La Lombardia transpadana orientale (Orobia)

Swastika camuno allineato

La Lombardia transpadana orientale (volgarmente detta Orobia in contrapposizione all’Insubria, ma l’Orobia vera e propria sarebbe il solo Bergamasco) comprende i territori transabduani, alpini (retici) e di transizione fra Transpadana e Cispadana (Emilia). La fascia meridionale lombarda verrà comunque trattata a parte.

A differenza della Lombardia transpadana occidentale, l’Insubria, non ha mai avuto un grande centro catalizzatore che esercitasse anche una forma di koinè linguistica e culturale e questo perché la comunemente chiamata Lombardia orientale è un territorio composito e non omogeneo: geograficamente parlando, troviamo una Valtellina linguisticamente insubrica (quantomeno ad ovest) assieme al Grigioni lombardofono [1], un nerbo lombardo orientale bergamasco-bresciano, e una fascia di transizione meridionale.

Il nome convenzionale di ‘Orobia’ [2] può essere quindi usato solo per comodità; trattare di Lombardia transpadana (o transabduana) orientale è certamente meglio (in epoca italianista teorizzai un ‘Insubria orientale’, considerando l’inedita denominazione che mi venne in mente sulla scorta della lombardofonia tradizionale, ma ingenererebbe soltanto equivoci).

La Lombardia orientale, qui designata, comprende i territori di Sondrio, Valtellina, Bregaglia, Poschiavo, Bergamo e tutta la sua Val San Martino, Camunia, Brescia, Giudicarie, Riva del Garda [3], la sponda occidentale del Benaco, Crema, Cremona, Mantova. Alcune porziuncole di territorio come la Val di Lei (Madesimo), Livigno e l’Oltremincio sarebbero geograficamente extra-lombarde (in senso etnico), così come l’Oltrepò mantovano andrebbe considerato Emilia, sulla base dei confini naturali.

La Valtellina, seppur di idioma insubrico, non è certo centrale, è retica e orientale, e dunque va considerata assieme a Bergamo e Brescia, che sarebbero un po’ il fulcro della regione (le Alpi Orobie, peraltro, sono anche valtellinesi); Cremona è linguisticamente di transizione fra lombardo orientale e meridionale ma è al di qua del Po quanto Mantova, linguisticamente emiliana. L’alto Mantovano è invece orientale anche a livello di dialetto [4], così come il Trentino occidentale.

La parte meridionale della Regione Lombardia (Pavia, Cremona, Mantovano centrosud), assieme a Tortona, Voghera e Piacenza, che io colloco in Emilia, verranno trattate in un altro articolo, col resto della Lombardia cispadana, per quanto la Bassa occidentale sia considerabile Insubria e quella orientale Orobia in senso esteso.

La suddivisione amministrativa, cantonale e distrettuale, di queste terre potrebbe essere la seguente:

  • Brescia (Alta Cenomania), con Rovato, Desenzano, Darfo e Riva;
  • Bergamo (Orobia), con Crema, Clusone e Zogno;
  • Cremona (Bassa Cenomania), con Mantova, Ghedi e Casalmaggiore;
  • Sondrio (Vennonezia), con Tirano e Chiavenna.

Parliamo della provincia di Sondrio (con il Grigioni lombardo, ma senza Mesolcina che è ticinese); della provincia di Bergamo (con tutta la Val San Martino che in parte, dal 1992, è sotto Lecco e il Cremasco); della provincia di Brescia (con l’alto Mantovano ma senza l’estremo sud); di quelle di Cremona (senza Cremasco ma con l’estremo sud bresciano) e di Mantova (senza la zona settentrionale, l’Oltremincio e l’Oltrepò). Il cantone bresciano ingloba il Trentino occidentale, lombardofono, delimitato ad est dal Sarca-Mincio.

Gli stemmi cantonali si rifanno a quelli dei capoluoghi, e dunque l’inquartato bianco-azzurro per Sondrio (anche se esiste un vessillo storico valtellinese a strisce verticali bianche e rosse), il bipartito rosso-dorato per Bergamo, il bipartito bianco-azzurro per Brescia, il fasciato bianco-rosso per Cremona (in antico, il ghibellino capoluogo cremonese optava per la Croce di San Giovanni Battista).

La cosiddetta “rosa camuna” invece, ma non quella dell’attuale Regione Lombardia bensì lo swastika delle incisioni rupestri, è uno stemma che può designare, globalmente, l’Orobia in senso lato, anche se, come sapete, noi lombardisti non crediamo nelle classiche regioni, per quanto confortate da elementi storici. Meglio la soluzione cantonale che va a ricalcare i contadi medievali, spesso dalle radici romane.

La Lombardia etnica orientale, quindi, è costituita da un nucleo orobico-cenomane linguisticamente orientale, da un nord retico linguisticamente occidentale, o alpino, (eccetto le vallate orientali) e da un sud padano-cenomane linguisticamente di transizione, sebbene il dialetto mantovano di transizione non sia essendo tradizionalmente considerato emiliano.

I dialetti genuinamente orientali, da un punto di vista idiomatico, sono bergamasco, cremasco, alto mantovano, bresciano, camuno, trentino occidentale, parlate gardesane [5] e il famoso gaì, il gergo dei pastori bergamaschi e camuni.

Il valtellinese, con bormino, livignasco, chiavennasco e il dialetto del Grigioni lombardo, sono occidentali (o in taluni casi alpini, ma è quasi la stessa cosa); il cremonese è a cavallo tra lombardo classico ed emiliano; il mantovano è considerato emiliano.

Non esiste alcuna koinè orobica, nonostante il bergamasco sia per svariati motivi il dialetto lombardo orientale più prestigioso e noto, nonché parodiato. Si pensi, infatti, che nel ‘500 era riconosciuto dagli umanisti come uno dei principali volgari della cosiddetta Italia, senza dimenticare tutta la letteratura che ruota attorno a Bergamo, dalla Commedia dell’Arte alle traduzioni di testi toscani famosi, fino ai burattini e ad Olmi, passando per i saggi gallo-italici del Biondelli [6].

La Lombardia orientale insomma, a differenza di quella occidentale classica, non è molto omogenea. La Valtellina, che comprende anche il Grigioni lombardo, etnicamente è celto-retica e linguisticamente alpino-occidentale; così anche le Orobie e la Val Camonica soprattutto, sebbene esse siano orientali linguisticamente, pur risentendo del sostrato retico (pensate alle famose s sorde aspirate); Bergamo e il Bergamasco occidentale facevano parte della Cultura di Golasecca e hanno quindi radici proto-celtiche (orobiche) ed insubriche (in senso gallico), ma il dialetto è orientale (in questo gli influssi veneti furono decisivi) quanto nel Bresciano e nei territori che gli gravitano attorno (Giudicarie, Garda, la Bassa, l’alto Mantovano); questi ultimi sono etnicamente cenomani allo stesso modo di Cremona e Mantova, e pure di Trento e Verona, solo che Cremona è “ibrida”, Mantova è padana, Trento sta bene col Tirolo storico, quello meridionale, e Verona col Veneto. Non dimentichiamoci poi dei forti influssi etruschi nella Lombardia etnica sudorientale.

Come ben sappiamo buona parte della Lombardia orientale finì nelle mani di Venezia e della Serenissima ma questo incise solo linguisticamente e in minima parte culturalmente; nonostante una porzione di questa regione lombarda, già in epoca romana, venisse associata alla Venetia, popoli venetici qui non ce ne furono, poiché gli Euganei delle valli bresciane erano reto-liguri. Gli influssi veneti sono sensibili nell’area bresciana orientale ma per questioni confinarie. D’altra parte, l’influsso è reciproco, e la stessa Verona nel Medioevo presentava aspetto idiomatico gallo-italico [7].

Riconosco il buongoverno cinque-secentesco di San Marco, rispetto al marasma franco-spagnolo che imperversava ad ovest, ma questo non giustifica nella maniera più assoluta le patetiche rivendicazioni dei venetisti che si aggrappano a tre secoli di politica glissando spaventosamente sulla vera storia delle nostre terre, che è storia eminentemente lombarda, come lombarda è la lingua e lombarda è l’etnia, plasmata da Celto-Liguri e Longobardi, comprendendo la romanizzazione su sostrato gallico. Piuttosto, parlando di Lombardia transpadana orientale, va riconosciuto il contributo tirrenico che era retico a nord ed etrusco a sud.

Il Veneto comprende i veneti e non gli ex sudditi della Repubblica di San Marco; pertanto lombardi etnici orientali, friulani, ladini, istriani, dalmati e abitanti vari del Mediterraneo orientale, se indigeni, non sono veneti. Non ci vuol poi molto a capirlo, non parlano nemmeno la lingua veneta.

A livello fenotipico i lombardi orientali sono essenzialmente alpinidi, con forti influssi dinaridi; trova spazio anche il consueto tipo padano del Biasutti (dinaride + atlanto-mediterranide) e qualche spruzzata nordide soprattutto lungo l’arco alpino. In Lombardia il tipo nordico è prevalentemente periferico, dunque miscelato con elementi autoctoni (nordo-mediterranide, alpino-nordide/sub-nordide, dinaro-nordide/noride).

La Lombardia etnica orientale fu Austria longobarda, ariana – se non sotto sotto pagana -, bellicosa e assai tradizionalista rispetto alla Neustria occidentale monarchica e cattolica, orbitante attorno a Pavia. Questo ha sicuramente inciso sui nostri popoli, anche a livello somatico e caratteriale.

Nonostante l’est, da un punto di vista economico e sociale, sia storicamente rimasto indietro, rispetto all’ovest, tra Ottocento e metà Novecento, il divario è stato ampiamente colmato e purtroppo il progresso ha avuto le sue velenose ricadute: immigrati da ogni dove, quartieri cittadini ridotti a ghetti, forte “meridionalizzazione”. La situazione si fa davvero drammatica soprattutto a Brescia e dintorni.

Se poi ci aggiungiamo l’atavico bigottismo cattolico, lo strapotere delle curie e la nefanda politica di radice democristiana, unita alla cialtroneria del fumo negli occhi verde, il quadro è ancor meglio definito. Un caso l’accoppiata Roncalli-Montini?

La nostra terra non è sicuramente rimescolata quanto il Piemonte e la povera Insubria, e lo stesso vale per la zona meridionale della Regione Lombardia, perché lo sviluppo ha attecchito più tardi e identità e tradizione, custodite dalle origini contadine, sono dure a morire, seppur inquinate da cattolicesimo e socialismo marxista.

La Lombardia transpadana orientale deve fare del proprio conservatorismo (non cristiano o reazionario) il punto di forza che aiuti la Cisalpina occidentale tutta a sbarazzarsi del laido disinteresse per le proprie radici e la propria storia e cultura.

Noi orientali abbiamo moltissimo da dare in termini di forze fresche, dure e pure, decise, determinate, pronte a correre in soccorso dei fratelli occidentali proprio come accadde nella battaglia di Legnano, in cui il nerbo guerriero era costituito in maniera consistente dalla fanteria transabduana.

D’altro canto, in tutta la Lombardia, è forte il campanilismo e la rivalità provinciale (Bergamo e Brescia, Monza e Como, Varese e Como, Cremona e Piacenza, e tutti contro Milano!) ma oggi come oggi può avere un senso solo a livello di intrattenimento, segnatamente sportivo.

Oggi occorre riscoprirsi lombardi, ed europidi naturalmente, per fare fronte comune contro il nemico mortale delle nostre terre, che è la globalizzazione, la quale si serve dell’Italia e di Roma per distruggere l’identità indigena.

Note

[1] Secondo alcuni linguisti nella Lombardia settentrionale si parla lombardo alpino, più che insubrico, ma si tratta di sottofamiglie affini.

[2] ‘Orobia’, nome coniato dagli umanisti, trae origine dai celto-liguri Orumbovii, popolo antico il cui etnico potrebbe, come viene suggerito da Delamarre, essere ricondotto al sostantivo plurale gallico orbioi significante ‘eredi’. Vedi qui.

[3] La lombardofonia trentina, teoricamente, riguarderebbe un territorio più esteso, in senso settentrionale, anche se linguisticamente in regresso.

[4] Usiamo il termine ‘dialetto’ inteso come variante, vernacolo, della famiglia linguistica lombarda (gallo-italica), che vede nel milanese il lombardo per antonomasia. Ma, si capisce, anche i “dialetti” sono lingue.

[5] Esiste un influsso di tipo bresciano anche lungo la sponda orientale del Garda.

[6] Che, addirittura, considera il bresciano suddialetto del bergamasco.

[7] Come ben sappiamo, nel Medioevo tutta la Cisalpina era Lombardia, e l’estensione linguistica lombarda riguardava anche il Triveneto.

La Lombardia transpadana occidentale (Insubria)

Biscione visconteo

La Lombardia transpadana occidentale, o Insubria [1] etnica come la si potrebbe chiamare per comodità, è il fulcro della Grande Lombardia, il centro della nazione, suo cervello, cuore e motore.

‘Insubria’ deriva dal termine celtico, rafforzato, *suebro- ‘forte, violento’, riferito agli antichi celto-liguri Insubri [2]. Tale etnonimo passò poi ai Galli storici del IV secolo avanti era volgare (probabilmente Biturigi) che occuparono il territorio lombardo fino al fiume Oglio (a Bergamo, contrariamente a quanto si crede comunemente, si stanziarono proprio questi, e non i Cenomani, e il Bergamasco infatti venne inserito, dai Romani, con Milano nella Gallia Transpadana, e non nella Venetia con Brescia). Anche la Cultura di Golasecca andava dal fiume Sesia fino al Serio, altro corso d’acqua locale, in territorio orobico, dove si trovavano appunto i celto-liguri Orobi.

L’Insubria corrisponde all’antico territorio abitato fondamentalmente dai celto-liguri Insubri e Leponzi, e dopo Roma discretamente germanizzato dai Longobardi che si diedero come centri vitali Milano, Monza, e il Seprio (Pavia, la capitale, è situata nella fascia insubrica meridionale, influenzata dal mondo padano) e che più tardi corrisponderà al nerbo del Ducato di Milano.

Milano, la grande capitale della Lombardia etnica e della Lombardia storica, è da sempre il perno dell’Insubria, la città che ha plasmato il territorio circostante, da Lodi al Ticino. Socialmente, politicamente, culturalmente, linguisticamente.

L’area insubrica genuina è formata dalle terre di Milano, Lodi, Monza, Brianza, Lecco, Como, Legnano, Busto Arsizio, Varese, Novara, Intra e Pallanza (Verbania), Canton Ticino e Mesolcina (quest’ultimi, oggi, sotto la Confederazione Elvetica). La Svizzera inoltre comprende anche la valle del Sempione, essa pure parte insubrica del bacino del Po, come la restante regione lombarda. Noi lombardisti tendiamo inoltre a legare all’Insubria, intesa in senso statistico e demografico, Pavia, Valsesia, Vercelli e Biella.

Si tratta, come fulcro storico, di una regione piuttosto omogenea, sia etnicamente che culturalmente, con un solido sostrato proto-celtico/celto-ligure (Golasecca e Canegrate) e gallico (Insubres romani), corroborato dalla dominazione longobarda che ha profondamente inciso sul territorio, e poi dalla signoria dei Visconti, che sotto l’egida del germanico Bisson ha retto le sorti dell’Insubria ducale si può dire fino al 1500.

La romanizzazione, per quanto fondamentale in termini culturali e identitari, non stravolse il territorio, e portò ad una lenta assimilazione dell’elemento celtico nativo, che adottò spontaneamente i costumi latini. Questo, certamente, dopo i ben noti fatti bellici che contrapposero i Galli ai Romani, portando alla sconfitta e alla pacificazione dei primi.

L’area è omogenea pure linguisticamente perché la koinè milanese ha costituito un ottimo collante politico-culturale, anche se degni di nota sono pure il ticinese, il brianzolo, il laghee, il lodigiano e le parlate più occidentali influenzate dal piemontese.

Parimenti, Valtellina, Grigioni lombardofono e Pavese risentono degli influssi del milanese e le parlate di quei luoghi, i primi due soprattutto, sono classificate come lombardo occidentale (che nella terminologia dei moderni linguisti indica l’insubrico/cisbaduano). I dialetti di Pavia (eccetto quelli della Lomellina), invece, sono di transizione con l’emiliano. Un discorso simile si potrebbe fare con la Valsesia, stretta fra Piemonte e Insubria, fermo restando che il piemontese orientale mostra certamente alcuni fenomeni di transizione.

Volendo suddividere amministrativamente la Lombardia transpadana occidentale, che è poi la Lombardia etnica centrale di noi lombardisti (con l’aggiunta del territorio pavese e del Piemonte orientale), avremmo i seguenti ambiti cantonali, con relativi distretti:

  • Milano (Bassa Insubria), con Busto Arsizio, Monza, Lodi e Pavia;
  • Como (Alta Insubria), con Lecco, Lugano e Varese;
  • Novara (Lebecia), con Vercelli, Biella, Varallo e Vigevano;
  • Locarno (Leponzia), con Domodossola, Intra e Bellinzona.

Attenzione: il lombardesimo non propugna, nel contesto grande-lombardo, la creazione di vere e proprie regioni, bensì di cantoni, e loro distretti,  blandamente federati. Non siamo certo regionalisti, anche se riconosciamo tranquillamente l’esistenza di realtà storico-culturali, come la stessa Insubria in termini correnti (e poetici).

Non serve dunque un’insegna globale insubrica perché quella classica del Ducale visconteo (Aquila imperiale e Biscione), a mio avviso, è l’ideale stemma della Lombardia intera, emblema dell’etnostato cisalpino. I cantoni, invece, possono tranquillamente utilizzare le insegne delle loro città precipue (o dei territori storici), e dunque Croce di San Giorgio per Milano, bandiera sepriese a scacchi bianco-rossi per Como, Croce di San Giovanni Battista per Novara, bipartito rosso-blu ticinese per Locarno. Segnaliamo, comunque sia, la nota Scrofa semilanuta, uno dei simboli gallici della capitale lombarda.

La Croce di San Giorgio milanese, anche se non può vantare le origini e la storia della genovese (che ha inciso su quella d’Albione), ha un profilo autonomo, all’interno delle vicende medievali; emblema del comune di Milano, della Lega Lombarda, di moltissime città padane guelfe esprime la coscienza patriottica dei lombardi e il loro spirito d’appartenenza, mirabilmente sfociati nel giuramento di Pontida e, soprattutto, nella battaglia di Legnano. Unita alla Croce di San Giovanni Battista, ghibellina, e allo Swastika camuno, appare quale ideale bandiera nazionale cisalpina.

Naturalmente abbiamo poi il Biscione e il Ducale viscontei, originari dell’Insubria, che costituiscono, il primo, il simbolo se vogliamo del popolo lombardo, del suo retaggio celto-germanico (essendo di ascendenze nordiche) e della sua cultura storica, il secondo, il miglior emblema possibile per la nazione lombarda, rappresentato da un quadripartito bianco-dorato in cui, alternandosi, troviamo l’Aquila del Sacro Romano Impero, latino-germanica, e il Bisson, blasone prima visconteo (ma in origine della città ambrosiana e delle sue milizie comunali) e poi sforzesco, indissolubilmente legato a Milano e alla Lombardia intera.

Per quanto riguarda invece la questione linguistica diamo qui una veloce carrellata dei principali dialetti occidentali – in realtà centrali – del lombardo: milanese (il lombardo per antonomasia), dialetti milanesi, legnanese, brianzolo, ticinese, ossolano, varesotto, bustocco, comasco, laghee, lecchese, lodigiano, novarese, lomellino e alcune parlate gergali. Inoltre, dobbiamo aggiungere le parlate della Valtellina e del Grigioni lombardo, in territorio orientale ma tassonomicamente insubriche.

Questione etnica. Il grosso della Lombardia transpadana occidentale è etnicamente celto-romanzo, gallo-italico, e le sue componenti principali sono la ligure arcaica, la celto-ligure, la gallica (insubrica), la coloniale italo-romana e quella germanica (Goti e Longobardi). A livello sub-razziale/fenotipico, predomina il tipo alpino assieme a quello atlanto-mediterranide, o meglio ancora padanide (dinaride + atlanto-mediterranide), con spruzzate nordiche qua e là, soprattutto in area prealpina e alpina. L’unica minoranza indigena è quella degli alemannici walser che si trovano nel nordovest del territorio.

L’Insubria tradizionale è racchiusa nel bacino imbrifero del Padus, zona tipicamente lacustre, ed è delimitata a nord dalle Alpi Lepontine, ad ovest dal Sesia, a sud dal Po, e ad est dall’Adda. Pavia, come abbiamo visto, è una via di mezzo tra Insubria e Padania (intesa qui come Emilia), rammentando che l’Oltrepò è da considerarsi cispadano in tutti i sensi.

È da sempre il motore della Lombardia, l’area economicamente più ricca e avanzata, animata da intraprendente spirito imprenditoriale perfettamente incarnato dai milanesi e dal Ducato che fu. Dal secondo dopoguerra, per via del boom economico e anche di sciagurate politiche romane, il cosiddetto triangolo industriale capeggiato da Milano è stato investito da milioni di sud-italiani che hanno, volenti o nolenti, stravolto il tessuto etnico e sociale del cuore etnico lombardo, soprattutto per arricchire i soliti noti, a scapito degli indigeni.

Tutte le immigrazioni di massa sono sbagliate, in particolare qualora comportino l’afflusso di realtà etniche e razziali incompatibili. Se l’Insubria oggi annaspa sotto il peso di smog, cemento, inquinamento e traffico “indiano” è anche per questo.

Assieme agli italiani meridionali, circa un milione di veneti si è spostato in territorio occidentale, uniti agli esuli istro-dalmati cacciati dal criminale Tito. Anche molti orobici cercarono fortuna ad ovest.

L’Insubria oggi è piuttosto malridotta e martoriata da una densità demografica mostruosa, dovuta a immigrazione selvaggia (da ogni dove), e dall’industrializzazione scriteriata, ed è un vero peccato perché il territorio insubrico è incantevole, tra laghi prealpini, fiumi, aree collinari, campi e pianure, risaie, e ovviamente Prealpi e Alpi.

La soluzione a questi guai, ovviamente, è l’indipendentismo. Prima ancora, il comunitarismo, che permette il recupero della solidarietà fondamentale, tra connazionali, al fine di riscoprire e dunque difendere le proprie radici.

Gli insubrici sono in via d’estinzione, e in talune zone purtroppo già estinti, anche per colpe proprie, si capisce. Dobbiamo promuovere serie politiche etniciste per far riguadagnare ad essi terreno, perché con la loro scomparsa parlare di Insubria non avrebbe più senso. E allo stesso modo, parlare di Lombardia e di Europa senza più i rispettivi autoctoni.

Note

[1] In senso geografico può essere chiamata Insubria tutta la fascia prealpina e collinare della Regione Lombardia.

[2] L’etimologia viene suggerita qui.