si può, ulteriormente, separare una Lombardia etnolinguistica ristretta, “insubrica”, che ricalca la famiglia idiomatica lombarda dei linguisti, dal contesto gallo-italico).

Secondo alcuni, ‘Lombardia’ è un concetto vago, parziale, arbitrario che potrebbe essere applicato a buona parte dell’Italia (intesa in senso romano), in quanto ex Regno longobardo (Langobardia Maior /Langobardia Minor, un etnonimo impiegato dai Bizantini per riferirsi ai territori in mano longobarda, tanto che Lombardìa è accentato alla greca, non alla latina; in effetti, sarebbe meglio chiamarla Lombàrdia). Se i Franchi non avessero sgominato gli antichi Vinnili, forse, l’intera Italia sarebbe divenuta Lombardia, anche se il prestigio del coronimo italico, in definitiva, sarebbe stato più forte.

Tuttavia, per quanto mi riguarda – e non credo sia idea peregrina -, ‘Lombardia’ si attaglia perfettamente alla cosiddetta “Alta Italia”, alla Cisalpina, segnatamente alla sua porzione occidentale. Il fulcro del Regno longobardo, la Langobardia Maior, era il settentrione con la Toscana, e anche in quest’ultima, subito conquistata e colonizzata da Alboino, i Longobardi lasciarono una forte impronta, anche in senso genetico e fisico. Ciò nonostante, l’etnonimo lombardo raramente, nel Medioevo, designò i toscani, come lo stesso Dante dimostra distinguendo, linguisticamente, il tosco dal lombardo.

Da un punto di vista storico, etnico, geografico e linguistico-culturale col termine ‘Lombardia’ si suole indicare l’intera Cisalpina, in particolar modo il nordovest (con le ben note propaggini orientali trentine e veronesi). Peraltro, anche agli occhi degli stranieri dell’Età di mezzo, varcare le Alpi, o l’Appennino, significava recarsi in Lombardia, e i Lombards medievali non erano altro che i banchieri, i ricchi mercanti e i prestamonete dell’Alta Italia presenti nel Nord Europa. Questa era anche, più o meno, la mira panlombardista dell’MNL.

La mia idea primigenia di Grande Lombardia, poi nel tempo corretta, era la seguente: Regione Lombardia, Ticino, Grigioni lombardofono, Piemonte orientale, Trentino occidentale, Emilia, Bologna e Ferrara e pure la Lunigiana. Era piuttosto in linea, tra l’altro, con l’idea geografica padana che l’Alighieri palesò nella Commedia, parlando di un oscuro personaggio bolognese:

rimembriti di Pier da Medicina,
se mai torni a veder lo dolce piano
che da Vercelli a Marcabò dichina.

(Inferno XXVIII, 73-75)

(Vercelli la conosciamo; Mercabò, o Marcabò, era una fortezza eretta dai veneziani sul Delta del Po.)

Correggendo il tiro, nei primi mesi del 2010 sistemai la mia vecchia idea grande-lombarda giungendo, anche grazie al confronto col sodale Adalbert Roncari, alla posizione dell’MNL: Regione Lombardia, Ticino, Grigioni lombardofono, tutto quanto il Piemonte, la Val d’Aosta, Trentino occidentale, Emilia priva della parte estrema fuori dal bacino del Po (dallo statuto ibrido lombardo-romagnolo) e alcune porzioncine di Veneto. Senza però Massa e Carrara che sono liguri anche se tendenti alla lombardofonia per influssi ducali padani.

Espongo, dunque, l’allora pensiero lombardista, tratto dai vecchi blog, che aderisce al concetto storico di Lombardia come marca terragna nata in epoca carolingia:

Parlando di Lombardia, la prima cosa di cui si deve tener conto, il primo punto fermo, sono i sacri ed intoccabili confini geografici: la Lombardia combacia col bacino idrografico del fiume Po.

Per questo, ma non solo, ritroviamo nella nostra idea di Lombardia territori franco-provenzali, occitani e liguri, perché facenti parte dell’ambito alpino-padano.

E davanti ai confini geografici, davanti ai baluardi naturali, signori miei, c’è poco da questionare.

In secondo luogo, abbiamo l’amalgama etnico gallo-germanico, celto-longobardo, che accomuna tutti i lombardi, quelli centrali (insubrici), orientali (valtellinesi, orobici, cenomani), occidentali (piemontesi) e meridionali (padano-emiliani); parimenti, l’amalgama linguistico galloromanzo cisalpino, escludendo la Romagna che non è lombarda (a cui possiamo tranquillamente aggiungere le papalino-bizantine Bologna e Ferrara) e la Liguria che è mediterranea.

Da ultimo, c’è la questione culturale e storica, nata nel Medioevo, che dopo la Gallia Cisalpina e la Langbobardia ha visto il sorgere della marca imperiale di Lombardia, dei liberi comuni, delle signorie germaniche, del Ducato di Milano e poi di Lombardia, prima della frammentazione cinquecentesca.

E, dunque, ecco una Grande Lombardia così ripartita: Lombardia centrale (Insubria), Lombardia orientale (Valtellina-Orobia-Cenomania), Lombardia occidentale (Piemonte, Val d’Aosta), Lombardia meridionale (Emilia-Padania).

All’interno del nostro territorio possiamo trovare minoranze franco-provenzali e provenzali a ovest, liguri a sud e alemanniche (walser) a nord.

Abbiamo pensato anche ad una ripartizione del territorio stesso.

Per mere questioni statistiche e di comodo suddividiamo la Lombardia in quattro aree geografiche (appunto centro-est-ovest-sud) a loro volta suddivise in cantoni con capoluoghi e distretti.

Avremo così: Lombardia centrale – Bassa Insubria (Milano capitale storica di Lombardia, con i distretti di Busto Arsizio, Monza, Lodi e Pavia), Alta Insubria (Como, con i distretti di Lecco, Lugano e Varese), Lebecia (Novara, con i distretti di Vercelli, Biella, Varallo e Vigevano), Leponzia (Locarno, con i distretti di Domodossola, Intra, Bellinzona); Lombardia orientale – Orobia (Bergamo, con i distretti di Crema, Clusone, Zogno), Rezia (Sondrio, con i distretti di Tirano e Chiavenna), Alta Cenomania (Brescia, con i distretti di Rovato, Desenzano, Darfo e Riva), Bassa Cenomania (Cremona, con i distretti di Casalmaggiore e Mantova); Lombardia occidentale – Alta Taurinia (Torino, con Ivrea, Lanzo, Pinerolo, Susa), Bassa Taurinia (Cuneo, con Alba, Mondovì, Saluzzo), Ambronia (Alessandria, con Asti, Casale, Acqui e Novi), Salassia (Aosta); Lombardia meridionale – Marizia Occidentale (Piacenza, con Voghera e Tortona), Marizia Orientale (Parma, con Fidenza e Fiorenzuola), Bononia (Modena, con Reggio di Lombardia e Carpi).

I nomi dei cantoni sono etnonimi che si rifanno alla principale popolazione, celtica o celto-ligure, che ha dato l’impronta fondamentale al territorio; i capoluoghi sono le città principali dei cantoni; i distretti sono le città minori.

Milano è la grande ed unica capitale di Lombardia, motore della sua potenza e della sua gloria, volano del lombardesimo assieme al nordico Seprio e al nucleo lombardo, lo zoccolo duro insubrico, (la grande Insubria golasecchiana dal Sesia al Serio che costituisce la Lombardia basica), guida aristocratica di tutta la nazione.

C’è da dire che la nostra ipotetica suddivisione amministrativa rispecchia anche la nostra idea politica di Lombardia che più che federalista è moderatamente centralista (a che serve il federalismo tra fratelli?), con Milano intoccabile capitale, presidenziale, repubblicana ma aristocratica, senza tutta quella patetica e farraginosa intelaiatura federale o pseudo tale che rischia di fomentare le solite grandi pecche lombarde ossia egoismo, particolarismo, campanilismo e materialismo.

Quella delineata qui sopra non è la Grande Lombardia (la Cisalpina) individuata nel 2013, e di cui tratto ancor oggi, ma la Lombardia etnica. Sul sito di Grande Lombardia (GL) è possibile osservare nel dettaglio, grazie a pregevoli cartine realizzate dal buon Ronchee, gli areali, le suddivisioni amministrative attuali e quelle cantonali ipotetiche tanto della Lombardia etnica (grossomodo il nordovest) quanto della Grande Lombardia (la Padania scientifica, non legaiola).

La concezione lombardista di Lombardia, stabilizzatasi nel tempo, si innerva dunque sulla distinzione in Lombardia etnica e Grande Lombardia. Più sopra accennavo, comunque, ad una terza forma di Lombardia (le tre lombardità di cui parlavo nel blog precedente), che è quella etnolinguistica: ristretta (la Regione Lombardia, senza gli Oltrepò, con Novarese, VCO, Tortonese, Svizzera lombarda e Trentino occidentale) e allargata (il continuum galloromanzo cisalpino, gallo-italico, cioè il settore occidentale della Cisalpina che include anche Romagna e Liguria).

C’è da dire, come ho sempre sostenuto, che la Regione Lombardia, la simpaticamente detta “Pirellonia”, pur essendo totalmente lombarda, è una boiata artificiale creata a tavolino dal centralismo romano, che si avvale di regioni pseudostoriche per banalizzare gli orgogli etnici (e genuinamente nazionali), facendo finire tutto nel tritacarne tricolore. Gli studiosi, giustamente, individuano una famiglia linguistica lombarda – ristretta – che va da Novara a Brescia e da Bellinzona a Cremona; ma va detto che le parlate cisabduane, insubriche, hanno più in comune con quelle del Piemonte orientale o del Piacentino, che con bergamasco e bresciano.

Gli stessi linguisti, qui colpevolmente, in ossequio all’italocentrismo, usano un’etichetta sciocca, “gallo-italico”, per evitare di impiegare il termine corretto (in senso allargato), “lombardo”, in riferimento alla macro-famiglia linguistica della Padania. Le lingue lombarde, che nel Medioevo interessavano anche il Veneto continentale e padano e il Trentino, hanno influenzato il ligure (che, oggi, è ritenuto gallo-italico, dunque lombardo), comprendono il romagnolo e si spingono fino alle Marche settentrionali e alla Lunigiana, con un’isola nel Conero e lambendo la Garfagnana.

L’esistenza di una nazione lombarda, anche linguisticamente, è insindacabile, corroborata dalla stretta affinità con gli idiomi retoromanzi (romancio, ladino e friulano), oggi distinti dalla famiglia lombarda ma un tempo ancor più prossimi alla stessa. La lingua veneta attuale, certo ben diversa dal lombardo, si è espansa in tutto il Veneto ma è modellata sul prestigio del veneziano (storicamente legato al toscano per questioni letterarie) e ha nei secoli rimpiazzato parlari affini a quelli lombardi contemporanei. Il sostrato celtico e il superstrato longobardo hanno riguardato anche il Triveneto.

La designazione altomedievale del territorio lombardo, modellato sulle suddivisioni politiche longobarde e franche, si concentrava sul settore “italiano” nordoccidentale tralasciando, per ovvie ragioni, la Romagna, ossia l’Esarcato bizantino. Anche Liguria ed Emilia orientale erano di statuto incerto, poiché conquistate tardivamente dai Longobardi; ciò nonostante, Genova era ritenuta la porta della Lombardia (anche grazie ad un bisticcio etimologico latineggiante) e, nella mappa postata in apertura, Bologna e Ferrara mancano in quanto donate da Carlo Magno al papa, pur essendo state alfine prese dai Longobardi.

Quest’area coincide con la Padania intesa come bacino imbrifero del fiume Po, col fulcro della Gallia Cisalpina e della Langobardia Maior (Pavia, Milano e Monza) e ricalca, inoltre, il territorio che con i Carolingi assunse per la prima volta il toponimo ‘Lombardia’: per l’appunto, il nordovest, la Lombardia etnica.

Il Triveneto, porzione orientale della Grande Lombardia, rientrava nella designazione più ampia di Lombardia medievale (vedi Lega Lombarda), ma assunse un proprio profilo politico peculiare grazie a Venezia, Aquileia, Verona, Trento; la Romagna è (quasi) sempre stata esclusa dall’ambito longobardo/lombardo, pur essendo anch’essa Gallia Cisalpina. Il “nord Italia”, ossia la nazione della Grande Lombardia, va, anche etno-culturalmente, dalle Alpi allo spartiacque appenninico (linea linguistica Massa-Senigallia) e dal fiume Varo al Monte Nevoso, nella Venezia Giulia storica.

Nessuno nega che il “nord” non sia del tutto omogeneo e che, al suo interno, vi siano alcune differenze peculiari. Lasciando da parte le minoranze storiche, esiste certamente una distinzione tra l’ambito alpino/prealpino e padano, così come tra ovest ed est, e la realtà romagnola appare periferica e tendente all’ambito tosco-mediano. Anche la geografia è variegata, sebbene l’areale grande-lombardo sia primariamente continentale e sub-mediterraneo. Ma è altrettanto innegabile che la dimensione nazionale abbracci l’intero contesto padano-alpino, a partire dalla Lombardia etnica.