Non vorrei rovinare la sorpresa a chi, leggendo questo articolo, non avrà ancora avuto l’opportunità di guardarsi il filmato, perciò non scenderò nei dettagli. Chi invece ha già potuto assistervi, in diretta o differita, avrà apprezzato gli interventi a proposito di antropologia fisica, genetica delle popolazioni, disamine craniometriche (anche dell’orvietano Cruciani e dell’ebreo Parenzo) e, naturalmente, di lombardesimo. Ho infatti beneficiato della possibilità di diffondere ulteriormente il mio credo etnonazionalista, incentrato sull’autoaffermazione e l’indipendenza della Grande Lombardia, che del resto è un tema profondamente intrecciato con lo studio antropogenetico e del territorio. Il culto razionale di sangue, suolo e spirito conduce alla preservazione identitaria e, di conseguenza, all’affrancamento del sentimento patriottico della nazione cisalpina.
Il sottoscritto è animato da sempre da un salutare fervore etnicista e razzialista, convogliato nel nazionalismo panlombardo. La coscienza comunitaria, l’orgoglio e il sentimento d’appartenenza, il rispetto e la ricerca dell’endogamia sono oggi più che mai necessari se vogliamo dare alla Lombardia una speranza di riscossa, rivincita e vera rivoluzione culturale e politica. Ogni strumento scientifico, volto alla contemplazione della natura biologica del nostro popolo, è altamente apprezzato, certamente nel rispetto di ogni altra realtà identitaria che non diventi un pericolo mortale lungo la via della nostra piena libertà .
A chi non ha assistito, buona visione, e a chi ha già dato mi auguro di aver potuto offrire un momento di riflessione e di acculturazione, con un pizzico di divertimento e di leggerezza, che a piccole dosi non guastano se intesi come intrattenimento culturale che dà l’opportunità di gustare sprazzi di costruttiva divulgazione razzialista. Sul finale del video, la grande sorpresa. Ho accettato l’invito della Zanzara anche per poter annunziare un lieto evento, che si spera fausto per tutta la popolazione cisalpina: la comunicazione ufficiale della nascita di Nazione Lombarda, di cui parlerò meglio nello scritto del soledì. Per questo, e chiaramente per l’ospitata, devo ringraziare la trasmissione, che mi ha permesso di parlarne. E pazienza per il consueto travaso di bile del povero David, molto avvezzo agli insulti e assai poco alle argomentazioni.
Credo valga la pena stendere una riflessione su quel che è stato il mio periodo italianista, o meglio, su ciò che mi spinse ad allargare lo sguardo etnonazionalista al contesto panitaliano (termine improprio, ma impiegato per capirsi), e lo faccio approfittando di un articoletto di un tizio coperto da pseudonimo e pubblicato, nell’aprile 2014, su Giornalettismo, testata online il cui nome è fin troppo eloquente.
Fu scritto, per l’appunto, all’indomani del mio cambio di registro nei confronti dell’Italia (intesa come “nazione” storica, non come stato ottocentesco o repubblica partigiana postbellica, beninteso; non avrei, comunque, potuto nutrire alcuna simpatia nei confronti della RI) e l’unico intento che animò l’anonima penna fu, ovviamente, quello di pigliarmi per i fondelli, considerando che l’inclinazione del giornaletto multimediale è quella del più banale pressapochismo antifascista e petaloso.
Di conseguenza, chi non si genuflette di fronte alla vulgata resistenzial-democratico-repubblicana, benedetta dagli americani (ossia dai paladini della sinistra italica ed europea), è un povero imbecille da guardare con compassione dall’alto in basso. E il nostro baldo orobico può, forse, fare eccezione, nella mente di cotanti intellettuali?
Il suddetto tizio mi sbrodolò addosso le consuete logore fesserie, da leggersi tra le righe: nazista da strapazzo, lombrosiano, caso umano, fenomeno da baraccone; altresì, ridicolizzando sia la primeva fase lombardista che la svolta italianista, ridusse ad una farsa opportunistica il passaggio dal lombardesimo all’italianesimo (così chiamato all’epoca), come se non fosse altro che una cialtronata di poco momento e non, piuttosto, il frutto di una approfondita riflessione, una sorta di maturazione (più che una conversione o, addirittura, un tradimento del prima lombardista, come l’individuo scrisse con assoluta leggerezza). A testimonianza della razionalità di questo articolo, comunque, ecco la perla: io sarei un tifoso laziale. Prego?
La sua “analisi” si incentrò su quanto di me noto tramite la rete, fra cui i documenti di cui ho già parlato in questo blog, ovvero l’intervista al Post e alle Invasioni barbariche.
L’anonimo si soffermò sulla mia passione per la razziologia considerandola alla stregua di ciarpame degno dell’astrologo giudeo Lombroso, mostrando grande ignoranza se si pensa che è la frenologia ad essere pseudoscienza, non la craniometria e la tassonomia delle razze e sottorazze umane, con relative varianti fenotipiche. Per non parlare della genetica delle popolazioni, che rimarca pure le note differenze tra “italiani”.
Illuminante, però, appare la chiusura del patetico scritto: «il nazionalismo che chiama in causa le aquile romane, pur declinato come etno-nazionalismo federale, ha invece tutt’altro sapore e non fa ridere come l’arianesimo orobico» – e ancora – «Una grande occasione d’intrattenimento persa e Sizzi che cade dalla padella alla brace». Capito?
Lo scopo dell’autore era palese: ridicolizzare e demonizzare l’area identitaria e i suoi protagonisti, soprattutto i più genuini e non corrotti dalla politica di professione, esprimendo ironico rammarico per l’abbandono delle posizioni lombardiste originarie; il soggetto sembrava più allarmato dall’aura fascistoide del cambio di rotta, minimizzando la portata dell’etnonazionalismo lombardo. L’insipiente non può che ridere (a denti stretti) di ciò che è per davvero rivoluzionario, palesando tutta la sua imbarazzante arroganza e ignoranza.
Alla lunga, come è poi avvenuto, l’esperienza italianista si è esaurita e ho preferito riabbracciare in toto, coerentemente, quanto da me teorizzato agli esordi, tornando ad affermare che se di Italia si può e, si deve, parlare va fatto riferendosi squisitamente al centrosud, ossia all’Italia primigenia. Lo capite che, se ci si dichiara nemici giurati del mondialismo, non è possibile indugiare oltre su posizioni che, involontariamente, diventano un servigio al moloc globalista: l’Italia artificiale in chiave 1861 non è altro che uno stato, non una nazione, e ripropone in piccolo la barbarie che il sistema-mondo pratica su vasta scala. Come non esiste una “razza umana” così non esiste una “razza italiana”: non si può combattere il nichilismo unipolare all’americana con quello in tredicesimi del tricolore.
Se per sette anni mi sono professato italianista (ovviamente secondo la mia visione: prima bergamasco e lombardo, poi italiano) è stato in assoluta buonafede, non per opportunismo. Gli argomenti di cui mi sono occupato e mi occupo sono pura passione, e non ho mai avuto la fregola del soldo, della poltrona, della carica o del posticino al sole. Ho sempre preferito cultura e metapolitica alla politica, anche solo come velleità .
C’è di buono che, con il periodo italiano, per così dire, mi sono dato una regolata, fors’anche per l’età . Nel 2014 avevo 30 anni, una crescita dunque, e ho cominciato da quel momento a lasciarmi alle spalle gli eccessi e i furori ideologici (non la coerenza e la radicalità , ovviamente), evitando di impelagarmi in ulteriori grane. Anche la soluzione etnofederalista voleva essere un equilibrio tra due posizioni estreme e poco pratiche: indipendentismo da una parte e fascismo dall’altra. Ma l’Italia come sacrale federazione indoeuropea e romana di piccole patrie non è, dopotutto, da meno, considerando che razza di stato abbiamo per le mani, e il gioco non vale la candela.
Al di là della politica e delle beghe fra centralismo, federalismo, autonomismo ed indipendentismo, infatti, la cosa basilare rimane l’identitarismo etnico, la salvaguardia di sangue-suolo-spirito, fermo restando che la Grande Lombardia merita appieno la totale autoaffermazione nei confronti di Roma e dell’Italia. Non si tratta di fantasticare – come facevo agli albori – di un nord celto-germanico “e basta” (manco fossimo inglesi o fiamminghi!), in ossequio a certo nordicismo neonazista, ma di contestualizzare le Lombardie nel quadro europeo centromeridionale, anello di congiunzione tra Mediterraneo e Mitteleuropa.
Non rinnego la fase italianista, così come non rinnego i primordi lombardisti, e se oggi posso gustare appieno, nella maturità dei miei quasi 40 anni, il lombardesimo è anche grazie a quei precedenti sette anni in cui tra meditazioni, riflessioni e studi ho fortificato la convinzione che ogni rinascita di orgoglio patrio deve necessariamente passare per la verità del sangue, la sacralità del suolo e la luminosità dello spirito. E, dunque, oggi più che mai affermo con convinzione che la mia patria è la Grande Lombardia.
Penso vi potrà anche essere un angolo dedicato alle disamine craniometriche, unito all’approfondimento antro-genetico, fermo restando che il fulcro delle dirette sarà comunque quello relativo al lombardesimo, sia in senso culturale che dottrinario. So che Twitch è una piattaforma diversa, rispetto al “Telegramma” e al “Tubo”, e bisognerà cercare di conciliare la divulgazione e la propaganda con il pubblico ivi presente, senza però snaturare l’opera sizziana. Credo sia una bella novità per tutti e staremo a vedere come si svilupperà nel tempo, lasciando un po’ di posto anche all’improvvisazione, per osservare il divenire di ciò che verrà mandato in onda. Ne approfitto di nuovo per invitarvi ad interagire concretamente, in maniera costruttiva (sebbene un po’ di goliardia non guasti), mettendo ad ogni modo in conto le incursioni dei soliti detrattori, ma fa parte del giuoco. Da ultimo un promemoria e un ringraziamento. Sto pensando a tre dirette settimanali, di cui una, fissa, alla domenica (soledì) sera, e le altre due a seconda degli impegni; la fascia oraria di riferimento è sempre 20-21. Avrò comunque occasione di essere più preciso nel prosieguo. E infine un sentito grazie a dei ragazzi lombardisti, molto giovani e in gamba, che oltre a sostenermi hanno contribuito, nel concreto, alla creazione e gestione di alcuni spazi. Dopotutto, il buon Sizzi è (quasi) un “boomer”.
Il 17 febbraio del 2020 (1-2 mesi prima del macello che sconquassò la Lombardia, segnatamente la Bergamasca) l’influencer, idolo dei semicolti e tipico ospite da salotto alla Fabio Fazio-so Roberto Burioni venne a cercare il sottoscritto su Twitter per digitare, in calce ad una mia foto in cui elogiavo – non senza un tocco di ironica provocazione – la qualità razziale donatami dalla natura, una trita corbelleria antifascista e antirazzista, smentita dalla stessa scienza che egli esalta. Il mio cinguettio originale, del giorno prima, era il seguente:
«Quando ammiro il mio cranio…»
Sul “Cinguettatore” ho sovente postato mie fotografie (o tavole craniometriche) con lo scopo di illustrare, fra il serio e il faceto, il fascino della disamina craniologica e antropometrica, aggiungendovi una sagace pennellata provocatoria, come in questo caso. Il tweet, dunque, voleva essere da una parte un’orgogliosa rivendicazione delle proprie origini biologiche (che ai popoli europidi, ai bianchi, è preclusa) e dall’altra una fustigazione di quel patetico cupio dissolvi che affligge il maschio bianco “cis-” eterosessuale (e normodotato), accusato dall’Occidente auto-genocida di essere il responsabile delle peggiori nefandezze.
Ma si sa, se il bersaglio è un “diverso” partono gli inni a Norimberga e piazzale Loreto, se invece è un “nazi” o un “fascio”, o più semplicemente uno che esprime dissenso nei confronti del regime woke, non c’è scrupolo petaloso che tenga, e il linciaggio mediatico diventa buono e giusto, sacrosanto. Questo deve essere stato lo stesso pensiero di alcune pagine Facebook antifasciste, gestite da illuminati semicolti ossessionati dall’analfabetismo funzionale (una delle tante idiozie alla Eco partorite dai reggicoda del sistema mondialista, per giustificare la svendita delle loro terga a chi, da oltre 75 anni, tiene per le gonadi l’Italietta dei Badoglio), che ripresero il commento di Burioni al mio tweet affermando che mi avrebbe “blastato”.
Ecco, anche l’imbecillità di tale termine ibrido (segnale della sudditanza e dell’imbastardimento dell’idioma di Dante a vantaggio della lingua della globalizzazione) la dice lunga sulla prostituzione ideologica dei castigamatti di regime, pupazzi piegati a 90° di fronte alle presunte autorità intellettuali e morali sulla cresta dell’onda, sommi sacerdoti del novello dogmatismo oscurantista: quello del pensiero debole. I gestori delle suddette pagine non si peritarono di dare in pasto alle torme di scalmanati omologati le mie parole e la mia immagine, a riprova di quanto la superiorità morale antifascista – liberale o progressista – sia una venefica menzogna, su cui si fondano intere istituzioni. Odiare ti costa? Sicuro, a meno che tu sia un pagliaccio variopinto.
Tra i livorosi commentatori di Twitter spiccarono alcuni tizi con tanto di profilo verificato (non si sa per quale ragione, visto che sono sconosciuti ai più, ma probabilmente la spunta blu – ante Musk – è una sorta di segno di riconoscimento tra caproni conformisti), su tutti Roberto Burioni, appunto, e Luca Bizzarri. Col secondo ebbi un protratto botta e risposta, ma i giullari del sistema non meritano qui ulteriore considerazione. Veniamo, piuttosto, alla scontata replica del fenomeno virologico di Pesaro, riportata qui sotto (e badate bene che nessuno l’aveva cercato, ne ha di tempo da sprecare, il narcisistico dottore):
Ipse dixit
Premessa: il Sizzi non è un antropologo, e uno scienziato, ma quando parla di razze sa ciò che dice, a differenza di quanto vorrebbe far credere il virologo vanesio prestato alla tuttologia, e venerato siccome feticcio dai contemporanei discepoli di positivismo e scientismo. Al personaggio altamente politicizzato, replicai che le razze umane (o meglio ancora sottospecie umane) esistono in quanto esistono i meticci; ergo, sussistono degli ecotipi originali di partenza. Del resto, fino a prova contraria, anche l’uomo è un animale e ad essere unica (dunque globalmente condivisa) è la SPECIE, non la razza. Roberto, passi le tue giornate ad esaltare la scienza e poi, tra le righe, difendi il concetto antiscientifico di “razza umana”? Andiamo!
Burioni, ovviamente, non replicò; il suo unico intento era quello di farsi un bagno di facili consensi, vellicando il proprio ego con la piaggeria delle larve di Twitter. Sarebbe stato interessante sentire la sua risposta, ricordandogli l’esistenza di farmaci specifici e diversificati a seconda della razza, e di malattie e disturbi tipici di alcuni gruppi razziali. Il nostro ha mai provato a curare l’ipertensione di un congoide con un ace-inibitore? O a somministrare statine ad alte dosi ad un mongoloide? Per non parlare delle intolleranze alimentari… Il ritornello antifa del “siamo-tutti-uguali” è una cialtroneria senza alcun fondamento medico-scientifico.
Curiosamente, il preclaro professore da social, nello stesso periodo in cui gettava alle ortiche il suo prezioso tempo per commentarmi (febbraio 2020, ricordiamo), minimizzava la portata del coronavirus irridendo chi indossava le mascherine e invocava severe restrizioni verso la Cina stigmatizzando la globalizzazione. Non scherziamo, ragazzi: il vero virus è il razzismo. In tempi più recenti, invece, dava dei sorci a coloro che non si vaccinavano e rifiutavano la certificazione verde, auspicandone la ghettizzazione permanente. Se gli araldi della cosiddetta comunità scientifica sono costoro è evidente che qualcosa, dopo il 1945, sia andato completamente storto. Mala tempora currunt.
Infine una nota di colore (no, non in senso sub-sahariano). La sera di quel 17 febbraio 2020, a coronamento della gigantesca canea suscitata dal mio cinguettio, poteva forse mancare la chiamata di Cruciani, supportato dal suo saltimbanco del cuore, lo scappellato Parenzo? La cosa più divertente è che, costoro, partono in quarta introducendo la telefonata con contumelie e derisioni, ma una volta che scatta il confronto in diretta inscenano il solito teatrino fatto di voci sopra la propria, urla, pollaio e uscite da bettola per far deragliare il discorso buttandolo in caciara. In questa occasione, a conferma della propria pochezza, arrivarono a chiudere in fretta e furia la chiamata sbattendomi il telefono in faccia. Una volta messi con le spalle al muro, consci dell’ennesima figura fecale confezionata col sottoscritto, un epilogo del genere è una comoda via di fuga*.
* Di tenore analogo l’ultima incursione zanzaresca, datata 27 gennaio 2023 (ma trasmessa ad inizio febbraio), reperibile sul “Tubo”. Oltre al consueto repertorio di cialtroneria assortita – di Parenzo non vale più nemmeno la pena parlare -, venendo a trattare di attualità e craniometria, va notato come il Cruciani, ogni volta, ami ricordare il mio infortunio giudiziario, sottolineando il reato (?) manciniano, di istigazione alla discriminazione razziale; peccato che la condanna verta, anzitutto, sul vilipendio del PdR, e poi sul razzismo. Sempre di ideologia e politica si tratta ma, moralmente, l’odio razziale, e dintorni, potrebbe apparire più riprovevole della lesa maestà . Ad ogni modo, meno male che il caro Giuseppe sarebbe un baluardo della lotta contro il ciarpame politicamente corretto e da cultura della cancellazione…
La prima settimana del dicembre 2019 fu piuttosto impegnativa, per il sottoscritto, essendo passato per ben tre interviste (si fa per dire) effettuate dai media di regime: due de La Zanzara di Cruciani e Parenzo e una ad opera del programma di La7 Piazzapulita. Qui parlerò, nello specifico, di quest’ultima.
Nel tardo pomeriggio di mercoledì 27 novembre 2019, mentre tornavo dal lavoro in macchina, mi trovai fra capo e collo un giornalista di Piazzapulita con un operatore, che praticamente irruppero in casa mia seguendomi alle spalle, essendo il cancello aperto. Fui preso alla sprovvista, così come mia madre che ritrovandosi due estranei in cortile (abito in un rustico villino del contado bergamasco) uscì allarmata per vedere che accadesse.
Capendo la situazione la signora, anziana e vedova, si spaurì, venendo colta da sconforto, e di fronte alla telecamera espresse tutta la sua preoccupazione e sofferenza per via della mia vicenda giudiziaria (condanna definitiva per “offesa all’onore e al prestigio del PdR”, Napolitano, e “istigazione alla discriminazione razziale”).
Dopo la scena patetica scatenata dall’intervento dei due figuri di La7 – che pensavo non venisse filmata e poi mandata in onda, avendo detto di non coinvolgere il genitore – decisi comunque di rilasciare un’intervista di un quarto d’ora circa, fuori dalla mia abitazione, in cui esposi il mio pensiero völkisch, la bontà della battaglia lombardista, la necessità di un “italianesimo” etnofederale (ero ancora nel periodo filo-italico) e la mia passione per l’antropologia fisica e la genetica delle popolazioni.
Pur comprendendo come il rischio del consueto taglia e cuci fosse concreto, decisi di affrontare la telecamera, nonostante tutto e tutti, e illustrai il mio punto di vista, anche in merito alle domande che mi venivano fatte. Si parlò di craniometria e craniologia, antropologia fisica, genetica delle popolazioni, di ebrei (Segre) e di Balotelli, del concetto di cittadinanza e nazionalità , di endogamia e altri aspetti emersi dalla mia visione del mondo, ripescando vecchi cinguettii di Twitter.
Terminato il filmato, in cui il Lasta si dimostrò chiaramente prevenuto, ignorante, partigiano e censore (ma visto l’esordio non poteva essere altrimenti), ecco il commento in studio di eminenti esperti di antropologia e genetica: Laura Boldrini, Arianna Ciccone, Valentina Petrini, Gennaro Sangiuliano (oggi ministro della Cultura) e un giovane sovranista meloniano, Francesco Giubilei. Conoscevo solo la Boldrini, che ovviamente può vantarsi di essere una gigantesca testa pensante in materia di sangue, suolo, spirito.
Orchestrati da Corrado Formigli, il conduttore, indeciso sul come classificarmi (scemo o futuribile criminale nazista), i presenti si produssero in tutta una serie di beceri luoghi comuni, conditi da insulti, continuando a mescolare il sottoscritto con neonazismo, neofascismo, suprematismo bianco, Hitler, Mengele e gente varia che fa della violenza o aizza a farla. Io ho avuto guai giudiziari, è vero, ma per mere questioni d’opinione; sicuramente, ai tempi, posso dire di avere un “tantino” sbarellato, ma non ho mai fatto il nazifascista della mutua o il suprematista alla lombarda, non ho mai propagandato odio, e tantomeno lo faccio ora!
Piuttosto infervorata la signora Ciccone, assidua frequentatrice del “Cinguettatore”, che voleva ridurmi alla stregua di personaggio folcloristico, cui non dare alcuna visibilità , preso per i fondelli da tutti: tutti chi, scusate? I guitti antifascisti di Twitter, probabilmente, quelli che si vantano di essere democratici e liberali ma poi fanno le crociate per bannare e sospendere in perpetuo, dimostrando come dietro le “prese per il culo” vi sia comunque una grande paura per tematiche spinose e poco simpatiche come etnonazionalismo, antropogenetica e razzialismo, che sono inesorabili pugni nello stomaco al pensiero unico fucsia e al mondialismo, con le loro perversioni.
Il “simpatico” Formigli insistette dandomi del povero scemo, e dimostrando una grandissima profondità intellettuale e capacità di analisi, mentre quella Ciccone continuò a minimizzare riducendomi al rango di macchietta senza alcun peso ed importanza; in entrambi i casi stiamo parlando di ignoranti abissali che nulla sanno di ciò di cui mi occupo, e nulla sanno di antropologia, di genetica, di etnonazionalismo, però parlano, parlano e dicono un mucchio di corbellerie, assieme al Giubilei che prende le distanze da me difendendo il suo triste partito sovran-sionista, oggi al governo tricolore, amante della Repubblica Italiana, della costituzione e di tutta la chincaglieria partigiana, dicendo che il suo capo, la Meloni, nulla ha a che fare con l’etnonazionalismo. E meno male, diamine!
La trasmissione intendeva stigmatizzare l’esistenza dei “nazisti del web” – per cavalcare ridicole polemiche qualche mese più tardi spazzate via dal coronavirus – ma, in tutta franchezza, è stata solamente la messa in onda di una sceneggiata indecente e spoetizzante in cui una persona, io nella fattispecie, viene linciata senza contraddittorio sparando nello spazio le più pacchiane banalizzazioni e strumentalizzazioni, senza, ripeto, entrare nel merito della vera questione che è la salvaguardia dell’identità e della tradizione di un popolo, di una comunità , in tempi di globalizzazione galoppante che non lascia spazio all’orgoglio etno-razziale. Quella stessa globalizzazione che poi cagionò una pandemia. Ma si sa, “il vero virus è il razzismo” (citazione di qualsivoglia fesso liberal).
Qualcuno, a caldo, mi disse che avrei fatto meglio a non farmi intervistare; il problema è che il servizio, questi, lo avrebbero fatto comunque, e se li avessi cacciati a malo modo avrei dato l’idea del tizio che si spaventa ed evita di parlare, esprimendo il suo dissenso al regime. Io approfitto delle situazioni propizie per divulgare il messaggio etnonazionalista, che si costruisce anche sulle basi biologiche e, mi pare evidente, la figuraccia la fanno questi tristi e omologati giornalisti proni alla volontà dei tecnocrati antifascisti, giornalisti che non sanno nulla, non sanno di cosa uno parli, tentano di mettergli in bocca cose mai nemmeno pensate e fanno della retorica cosmopolita da quattro soldi.
Il discorso relativo al baraccone di Formigli può essere fatto anche per le due chiamate di Cruciani (che mi aveva già contattato nel giugno del 2015), dove lui e Parenzo si dimostrarono i veri fanatici intolleranti, ignoranti come caproni, che più di insultare, coprire la voce dell’interlocutore con le proprie, e buttare in gazzarra discussioni molto profonde e degne di attenzione, non possono fare. Fra l’altro, anche qui, solito lavoretto di taglio e cucito, senza dare lo spazio che merita alla basilare questione del sangue. Naturalmente, il loro programma radiofonico è quello che è, fatto di satira, provocazioni e inflazioni, ma non sarebbe male cercare di confrontarsi seriamente evitando, ad ogni piè sospinto, di aggredire verbalmente a vuoto, senza che, peraltro, vi sia da parte di chi parla (il sottoscritto) arroganza, presunzione, protervia. Io cerco solo di propagare il messaggio etnonazionalista, che ovviamente si avvale anche della scienza per corroborare i propri principi.
Da ultimo, una precisazione: circolava una bufala secondo cui io avrei detto, in merito all’argomento Liliana Segre, che: «I campi di sterminio sono una fandonia come l’11 settembre»; questa affermazione mi è stata attribuita da un giornalista di Repubblica, Piero Colaprico, che si è basato su questo commento Facebook (il primo), postato da un tal Daniele (cognome cancellato), collegandolo, non so in che modo, al sottoscritto. Come mai non mi stupisce che un simile sfondone (a quanto pare in malafede) provenga da uno che scrive su quel giornale? Si prendono un po’ troppe libertà questi soggetti, dall’alto della loro inesistente superiorità morale…
Su YouTube potete reperire le tre interviste in oggetto. Lascio giudicare a voi il taglio giornalistico (se di giornalismo si può parlare, beninteso) assunto da questi personaggi, e se qui il problema vero sia io o, piuttosto, la dittatura dell’imperante pensiero unico/pensiero debole che si serve di cervelli succubi e bacati incapaci di animare individui per davvero liberi. Il dispotismo reale sta nell’antifascismo e nella sua macchina del fango, produttrice di leggi liberticide, giustificate da una presunta superiorità sinistroide e/o liberale, e di prodotti “culturali” affetti da faziosità cronica, dove i buoni e i belli sono i complici della tirannia globalista mentre i cattivi e i brutti tutti quelli che si sottraggono alla vulgata di questa fosca temperie occidentale (contemporanea).
Nel giugno del 2015 ricevetti la prima telefonata (ne seguiranno altre 4 fra 2019 e 2023, tutte quante reperibili su YouTube) da quei due guitti de La Zanzara (nota trasmissione radiofonica demenziale in onda su Radio24), Giuseppe Cruciani e David Parenzo. Avrei potuto benissimo sbattergli il telefono in faccia – pur non conoscendo bene il programma, all’epoca – ma la tentazione propagandistica è sempre troppo forte. E credo sia giusto affrontare il dibattito, anche a costo di venir irriso da minus habentes come quelli (il che, comunque, è un’attestazione di stima involontaria, visti i soggetti).
La loro chiamata era dovuta alla curiosità suscitata dalla craniometria, un interesse che coltivo da anni in qualità di amatore, nel più ampio contesto dell’antropogenetica, ma che nella testa di personaggi del genere (o dell’itaglione medio) sembra qualcosa di lombrosiano o nazista. Oltretutto, chissà come si procurò il mio numero, il duo romano-ebraico…
Cari amici, che cos’è la craniometria, scusate? Non è altro che una diramazione della più vasta branca antropometrica, una disciplina scientifica che tratta delle misurazioni del corpo umano (del cranio e dello scheletro, soprattutto) per scopi archeologici e antropologici, perno dell’antropologia fisica (o razziologia, ma tale termine so che provoca forte prurito nei benpensanti).
La craniometria, misurazione del cranio, si ricollega alla craniologia, vale a dire allo studio del cranio umano ai fini antropologici ed etno-razziologici. Tutto ciò, tengo a precisare, con Lombroso e la sua frenologia (o la fisiognomica) non ha nulla a che vedere. La craniometria è scienza, la frenologia è astrologia. Chiaro il concetto?
Detto questo, non è che il sottoscritto sia un antropologo o uno scienziato, ma ha una passione per l’antropologia fisica (così come per la genetica delle popolazioni, pur non essendo un genetista), e dunque per l’approfondimento delle conoscenze riguardo la biodiversità razziale umana.
Ovviamente è uno studio da integrare, per forza di cose, con la suddetta genetica delle popolazioni ma che, evidentemente, agli occhi di gente come Cruciani o Parenzo suona poco più che una barzelletta. Beata ignoranza: costoro volevano far fare la figura dello scemo al sottoscritto ma, irridendo anche solo il concetto di ‘aplogruppo’, si sono tirati la classica zappa sui piedi. Chiunque può cercare informazioni su quanto sto dicendo ora (e che ho sempre detto più e più volte sui vari blog) e può così verificare se sia io ad essere “da ambulanza” (cit. Cruciani) o loro da asilo infantile. Io sono solo un appassionato, ma genetisti del calibro di Cavalli-Sforza, Piazza, Barbujani, Boattini, Francalacci, Cruciani (omonimo del conduttore), Boncinelli, Sazzini, Caramelli, Raveane, Sarno ecc., solo per rimanere sugli italofoni, non credo meritino di vedere sputacchiato il proprio campo scientifico d’indagine da due saltimbanchi.
La realtà “italiana”, fra le altre cose, è una delle più studiate al mondo, in fatto di genetica, per via della sua ben nota diversità etnica che le dà un aspetto alquanto eterogeneo, così peculiare da non avere eguali in Europa. E non solo in senso nord-sud ma anche ovest-est, per non parlare del caso sardo e delle varie minoranze.
Per carità , la trasmissione radiofonica incriminata, La Zanzara, è un tripudio di cattivo gusto e cialtroneria dove uno come Parenzo fa la parte del… leone, ma ogni occasione è buona per parlare di antropologia e amore per le proprie radici, con relativo studio approfondito in campo sia fisico che genetico.
Quanto dai due mandato in onda è stato il consueto taglia&cuci (l’intervista è durata 5-6 minuti, in cui ho parlato di svariate questioni) ma, francamente, ribadisco che la figura degli imbecilli l’hanno fatta Cruciani e Parenzo. Io mi sono limitato, senza sbottare per cadere nei loro tranelli e far la figura dell’idiota fanatico, a parlare brevemente di craniometria/craniologia e genetica, argomenti che come sapete ho affrontato con dovizia sui miei spazi virtuali precedenti, e che continuo a fare su Lombarditas.
La misurazione del cranio è assai ricorrente presso archeologi, paleontologi, anatomopatologi, medici forensi, ricercatori antropologici e fino a che non è stato un reato (per gli antirazzisti) parlare liberamente di razze e loro studio antropologico e fisico, a livello accademico, fior fior di autori se ne sono avvalsi per spiegare al meglio la differenziazione tra gruppi razziali umani (per citarne qualcuno ricordiamo Broca, Boas, Ripley, Lapouge, Deniker, Sergi, Livi, Biasutti, von Eickstedt, Hooton, Coon, Günther, Lundman, Baker, Schwidetzky, Knussmann). Tra l’altro, va detto che l’antropologia fisica è una disciplina scientifica e si studia nelle università (a Bologna e Ferrara, ad esempio), e a questo proposito va fatto il nome dell’accademico fiorentino Brunetto Chiarelli, tuttora in vita.
Peraltro, se teniamo conto di antropologia fisica e genetica, più che di sottorazza, oggi come oggi, conviene parlare di fenotipi, e la craniometria di cui tratto io (le misurazioni, le tassonomie, l’inquadramento etnico e geografico) non è altro che questo. Le sottorazze vere e proprie, infatti, riguardano le suddivisioni geografiche della razza caucasoide e delle altre, caratterizzate dai vari tipi fisici regionali.
Sulla rete c’era un interessante calcolatore per caucasoidi (Racial analysis calculator) messo a punto da Dienekes Pontikos, personaggio greco noto anche per lo studio della genetica delle popolazioni (vedi il Dodecad Project); una versione pensata per i maschi e una per le femmine. In mancanza di craniometri, e di altri strumenti professionali, era un valido supporto per avere una classificazione indicativa circa il proprio fenotipo, basandosi sui punti craniometrici.
Non essendo più online appare superfluo parlarne, ma la misurazione andava effettuata correttamente, utilizzando strumenti come calibro, morsa, riga rigida, bindella, compasso, squadra metallica e il responso prodotto andava messo in relazione con il supplemento fotografico dell’opera fondamentale di Coon The Races of Europe, che potete ancor oggi trovare qui. Il sito in oggetto, sebbene di taglio nordicista, è una fonte assai preziosa di informazioni, e potete reperirvi tantissimo materiale interessante, tra cui un utilissimo glossario, tavole, mappe e la bibliografia del caso.
Un altro sito alquanto degno di nota è Human Phenotypes, frutto dell’eccellente lavoro di un utente tedesco un tempo presente sull’antro-forum The Apricity (che, tra le altre cose, mi classificò come “southern Celt“, ossia Atlanto-Mediterranid + North Atlantid, da intendersi come il Keltic Nordid di Coon).
Con il calcolatore razziale di cui sopra ho misurato me stesso e pochi altri individui, ma come capirete, o saprete, chiunque poteva misurarsi e misurare per avere un responso di massima circa la propria natura sub-subrazziale. Ovviamente, alle misurazioni va unita l’osservazione antroposcopica (e la conoscenza, dunque, dei raggruppamenti razziali umani) e la già citata genetica delle popolazioni.
A questo proposito vi inviterei a farvi un bel test dell’ADN, che reputo soldi ben spesi se una persona ha a cuore l’approfondimento del proprio lignaggio. Ai tempi (2013), io e il mio “giro” lombardista ci testammo con 23andMe, ottimo ed economicamente abbordabile per avere una prima infarinatura, circa il proprio genoma. Stesso discorso per Living DNA e MyHeritage. Come ulteriore approfondimento, per chi volesse, ci sono anche AncestryDNA, FTDNA e Full Genomes, per citare qualche test.
Studiare, anche solo per passione, le razze umane è semplicemente amore per le proprie radici e per la biodiversità , e non è nulla di sbagliato, di criminale, di razzista o di folle, con buona pace di chi irride, con arrogante ignoranza, le discipline – scientifiche – che si occupano della questione.
Veniamo alla famosa intervista rilasciata a Le invasioni barbariche di Daria Bignardi, andata in onda il 13 aprile 2012 su La7, di cui, credo, potete trovare ancora qualche spezzone su YouTube.
Reperirete, probabilmente, anche le immancabili parodie seguite alla pubblicazione di alcuni miei datati video propagandistici, forse un po’ pittoreschi essendo vecchia scuola (quelli in primeva camicia plumbea, per capirsi), ma non mi crucciano: fanno parte del gioco, e state tranquilli che non ho fregole liberticide, a differenza della Repubblica Italiana (che fa rima con “colonia americana”).
Anche in questo caso, come nell’intervista de il Post, dissi cose contenute in questo blog, sebbene in modalità più “rozza”, e quindi è inutile ripeterle: si parlò di me, della mia storia, della mia famiglia, della mia formazione, delle mie idee, dell’allora Movimento Nazionalista Lombardo.
Sarei dovuto andare in onda il 20 gennaio 2012, durante la prima puntata delle Invasioni, su La7, ma per tutta una serie di problematiche logistiche slittai all’ultima, quella del 13 aprile, che fra le altre cose si occupava dei famigerati scandali leghisti relativi a Belsito, al “Trota” Bossi e Rosi Mauro che portarono alle dimissioni di Bossi senior e alla smania di repulisti incarnata da Maroni, il segretario della Lega Nord subentrato al genio di Cassano Magnago. Successivamente, Maroni divenne governatore della Pirellonia (la Regione Lombardia) e al suo posto venne eletto l’uomo della (finta) svolta, Matteo Salvini.
Piccolo inciso: ma mentre la Lega andava a passeggiatrici, grazie al “cerchio magico” ausonico stretto attorno all’Umberto (e capeggiato dalla sua seconda mogliettina per metà sicula), Maroni e Salvini dov’erano? Veramente non sapevano nulla?
La puntata della trasmissione in oggetto si concentrò anche sugli umori della base padana e sulla voglia di “identità ” dei “militonti” leghisti, traditi dai loro magnogreci dirigenti/digerenti, al che si inserì la mia intervista.
In studio con la Bignardi, tale Michele Serra Errante (un nome un programma), giornalista sud-italiano (ovviamente) di Repubblica che ama farsi gli affari nostri – nostri di noi lombardi – pontificando sull’italianità di cartapesta e sul padanismo con un sarcasmo piuttosto untuoso e patetico.
Tre ore di riprese condensate in pochissimi minuti, in cui il girato originale si alternava a stralci del mio video di presentazione del vecchio canale YouTube dei Lombardisti. Il filmato finale risultò così essere una “demonizzazione” del sottoscritto, con tanto di musichetta lugubre e di Hitler sbraitante in sottofondo.
C’è da stupirsi che La7 di De Benedetti abbia deciso di presentarmi così? Assolutamente no, era prevedibile e difatti decisi di affrontare il rischio, conscio comunque dell’esposizione mediatica e della pubblicità gratuita, per me e pel movimento lombardista. Valgono, insomma, gli stessi ragionamenti fatti per la precedente intervista a il Post. Bisogna osare, signori miei, altrimenti possiamo anche lasciar perdere di fare (meta)politica e di portare la nostra rivoluzionaria testimonianza, in questo mare di conformismo tricolore e, quindi, mondialista.
Le tragicomiche iniziarono quando, al termine dell’intervista taglia&cuci, la radical chic Bignardi chiese al buon compagnuccio Serra sue impressioni circa il sottoscritto. L’enotrico sputasentenze, con un’espressione tra il sorpreso e l’imbarazzato stampata in volto, si produsse allora in considerazioni banali, scontate, infantili, che qualunque attivista da cesso sociale poteva rilasciare.
Il tizio si lasciò andare alle seguenti esternazioni:
«bisogna essere drastici con uno come questo» – “questo” ha un nome, ma stai forse istigando?;
«uno può inventarsi le identità che vuole» – ha parlato il trombone itaglione, per dirla alla Oneto, difensore dell’italianità posticcia e dell’anti-identità mondialista;
«ogni identità su base etnica è razzista» – ecco il solito benpensante ignorante che confonde la razza con l’etnia e che reputa l’identità null’altro che un documento rilasciato dallo Stato senza nazione (peraltro, il razzismo cosa c’entra?);
«bisogna che qualcuno gli vada a dire, affettuosamente ma fermamente, che dice puttanate» – paternalismo misto a pacchiana prosopopea, da suprematismo sinistrato con tanto di trivialità ben poco “signorile”, ne abbiamo, Serra?;
«il razzismo non è un gioco» – non sono razzista, caro Michele, e chi gioca, surriscaldato dagli applausi pilotati e dalla compiacente Bignardi, sei tu vecchio mio;
«sangue e suolo producono morte, paranoia, follia» – a parte il fatto che nel video mandato in onda non parlavo di sangue e suolo – avranno mica imbeccato un sapientone come te, Michele? – vogliamo trattare di tutto il criminale degrado prodotto da oltre 75 anni di repubblica partigiana, atlantista e democristiana? Tutto produce morte, paranoia e follia comunque, se interpretato da menti malate, ma non devo certo farmi carico io dell’assistenza sociosanitaria “nazionale”;
«ha la camicia bruna, poverino anche lui» – il poverino sei tu, la camicia era grigio piombo, mettiti gli occhiali;
«il simbolo (la Croce lombardista, NdA) ricorda pateticamente il nazismo» – a parte la confusione della ruota solare, volgarmente detta “celtica”, con la croce uncinata nazionalsocialista, vogliamo dire, o Serra, quanta morte e distruzione produssero la Rivoluzione francese e i tuoi amati “liberatori” americani, assieme agli zelanti tirapiedi partigiani di ogni colore (in particolar modo i traditori rossi al soldo dei titini) o a quelli della Brigata Ebraica, che poi finirono nelle file degli aguzzini israeliani?;
«qualche adulto gli dovrebbe dire che sta dicendo cose imbecilli e pericolose, inaccettabili» – ed ecco ancora la sciocca paternale democratica di chi non ha alcun titolo per farla, come se per forza di cose il bamboccio fossi io (all’epoca ventisettenne) e non, piuttosto, i giovani reggicoda del regime antifascista fossilizzato nei liberticidi reati d’opinione e di vilipendio delle istituzioni tricolori. Cosa c’è di più infantile del seguire il sentiero battuto, acriticamente, magari indicando come soluzione l’emigrazione di massa verso la Babilonia americana o i “civili” Paesi nordici? Ma l’adulto chi sarebbe, poi? Uno come l’Errante Serra?
Il soggetto terminò sparando a zero sulla Lega Nord, dicendo che essa ha fallito il suo obiettivo che era quello di fare la Padania e i padani mentre il padanismo non è che identità di pochi imposta a molti.
Chi, oltretutto, ha imposto qualcosa agli altri sono proprio coloro che hanno creato il baraccone ottocentesco italiano, fregando decine di milioni di persone a tutto vantaggio di una sparuta minoranza di maneggioni massonici (sul libro paga dei forestieri), quindi non fatemi venir da ridere. Non lo dico certamente per difendere i legaioli, sia chiaro, dato che si sono spensieratamente adattati alla temperie della capitale dell’Italia etnica (cioè “Roma ladrona”).
Serra e i suoi epigoni, da indefessi democratici, concepiscono l’Italia come un mero staterello senza sangue e senza suolo, aperto a cani e porci e in vendita al miglior offerente mondialista, e ci può anche stare, capiamoci, se la intendiamo come “unica famiglia dalle Alpi alla Sicilia”, appiattita sulla linea della statolatria di marca giacobina e antifascista.
La vera Italia è il territorio centromeridionale, e solo laggiù uno Stato unitario italiano potrebbe avere un senso; in caso contrario, allargando l’italianità a terre che italiche e italiane non sono mai state, non si può che ottenere la contemporanea repubblica-canaglia del tricolore, entità multietnica inevitabilmente – per coerenza cosmopolita (dunque apolide) – schierata dalla parte della globalizzazione e dei nemici della sovranità nazionale dei veri popoli storici.
Ai Michele Serra di turno parlare di identità va bene solo ed esclusivamente quando si tratta di popolazioni del terzo mondo, da strumentalizzare abilmente per gli scopi cari agli idoli della sinistra progressista occidentale: gli americani, preferibilmente in stile Obama.
Il concetto contemporaneo di democrazia non è altro che una forma di sudditanza, della politica dell’arco parlamentare, in favore della plutocrazia e dell’alta finanza il cui obiettivo è annientare le radici delle genti estirpandole e bruciandole con l’infernale fuoco anti-identitario e anti-tradizionalista, che alimenta l’odio mondialista delle moderne dittature finanziocratiche basate sulla debolezza del pensiero unico. I politici? Camerieri lautamente ricompensati al servizio dei potenti e degli intoccabili.
Il concetto artificiale di italianità è odioso e insopportabile, prevede una massa amorfa di cittadini che sono “italiani” sulla base di un pezzo di carta burocratico, o quando si tratta di pagare esorbitanti tasse (in cambio di servizi da sottosviluppo) e strisciare muti obbedendo al padrone internazionalista di Roma.
L’italianità può essere un concetto vivo e guizzante se applicato alla sua reale sfera etnonazionale, che è quella toscana, còrsa, mediana, siculo-ausonica, maltese, altrimenti diventa il moloc che ancor oggi ci fa scannare senza alcun vantaggio per nessuno, o meglio, per i nostri parassitari nemici.
Tutte cose che fanno un male cane a quelli come Serra e colleghi che difendono Stati e non nazioni, e che gli fanno letteralmente perdere le staffe al punto di insultare, frignare e volgarizzare con termini da bar sport le sacrosante ragioni identitarie dei lombardi e di ogni vero popolo d’Europa.
Nell’estate del 2011, in piena temperie lombardista dei primordi, rilasciai un’intervista ad un giornalista indipendente, che poi la fece avere al noto quotidiano online sinistroide (e filo-americano) il Post, che la pubblicò il 12 luglio dello stesso anno. All’epoca avevo 26 anni e la fregola un po’ narcisistica di atteggiarmi a personaggio, il che può aver in parte inflazionato la bontà del messaggio che volevo comunicare, e in cui ho sempre creduto: la fondamentale importanza, soprattutto in una temperie globalista, di difendere a tutti i costi identità e tradizione.
A quei tempi, essendo stato esponente del Movimento Nazionalista Lombardo, avevo tutto l’interesse di farmi pubblicità , sfruttando vari canali, e poco mi importava di come potevo venire raffigurato agli occhi dell’amorfa massa antifascista; del resto, il gioco di questa gente è quello di rappresentare gli identitari come pazzoidi e casi umani, è così da tempo: chi va contro la vulgata mondialista merita il pubblico ludibrio, una cosa che comunque ha anche i suoi vantaggi.
Personalmente ho sempre messo nome, cognome e faccia per diffondere ciò in cui credo, ed è quello che dovrebbe fare ogni patriota, per concretizzare la resistenza al sistema globale e globalizzante. Delle scomposte reazioni dei conformisti poco me ne cale; non mi ha mai preoccupato il giudizio altrui, pur riconoscendo di avere, in diverse occasioni, esagerato calcando la mano. Eccessivo zelo giovanile.
Naturale che gli avversari si occupino di te in maniera ferocemente critica o canzonatoria. Ma, se ti prendono in considerazione, vuol dire che, a tuo modo, fai pensare e in un certo senso fai anche paura ai benpensanti, e lo dimostra il fatto che sono stato sotto processo e condannato per ridicoli reati d’opinione (vilipendio del PdR e istigazione all’odio razziale, a mezzo blog).
La satira fa parte del gioco – sebbene il sottoscritto non sia certo un potente – e a differenza dei presidenti della Repubblica italiani non sono permaloso. A patto che non mi si diffami, ovviamente.
Le manifestazioni isteriche dei media, e del pubblico coi paraocchi in genere, sono sintomatiche dei riti apotropaici che la società buonista ancor oggi inscena per esorcizzare i fantasmi del passato, a dimostrazione che, nonostante il mare di ciarle retoriche con cui le istituzioni ci sommergono, non è affatto vero che la gente abbia sviluppato gli anticorpi necessari per combattere il “fascismo” e il “razzismo”. Di conseguenza, si ripescano tematiche di ottant’anni fa per far guardare da un’altra parte, sparigliando le carte in tavola col fine di impedire di capire dove stia il bene e dove il male.
Nel luglio di una decina di anni fa, quindi, previo accordo telefonico, si presentarono a casa mia due tizi per intervistarmi e scattare qualche foto nell’agro brembatese (superiore), in cui felicemente vivo e che ha naturalmente condizionato la mia formazione. Nell’intervista, nonostante il cambio di registro e di prospettiva su alcune cose (maturando è giocoforza), dicevo ciò che potete leggere su questo blog; al netto di qualche esagerazione esibizionistica, io sono quello che emerge dall’articolo, al di là delle idee politiche: una persona rustica, schietta, genuina, vera, terragna, proba, fortemente attaccata al proprio sangue, al proprio suolo, al proprio spirito.
Signori, è ovvio: il giornalismo italiano (parlo dei media di regime) cerca di presentarti come un caso umano, lo scemo del villaggio, uno a metà strada fra un matto e un buffone, ma forse non lo sappiamo? Per questo dovremmo nasconderci e darci all’anonimato? Giammai, e ben vengano queste occasioni – a patto che non siano trappole – che permettono di esporci e di dire la nostra facendo valere le nostre ragioni. Spesso smentendo il prevenuto che ci troviamo davanti. Dipende, tuttavia, dalla serietà e dall’onestà dell’interlocutore: nei casi che vedremo nei prossimi articoli i giornalisti, se così possono chiamarsi, si sono dimostrati pessimi.
Superfluo dire, altresì, che io non sia un pazzo, un criminale e un cultore della violenza e quindi chi mi accusa di cose simili la fa fuori dal vaso, in cattiva fede, per portare avanti la sua patetica agenda di servo. C’è, infatti, la tentazione di dipingere l’etnonazionalista o il sovranista, il tizio di “estrema destra” insomma, come un pericolo pubblico, sulla scorta di qualche caso di cronaca d’oltreoceano (una realtà che nulla c’entra con l’Europa).
Ad ogni modo, l’intervistatore si mostrò gentile e ben disposto nei miei confronti, e devo dire che, nonostante qualche errore di trascrizione e qualche confusione, ha riportato fedelmente, nell’articolo, quanto ho avuto modo di dirgli all’epoca. Capiamoci: questo giornalista non era nella maniera più assoluta un mio ammiratore o un sostenitore della causa etnicista, anzi, e non era nemmeno neutro; la sua inclinazione antifascista era evidente (altrimenti dubito che il Post gli avrebbe pubblicato il pezzo).
L’intervista riguardò la mia biografia, il passaggio all’etnonazionalismo radicale come conseguenza del distacco dal cattolicesimo e dal pensiero cristiano, il Movimento Nazionalista Lombardo, la Weltanschauung sizziana e la passione per il sangue, il suolo e lo spirito, declinata anche in chiave antropologica e culturale.
Il titolo dell’articolo, “Non ho mai visto il mare”, nacque dalla mia dichiarazione di non essere mai stato in località marittime (pur avendo visitato Venezia nel 2004) e potrebbe celare qualche piccola malignità da apericena antifascista dell’autore, della serie: «Questo è un disadattato con l’apertura mentale di un talebano». In realtà , quel che volevo dire era che non ho mai vissuto il mare, e non ne sento il bisogno, essendo un lombardo coi piedi ben piantati per terra e amante di laghi, campagne, colline e montagne della mia patria. Naturalmente, il mare bagna anche la Grande Lombardia (Liguria, Romagna, Venezie) ma il suo nucleo etnico è squisitamente di terraferma.
In altre parole, alludevo alla mia idiosincrasia nei riguardi di quella mentalità italiana stereotipata incentrata su ‘o sole e ‘o mare; il mondo marittimo non fa parte della cultura e dell’esperienza padano-alpine, così come non fa parte della cultura alpina in genere. Ciò non toglie che, un domani, possa visitare le terre granlombarde o europee bagnate dai mari. Ma, di sicuro, non ho una mentalità “da spiaggia” e i miti melodrammatici e petalosi del “mare-che-apre-la-mente” e del “mare-che-unisce-i-popoli” mi provocano prurito alle mani.
La mia visione è un handicap? Direi proprio di no. Io so nuotare e non ho paura dell’acqua, ma al mare preferisco i miei fiumi, i miei laghi, le mie pozze orobiche alpine, i miei torrenti dagli antichi nomi indoeuropei. Anche questo è identitarismo.
Ma il mare (inteso come Mediterraneo), notoriamente, è anche il simbolo del relativismo, dell’annientamento, dell’annullamento dell’individuo tra i flutti del nichilismo contemporaneo, e di un certo libertinaggio promiscuo ed edonista che vuole estirpare la moralità della tradizione per travolgere i popoli col conformismo, e dunque lo sprezzo o l’indifferenza per ogni vero valore degno di essere vissuto sino in fondo.
Non odio e non temo il paesaggio marino concreto, quello che riguarda le coste della stessa Grande Lombardia; stigmatizzo il “mare mentale”, null’altro che il dilagante nulla che invade la scatola cranica della moderna gioventù europea occidentale, e respingo lo stereotipo meridionaleggiante che vorrebbe tutti gli “italiani” appiattiti sul modello caricaturale del “terrone”.
Altro discorso è la sfera dei rapporti interpersonali, soprattutto col gentil sesso. Al giornalista dissi di non essere mondano, di non frequentare luoghi di divertimento di massa e di avere poche amicizie, preferendo la cultura alla “perdizione”; all’epoca (più di dieci anni fa) ammisi anche di non aver mai avuto relazioni concrete, snobbando l’idea del matrimonio in favore di un improbabile “sacerdozio laico e pagano del lombardesimo”. In questo passaggio sottolineai, in maniera fin troppo enfatica, la necessità di rieducare le masse lombarde, anche per prendere le distanze dalle fissazioni dei ventenni occidentali standardizzati.
Di acqua sotto i ponti ne è passata, da allora, e alla luce della vita vissuta e dell’esperienza maturata di sacerdozi, di qualsiasi forma, non voglio sentir parlare. Non ostenterò mai il mio privato (famigliare, sentimentale, lavorativo), coinvolgendo terzi, ma sarò ben felice di dare il mio contributo alla causa demografica, qualora ve ne siano le condizioni. Non ho mai vissuto la questione come un’ossessione.
Se è l’identitario ad evadere questi diventa nemico pubblico numero uno, se invece lo fa qualche scrittore “illuminato” è un atto d’amore per la cultura (quale?), e così ogni capriccio radical chic diventa una moda da imitare.
Nella nota intervista alle Invasioni barbariche (2012), di cui parlerò successivamente, dissi di ritenermi, provocatoriamente, un «disadattato volontario». Nella misura in cui ripudio le schifezze moderniste anti-identitarie e anti-tradizionaliste, lo confermo in pieno ancor oggi: non mi sento figlio di questi tempi di… buona donna, e non mi conformo in maniera supina agli usi e costumi occidentali, che hanno ridotto gli europei a larve che vivacchiano cibandosi della spazzatura proveniente dalla pattumiera transoceanica.
Le onde del mare globalista, mondialista, pluralista, multirazzialista, relativista e nichilista che ci vogliono travolgere ed inghiottire, si infrangono sugli scogli della natura dura e pura e della ferrea volontà socialista MA nazionalista. Ovviamente in accezione etnica: il patriottismo italiano tricolore non è coerente nemico del cosmopolitismo, essendo l’inesistente Italia dalle Alpi alla Sicilia – realtà multinazionale – sottoprodotto di una temperie culturale giacobino-massonica che teneva in non cale sangue e suolo.
Ho esordito come autore di blog sulla fine di agosto del 2009, in qualità di lombardista della prima ora. Titoli “storici” degli spazi da me gestiti Il Lombardista, Longobardo Tiratore, Paulus Lombardus e un blog recante il mio nome, precedente al famoso Il Sizzi dell’esperienza etnofederalista (chiuso per fare spazio a Lombarditas, collocazione virtuale definitiva del pensiero sizziano).
I siti lombardisti primigeni sono stati eliminati nel tempo (per via della persecuzione di cui divennero vittime) ma i contenuti culturalmente valevoli, trattati precedentemente, confluiscono nell’attuale spazio su cui sto scrivendo, riveduti e aggiornati.
Ammetto tranquillamente che quanto scrissi in passato (ormai una dozzina d’anni fa), per quel che concerne il lato ideologico, fu spesso viziato dall’eccessivo zelo propagandistico col risultato di vergare diverse castronerie che si sono tramutate in un boomerang: sulla base di alcuni articoli scritti fra il 2009 e il 2010 sono stato condannato in primo grado ad un anno di reclusione e sei mesi di lavori socialmente utili per “istigazione alla discriminazione razziale” e “offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica”, con sospensione della pena respinta per non si sa quali motivi. La sentenza è stata confermata in appello e in Cassazione e ora dovrò svolgere un anno di affidamento in prova ai servizi sociali.
Interessante notare come gli esponenti politici che commettano vilipendio (mi vengono in mente Bossi, Grillo e Storace, sempre in relazione a Napolitano, peraltro) non finiscano nei guai. Insomma, siamo alle solite, paghi solo se sei un comune cittadino che non conta nulla.
In tutto questo, mi sto ancora chiedendo dove siano le mie vittime visto che un reato, per essere tale, si presume ne abbia: deve fare del male a qualcuno o danneggiare qualcosa, direi. La verità è che i reati ideologici/politici (per di più a mezzo internet) non ledono niente e nessuno, mentre l’iter giudiziario – che dura ormai da ben 13 anni e rotti, e già questa è una pena – danneggia chi si espone con idee politicamente scorrette (sequestro di costoso materiale informatico o telefonico pulito, disagi famigliari, ricadute sociali, spese legali e processuali e via dicendo). Ripeto: ho sicuramente sbagliato nei toni, in certi contenuti, nello stile ma trascinare una persona in tribunale, finendo nel penale, per degli affari simili è decisamente spropositato, così come la pena che mi è stata inflitta. Forse qualcuno pensa realmente che io sia un criminale?
Sarebbe interessante conoscere anche le motivazioni di chi mi denunciò in blocco nel 2009, ossia gli studenti della sinistra universitaria bergamasca con la compartecipazione di un dirigente dell’ateneo, ma l’esito è scontato: l’antifascismo – che crede di aver vinto, 80 anni fa circa, una guerra – si proclama moralmente superiore a tutto e tutti, senza rendersi nemmeno conto di come sia divenuto, a sua volta, una dittatura. Chi si sottrae a questo regime diventa un reprobo da punire severamente; non solo, anche da esporre, periodicamente, al pubblico ludibrio indicendo campagne d’odio mediante gogna social. Se lo fanno i “fascisti” è un “attentato alla democrazia”, se lo fanno lorsignori è una “doverosa opera di sensibilizzazione socioculturale”.
Chi mi segnalò alla questura di Bergamo sapeva benissimo che non sono un soggetto pericoloso, ma la bava alla bocca della sinistra verso tutto quello che non coincide col suo assolutismo relativista (un ossimoro che rende bene l’idea dei “valori” progressisti) è risaputa, e così i tanto odiati “sbirri”, sputacchiati e spernacchiati durante le manifestazioni, vengono però invocati a gran voce e blanditi quando si tratta di dare la caccia ai “fascisti”, e si tramutano in eroi. Ci sarebbe anche da riflettere su come la magistratura raramente sia espressione del territorio lombardo, ma questo riguarda le annose magagne concorsuali e l’estrazione etnica peculiare di chi lavora nel pubblico impiego in generale.
Gli antifascisti si credono tanto superiori ma hanno bisogno dei reati ideologici per mettere fuori gioco gli avversari. Gli piace vincere facile insomma, incuranti del fatto che ‘censura’ faccia rima con ‘paura’. Coloro che sporsero denuncia contro il Sizzi (per ragioni ideologiche, ripeto), senza nemmeno affrontarlo a viso aperto, non sono certo migliori di lui.
La Lega, in uno dei rari momenti di lucidità della sua dirigenza, anni fa raccolse firme proprio per abolire la legge Mancino, ma non se ne fece nulla. Qui, nell’Europa schiavizzata dalla Ue, più si va avanti e più spuntano come funghi leggi atte a stroncare il dissenso e il politicamente scorretto: le “mancinate”, il vilipendio di pezzi di stoffa giacobini e massonici, l’offesa alle cariche istituzionali come fossero intoccabili emanazioni divine, il negazionismo, l’omofobia, il sessismo, l’antisemitismo e l’antisionismo, i deliri in stile ddl Zan.
Credo che uno Stato bisognoso di inventarsi queste cose sia un’entità fragile e timorosa, incoerente coi suoi dogmi liberali e democratici. Che senso ha perseguitare e reprimere delle semplici idee, arrivando a rovinare chi le professa? Di cos’hanno paura a Roma?
Il problema della Repubblica Italiana è che è uno Stato senza nazione, in quanto espressione politica volta a rappresentare un popolo inesistente: l’italiano in senso artificiale, dalle Alpi a Lampedusa. L’Italia è schiava dell’atlantismo e questi sono i risultati; sanzionare idee, opinioni, libera espressione della gente comune è il pegno della sudditanza tricolore ai “vincitori” e ai (presunti) valori occidentali, che sono modellati sui capricci statunitensi.
Riconoscendo di aver, a suo tempo, sbarellato su alcune questioni (ma ero comunque ventenne) mi auguro che di leggi simili non ve ne sia più bisogno e possano venire abrogate, e che, se da una parte chi manifesta pubblicamente le proprie idee sappia farlo in maniera civile e razionale, dall’altra possa farlo in santa pace, senza l’angoscia di ritrovarsi la digos all’uscio il giorno dopo.
Ebbene sì, signori, dopo dieci anni esatti Paolo Sizzi è tornato sul “Tubo”, aprendo un canale in cui si occupa di divulgazione culturale all’insegna del lombardesimo e della lombardità . Assieme a ciò sono anche sbarcato sul “Telegramma” inaugurando, parimenti, un canale in cui pubblico settimanalmente dei video, cioè gli stessi proposti su YouTube. In quest’ultima piattaforma mi trovate come Il Lombardista mentre su Telegram il canale è denominato come il blog da cui scrivo, Lombarditas. Mi auguro di fare cosa gradita a quanti sentivano la mancanza in video di chi scrive, e a tutti coloro che possono essere interessati a queste nuove avventure. Sino ad ora ho reso pubblici 6 filmati: uno di presentazione sul “Tubo” (con la versione bergamasca) e quattro sul “Telegramma”, e vedrò di portarmi in pari. Il giorno d’elezione della realizzazione è il saturdì/sabato, sull’esempio dei vecchi tempi, ma la condivisione sulle reti sociali viene posticipata al lunedì sera.
Se una decina di anni fa lo scopo era la propaganda politica e ideologica, relativamente al Movimento Nazionalista Lombardo, oggi mi voglio occupare principalmente di divulgazione, acculturazione e trattazione lombardista in chiave etnoantropologica, riservandomi di pubblicare, più avanti, qualche video di contenuto metapolitico e dottrinale. Il mio punto di vista, ovviamente, non è del tutto neutro, perciò è evidente come si possa intuire l’ideologia etnonazionalista ed indipendentista; tuttavia, si vuole cercare di dimostrare che, al di là della politica, le Lombardie hanno tutte le carte in regola per dirsi comunità nazionale, patria e insieme di popoli omogenei affratellati da un comune passato. Il vecchio canale fu chiuso con la cessata esperienza dell’MNL, ma devo dire che riscosse un discreto successo, che spero di eguagliare e superare.