Nazione

La nazione consiste in quell’insieme di popoli coesi e omogenei che si riconoscono comunità grazie a vincoli etnici, linguistici, culturali, storici, territoriali, identitari e direi anche antropogenetici. La comunità nazionale si edifica su sangue, suolo e spirito e si riconosce nel binomio di identità e tradizione grazie al quale è possibile marcare una distanza netta dalle nazioni artificiali, dopotutto meri stati, come l’Italia, la Francia, la Germania, la Spagna, il Belgio, il Regno Unito. A differenza di queste, la Grande Lombardia è invece una vera nazione, che può tranquillamente riconoscersi negli ideali patriottici ed etnicisti che ci portano a parlare di comunità cisalpina; non per caso, esiste un’etnia lombarda, che si fa poi gruppo etnoculturale granlombardo allargandosi all’intero scenario padano-alpino. La Lombardia etnica, e cioè il cuore völkisch della Padania, è il bacino idrografico del Po, il territorio in cui si concretizza al meglio l’idea di patria lombarda. Ma l’intero ambito cisalpino costituisce la cornice storica della nostra nazione, ed è senza alcun dubbio una delle precipue aree etnonazionali del continente.

Viceversa, l’Italia intesa come Repubblica Italiana non può essere chiamata nazione perché popolazione artificiale composta da genti disparate senza alcun legame etnico, culturale, storico. Non bastano romanità, cattolicesimo e lingua fiorentina per poter trattare di nazione italiana dalle Alpi alla Sicilia, senza scadere nel ridicolo: la prima e il secondo sono un retaggio condiviso da mezza Europa, la terza è l’idioma della città di Firenze, elevato a lingua franca di un territorio del tutto eterogeneo che, non a caso, parla un italiano declinato in senso regionale. Appellarsi retoricamente all’Italia augustea non ha alcun senso, perché l’Italia romana non era certo una nazione, ma un semplice organismo burocratico divenuto poi provincia come tutte le altre. L’Italia esiste, ed è la penisola, il centro-sud (con Corsica, Sicilia e Malta); il resto è italianità di cartapesta, che non ha alcun concreto riscontro nella storia dei popoli settentrionali e sardi ingabbiati dalla RI. La nazione, dunque, si fonda su di un razionale spirito di appartenenza, che sussiste nella Padania, ma non tra questa e Lampedusa.

Razza

Concetti come etnia, popolo e nazione non possono prescindere da quello basilare di razza, che rappresenta il fondamento biologico e antropologico delle diverse popolazioni umane. Anche l’uomo è un animale, pertanto non è possibile inquadrarlo senza accezione razziale, eziandio perché essa rappresenta una fiera opposizione al sistema-mondo e ai suoi disvalori miranti alla distruzione dell’identità delle vare nazioni, a partire da quelle europee. La razza consiste in quell’insieme di caratteri fisici e genetici che vengono trasmessi ai discendenti e che costituiscono le varie suddivisioni in cui l’umanità si rispecchia; ‘razza’ può anche essere sostituito dal termine ‘subspecies‘, ancor più scientifico, che rimarca la tassonomia dell’essere umano: genere, specie, sottospecie, sottorazza, fenotipo, etnia. Nel nostro caso si parlerà di razza caucasoide/europoide di ramo europide, che riguarda i cosiddetti bianchi, le popolazioni indigene dell’Europa. Secondo i tromboni del politicamente corretto la razza è soltanto un costrutto sociale e culturale: un concetto molto interessante, perché non pensavo che indice cefalico, angolo facciale, punti craniometrici e somatotipo fossero delle astrazioni nazifasciste…

Le razze esistono, e sono nate dalla separazione continentale, dall’adattamento climatico, dalla dieta e dalla selezione sessuale, nonché dall’eredità genetica e antropologica dei vari popoli della terra. Nulla di opinabile o di socioculturale, checché ne dicano gli antirazzisti, che del resto portano avanti una ben precisa agenda volta allo sradicamento e alla liquidazione della biodiversità, per favorire i truci disegni del sistema-mondo e del capitalismo. La scienza non asservita ci parla tranquillamente di diversificazione razziale, e basterebbe non avere ideologiche fette di salame sugli occhi per accorgersene e riconoscere che non esiste alcuna “razza umana”, bensì specie umana suddivisa in varie sottospecie (fondamentalmente 5-6). Razzismo? Nient’affatto, natura. È poi evidente che il concetto di razza possa anche, poeticamente, ammantarsi di peculiarità spirituali, intellettuali, caratteriali, psicologiche perché i popoli del pianeta non sono tutti uguali. Per fortuna, direi. Paradossalmente, il vero odio razziale è di coloro che disprezzano la diversità e vorrebbero annullarla nel meticciato, il tutto per favorire tristemente gli imperialismi antifascisti. Ma la verità non può essere cancellata, ed è per questo che pure l’uomo è caratterizzato razzialmente, con buona pace delle ideologie.

Popolo

Riconoscendo la Grande Lombardia come una nazione caratterizzata da peculiare identità, non possiamo che parlare del popolo, e cioè dell’insieme di genti lombarde che costituiscono la base d’appoggio fondamentale del concetto di nazione. Un popolo, frutto dell’unione di più popolazioni, consiste in tutta una serie di caratteristiche identitarie, tradizionali, etniche, linguistiche, culturali e antropologiche che ci portano, giustamente, ad argomentare di un’entità coesa al suo interno e contraddistinta da una forte unità comunitaria. Il popolo, pertanto, viene a coincidere con l’etnia, la nazione, la comunità, e l’auspicio lombardista è quello di affrancare la popolazione lombarda inserendola in un quadro etnonazionale che sappia rappresentare al meglio tutti i popoli d’Europa, rigettando gli stati-apparato, come la stessa Repubblica Italiana. Perché è proprio il popolo, dunque la nazione, a legittimare uno stato, non viceversa, ed è logico che senza fondamenta popolari e nazionali qualsiasi ente statuale appaia privo di linfa vitale, mero organismo burocratico dai risvolti tirannici.

E, d’altra parte, si può davvero parlare di popolo quando venga a sussistere quella fondamentale fisionomia identitaria figlia della stratificazione etnica, culturale, linguistica, che anche antropologia e genetica ci dicono scientificamente provata. Se esiste un popolo granlombardo è perché esso condivide dei tratti identitari peculiari che non si ritrovano altrove, assemblati nella maniera originale granlombarda, ed è per questo che il “popolo” italiano dalle Alpi alla Sicilia semplicemente sia artificiale, retorico. La Grande Lombardia – e, in modo speciale, la Lombardia etnica – oppone all’Italia statolatrica un quadro relativamente omogeneo che è prodotto delle vicende storiche delle nostre genti, le cui radici affondano nel passato celtico, gallo-romano, longobardo, tenendo certo in considerazione anche gli apporti minori di altri popoli antichi (minori in senso di unità nazionale, si capisce). E se possiamo, dunque, trattare di popolo cisalpino è grazie alla plurimillenaria famiglia che si pone a fondamento della comunità granlombarda, indispensabile al fine di inquadrare correttamente la genesi di una futura entità politica etnostatuale.

Etnia

La componente identitaria fondamentale dell’etnonazionalismo è, appunto, l’etnia, intesa come insieme di elementi culturali, linguistici, antropologici e biologici che costituiscono il profilo di un popolo, e di una nazione. Nell’ottica lombardista parlare di etnia è, dunque, basilare poiché la Grande Lombardia si edifica sulla fisionomia identitaria, etnica, delle genti cisalpine. L’etnicismo demolisce i nefasti miti del patriottismo di cartapesta all’italiana e del nazionalismo civico alla catalana, facendo comprendere appieno quanto la Lombardia sia una nazione innervata sul dato etnico, che è necessario al fine di poter discutere con raziocinio di autoaffermazione e di indipendenza, e risultare convincenti. L’accezione corrente di etnia è prevalentemente culturale e tradizionale, certo, ma per essere completa ed esaustiva deve contemplare anche il sangue, altrimenti ci si riduce ad uno sterile identitarismo basato su lingua e cultura, o cucina, che accetterebbe senza problemi la fantomatica lombardità di soggetti allogeni. Perciò tutelare la civiltà di un popolo è sacrosanto, ma prima ancora va tutelata la sua componente antropologica e biologica, senza la quale ci si ridurrebbe all’innocuo folclore.

Nel pensiero lombardista la base etnica e nazionale è imprescindibile, ed è il dato di partenza di ogni considerazione in materia di identità. Dietro l’etnia, dunque, è facile cogliere sottorazza e razza, quindi sangue e suolo, da cui lo spirito, la cultura e la civiltà. Se è vero che il sangue senza spirito si trasforma in mero fluido biologico, è ancor più vero che non si può trattare di lombardesimo e lombardità trascurando il discorso völkisch, poiché per noi l’identitarismo deve per forza di cose essere etnico, perciò etnonazionalista, e razzialista. In un mondo vieppiù globalizzato che calpesta l’identità delle vere nazioni, segnatamente europidi, abbiamo il diritto e il dovere di affermare la bontà e la necessità di un perentorio etnicismo, che consideri fondamentale la difesa del sangue, del suolo, dello spirito. Perché senza etnonazionalismo, si capisce, si spalancano le porte al relativismo, e a quel tristissimo fenomeno di assimilazione e inclusività che costituisce il fondamento di ogni scelleratezza egualitaria: ogni popolo del globo ha la propria dignità e merita rispetto, ma se alimenta società multirazziale e meticciato, tramite l’immigrazione, diventa pedina del sistema-mondo.

Spirito

La triade sacrale del lombardesimo è costituita da sangue, suolo, spirito: il sangue del popolo, il suolo patrio, lo spirito inteso come luminoso insieme di caratteristiche culturali e civili peculiari della nazione lombarda. E lo spirito nasce dall’unione di sangue e suolo, proprio perché esso è il frutto storico del sedimentarsi di identità e tradizione, che rappresenta l’ossatura caratteriale e mentale della nostra gente. Come Paolo Sizzi, e come lombardista, non do allo spirito connotazioni religiose o trascendentali, quindi metafisiche; lo spirito non è la parte più elevata e nobile dell’anima (che non esiste, cristianamente parlando) e non è emanazione di un’inesistente divinità: è quell’elemento direi umanistico, nonché poetico e romantico, che contraddistingue un individuo e, soprattutto, una nazione e dunque è qualcosa di collettivo che costituisce l’energia vitale della comunità. Non serve scomodare religione e spiritualità per definire lo spirito lombardista, perché esso è semplicemente la linfa, certo basilare, fonte di cultura, di civiltà, di arte, letteratura, tradizioni, folclore. Può essere pertanto concepito, senza problemi, in termini razionali, materiali, reali, lasciando perdere le divagazioni mitiche e religiose.

Senza spirito, è chiaro, il sangue rischia di restare un mero fluido e il suolo viene devastato dalla barbarie capitalistica. Il sangue stesso viene calpestato perché banalizzato, rimescolato e liquidato come inerte dato biologico, quando invece è il tramite fra noi e i nostri padri. Lo spirito è fondamentale laddove venga inteso come forza vitale che anima l’individuo e la sua comunità nazionale e gli garantisce, perciò, di difendere risolutamente la propria identità. Un’identità che è sangue, cioè etnia e razza, e suolo, cioè patria e territorio, e che passa eziandio per la tradizione incarnata da patriarcato, eterosessualità, endogamia, rispetto degli innati ruoli di maschile e femminile, prole biologica, lotta alle devianze della modernità. Valori e principi che possiamo tranquillamente definire sacri, in quanto inviolabili, ma che non abbisognano di una giustificazione religiosa, essendo la religione – in particolar modo abramitica – un intralcio lungo la strada che conduce alla totale autoaffermazione del popolo lombardo. Alla luce di ciò lo spirito assume i tratti della manifestazione storica e culturale di una civiltà nazionale, romanticamente “invisibile” ma razionalmente tangibile nella concretezza etno-razziale.

Suolo

Il binomio sacrale dell’identitarismo etnicista è costituito da sangue e suolo, per poi aprirsi ad un terzo elemento fondamentale, lo spirito. Sangue e suolo sono però la base di partenza, in quanto sangue del popolo e suolo patrio, dalla cui unione nasce lo spirito inteso come alito di vita umanistico che permette ad una nazione di avere anche un’identità culturale, assieme a quella etnica e territoriale. Non può esserci suolo senza sangue, e viceversa, poiché le radici di una razza e di un’etnia affondano nel loro habitat naturale, costituito dall’ambiente natio. Oggi, la tutela dell’ambiente deve andare di pari passo con quella del popolo, se vogliamo ancora avere un futuro in cui il dato etnonazionale abbia sempre un senso, e a tal proposito serve un ambientalismo identitario che abbandoni le fole progressiste per concentrarsi sulla salvaguardia del nostro ADN, che è profondamente intrecciato alla terra natale. L’ambientalismo alla lombardista porta avanti un pensiero certo ecologista ma emendato dalla componente “salottiera”, che confonde soltanto le acque e persegue l’agenda mondialista.

Difendere il suolo, dunque, significa difendere la patria, affinché la nostra gente possa avere un futuro. E oggi più che mai, soprattutto in Lombardia, appare necessario salvaguardare la natura da inquinamento, cementificazione, deforestazione, peraltro fenomeni sciagurati da ricollegarsi, ancora una volta, all’immigrazione: prima quella sud-italiana, poi quella pressoché dal mondo sottosviluppato intero, che comporta un genocidio democratico degli autoctoni e l’affermazione di tutti i tipici disvalori della società capitalista. Perché è chiaro come il concetto odierno di Occidente non sia altro che la manifestazione dell’imperialismo unipolare di marca statunitense, ferocemente affaristico e votato alla distruzione dell’ambiente naturale, segnatamente europeo, oltretutto senza avvantaggiare minimamente gli europei. E ciò che si compie nella Cisalpina è uno dei casi più clamorosi, a dimostrazione di come il feticcio del progresso e dello sviluppo sia soltanto una truffa spietata, ai danni dei popoli indigeni.

Sangue

Quando noi lombardisti parliamo di sangue intendiamo l’identità biologica di un individuo e, soprattutto, di un popolo, un’identità secondo natura che passa per antropologia fisica, genetica e razziologia. Un dato fondamentale, certo da non prendersi in considerazione da solo ma che rappresenta il primo caposaldo dell’ottica etnonazionalista e lombardista. Poi vengono suolo e spirito. Senza il sangue non si può parlare di razza e di etnia e sebbene non sia tutto, dal punto di vista tradizionalista, resta un basilare pilastro della visione del mondo etnicista, grazie a cui è, e sarà, ancora possibile parlare di popolo e di nazione. Chiaramente non è un merito, e non rappresenta certamente un pegno di superiorità; è un dono, e come tale va custodito gelosamente, e possibilmente tramandato ai posteri, nel rispetto dei vincoli endogamici. La nostra identità comincia dal sangue, e cioè dall’ADN, altrimenti non sarebbe più fattibile trattare di fisionomia identitaria etnonazionalista. Crediamo fortemente nel valore biologico della stirpe, per quanto debba essere accompagnato dall’esaltazione illuminata del suolo e dello spirito.

Ma se possiamo dirci popolo, comunità e nazione è proprio grazie al sangue, ereditato dai padri, elemento di primaria importanza e rivestito di sacralità che abbisogna di tutela, preservazione, valorizzazione. Tutto questo non per del razzismo o del suprematismo – ogni popolazione della terra dovrebbe ragionare in senso völkisch, a casa propria – ma per amore verso le origini, le radici, i natali, senza i quali non potremmo nemmeno essere definiti come individui membri di una comunità nazionale viva e battagliera. Chiaro, esiste il meticciato e il rimescolamento razziale ed etnico, così come esistono gli apolidi, e questo non comporta sicuramente mancanza di dignità e di valore. Meglio specificarlo. Tuttavia il credo nel sangue, soprattutto oggi, serve per difendere l’identità, in particolar modo dei popoli europei, troppo spesso ostaggio del mondialismo, e d’altra parte rappresenta un culto razionale di qualcosa di estremamente concreto e tangibile: l’ADN è razza, etnia, discendenza, aspetto fisico e ovviamente genetico, e nel nostro profilo nazionale, di stirpe, è riposta quella ricchezza fondamentale che ha nome biodiversità.

Europa

L’Europa è la nostra grande famiglia, lo spazio continentale delle nostre origini e dei nostri destini. È la culla della sottorazza europide (o bianca) della razza caucasoide e rappresenta la naturale dimensione identitaria, in senso allargato, anche dei lombardi. Un serio discorso etnonazionalista non può prescindere dalla cornice imperiale europea, che idealmente si estende sino a Vladivostok, coronando il sogno confederale euro-siberiano. Siamo dunque europei, dopo essere cisalpini, a patto di non confondere la vera Europa con la sua caricatura burocratica che ha sede nel Benelux. Ed essere europei implica essere bianchi, europidi appunto, perché l’ambito razziale va sempre contemplato, in una con quello etnico. È vero, non possiamo non dirci europei, ma l’Europa che l’identitario coerente ha in mente non ha nulla a che vedere coi deliri tecnocratici e finanziocratici all’ombra degli stracci stellati, ed è bene che i valori etnicisti abbiano la meglio sulla chincaglieria giacobino-massonica che vede le radici europee nell’Illuminismo.

Non scherziamo, perché le reali radici del continente affondano nella fertile humus indoeuropea, che garantisce ad ogni vera nazione di avere una propria peculiare identità sancita dalla sacralità di sangue, suolo, spirito. La basilare triade del nazionalismo etnico rappresenta le fondamenta della nostra civiltà, una civiltà che per quanto possa dirsi di retaggio romano-cristiano è anzitutto il frutto delle glorie etniche ariane, recate nelle vene di ogni europeo. Siamo realmente la grande patria di quell’evoluzione e di quel progresso, da interpretarsi in senso positivo, che costituiscono il bene, la luce, la storia dell’umanità stessa, dove tale termine perde la nefasta connotazione egualitarista per assumere un significato squisitamente antropologico. Poiché, al di là di razzismi e suprematismi, resta il fatto che la culla della civiltà sia proprio l’Europa, senza la quale i secoli vissuti dal globo sarebbero trascorsi quasi del tutto invano: cultura, sapienza, scienza, filosofia, spiritualità, arte, guerra (sì, anche quella), tecnologia, sviluppo, benessere, genio e creatività portano il marchio della razza europide, e lo si dica specificando tranquillamente che vi è dignità anche nelle altre popolazioni del pianeta.

Lombardia

Se Bergamo è la mia piccola patria, la Lombardia è la patria vera e propria, la mia nazione, ciò che dà forma e volto alla dimensione etnica e, appunto, nazionale del sottoscritto e del suo popolo, il cisalpino. In un tempo in cui le vere nazioni vengono calpestate, rinnegate e obliate, lasciando spazio agli stati-apparato come l’Italia, recuperare il sentimento patriottico e lo spirito d’appartenenza è fondamentale, al fine di corroborare il profilo identitario del singolo e della collettività, facendo coincidere nazionalità e cittadinanza. L’idea di nazione, basata su sangue e suolo, assume connotati vieppiù cruciali nell’ottica dell’identitarismo, perché l’identità biologica e culturale è l’antidoto ai veleni mondialisti contemporanei. Una salutare filosofia di vita, dunque, deve edificarsi sulla nazione, che del resto è quanto ci permette poi di inscriverci nell’ambito continentale della grande famiglia europea. Bergamo, Lombardia, Europa, per quanto concerne me, nella consapevolezza che senza radici non può esserci presente e futuro, e non può esserci la volontà e l’auspicio di forgiare un pianeta migliore, ispirato ai valori etnicisti e razzialisti.

La nazione è quindi la Lombardia, dove per nazione intendiamo quell’insieme di genti unite e coese da etnia, lingua, cultura, usi e costumi, tradizioni in maniera determinante, di modo che possano sussistere spirito d’appartenenza e solidarietà nazionale, frutto delle comuni origini e del comune destino. E il concetto sizziano e lombardista di nazione passa per l’antropogenetica, non solo per la cultura e la politica, poiché senza sangue e suolo non è possibile parlare di patria; distinguere la nazione dallo Stato è giocoforza, essendo quest’ultimo un ente artificiale creato dall’uomo, per quanto retto – non sempre – da comunità d’intenti e patto raggiunto da genti consimili. Evidentemente non è questo il caso dell’Italia… Uno stato serio deve nascere da fratellanza, omogeneità, comunità, e la comunità è il collante naturale che legittima un apparato politico e burocratico, per quanto necessario. Crediamo che l’entità statuale sia basilare ma prima di ciò è basilare il concetto di nazione che, appunto, giustifica e legittima il concetto di Stato. La Lombardia deve avere uno stato, nessun dubbio a riguardo, uno stato che sia indipendente ed espressione dell’autoaffermazione nazionale, ma il primo, fondamentale, passo è sempre il riconoscersi nazione, per quanto oggi possa essere dormiente, nel caso lombardo.

Bergamo

Da questa sera, ogni venerdì, intendo proporre una breve riflessione, che potrei definire filosofica, su svariati argomenti cari allo scrivente. Ho individuato 10 aree tematiche che raccoglieranno le meditazioni, esposte con chiarezza e semplicità: Patria, Comunità, Natura, Stato, Benessere, Civiltà, Etica, Vita, Uomo e Metafisica. A loro volta, questi temi andranno sotto la categoria Salut Lombardia!, relativa alla rubrica omonima di ideologia lombardista e attualità inaugurata mesi fa qui sul blog. Tale iniziativa mi darà la possibilità di trattare tutto quello che la visione del mondo etnicista contempla, affinché lo sguardo sizziano possa spaziare con completezza sull’esperienza umana. Cominciamo con un doveroso tributo alla mia piccola patria, la Bergamasca. Essa, territorio a cui fa capo Bergamo, è la mia Urheimat, la terra delle mie radici e del mio lignaggio, fondamentale nell’ottica stessa dello sviluppo dell’ideologia lombardista. L’attaccamento di Sizzi all’Orobia dice molto sulla propria personalità, ed è segno di una saggezza identitaria che oggi si fa sfida ad un sistema corrotto e malato, il quale calpesta i principi più sacri alla nazione.

In una realtà dominata, purtroppo, dalla globalizzazione, serve davvero recuperare il sentimento patriottico, anzitutto relativo alla propria città di riferimento e al pertinente contado, la volgarmente detta “provincia”. Per i più un sintomo di grettezza e ristrettezza di vedute, provincialismo appunto, in quanto orgoglio particolarista che va contro l’andazzo mondialista dell’Europa occidentale; ma per chi ha davvero intelletto e, anche solo, buonsenso, rappresenta invece la dimensione più intima da riscoprire e valorizzare, per non perdere di vista chi siamo e, anche, dove andiamo. Passato, presente e futuro si intersecano facendo comprendere come non si possa vivere senza radici, pena l’alienazione. E la Bergamasca tradizionalista, con i suoi rustici e genuini valori, il suo paesaggio naturale, la sua ricca storia plurimillenaria è veramente il terreno ideale per il fecondo incontro fra uomo e ambiente, che dà vita al popolo. Già da qui si delinea l’orizzonte razzialista ed etnonazionalista di sangue, suolo, spirito. Il popolo bergamasco, a cui Sizzi fieramente appartiene, è l’incarnazione dell’anima più profonda della Lombardia etnica, decisiva ai fini lombardisti.