
Successore dell’ammazzato Umberto I, fu il re schiaccianoci, Sciaboletta, ossia il deforme Vittorio Emanuele III, uno dei personaggi più squallidi che lo stato italiano abbia mai concepito.
Il progresso lombardo crebbe, nonostante agli inizi del XX secolo si registrassero ondate di agitazioni contadine nella pianura (1902), e altri massicci scioperi si avessero nel 1904 e nel 1906.
In quello stesso anno nacque a Milano il sindacato Cgil, assieme ad altre industrie: la Dalmine, l’Alfa (poi Alfa Romeo) e la Pirelli.
Nel 1908 venne aperta la galleria ferroviaria del Sempione, mentre a Sesto San Giovanni furono completati i primi grandi impianti della Falck e della Breda; nel 1912, invece, a Varese, la Macchi cominciò a produrre aeroplani.
L’Italia in quegli anni faceva parte della Triplice Alleanza assieme ad Austria-Ungheria e Germania; nel 1914, in seguito all’attentato di Sarajevo, la prima dichiarò guerra alla Serbia spalleggiata dalla seconda, all’oscuro dell’Italia: una violazione dell’alleanza.
La dichiarazione di guerra austriaca scatenò la Prima guerra mondiale e l’Italia, nel 1914-’15, scelse la neutralità .
Gli interventisti però cominciarono a farsi sentire, spronando ad approfittarne per attaccare l’Austria e riprendersi i territori “irredenti” ancora sotto il suo controllo. Si giunse così al Patto di Londra, del 26 aprile 1915, siglato fra Italia e Triplice Intesa (Regno Unito, Francia, Russia) e all’entrata in guerra di questo finto Paese il 23 maggio seguente.
Il fronte italiano (1915-1918) costerà oltre 600.000 morti (nonché bombardamenti aerei austriaci su Milano e Brescia), ma condurrà ad una vittoria tricolore da burletta contribuendo alla dissoluzione di un impero, quello austro-ungarico, multietnico, cattolico e da tempo traballante, stravolto dai legittimi nazionalismi dei popoli oppressi da quell’elefantiaco ente senza identità .
Come sappiamo, però, la vittoria italiana fu di poco momento e “mutilata” perché si ottennero Trentino e Alto-Adige, Venezia Giulia, Zara ma non Fiume e la Dalmazia settentrionale, promessi dal Patto di Londra. Assieme a ciò non si ottennero degne compensazioni coloniali e altri territori di strategico interesse italiano (soprattutto gli storici possedimenti adriatici della Serenissima) finirono altrove.
L’Italietta fu così fregata dalle democrazie borghesi occidentali e dagli americani di Wilson.
Nel 1919, in Padania e Toscana, si scatenarono gli eventi del cosiddetto Biennio rosso, cagionati dalla crisi economica postbellica: si registrarono in Lombardia 445 scioperi industriali e 6 agricoli, cui parteciparono rispettivamente 500.997 e 132.122 lavoratori.
Il 23 marzo di quell’anno, Benito Mussolini, già socialista interventista e direttore de Il Popolo d’Italia, fondò a Milano, nel palazzo degli Esercenti di piazza San Sepolcro, i Fasci italiani di combattimento, che seppero sfruttare abilmente la situazione del primo dopoguerra, così gonfia di risentimento per l’irredentismo frustrato. In esso confluirono sindacalisti, futuristi, arditi, reduci, socialisti, rivoluzionari.
L’ideologia di questo precursore del Partito Nazionale Fascista era contraddistinta da nazionalismo, irredentismo, “terza via” anti-reazionaria ma anche anti-progressista, e compì il primo passo verso la rivoluzione fascista che caratterizzò l’Italia durante il Ventennio mussoliniano.
Mussolini però sfruttò anche il malcontento borghese e padronale in chiave anti-socialista e il 15 aprile del ’19 squadre fasciste assaltarono la sede dell’Avanti!; lo squadrismo venne altresì impiegato per soffocare le rivolte operaie e agricole, colorandosi così di tinte reazionarie. Una situazione che durò dal 1919 al 1924.
Nel 1921, la popolazione regionale lombarda risultava essere di 5.204.013 residenti, di cui 701.431 a Milano, 98.094 a Brescia e 62.687 a Bergamo.
Nell’agosto del 1922, a Milano, venne proclamato uno sciopero generale; squadre fasciste occuparono Palazzo Marino esautorando l’amministrazione comunale socialista.
Nel 1924 venne inaugurata la Milano-Laghi, prima autostrada del mondo; seguirono la Milano-Brescia e la Milano-Torino.
Il fascismo prese il potere nel 1922 con la Marcia su Roma, e per un ventennio ebbe in pugno l’Italia.
Fu una rivoluzione mancata, sotto certi aspetti, perché non liquidò né la monarchia sabauda né la Chiesa cattolica (nello specifico il Vaticano), e anzi, se le tenne buone per poter governare in santa pace; il nazismo in Germania non ebbe certo di questi problemi.
Il fascismo fu una continuazione autoritaria del Risorgimento, e il suo principale obiettivo fu quello di “fare gli italiani” rendendo grande l’Italia. Propositi cialtroneschi, che non hanno nulla a che vedere con le vere patrie e l’etnonazionalismo, e infatti il Littorio si pose in continuità con giacobinismo, bonapartismo, nazionalismo di cartapesta ottocentesco. La nazionalizzazione e la socializzazione del Paese, teorizzate dal sansepolcrismo, in parte riuscirono, pur scontrandosi con le solite influentissime logge di potere, dimostrando che Mussolini al di là di tutto seppe essere uno statista. Per quanto, chiaramente, al servizio di un ideale patrio artificiale.
Per certi versi, comunque, il periodo fascista più luminoso fu proprio quello successivo alla caduta del regime nel 1943, ossia il periodo della Repubblica Sociale Italiana, quando cioè il fascio non ebbe più in mezzo ai piedi re e papa e altre mafie, e si trovò a comandare l’Italia centrosettentrionale (con il sud nelle mani del traditore Sciaboletta e degli angloamericani), nel contesto dell’alleanza con la Germania hitleriana.
I tromboni antifascisti amano liquidare il biennio salodiano come stato-fantoccio dei tedeschi; in realtà fu un avanzatissimo progetto di socializzazione, purtroppo ostacolata e non attuata per via degli eventi bellici.
L’onta dell’Italia furono i Savoia e i loro tirapiedi (Badoglio), non Salò e chi ci volle credere fino alla fine, nonostante la guerra fosse ormai perduta.
Tornando al Ventennio, nel 1935 venne aperto a Linate (Milano) l’aeroporto Forlanini; nello stesso anno venne inaugurato il Parco nazionale dello Stelvio, a cavallo fra Lombardia regionale e Trentino-Alto Adige.
Nel 1936, Mussolini annunciò a Milano, in Piazza del Duomo, l’alleanza con la Germania di Hitler, parlando di “asse Roma-Berlino”. Alleanza che nel 1939 divenne Patto d’Acciaio.
L’alleanza tra fascismo e nazionalsocialismo sarebbe potuta divenire la realizzazione di un’Europa diversa, né capitalista né bolscevica, dunque indipendente sia dagli Usa che dagli influssi comunisti dell’Urss, ma la guerra precipitò le cose che andarono come sappiamo. Fermo restando, comunque sia, che Italia e Germania non sono nazioni.
Nel settembre 1939 il Terzo Reich invase la Polonia; inizialmente l’Italia restò neutrale ed entrò in guerra nel giugno 1940, pensando che ormai la vittoria tedesca fosse cosa fatta.
La Seconda guerra mondiale fu una catastrofe per l’Italietta, impreparata com’era ad affrontarla e avendo in parte dissipato le proprie forze nell’avventura coloniale e in Spagna; Mussolini, che come Hitler non aveva certo la stoffa del comandante militare, commise svariati errori che vennero pagati salatamente, aggravati dall’inettitudine degli ufficiali ma in parte riscattati da alcuni episodi di coraggio dei soldati italiani, mandati a morire per dei capricci del duce.
L’Italia avrebbe dovuto starsene fuori da quella guerra, nonostante con essa poté, più che altro grazie all’intervento dei tedeschi, riconquistare provvisoriamente Nizzardo, Corsica, Dalmazia e rafforzare il controllo sull’Albania, oltre che su altri territori non italiani.
Nel 1943 gli scioperi di marzo bloccarono molte fabbriche di Torino e Milano, evidenziando il malcontento popolare per la dura situazione economica e l’opposizione operaia al regime fascista; i bombardamenti aerei, alleati, di agosto provocarono a Milano numerose vittime e gravissime distruzioni. La Lombardia fu in quegli anni messa a ferro e fuoco dai sedicenti paladini della libertà angloamericani, che bombardarono ripetutamente Milano, Brescia e alcune aree industriali della Bergamasca, mietendo migliaia di vittime. L’atto terroristico alleato più grave fu certamente la strage di Gorla, Milano, dove il 20 ottobre 1944 perirono 184 bambini di una scuola elementare.
Dopo la caduta del fascismo e la liberazione tedesca di Mussolini imprigionato sul Gran Sasso, nel settembre (23) del 1943 nacque la Repubblica Sociale Italiana, che occupò la porzione centrosettentrionale del dilaniato Regno d’Italia, morto l’8 settembre dello stesso anno. La sede di alcuni ministeri venne fissata a Salò; Mussolini risiedette nella villa Feltrinelli di Gargnano.
Il sud della penisola, invece, finì nelle mani degli alleati e rimase in quelle di Vittorio Emanuele III, il traditore fuggito a Brindisi, mentre la situazione precipitava, per salvarsi la pellaccia assieme a Badoglio e agli altri galoppini sabaudi, voltagabbana saliti sul carro del vincitore.
L’esperienza di Salò fu suggestiva, nonostante tutto, perché sembrava riproporre l’antico Regno Italico medievale, concentrato nel centronord e inquadrato nel Sacro Romano Impero, che per l’occasione assumeva le fattezze del Terzo Reich nazista.
Il settentrione fu anche caratterizzato dalla lotta partigiana, di varia natura, non solo rossa, un fenomeno assai ingigantito e strumentalizzato che finì ovviamente per fare il gioco degli alleati e dei comunisti stranieri, e non per riscattare un presunto orgoglio nazionale italiano; questi perse la faccia con l’8 settembre ’43 e quel che ne seguì, ripetendosi nella squallida macelleria di Piazzale Loreto.
Nel gennaio del ’44 il Comitato di Liberazione (?) Nazionale si trasformò in quello dell’Alta Italia, assumendo, in clandestinità , poteri di governo straordinario del nord. In marzo si ebbero nuovi scioperi più accentuatamente antifascisti ed anti-tedeschi nelle fabbriche milanesi e lombarde; il 13 luglio vi fu un durissimo bombardamento aereo su Brescia; in dicembre, ultimo discorso pubblico di Mussolini al Lirico di Milano.
Il 2 marzo ’45 altro grave bombardamento aereo su Brescia. Nella terza decade di aprile, l’intera Lombardia venne “liberata”: la farsesca insurrezione di Milano, con tanto di occupazione della città da parte delle brigate partigiane (migliaia di “infazzolettati” dell’ultim’ora, praticamente), iniziata la sera del 24, si concluse il 26.
Il 28 aprile Mussolini e altri esponenti del governo targato RSI (acronimo di SRI) vennero fucilati tra Giulino di Mezzegra e Dongo, nel Comasco.
Il giorno successivo i loro cadaveri (tra cui quello di una donna, Claretta Petacci, che nulla c’entrava) vennero esposti al pubblico ludibrio della folla inferocita a Piazzale Loreto, Milano, certamente una delle pagine più desolanti del fenomeno resistenziale, cosiddetto, che immortalò impietosamente non tanto coloro che penzolavano da quel famigerato distributore di benzina, quanto quella pezzente italianità di cartapesta che regolarmente si schiera dalla parte del più forte.
In realtà , fra l’altro, l’Italia non venne liberata da alcunché perché col 25 aprile passò integralmente sotto il controllo e l’occupazione diuturna americani, che la riempirono di basi militari, anche Nato.
Il fasullo Paese italico, dalle Alpi alla Sicilia, è specchio dell’entità statuale che lo rappresenta, e certamente i governi succedutisi dal 1861 ad oggi, salvo – più o meno – la parentesi fascista, sono stati (e sono ancora) ostaggio dei potentati stranieri. La parziale assoluzione del fascismo non è dettata da ragioni patriottiche (l’Italia non esiste), ma dal fatto che nel Ventennio Roma seppe esibire un briciolo di indipendenza, soprattutto nei riguardi della Babilonia occidentale.
Ma, a parte questo, anche a livello interno la politica “nazionale” deve scontrarsi con le ingerenze e gli interessi di soggetti estranei che un tempo potevano essere i Savoia e che continuano la tradizione con l’onnipresente Chiesa cattolica, per quanto agonizzante, e con altre cricche nemmeno troppo occulte (mafia, massoneria, minoranze varie).
La situazione si può risolvere solo ed esclusivamente promuovendo una robusta presa di coscienza etnica e culturale del non essere italiani, con particolare riferimento ai granlombardi, che non è un’invenzione leghista ma la naturale identità di tutti coloro che, autoctoni, popolano la Padania, dal Monviso al Nevoso, dal Gottardo al Cimone.
