Etnonazionalismo, antidoto al ciarpame ottocentesco

Purtroppo, nel 2025, l’accezione di patriottismo e nazionalismo riguarda l’esaltazione di patrie, nazioni fasulle, che non sono altro che stati, meri e vuoti contenitori plasmati dalla temperie sette-ottocentesca giacobino-massonica. Francia, Italia, Spagna, Belgio, Germania, Regno Unito, Romania, ex Iugoslavia ecc., con le loro belle bandierine artificiali, ci ricordano cosa voglia dire volgarmente “nazione”, in età contemporanea: un’entità politica, del tutto priva di sangue e suolo, tenuta assieme da quella untuosa religione civica che si rifà alla Rivoluzione francese, e prima ancora alla nefasta epoca dei “lumi”. Dunque, nulla a che vedere col reale concetto di patria, bensì un sinonimo erroneo di stato-apparato, proprio come quelli sunnominati, basati fondamentalmente sullo sciagurato esempio della Parigi rivoluzionaria (e dell’altrettanto sciagurata parabola napoleonica).

Il lombardesimo, l’etnonazionalismo lombardo/cisalpino, abbraccia invece la visione del mondo völkisch, battendosi per riaffermare il vero significato di nazione: un insieme di popoli compatibili e omogenei, accomunati dalle medesime radici biologiche e culturali, riuniti in un unico territorio patrio e animati da un condiviso sentimento d’appartenenza, che passa per le diverse sfaccettature di identità e tradizione. Per dirla con Carlo Tullio-Altan epos, ethos, logos, genos, topos. La Lombardia storica, teorizzata e difesa dai lombardisti, si appoggia su questi pilastri etnici, sull’ethnos dunque, perché a differenza dell’Italia attuale è una vera e propria nazione, per quanto dormiente e dallo spirito comunitario sopito, da rivitalizzare.

I granlombardi, cioè i veri lombardi, sono etnia, popolo e nazione. Hanno dalla loro tradizioni, usi e costumi, folclore; spirito e mentalità, che hanno forgiato una civiltà storica senza pari; una grande famiglia linguistica – galloromanza cisalpina – esemplarmente rappresentata dal prestigio del milanese classico; profilo antropogenetico, basato su aspetto fisico, fenotipico, e realtà genetica più e più volte approfondita dal pensiero lombardista medesimo; un sacro suolo natio, che corrisponde allo spazio geografico padano-alpino che, a sua volta, racchiude l’intera nazione lombarda.

La distorta idea di italianità, oggi intesa fantozzianamente dalle Alpi alla Sicilia (andando a ricalcare un’assurdità imperialista antico-romana), non ha niente da spartire con la genuina nazionalità, e quindi con l’identità di sangue, suolo, spirito e, non a caso, si confonde con la statolatria repubblicana, e prima ancora monarchica e fascista, che ha eretto a feticcio un organismo statuale che è la brutta copia della Francia giacobina. Il tricolore italiano stesso, per quanto nato in Padania, è il calco slavato di quello francese, nato come scimmiottatura concepita dai nostrani reggicoda del Bonaparte. Essere italiani, in senso corrente, significa semplicemente avere un pezzo di carta che lo afferma.

Pertanto, l’Italia contemporanea, molto semplicemente, come nazione è del tutto inesistente, un mero ente burocratico suddito dei potentati internazionali e sovranazionali. Credere che idioma di Firenze, romanità di cartapesta e religione cattolica possano bastare per poter blaterare di “fratelli d’Italia” è pura demenza. Sono dell’avviso, tuttavia, che l’Italia in un certo senso esista, a guisa di realtà etnonazionale, vale a dire come dimensione identitaria peninsulare (dall’Appennino toscano alla Calabria) che comprende anche Corsica e Sicilia, isole italiche e italo-romanze. Solo in questo senso non diventa ridicolo parlare di Italia unita, poiché si resta nel seminato patriottico legittimo e razionalmente giustificabile. Ma al di fuori di ciò, ogni tipo di retorica patriottarda merita soltanto pernacchie, in quanto sottoprodotto di un’epoca storica che di realmente identitario e tradizionalista non aveva alcunché.

Federalismo, autonomismo, regionalismo: la scelta del lombardesimo

Il lombardesimo crede fortemente nell’unità della nazione cisalpina, dal Monviso al Nevoso, dal Gottardo al Cimone. Esso ha un’ottica etnonazionalista e portando avanti l’ideale indipendentista ritiene che i popoli della Grande Lombardia non debbano disperdere le proprie energie fomentando campanilismi e regionalismi. È chiaro che all’interno della Padania vi siano identità secolari a cui le genti sono particolarmente legate, ma oggi dobbiamo cercare di unire gli sforzi ed esaltare quanto ci unisce, nel nome dei nostri padri celti, gallo-romani, longobardi, lombardi medievali. Siamo tutti lombardi, anche al di fuori dello spazio etnico del bacino padano, e ogni plaga granlombarda rappresenta una parte fondamentale della nostra nazione.

Il leghismo, negli anni ’90 del secolo scorso, ha proposto a più riprese diversi modelli di decentramento, senza mettere realmente in discussione l’impianto romano della Repubblica Italiana. Vero, nella fase secessionista sembrava di essere di fronte ad una svolta ma se pensiamo a come il tutto si sia poi sgonfiato, venendo riassorbito dal centrodestra berlusconiano, capiamo bene che il celodurismo bossiano sia stato soltanto una farsa propagandistica, anche se alla Lega Nord possiamo riconoscere il merito di aver posto, seppur confusamente, una questione “padana”. Secessionismo, federalismo, autonomismo, devolution… Le varie tappe della lotta, reale o presunta, al centralismo italiano hanno proposto delle soluzioni politiche sempre mirate al libertarismo, anche in seno alla Padania.

Bisogna partire dal presupposto che con Roma non si deve scendere a patti, e la Lega fece questo errore, finendo triturata e assimilata dall’organismo italico, in tutto e per tutto. Un partito schiettamente cisalpino deve badare alla Padania, non all’Italia, e quindi battersi sul proprio territorio. Ma già la soluzione secessionista fu una sceneggiata, e partiva da un’idea mendace: secessione è una parte che si stacca da un ente ritenuto unitario, dunque una parte di una nazione, mentre la Grande Lombardia non è affatto il nord dell’Italia. Si deve dunque parlare di indipendenza, non di secessione, perché si tratta di liberarsi da Roma e dall’Italia, entità forestiere.

Reputo, altresì, l’autonomismo inutile, perché nessuna realtà padano-alpina merita autonomie rispetto alle proprie sorelle, altrimenti si scatenerebbero poco proficue liti e inimicizie. Noi lombardisti crediamo in un modello cantonale, blandamente federale su alcuni punti, che sia l’ossatura amministrativa di una repubblica presidenziale unita, etnonazionale, comunitaria, senza più enti regionali espressione di identità fasulle. La vera identità è quella panlombarda, che poggia sugli orgogli comunali di origine medievale, e che si fa espressione concreta delle nostre radici: liguri, reto-etrusche, celtiche, venetiche, galliche, gallo-romane, longobarde.

Federalismo? Solo se inteso come una forma mitigata che conceda delle blande autonomie su taluni argomenti, all’interno della realtà cantonale. Niente più regioni, come detto. Soprattutto niente soluzioni alla svizzera, perché la Confederazione Elvetica non è una nazione, mentre la Grande Lombardia sì. Il credo lombardista è più favorevole ad una soluzione centralista, che federalista, perché quest’ultima diverrebbe dispersiva, mentre la nostra nazione ha bisogno di unità, coesione, forza. Non si tratterebbe più della multietnica Italia. Di sicuro, anche per tale ragione, il lombardesimo si distacca dal leghismo, poiché decisamente etnonazionalista e votato all’esaltazione razionale di sangue, suolo, spirito, a partire dalla Lombardia etnica. Lombardia etnica che è il fulcro naturale, il cuore, della nazione grande-lombarda.

L’etnostato granlombardo come rinascita dell’identità cisalpina

La Grande Lombardia indipendente che noi lombardisti abbiamo in mente, verrebbe degnamente rappresentata da un etnostato cisalpino fondato su sangue, suolo, spirito. I principi völkisch sono basilari nell’ottica lombardista, ed ispirerebbero anche, come è logico che sia, la natura e la struttura dell’entità statuale volta ad incarnare l’ideale sistema politico granlombardo. Non più stati-apparato ottocenteschi, e cioè finti organismi nazionali del tutto privi di fondamenta etniche, bensì compagini amministrative e governative che rispecchino la natura antropologica, biologica e identitaria del popolo granlombardo. Una soluzione politica inedita, nel quadro dell’Europa contemporanea ordinata (si fa per dire) sulla scorta di criteri giacobini, e dal puzzo massonico, perciò meritevole di attuazione.

L’Italia, finta nazione figlia della Rivoluzione francese, è uno stato plasmato integralmente dalla sovversione valoriale giacobina: egualitarismo, umanitarismo, cosmopolitismo, laicismo progressista, internazionalismo, anti-identitarismo, anti-tradizionalismo, a detrimento delle vere nazioni imprigionate dalla Repubblica Italiana. Il concetto di nazionalità viene sacrificato in nome di quello asettico di cittadinanza, che è privo di radici etniche e riguarda banalmente la convivenza civile tra popoli disparati (e allogeni). Non a caso, Risorgimento e “resistenza” si pongono in ideale continuità, all’ombra di una bandiera – il tricolore – che non riflette nulla di identitario e tradizionale, e scopiazza il più noto vessillo francese.

L’etnostato granlombardo, naturalmente presidenziale, comunitario e blandamente federale (a livello cantonale), darebbe finalmente un volto politico alle aspirazioni völkisch del lombardesimo, contrapponendosi al corrente concetto di democrazia, null’altro che prostituzione antifascista all’alta finanza apolide, ai mercati, alla rapacità del capitalismo americano. Il popolo cisalpino è al centro di tutto, e la veste ideologica giacobino-massonica non fa per esso, poiché prodotto di una temperie culturale nemica delle vere nazioni, che ha sfornato infatti realtà pseudo-nazionali quali Francia, Italia, Belgio, Germania, Spagna, Regno Unito e così via, sdoganando, oltretutto, la presenza giudaica su suolo europeo. Per non parlare dell’ordinamento sette-ottocentesco conferito ai “Paesi” extraeuropei, che non a caso emana fortore di loggia.

Il lombardesimo ha le idee chiare, in materia di rappresentanza politica, e rifiuta tutto quello che si pone in antitesi a identità, tradizione, razza, poiché fiero avversario del mondialismo e dello status quo postbellico. Il pensiero lombardista non è monarchico, come non è teocratico o clericale, perché non indugia nel parassitismo antinazionale (soprattutto se ispirato a religioni esotiche come il cristianesimo); il concetto di nazione è moderno ma il 1789 lo ha pervertito rendendolo schiavo dell’ottica cosmopolita, antifascista, antirazzista, e proprio per questo l’etnonazionalismo, grazie al sacrale binomio di sangue e suolo, ha il potere di dargli il giusto significato: la nazione è l’emanazione identitaria e tradizionale della comunità di popolo, basata, pertanto, su elementi biologici, etnici, antropologici animati dallo spirito di appartenenza e dalla coscienza culturale (di lingua, ad esempio) e civile che affratellano genti consimili, e compatibili. La cittadinanza deve coincidere con la nazionalità, quella vera, sennò è spazzatura progressista.

Oggi, nazione e stato si confondono, per colpa del giacobinismo e dell’antifascismo, e anche della degenerazione liberale, e i più credono che l’Italia contemporanea sia, appunto, una realtà nazionale, quando non è altro che un apparato statale e burocratico. Ha senso parlare di Italia se intendiamo il centrosud, e cioè l’Italia primigenia riordinata da Roma, mentre, in caso contrario, si fa soltanto sciocca violenza alla vera identità dei veri popoli, come il lombardo. Gli elementi pseudo-identitari su cui si fonda la moderna italianità sono il fiorentino letterario, la religione cattolica e un’idea pasticciata e approssimativa di romanità, talché – idioma a parte – mezza Europa dovrebbe essere considerata italiana. Noi lombardisti intendiamo rimettere ogni cosa al suo posto, battendoci per l’autoaffermazione di una nazione reale (per quanto sopita), quale la Lombardia, e ponendo fine alle ambiguità e ai drammatici equivoci generati dai philosophes e dal braccio politico dell’Illuminismo, la “rivoluzione” borghese.

La gentilità: alle radici dell’Europa

Ormai il punto di vista lombardista sulla questione religiosa e metafisica è chiaro: la linea ufficiale è l’etno-razionalismo, e cioè l’unione di etnonazionalismo e razionalismo, poiché la patria viene prima di ogni cosa, e la ragione è il faro che ci deve guidare lungo il cammino della nostra esistenza. Il lombardesimo crede fortemente nel valore della natura, della scienza, della razionalità, inquadrando lo spirito come dato umanistico e culturale di un popolo, frutto dell’unione comunitaria delle “anime” degli individui, e concependo una forma di materialismo assennato, al netto delle esagerazioni giacobine, che metta al centro di tutto il valore del sangue e del suolo, dunque di etnia e razza.

Il lombardista reputa la religione fatto alquanto secondario, e non intende perdersi in dispute circa l’aria fritta e il sesso degli angeli. Tendenzialmente, l’ottica è dunque atea e/o agnostica, distaccandosi comunque dalle posizioni squallide e banali del relativismo e del progressismo, ed è chiaro che l’etno-razionalismo riassuma alla perfezione la nostra visione del mondo, laica ma non laicista in senso “acido”. Detto questo, come già avemmo modo di affermare, nulla ci impedisce di simpatizzare per i veri culti tradizionali dell’Europa, che sono quelli pagani, assai preferibili al monoteismo semitico che ha generato lo stesso cristianesimo. Comprendiamo i bisogni spirituali che il popolo lombardo potrebbe avere – per quanto una rieducazione atea sia l’ideale -, e per tale ragione sosteniamo una soluzione gentile.

Il paganesimo ci parla della più intima essenza del nostro continente, dei nostri padri, della genuina identità indoeuropea che anima le nostre nazioni. A differenza del giudeo-cristianesimo, o dell’islam, esso ha una stretta connessione con il sangue e il suolo – e per noi questo elemento è basilare – e ripudia le fole universaliste, egualitariste, umanitariste. Solo il paganesimo può essere un accettabile mezzo spirituale, che assecondi le mire del lombardesimo e contribuisca a rafforzare il credo e la fedeltà alla Grande Lombardia, una terra ariana le cui radici celtiche, gallo-romane e longobarde depongono a favore del culto primigenio.

Siamo d’accordo: la nostra identità è anche cristiana, cattolica, e certamente abbiamo ereditato un importante patrimonio culturale e spirituale dall’evangelizzazione. Tuttavia, il cristianesimo non coincide con gli obiettivi del nazionalismo völkisch, e resta pertanto un corpo estraneo, incistato nell’Europa, volto all’adorazione di un inesistente dio ebreo, del suo sedicente figliuolo e di un mondo profondamente alieno all’ethos indoeuropeo. Per quanto la religione di Cristo sia rimescolata con elementi di origine pagana, è inutile prendersi in giro: essa è un prodotto del Medio Oriente, sorella di giudaismo e maomettismo.

Alla luce della matrice ebraica, della vocazione universalistica, e della natura parassitaria della Chiesa (lo avremo alfine imparato, dopo circa 2.000 anni!) è d’uopo recidere il nefasto legame che ci congiunge ai culti del deserto, anche per via di una morale da masochisti che mortifica la solarità ariana e gli attributi eroici della prisca Europa. Il cristianesimo? Incompatibile con etnonazionalismo e lombardesimo, sebbene radicato nel nostro territorio. Ma, pur non sposando una traiettoria anticristiana in chiave empia, siamo dell’idea che il cattolicesimo vada abbandonato, considerando, oltretutto, la mortale connessione con Roma, sostituendolo, per chi ne senta l’esigenza, col paganesimo. I lombardi possono soddisfare, grazie alla riscoperta e alla rinascenza della gentilità, l’ipotetica sete di spiritualità, e il lombardesimo può contare su di un valido alleato etnicista che non tradisca mai la patria. La religione, mero prodotto culturale dell’uomo, diviene tollerabile soltanto se promuove la coscienza patriottica e comunitaria, e non mostra vincoli di sorta con un pensiero estraneo alla schietta civiltà aria.

L’eredità indoeuropea, patrimonio fondamentale dell’Europa

Un serio identitarismo etnico europeo non può che essere debitore del retaggio ariano, dove per ‘ariano’ intendiamo il mondo indoeuropeo, nella sua accezione biologica, anzitutto. Un discorso che vale anche per il lombardesimo, il nazionalismo etnico cisalpino che, giustamente, esalta razionalmente le radici arie dei lombardi: Celti, Romani, Longobardi, ma pure Liguri e Veneti. L’indoeuropeismo è un dovere morale per tutti noi, poiché siamo in debito coi nostri padri indoeuropei e abbiamo il diritto e l’obbligo di onorare al meglio la peculiare, inestimabile, eredità etnoculturale. Non possediamo soltanto lignaggio indoeuropeo, ma certamente gli Indoeuropei sono coloro che hanno plasmato la nostra civiltà e che, in parte, hanno contribuito al relativo patrimonio antropogenetico.

E in questo senso l’eredità ariana riguarda anche territori extraeuropei (si pensi al mondo iranico e indiano e, parzialmente, caucasico, mediorientale, centroasiatico), con cui dovremmo intrattenere rapporti amichevoli, parallelamente all’edificazione dello spazio euro-siberiano. La razza bianca, cioè europide, non potrebbe esistere senza Indoeuropei, sebbene il loro apporto vari da regione a regione europea. Come lombardi abbiamo, in termini genetici, un discreto contributo steppico (relativamente, cioè, ai pastori-guerrieri del mondo Jamna e kurganita), che si riflette parimenti nell’aspetto fisico. Siamo decisamente caratterizzati dall’elemento celto-ligure/gallico, e “italico” (lato etrusco-romano), ma non va trascurato il superstrato germanico.

E, d’altra parte, essere di lignaggio indoeuropeo comporta il possesso di un bagaglio identitario che va dalla lingua alla civiltà, dalla spiritualità all’indole, dall’identità etno-antropologica al folclore. In tutto e per tutto risentiamo profondamente del lascito ariano, che rivive in noi, sebbene distratti e spesso indifferenti rispetto al culto delle radici e delle origini. Ed è un gravissimo errore, poiché carattere e mentalità, come li abbiamo ereditati dai padri, devono contraddistinguere l’azione culturale, metapolitica e politica, soprattutto oggi, in un mondo che quotidianamente ci lancia delle sfide decisive. E vale pure per i lombardi.

Il lombardesimo è nettamente schierato dal lato dell’indoeuropeismo, grazie a cui anima le proprie battaglie ideologiche. Lo spirito celeste e solare degli Arya si riflette potentemente sull’ideologia lombardista, che si definisce comunitarista, etnicista e razzialista; e la nostra stessa identità, l’identità lombarda, fa comprendere appieno quanto la lezione del glorioso passato ario-europeo arrivi sino a noi, e vada preservata e, chiaramente, tramandata ai posteri. Ne va del nostro patrimonio etnonazionale e tradizionale che, come accennato, non potrebbe esistere senza il retaggio indoeuropeo. E allora l’indoeuropeismo non deve essere una pagliacciata o una mascherata da cialtroni, ma quella linfa vitale etnica e culturale che scorre nelle vene padano-alpine ed europee in maniera decisiva.

Credo che proprio oggi sia doveroso riscoprirsi indoeuropei, e agire di conseguenza. Come lombardi, popolo a cavaliere fra Europa centrale e Mediterraneo, abbiamo certo meno lignaggio ario rispetto ai popoli puramente continentali; nondimeno, esiste un modesto elemento – anche nordico – che ci smarca dall’Italia etnica e dalle altre lande dell’Europa genuinamente meridionale, e di cui dobbiamo andare fieri. E non per millantare fratellanze celto-germaniche con genti del Nord Europa, ma per far valere la nostra identità e la rispettiva diversità, che certamente risentono del lascito ariano e, come detto, pure nordico. Dove nordicismo e indoeuropeismo, sovente, vengono a coincidere.

Chi è lombardo?

Il lombardesimo è una dottrina che ha particolarmente a cuore, chiaramente, l’identità lombarda, tanto da giungere a definire chi, effettivamente, può dirsi lombardo. Vi sono due scuole di pensiero, per così dire, all’interno dell’ideologia lombardista, una sizziana e una seconda fatta propria dal movimento Grande Lombardia e che appare più moderata rispetto alla prima. Secondo i criteri di Paolo Sizzi, è lombardo chi ha almeno i 4 nonni biologici, ovviamente europidi, cognominati alla lombarda e la cui residenza in Lombardia risalga almeno al 1900. Secondo quelli di Grande Lombardia, comunque assai affini ai sizziani, è lombardo chi ha almeno 2/4 famigliari cisalpini e altri 2/4 europei, presentando aspetto genetico pienamente bianco.

Sizzi si concentra maggiormente sull’aspetto squisitamente padano-alpino, lasciando intendere che il soggetto non deve avere origini esotiche, pensando soprattutto a popolazioni europee periferiche (come i sud-italiani) ma prima ancora agli allogeni veri e propri, che con l’Europa non hanno nulla a che vedere. In tale ottica possono essere tollerabili blandi apporti di genti compatibili con i lombardi, e in questo senso la mente corre a quelle alpine, francesi, tedesche centromeridionali e nord-italiane (vale a dire corsi e toscani). Escludiamo dal novero le genti incompatibili, come per l’appunto gli stessi ausonici. Va da sé che qui non si parli di razzismo o discriminazione, ma semplicemente di compatibilità, data da elementi biologici, antropologici, culturali. La dignità dell’essere umano non è messa in forse.

Il “problema” delle popolazioni europee più periferiche è quello di avere contributi genetici esotici, anche recenti, che andrebbero a diluire l’aspetto genomico schiettamente europide. Ma si tratterebbe anche di ragioni culturali, linguistiche, antropologiche, e cioè di un etnicismo – rispettoso, ad ogni modo, della genetica – mirato alla preservazione della schiatta alpino-padana, oggi dissanguata dalla meridionalizzazione (in senso italiano) e dal contributo di alloctoni provenienti da ogni dove, anche e soprattutto da aree extraeuropee. Abbiamo il diritto e il dovere di conservare il sangue lombardo e l’etnia lombarda, così come la civiltà nostrana; questo discorso viene sempre fatto per le popolazioni del sud del mondo, ma perché non dovrebbe valere anche per noi? O forse i lombardi e gli europei sono meno meritevoli di tutela e autodifesa etnica?

Vi è poi il pensiero ufficiale di Grande Lombardia, associazione vicinissima a Sizzi, che ha un’impronta certamente più pragmatica e realista, e più razzialista che etnicista. Secondo il movimento, come dicevamo poco sopra, può essere considerato lombardo chi ha almeno un legame di 2/4 con la Padania e, dunque, almeno un genitore lombardo; l’altro genitore, tuttavia, deve essere geneticamente europeo, facendo comunque trasparire che non tutte le popolazioni europee possano essere considerate alla stessa stregua, visto che ne esistono di periferiche (come l’Italia meridionale) il cui statuto antropogenetico è per certi versi ibrido. Lo ius sanguinis, insomma, deve coniugarsi allo ius soli, possibilmente in chiave lombarda, ma ci potrebbero anche stare delle sfumature tollerabili, frutto dei tempi che stiamo vivendo.

Grande Lombardia ha una visuale più moderata, tenendo soprattutto conto della situazione dell’Europa occidentale, che fra immigrazione e abbandono del tradizionalismo (con particolare riguardo alla condizione della donna contemporanea) presenta un quadro drammatico che compromette, spesso e volentieri, la possibilità di una scelta endogamica al 100%. Pertanto, in tal senso, la cosa basilare è conservare almeno metà del patrimonio lombardo, senza comunque sperperarlo con unioni per davvero miste. Tutto ciò perché la definizione della lombardità va di pari passo con la necessità della riproduzione tra simili, in una Cisalpina sommersa dagli allogeni, soprattutto sud-italiani, e priva quasi del tutto di coscienza patriottica panlombarda. Ma pure razziale.

50) No alla droga

Lotta spietata, soprattutto a livello culturale, contro il commercio e lo spaccio delle droghe di qualsiasi tipo. Far capire ai giovani che l’effimero stato di euforia ha ripercussioni devastanti sulla loro salute, causando al contempo l’arricchimento di criminali senza scrupoli, è fondamentale. Sempre in ottica di tutela del benessere individuale e collettivo, predisposizione di forti incentivi contro il tabagismo. Responsabilizzazione sul consumo di alcol: le bevande alcoliche sono parte della nostra cultura (la coltivazione della vite ha anche plasmato il nostro paesaggio) e non sono problematiche se consumate moderatamente, ma l’abuso va assolutamente evitato. La questione relativa al contrasto di commercio, spaccio e consumo di droga è un dovere legale e morale che lo Stato deve assumersi, sia per sradicare questa piaga criminale che per educare i giovani, indirizzandoli lungo la retta via. Ma noi lombardisti siamo contrari anche al fumo, un pessimo vizio che corrompe l’uomo, in tutti i sensi, e al consumo di cibo spazzatura: l’uno e l’altro sono pure fonte inesauribile di guadagno da parte di lobby e multinazionali.

La nostra lotta alla perversione non riguarda soltanto le sostanze: infatti, siamo altresì ostili alla prostituzione e alla pornografia, così come all’ipersessualizzazione della società, e dunque al vizio che distorce e snatura il sesso portando i giovani e le giovani alla rovina (anche in questo caso a tutto vantaggio di cricche poco raccomandabili). La condanna lombardista verte, soprattutto, sui sordidi intrecci del commercio carnale con la delinquenza, e basti pensare, in tal senso, alla tratta sessuale di donne allogene e alla pedo-pornografia. C’è anche da dire che l’erotizzazione, senza per forza di cose andare a parare nella criminalità, produce effetti riprovevoli e deleteri in termini di mercimonio del corpo femminile – ancorché, sovente, del tutto voluto dalle ragazze, come novella moda virtuale – e di corruzione dei costumi da parte di ambo i sessi. È necessario dunque riscoprire comportamenti virtuosi, il che non significa bigotti e sessuofobici, che destinino l’intimità alla cornice delle relazioni sane tra uomo e donna, pensando anche alla necessità di rinsanguare l’esausta fertilità padano-alpina. Superfluo dire che parliamo di tutto questo in chiave eterosessuale; tutto il resto, in quanto devianza, non può essere contemplato.

49) Eugenetica

Consentire l’adozione spontanea di alcune piccole misure eugenetiche a fini preventivi (si sottolinei, preventivi) e terapeutici. Non esistono vite degne o indegne di essere vissute, biologicamente parlando, ma i comportamenti responsabili volti al benessere della comunità sono servigio di carattere sociale e patriottico. Occorre rivalutare la riapertura dei manicomi (anche criminali) o di altri istituti specifici per gestire soggetti problematici, asociali, inabili, onde evitare ricadute che impattino sull’armonia della collettività nazionale. Siamo possibilisti, inoltre, di fronte ad aborto ed eutanasia, qualora intrapresi per il bene soprattutto comunitario. Un’altra emergenza da gestire, sebbene non riguardi la Lombardia direttamente (ma indirettamente, dati i flussi migratori massicci, sicuramente sì), è quella relativa al tasso di fertilità del sud del pianeta, che ha raggiunto livelli insostenibili: urge, pertanto, una perentoria politica di controllo delle nascite, anche per tutelare l’ambiente medesimo. La natalità esorbitante del terzo/quarto mondo è una vera e propria bomba demografica, che va disinnescata il prima possibile, date le ricadute negative sulla stessa Europa, approdo di una marea di disperati. Oltretutto, lo ribadiamo: l’immigrazione di massa non risolve problemi, li crea, pure agli stessi migranti, e di fronte alla miseria imperante non sarebbe il caso di riprodursi senza posa.

Tornando all’eugenetica – termine, mi rendo conto, che può ingenerare spiacevoli fraintendimenti -, c’è da dire che il lombardesimo non vuole assolutamente misure drastiche e amorali, o coatte, ci mancherebbe, ma soltanto atteggiamenti responsabili dei futuri genitori, di fronte all’opportunità di accurati controlli volti alla salute della progenie. Chiaramente parliamo di adozione spontanea, per quanto caldeggiata, il che significa che una coppia può tranquillamente decidere, ad esempio, di dare alla luce un figlio handicappato, pur sapendo che la donna porta in grembo un feto disabile, o deforme. È un argomento estremamente delicato, e non vogliamo certo entrare a gamba tesa in decisioni che, peraltro, non ci riguarderebbero (da un punto di vista esterno). Ma, allo stesso tempo, non vediamo nulla di male nel promuovere – in maniera naturale – una coscienza patriottica che punti all’integrità preventiva della stirpe, anche perché l’invalidità è una condizione dolorosa, per i malati e i famigliari. Il malato non è la malattia ma, bando all’ipocrisia, sappiamo bene quanta sofferenza comporti una vita resa ostica da handicap. Una cosa, tuttavia, deve essere chiara: massimo rispetto e comprensione per i disabili, anche per quanto concerne il supporto delle famiglie e netta condanna di ogni forma di disprezzo e discriminazione. Chi ha la fortuna di essere sano e abile deve essere grato all’esistenza, e questo equivale a servire, con l’esempio, la propria comunità.

48) Bioetica

Aborto consentito in casi di stupro (allogeno, in particolare), pericolo di vita della madre, anomalie gravi del feto. Eutanasia consentita nei casi irreversibili, laddove una vita normale sia compromessa e il malato sia terminale o in stato vegetativo. Serve una forma di razionalismo bioetico, rispettoso della sensibilità religiosa ed individuale ma dotato di robusto buonsenso, giustificato dalla lucidità scientifica. Siamo nettamente ostili ad una bioetica asservita al mercato e al capitalismo, che riduce la vita umana (surrogata e manipolata in laboratorio) ad oggetto di consumo e capriccio borghese; aborto ed eutanasia possono essere giustificati dal bene supremo, che è quello della comunità nazionale, e naturalmente da casi limite, ma in nessun modo devono venire sdoganati se impiegati per becero individualismo e se, dunque, non sono strettamente necessari e umanamente comprensibili. Viviamo in un mondo occidentale in cui ormai queste pratiche vengono servite sul comodino ed il confine tra aborto ed omicidio, ed eutanasia e suicidio è davvero molto labile. Noi siamo assolutamente contrari alla macelleria di laboratorio e, di conseguenza, a mezzi terapeutici piegati al volere del singolo scriteriato o, magari, di uno Stato che ha perso di vista l’etica.

Il razionalismo, che ispira la dottrina lombardista, implica che la vita vada vissuta se degna di essere vissuta. Qualcuno potrebbe chiederci chi decide quando essa sia degna o indegna; ebbene, la risposta più naturale è sempre quella dettata dal benessere comunitario, unito a quello dell’individuo: una vita è degna di essere vissuta quando non diviene un doloroso fardello per sé e gli altri, e quando non si trova a doversi misurare con una condizione irreversibile. Capiamoci, noi lombardisti non siamo a favore di soluzioni coatte, da parte dello Stato, ma sarebbe bene che l’entità statuale guidi, con la propria saggezza, le decisioni di una famiglia che si trovi alle prese con casi disperati. In questo senso la legalizzazione dell’eutanasia non sarebbe una bestemmia, perché ispirata al bene della collettività, ma anche al sollievo della famiglia e del malato. E lo stesso discorso vale per l’aborto: va legalizzato, e caldeggiato, quando non diviene strumento di scelleratezza anarco-individualista ma, al contrario, si fa pratica sanitaria razionale e votata al comunitarismo. Insomma, sì alla scienza (non allo scientismo), ma uno stentoreo no alle derive in stile radical-pannelliano e femminista.

47) Gestione demografica

Per quanto la Grande Lombardia sia sovrappopolata e una riduzione della popolazione sia cosa buona e giusta, l’attuale tasso di fertilità degli indigeni ha raggiunto un livello troppo basso per l’autosostentamento della nazione. Per questo motivo vanno predisposti adeguati sostegni alle famiglie con figli, contrastando la precarietà giovanile e riducendo il costo degli affitti. Dall’altro lato è anche importante stimolare nei ragazzi e nelle ragazze una salutare presa di responsabilità circa le loro azioni. Servono incentivi per la crescita demografica indigena, naturalmente in linea con i criteri di ecosostenibilità e di contenimento della secolare sovrappopolazione padana: sostegni alle famiglie appunto, contrasto alla disoccupazione giovanile, garanzie e migliorie per il benessere e la sicurezza dei lavoratori. Molto dipende, tuttavia, da educazione e valori; lo Stato deve supportare economicamente e socialmente le giovani coppie ma deve anche promuovere responsabilizzazione mediante famiglie e comunità, facilitando così una salutare coscienza patriottica, fondamentale per garantire un futuro roseo alla nostra nazione.

Certamente, resta il problema della densità demografica, peggiorata dall’immigrazione di massa dall’Italia meridionale e allogena in genere. La sovrappopolazione è una delle peggiori piaghe della Cisalpina, soprattutto occidentale, se pensiamo che la densità demografica globale del nostro territorio è di circa 220 ab./km², un altissimo sovrappopolamento, con esiziali ricadute su comunità e ambiente. Situazione ancor più drammatica se consideriamo la sola Lombardia etnica, basti pensare alla spaventosa densità dell’attuale Regione Lombardia, 418,85 ab./km²! I milioni di allogeni dilagati nel territorio cisalpino hanno drasticamente peggiorato un quadro già di per sé (in talune aree) problematico. Proprio per tale ragione le stime lombardiste parlano di una popolazione massima sostenibile di 4 milioni di abitanti, anche se forse la cifra, concepita dal camerata Roncari, è un po’ troppo al ribasso. Diciamo dunque che l’ideale sarebbe tra i 5 e i 10 milioni, con una densità demografica massima sostenibile attorno ai 30 ab./km². Il blocco dell’immigrazione, i rimpatri e i ricollocamenti, il controllo delle nascite garantirebbero una situazione il più possibile vicina all’optimum granlombardo.