La questione etnica

Zampognari in Brianza (Giovanni Segantini)

Si sarà capito che per il sottoscritto il concetto di nazionalità, distinto da quello di cittadinanza, è rigorosamente determinato dallo ius sanguinis, essendo lo ius soli un’autentica buffonata progressista ed universalista, preso singolarmente. Il lombardista crede nell’azione combinata dei due diritti, e dunque in una cittadinanza identitaria che aderisca alla nazionalità.

Di conseguenza, un individuo è lombardo (ed europeo) se lo è per sangue e per suolo, e poi chiaramente per spirito; questo non è razzismo suprematista, questa è la natura delle cose, poiché la biologia non è fuffa. La questione culturale viene dopo, perché non basta parlare lombardo o mangiare lombardo per potersi a tutti gli effetti dire cisalpini.

Nello specifico, crediamo che un individuo possa fregiarsi dell’etnonimo di lombardo se ha almeno i 4 nonni, biologici ed europidi si capisce, cognominati alla lombarda, e in alcune zone è un autentico miracolo, credetemi. In aggiunta, residenza famigliare in Lombardia almeno dal 1900.

L’etnia è lombarda e dovrebbe esserlo pure la nazionalità: la nazione italiana estesa alla Padania non esiste, e quindi la nazionalità italiana allargata in maniera spropositata è una mascherata. Non concepisco nella maniera più assoluta una nazionalità basata su sciocchezze burocratiche e politiche, un qualcosa di artificiale, specie se confuso con l’arida cittadinanza degli stati di ispirazione giacobina.

La cittadinanza razionale, dunque, deve fondarsi su severi criteri nazionali, proprio perché la Grande Lombardia è una nazione, a differenza del fantozziano Stivale. A maggior ragione, non sono una nazione gli Usa, il cui intento è quello di ridurre l’Europa ad una loro fotocopia e succursale (cosa che in parte è già), anche quando si parla di nazionalità e di cittadinanza. Lombardi ed europei si nasce, non si diventa, il che non significa che tali popoli siano superiori agli altri. Significa, però, che la Cisalpina è una grande patria storica e che l’Europa è la nostra famiglia imperiale, aventi una ben precisa identità antropologica e genetica. Altrimenti possiamo pure cambiare i nomi delle nostre realtà etniche e tramutarle in bordelli cosmopoliti e multirazziali. Proprio come l’America.

Uno dei principali problemi della Lombardia etnica e storica, a partire da quella regionale, è la sovrappopolazione (10 milioni di abitanti su di un territorio di quasi 24.000 km², relativamente alla baracca del Pirellone) il che impone, al fine di preservare popolo e ambiente, di bloccare l’immigrazione e rimpatriare gradualmente buona parte dei puri allogeni che abbiamo in casa. Discorso che vale eziandio per i sud-italiani.

I lombardi devono riprendere a fare figli, ma è forse più importante cominciare a far rientrare nelle rispettive terre chi qui non ci dovrebbe stare. Ogni popolo, infatti, sta bene a casa propria. L’alternativa è il collasso: immigrati, cemento, inquinamento sono una miscela esplosiva. Credo sia nota ai più la disastrosa situazione di Milano e del suo hinterland, ma è ormai un’ossessione regionale quello del culto del capannone e del centro commerciale.

La popolazione della Padania andrebbe, in futuro, drasticamente ridimensionata, se vogliamo avere un destino eco- ed etnosostenibile, pure per una faccenda di sussistenza, preservazionismo ed equilibrio nel rapporto uomo-natura. Raggiungendo così parametri qualitativi alti, in termini di vita e di benessere. Si capisce bene il perché delle simpatie lombardiste verso endogamia, controllo delle nascite, aborto nei casi limite, eugenetica preventiva, fermo restando che la Lombardia abbia senza dubbio bisogno di rinsanguare la propria esanime schiatta.

C’è in ballo il nostro avvenire e non c’è cristianesimo militante o laico che tenga nella lotta per la sopravvivenza e per l’affermazione dei nostri sacrosanti diritti etnonazionalisti. Oppure l’identitarismo etnico è lecito solo ed esclusivamente se si tratta di popoli del sud del mondo?

Chiaramente, andrebbero rimpatriati gli allogeni veri e propri, extra-europei, ma andrebbe contenuta drasticamente anche l’immigrazione europea, fissando un tetto massimo che non preveda ulteriori arrivi, sulla base della compatibilità etnica; non me ne vogliano gli italiani, ma come detto poco sopra sarebbe parimenti il caso di promuovere il ritorno in patria di loro peninsulari. L’etnia lombarda va preservata, recuperata e tutelata perché sempre più minacciata di estinzione, soprattutto nell’area occidentale. Non basta parlare solo di cultura, perché la lombardità presuppone un ADN padano-alpino.

Non ne ho mai fatto una banale questione pecuniaria, per quanto lavoro e denaro possano essere importanti, ma eminentemente etnoculturale e territoriale, il che nobilita la mia battaglia e quella comunitarista, finalizzate all’indipendenza della Grande Lombardia.

Non sono soltanto ragioni etniche e culturali, per l’appunto, sono pure ambientali, perché la sovrappopolazione e l’immigrazione selvaggia cagionano inquinamento, cementificazione, urbanizzazione smodata, traffico congestionato da terzo mondo, avvelenamento del suolo, dell’aria, della flora, della fauna, delle acque, dei beni artistici e naturali, del nostro habitat insomma, dell’umo in cui affondano da millenni le nostre lombarde radici.

Lasciamo dunque perdere il progressismo, il liberalismo, il cristianesimo, l’universalismo e il mondialismo, nonché il pietismo e il capitalismo, ma anche quell’untuoso indipendentismo di matrice marxista o libertaria, europeista, il cui motto è roba del tipo “veneto è chi il veneto fa”. L’indipendentismo deve andare di pari passo con l’etnonazionalismo, sennò rischia di ridursi a ridicole battaglie micro-sciovinistiche ed egoistiche, dettate da tracotanza affaristica, e nemmeno da identitarismo genuino. Il campanilismo, e il regionalismo, sono nemici mortali delle nostre istanze.

Il sangue non è acqua, il suolo non è un mordi e fuggi da società dei consumi, lo spirito inteso come lingua, cultura, identità, tradizione non è flatus vocis; questa triade è ragione di vita per ogni degno lombardo, orgoglioso delle proprie origini, dei propri natali, della propria patria cisalpina ed europea, culla della civiltà plasmata dai nostri arii progenitori.

L’indipendentismo promosso dal lombardesimo è lotta razionale per l’autoaffermazione del nostro popolo, basata sui principi e sui valori etnicisti: non si tratta, infatti, di separatismo alla catalana, di secessionismo alla leghista o di “handipendentismo” liberal caro a certe latitudini europee, e malato di antifascismo, concerne il sacrosanto affrancamento, anzitutto, del sentimento identitario che unisce le genti cisalpine, la cui identità etnica e storica non esitiamo a definire lombarda.

Un serio cammino all’insegna dell’identitarismo völkisch si chiama comunitarismo, e contempla culto, oserei dire scientifico, della terra, della stirpe, dello spirito come vitale scintilla culturale della gente nostrana, ispirato all’azione indipendentista. Perché la Padania non è Italia e merita a pieno titolo l’autodeterminazione, contro il giogo statolatrico di una nazione artificiale, che spetta ad ogni vero popolo europeo.

L’azione politica, è pacifico, deve essere inoltre accompagnata da quella metapolitica, e anticipata dalla cultura militante, perché altrimenti ci si continua a comportare come automi indottrinati dal sistema-mondo e completamente privi di solide basi etnoculturali. E nulla, pertanto, può davvero cambiare, come ha dimostrato il fallimento dello stesso leghismo, un fenomeno privo di mordente genuinamente identitario.

Bisogna avere calma, cautela, pazienza, costanza, perseveranza, senso della misura e del reale, un pizzico di furbizia (cosa in cui i cisalpini non eccellono, si sa) evitando le indecenti banalizzazioni, operate da Bossi e compagnia e loro replicanti, che non hanno fatto altro che inficiare ragioni sacrosante.

Le associazioni da me fondate, il Movimento Nazionalista Lombardo e Grande Lombardia, hanno rappresentato nel loro piccolo l’unica via da percorrere, per quei lombardi desiderosi di promuovere serio comunitarismo etnico su suolo lombardo, contemplando, ovviamente, la soluzione politica indipendentista. Esse hanno gettato un seme, e sono certo che il futuro, grazie anche al lombardesimo, potrà essere roseo. Nulla, signori, è perduto.

Certo, non dobbiamo giocare a fare i politicanti, o i generali senza esercito, ma divenire sempre più esempio per i nostri connazionali, affinché si riscuotano dal torpore e seguano la via dell’identità, scongiurando la dissoluzione coloniale favorita dallo status quo tricolore.

Che forse ci vergogniamo di essere lombardi? Abbiamo davvero il cervello così lavato e ridotto ad omogeneizzato dai nostri nemici, che si spacciano per sedicenti amici?

Ricordatevi che il senso di appartenenza è innanzitutto etno-razziale: dobbiamo dunque tutelare e preservare il nostro retaggio caucasoide europeo, la nostra specificità nazionale ed etnica, nonché il nostro patrimonio fisico e genetico.

Prima il sangue, poi il suolo ed infine lo spirito con tutte le sue manifestazioni. La coscienza linguistica, la cultura, la tradizione sono importantissime, ma il dato biologico è il carburante delle battaglie etnonazionaliste. Sebbene sia chiaro: senza spirito che lo corrobori, il sangue rischia di ridursi a mero fluido.

Ad ogni buon conto, il resto viene dopo. Politica ed economia incluse. Ma ciò, chiaramente, non significa rinunziare ad una visuale a tutto tondo che permetta al patriota lombardo di esprimersi su di ogni argomento. La dottrina lombardista consente una visione del mondo completa, andando a toccare qualsiasi ambito della nostra esistenza.

Ma se non c’è la sacrale triade etnicista e razzialista, che fa di un insieme di individui un popolo conscio di essere nazione, è inutile blaterare di soldi, welfare, pensioni, politiche sociali, progresso e sviluppo. Non è possibile ragionare sempre ed esclusivamente in termini di ordinaria amministrazione.

Siamo uomini, non banchieri, mercanti, strozzini, o preti.

E da uomini e donne davvero liberi dobbiamo vivere un’esistenza piena in nome di identità e tradizione, senza le quali la vita non sarebbe che un mucchio di banalità materialistiche e animalesche, seppur importanti.

I lombardi e la Lombardia

El Bisson

I lombardi, segnatamente padani, sono un popolo, dunque un’etnia; non sono una razza o una subrazza, chiaramente, bensì un insieme di genti che costituiscono la nazione cisalpina, la Grande Lombardia.

I lombardi, scendendo più nello specifico, appartengono alla razza caucasoide europea, agli europidi, e sono la risultante della fusione di elementi di base (atlanto)mediterraneide e alpinide con altri di estrazione dinaride e, meno, nordide (periferica). L’elemento dinaride/adriatide, si fa preponderante nel contesto del Triveneto.

La Lombardia storica è molto vasta come territorio, va dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali, e dall’arco alpino all’Appennino, e quindi i granlombardi non sono del tutto omogenei, anche se gli elementi fisici e genetici basilari restano appunto il sostrato neolitico ligure e reto-etrusco (mediterraneo occidentale) e quello più continentale (alpino), influenzato dagli apporti indoeuropei.

Il nerbo lombardo è ovviamente situato nella Lombardia padana, nell’area che gravita attorno a Milano, la nostra capitale, e se vogliamo trova nell’Insubria il suo fulcro rustico, per quanto oggi offuscato dalla globalizzazione e dall’invasione alloctona.

La zona insubrica fu proto-celtica (Canegrate e Golasecca), gallica (Insubri), naturalmente gallo-romana, germanica (Longobardi della Neustria e Franchi), modellata dal Medioevo feudale, comunale e signorile; è un po’ il cuore della Lombardia etnica, grazie alla sua centralità, non solo geografica ma anche culturale e linguistica.

Il cuore della Lombardia è piuttosto alpinide, e il tipo alpino è certo quello prevalente. Solitamente, sebbene erroneamente, viene associato ai Celti, in quanto il grosso del popolo transalpino che questi portavano seco, essendo centro-europeo, apparteneva al fenotipo in oggetto. Un po’ come i Venetici, associati all’estrazione dinaride, in virtù della loro provenienza centro-orientale, danubiana.

Comunque sia, tradizionalmente, i caratteri fisici legati alla celticità sono quelli nordidi dinaromorfi, vedasi il noto Keltic Nordid dell’Età del ferro.

Procedendo verso nordest si possono notare influssi retici (nord-etruschi) in Valtellina, nelle Orobie, nelle Prealpi bergamasche e bresciane, quindi dinarico-mediterranidi, e lo stesso si può riscontrare a sudest, in area padana, dove gli Etruschi, se non proprio a colonizzare, giunsero ad influenzare zone come Cremonese, Bassa bresciana, Mantovano. Se parliamo di Reti, tuttavia, va soprattutto citato il Triveneto settentrionale, e se parliamo di Etruschi la Lombardia cispadana; nel primo caso vanno messi in conto discreti influssi di tipo nordoide, e naturalmente l’elemento alpinide.

L’aplogruppo R1b-U152, clade Z36, ritenuto peculiare delle invasioni galliche, trova i suoi massimi fra Bergamasco e Bresciano, in zone molto conservative e caratterizzate da una cospicua eredità del Ferro. Quel lignaggio paterno, essendo presente parimenti in area elvetica, è molto probabilmente connesso alla Cultura di La Tène.

Gli influssi liguri, al di là della Liguria, sono forti nel basso Piemonte, Pavese, Novarese, Milanese e Alto Milanese, Lodigiano e si esprimono in elementi mediterranidi e “progressivi” (atlanto-mediterranidi). Anche l’Emilia occidentale risente particolarmente del sostrato ligure. La toponomastica però suggerisce l’esistenza di un substrato di questa tipologia eziandio nel settore genericamente centro-occidentale (Piemonte e Insubria), mediante il classico suffisso -asco/a.

Il modesto apporto nordide deriva certamente da Celti e affini [1] e, soprattutto, dai popoli germanici, quali Goti e Longobardi. Nel caso orientale va registrato l’ingresso di componenti teutoniche recenti e slave. Coi Franchi, nel Medioevo, si verificarono pure immigrazioni di altri elementi nordici come Alemanni, Svevi, Bavari. D’altra parte, lungo l’arco alpino, va ricordata la presenza storica di diverse minoranze di origine transalpina.

Fra i gruppi minoritari storici, allogeni, vanno menzionati i giudei, concentrati a Milano ma un tempo presenti anche nell’ovest e nella Bassa, e gli zingari, in particolare sinti, noti giostrai della Val Padana.

Potremmo dire che l’odierno lombardo etnico, mediamente, è medio-alto, robusto, brachicefalo/mesocefalo, di carnagione chiara, capello castano, occhio intermedio; appartiene, primariamente, al lignaggio dell’aplogruppo del cromosoma Y R1b, indoeuropeo occidentale, e a quello dell’ADN mitocondriale H1 (euro-indigeno, mesolitico), al gruppo sanguigno “universale” 0+ ma pure sensibilmente al gruppo euro-continentale A+, e digerisce certo il lattosio più di molti altri “italiani” (segnatamente meridionali), per via della propria storia. Come si sa, più si va a nord e più il lattosio è tollerato (in “Italia” si digerisce relativamente poco, per via della robusta eredità neolitica e agricola, che nel settore meridionale scolora nel levantinismo recente).

Discreta è la diffusione dell’occhio nordico verde-grigio-azzurro, modesta quella del biondismo puro, che nel nord granlombardo raggiunge il 20%.

Geneticamente parlando, a livello di ADN autosomico, siamo certamente celtici e germanici, ma il grosso è neolitico talché ci collochiamo tra toscani e iberici/francesi meridionali, globalmente. Può sembrare sorprendente, ma la Val Padana, che è la realtà più popolosa della Grande Lombardia, è molto mediterranea occidentale e ha un contributo romano-imperiale, dunque orientale, più importante di quello dell’Iberia, anche se poi questa è certo meno nordica, in senso slavo-germanico. Siamo dunque europei meridionali, o meglio centromeridionali, nonostante il netto influsso antropologico e genetico del Centro Europa, che si fa cospicuo lungo le Alpi.

Quello che, sempre geneticamente, distingue chiaramente la Padania da Toscana/centro, ma soprattutto dal sud, è un maggior aspetto continentale (indoeuropeo e nordico) e un minor contributo levantino, antico e soprattutto recente. Sardegna naturalmente isolata. Non esiste un vero e proprio cline, tra gli “italiani”, anzi, lo stacco che esiste fra Padania e Italia etnica meridionale è una vera e propria frattura. La Toscana è una realtà intermedia, per diversi aspetti più affine, biologicamente, alla Grande Lombardia che all’Italia.

In epoca protostorica la Lombardia è stata dunque modellata, a ovest, dalle culture proto-celtiche di Canegrate e Golasecca (emanazione di quella di Hallstatt), a est da quella di Polada, Fritzens-Sanzeno, Este, senza contare i castellieri nordorientali; a sud da terramare, protovillanoviano, villanoviano, con la Liguria arianizzata dai neo-Liguri [2] e dagli influssi celtici. Questo per citare le civiltà precipue. Nella seconda fase del Ferro, va citata la gallica Cultura di La Tène, e a seguire la romanizzazione, militare a sud del Po, pacifica al di là.

Popoli protostorici degni di nota furono i Liguri, più o meno indoeuropeizzati (fra cui Lebeci, Levi, Marici, Euganei [3] e le varie tribù della Liguria e dell’Emilia occidentale), i Reti (Vennoneti, Camuni, Triumplini, Anauni ecc.), i Celto-Liguri veri e propri (Salassi, Insubri golasecchiani, Leponzi, Orobi, Anamari), i Galli (Insubri, Cenomani, Boi, Lingoni, Senoni, Carni), gli Etruschi della Cispadana. Determinante fu l’apporto romano, soprattutto nelle colonie create grazie alla conquista della Gallia Cisalpina, e poi meritano menzione Goti, Longobardi e in misura minore Franchi e altri Germani. I lombardi sono nati dalla fusione di questi elementi etnici, portata a compimento nell’Alto Medioevo, e in particolar modo dall’incontro fra il substrato mediterraneo e alpino, l’arianizzazione del Ferro [4], la romanizzazione, e il superstrato germanico, per quanto marginale.

I lombardi abitano un territorio mite, temperato, subcontinentale; centromeridionale dal punto di vista geografico, legato alle Alpi e alla Valle del Po, all’Appennino settentrionale, per nulla peninsulare; la vegetazione forestale in area montana è composta da rovere e roverella, mentre in pianura è (o era) tipicamente continentale grazie a frassino, carpino e farnia; la fauna è a metà strada fra quella mediterranea e l’area mitteleuropea; la cucina ha influssi centro-europei [5] perché a base di carne bovina e suina o di cacciagione e selvaggina, latticini, cereali o verdura e frutti classici dell’area europea centrale come verze, patate, cicorie, orzo, segale, frumento, mele, frutta secca, che portano alla creazione di piatti poveri e rustici ma sostanziosi (cazzoeula, busecca, cotoletta, polpette, polente varie e non solo di granturco, pasta all’uovo ripiena, lardo e burro come condimenti, stufati, bolliti, affettati, dolci grassi di ogni tipo ecc.); si beve più vino che birra, naturalmente. Il vino locale non ha nulla da invidiare a quello francese.

Risentiamo molto della romanizzazione, vuoi per la lingua, per la vite, per i castagni o per l’olio dei laghi; vuoi per il cattolicesimo sempre abbastanza fedele a Roma (purtroppo). Siamo chiaramente una terra che ha una discreta componente mediterranea, prevalente lungo le coste liguri, romagnole, istriane. Roma ci ha anche lasciato in eredità, a noi come a mezza Europa, dei geni del Mediterraneo orientale recenti, di epoca imperiale, seppur nulla di paragonabile a quanto accaduto nel centrosud.

A livello di indole e di inclinazione culturale, potremmo dire che i lombardi sono intrisi di mentalità alpina e contadina (padana): grandi lavoratori, testardi, coriacei, sobri, terragni, intraprendenti; aspetti che comportano benefici (lavoro, parsimonia, ordine, disciplina, virtù, efficienza, sviluppo, benessere) ma anche difetti (taccagneria, ottusità, bigottismo, campanilismo, chiusura mentale e grettezza, ignoranza, piccineria, arroganza). Per non parlare della sfumatura cosmopolita di aree come Milano, Torino, Genova, Bologna, dove materialismo e consumismo dominano, spesso in condominio col progressismo, facendosi acerrimi nemici dell’impegno identitario, e dei nostri giovani e giovanissimi traviati.

Ce la prendiamo, a volte, coi sud-italiani e gli altri immigrati, pedine dell’orripilante giuoco mondialista, ma dobbiamo pure riconoscere che la colpa dell’attuale condizione di colonia romana, italiana e multirazziale è anche nostra: una società viene invasa e conquistata dall’esterno anzitutto perché corrotta al suo interno. I granlombardi, soprattutto occidentali, hanno abdicato al ruolo di legittimi padroni della Grande Lombardia, e ora ne pagano le conseguenze. Questo succede, sacrificando l’identitarismo al dio denaro. Poi è chiaro, la condanna nei confronti dell’italianizzazione e della susseguente immigrazione allogena deve essere senza se e senza ma, perché ordita dal sistema, nonostante la complicità dei pescecani locali.

La cosa migliore per i lombardi è riscoprire le proprie origini, ridestare l’identità sopita, ché nulla è davvero perduto, e abbracciare il lombardesimo. Etnonazionalismo e indipendentismo lombardi, perché la nostra patria deve lottare unita per la propria salvazione e la propria libertà. Basta Roma, basta Italia, basta sistema-mondo. Il futuro può essere roseo soltanto se proiettato nella dimensione genuinamente völkisch dell’azione culturale, metapolitica e politica della Grande Lombardia restituita a sé stessa, e affrancata dal giogo cosmopolitico.

Note

[1] Liguri e popoli alpini arianizzati, Veneti, Etruschi di influsso indoeuropeo.

[2] Un termine tratto da Michel Lejeune.

[3] Per taluno popolazione alpina.

[4] Molti non lo sanno, o fingono di non saperlo, ma il celtismo padano-alpino risale al Bronzo, mille anni prima circa dei Galli, grazie alla Cultura di Canegrate, e ai primordi della Scamozzina.

[5] I Longobardi modificarono sensibilmente la dieta cisalpina, romanizzata, che comunque aveva radici celtiche.

La Lombardia

La Lombardia in epoca carolingia

Il concetto di Lombardia etnica (o di Grande Lombardia per come lo interpretavo agli albori), di Lombardia storica, di Lombardia tout court, insomma, contrapposta alla “Pirellonia” già “Formigonia”, diffuso dal Movimento Nazionalista Lombardo, ricalcava più o meno quello che proposi nel settembre del 2009 sul mio vecchio blog.

Oggi, come sapete, in virtù dell’esperienza di GL, distinguo tra una Lombardia etnica padana (grossomodo il nordovest della Repubblica Italiana) e una Grande Lombardia cisalpina (il settentrione della RI), individuando anche una terza forma di lombardità data dal connubio linguistico-culturale (e qui si può, ulteriormente, separare una Lombardia etnolinguistica ristretta, “insubrica”, che ricalca la famiglia idiomatica lombarda dei linguisti, dal contesto gallo-italico).

Secondo alcuni, ‘Lombardia’ è un concetto vago, parziale, arbitrario che potrebbe essere applicato a buona parte dell’Italia (intesa in senso romano), in quanto ex Regno longobardo (Langobardia Maior /Langobardia Minor, un etnonimo impiegato dai Bizantini per riferirsi ai territori in mano longobarda, tanto che Lombardìa è accentato alla greca, non alla latina; in effetti, sarebbe meglio chiamarla Lombàrdia). Se i Franchi non avessero sgominato gli antichi Vinnili, forse, l’intera Italia sarebbe divenuta Lombardia, anche se il prestigio del coronimo italico, in definitiva, sarebbe stato più forte.

Tuttavia, per quanto mi riguarda – e non credo sia idea peregrina -, ‘Lombardia’ si attaglia perfettamente alla cosiddetta “Alta Italia”, alla Cisalpina, segnatamente alla sua porzione occidentale. Il fulcro del Regno longobardo, la Langobardia Maior, era il settentrione con la Toscana, e anche in quest’ultima, subito conquistata e colonizzata da Alboino, i Longobardi lasciarono una forte impronta, anche in senso genetico e fisico. Ciò nonostante, l’etnonimo lombardo raramente, nel Medioevo, designò i toscani, come lo stesso Dante dimostra distinguendo, linguisticamente, il tosco dal lombardo.

Da un punto di vista storico, etnico, geografico e linguistico-culturale col termine ‘Lombardia’ si suole indicare l’intera Cisalpina, in particolar modo il nordovest (con le ben note propaggini orientali trentine e veronesi). Peraltro, anche agli occhi degli stranieri dell’Età di mezzo, varcare le Alpi, o l’Appennino, significava recarsi in Lombardia, e i Lombards medievali non erano altro che i banchieri, i ricchi mercanti e i prestamonete dell’Alta Italia presenti nel Nord Europa. Questa era anche, più o meno, la mira panlombardista dell’MNL.

La mia idea primigenia di Grande Lombardia, poi nel tempo corretta, era la seguente: Regione Lombardia, Ticino, Grigioni lombardofono, Piemonte orientale, Trentino occidentale, Emilia, Bologna e Ferrara e pure la Lunigiana. Era piuttosto in linea, tra l’altro, con l’idea geografica padana che l’Alighieri palesò nella Commedia, parlando di un oscuro personaggio bolognese:

rimembriti di Pier da Medicina,
se mai torni a veder lo dolce piano
che da Vercelli a Marcabò dichina.

(Inferno XXVIII, 73-75)

(Vercelli la conosciamo; Mercabò, o Marcabò, era una fortezza eretta dai veneziani sul Delta del Po.)

Correggendo il tiro, nei primi mesi del 2010 sistemai la mia vecchia idea grande-lombarda giungendo, anche grazie al confronto col sodale Adalbert Roncari, alla posizione dell’MNL: Regione Lombardia, Ticino, Grigioni lombardofono, tutto quanto il Piemonte, la Val d’Aosta, Trentino occidentale, Emilia priva della parte estrema fuori dal bacino del Po (dallo statuto ibrido lombardo-romagnolo) e alcune porzioncine di Veneto. Senza però Massa e Carrara che sono liguri anche se tendenti alla lombardofonia per influssi ducali padani.

Espongo, dunque, l’allora pensiero lombardista, tratto dai vecchi blog, che aderisce al concetto storico di Lombardia come marca terragna nata in epoca carolingia:

Parlando di Lombardia, la prima cosa di cui si deve tener conto, il primo punto fermo, sono i sacri ed intoccabili confini geografici: la Lombardia combacia col bacino idrografico del fiume Po.

Per questo, ma non solo, ritroviamo nella nostra idea di Lombardia territori franco-provenzali, occitani e liguri, perché facenti parte dell’ambito alpino-padano.

E davanti ai confini geografici, davanti ai baluardi naturali, signori miei, c’è poco da questionare.

In secondo luogo, abbiamo l’amalgama etnico gallo-germanico, celto-longobardo, che accomuna tutti i lombardi, quelli centrali (insubrici), orientali (valtellinesi, orobici, cenomani), occidentali (piemontesi) e meridionali (padano-emiliani); parimenti, l’amalgama linguistico galloromanzo cisalpino, escludendo la Romagna che non è lombarda (a cui possiamo tranquillamente aggiungere le papalino-bizantine Bologna e Ferrara) e la Liguria che è mediterranea.

Da ultimo, c’è la questione culturale e storica, nata nel Medioevo, che dopo la Gallia Cisalpina e la Langbobardia ha visto il sorgere della marca imperiale di Lombardia, dei liberi comuni, delle signorie germaniche, del Ducato di Milano e poi di Lombardia, prima della frammentazione cinquecentesca.

E, dunque, ecco una Grande Lombardia così ripartita: Lombardia centrale (Insubria), Lombardia orientale (Valtellina-Orobia-Cenomania), Lombardia occidentale (Piemonte, Val d’Aosta), Lombardia meridionale (Emilia-Padania).

All’interno del nostro territorio possiamo trovare minoranze franco-provenzali e provenzali a ovest, liguri a sud e alemanniche (walser) a nord.

Abbiamo pensato anche ad una ripartizione del territorio stesso.

Per mere questioni statistiche e di comodo suddividiamo la Lombardia in quattro aree geografiche (appunto centro-est-ovest-sud) a loro volta suddivise in cantoni con capoluoghi e distretti.

Avremo così: Lombardia centrale – Bassa Insubria (Milano capitale storica di Lombardia, con i distretti di Busto Arsizio, Monza, Lodi e Pavia), Alta Insubria (Como, con i distretti di Lecco, Lugano e Varese), Lebecia (Novara, con i distretti di Vercelli, Biella, Varallo e Vigevano), Leponzia (Locarno, con i distretti di Domodossola, Intra, Bellinzona); Lombardia orientale – Orobia (Bergamo, con i distretti di Crema, Clusone, Zogno), Rezia (Sondrio, con i distretti di Tirano e Chiavenna), Alta Cenomania (Brescia, con i distretti di Rovato, Desenzano, Darfo e Riva), Bassa Cenomania (Cremona, con i distretti di Casalmaggiore e Mantova); Lombardia occidentale – Alta Taurinia (Torino, con Ivrea, Lanzo, Pinerolo, Susa), Bassa Taurinia (Cuneo, con Alba, Mondovì, Saluzzo), Ambronia (Alessandria, con Asti, Casale, Acqui e Novi), Salassia (Aosta); Lombardia meridionale – Marizia Occidentale (Piacenza, con Voghera e Tortona), Marizia Orientale (Parma, con Fidenza e Fiorenzuola), Bononia (Modena, con Reggio di Lombardia e Carpi).

I nomi dei cantoni sono etnonimi che si rifanno alla principale popolazione, celtica o celto-ligure, che ha dato l’impronta fondamentale al territorio; i capoluoghi sono le città principali dei cantoni; i distretti sono le città minori.

Milano è la grande ed unica capitale di Lombardia, motore della sua potenza e della sua gloria, volano del lombardesimo assieme al nordico Seprio e al nucleo lombardo, lo zoccolo duro insubrico, (la grande Insubria golasecchiana dal Sesia al Serio che costituisce la Lombardia basica), guida aristocratica di tutta la nazione.

C’è da dire che la nostra ipotetica suddivisione amministrativa rispecchia anche la nostra idea politica di Lombardia che più che federalista è moderatamente centralista (a che serve il federalismo tra fratelli?), con Milano intoccabile capitale, presidenziale, repubblicana ma aristocratica, senza tutta quella patetica e farraginosa intelaiatura federale o pseudo tale che rischia di fomentare le solite grandi pecche lombarde ossia egoismo, particolarismo, campanilismo e materialismo.

Quella delineata qui sopra non è la Grande Lombardia (la Cisalpina) individuata nel 2013, e di cui tratto ancor oggi, ma la Lombardia etnica. Sul sito di Grande Lombardia (GL) è possibile osservare nel dettaglio, grazie a pregevoli cartine realizzate dal buon Ronchee, gli areali, le suddivisioni amministrative attuali e quelle cantonali ipotetiche tanto della Lombardia etnica (grossomodo il nordovest) quanto della Grande Lombardia (la Padania scientifica, non legaiola).

La concezione lombardista di Lombardia, stabilizzatasi nel tempo, si innerva dunque sulla distinzione in Lombardia etnica e Grande Lombardia. Più sopra accennavo, comunque, ad una terza forma di Lombardia (le tre lombardità di cui parlavo nel blog precedente), che è quella etnolinguistica: ristretta (la Regione Lombardia, senza gli Oltrepò, con Novarese, VCO, Tortonese, Svizzera lombarda e Trentino occidentale) e allargata (il continuum galloromanzo cisalpino, gallo-italico, cioè il settore occidentale della Cisalpina che include anche Romagna e Liguria).

C’è da dire, come ho sempre sostenuto, che la Regione Lombardia, la simpaticamente detta “Pirellonia”, pur essendo totalmente lombarda, è una boiata artificiale creata a tavolino dal centralismo romano, che si avvale di regioni pseudostoriche per banalizzare gli orgogli etnici (e genuinamente nazionali), facendo finire tutto nel tritacarne tricolore. Gli studiosi, giustamente, individuano una famiglia linguistica lombarda – ristretta – che va da Novara a Brescia e da Bellinzona a Cremona; ma va detto che le parlate cisabduane, insubriche, hanno più in comune con quelle del Piemonte orientale o del Piacentino, che con bergamasco e bresciano.

Gli stessi linguisti, qui colpevolmente, in ossequio all’italocentrismo, usano un’etichetta sciocca, “gallo-italico”, per evitare di impiegare il termine corretto (in senso allargato), “lombardo”, in riferimento alla macro-famiglia linguistica della Padania. Le lingue lombarde, che nel Medioevo interessavano anche il Veneto continentale e padano e il Trentino, hanno influenzato il ligure (che, oggi, è ritenuto gallo-italico, dunque lombardo), comprendono il romagnolo e si spingono fino alle Marche settentrionali e alla Lunigiana, con un’isola nel Conero e lambendo la Garfagnana.

L’esistenza di una nazione lombarda, anche linguisticamente, è insindacabile, corroborata dalla stretta affinità con gli idiomi retoromanzi (romancio, ladino e friulano), oggi distinti dalla famiglia lombarda ma un tempo ancor più prossimi alla stessa. La lingua veneta attuale, certo ben diversa dal lombardo, si è espansa in tutto il Veneto ma è modellata sul prestigio del veneziano (storicamente legato al toscano per questioni letterarie) e ha nei secoli rimpiazzato parlari affini a quelli lombardi contemporanei. Il sostrato celtico e il superstrato longobardo hanno riguardato anche il Triveneto.

La designazione altomedievale del territorio lombardo, modellato sulle suddivisioni politiche longobarde e franche, si concentrava sul settore “italiano” nordoccidentale tralasciando, per ovvie ragioni, la Romagna, ossia l’Esarcato bizantino. Anche Liguria ed Emilia orientale erano di statuto incerto, poiché conquistate tardivamente dai Longobardi; ciò nonostante, Genova era ritenuta la porta della Lombardia (anche grazie ad un bisticcio etimologico latineggiante) e, nella mappa postata in apertura, Bologna e Ferrara mancano in quanto donate da Carlo Magno al papa, pur essendo state alfine prese dai Longobardi.

Quest’area coincide con la Padania intesa come bacino imbrifero del fiume Po, col fulcro della Gallia Cisalpina e della Langobardia Maior (Pavia, Milano e Monza) e ricalca, inoltre, il territorio che con i Carolingi assunse per la prima volta il toponimo ‘Lombardia’: per l’appunto, il nordovest, la Lombardia etnica.

Il Triveneto, porzione orientale della Grande Lombardia, rientrava nella designazione più ampia di Lombardia medievale (vedi Lega Lombarda), ma assunse un proprio profilo politico peculiare grazie a Venezia, Aquileia, Verona, Trento; la Romagna è (quasi) sempre stata esclusa dall’ambito longobardo/lombardo, pur essendo anch’essa Gallia Cisalpina. Il “nord Italia”, ossia la nazione della Grande Lombardia, va, anche etno-culturalmente, dalle Alpi allo spartiacque appenninico (linea linguistica Massa-Senigallia) e dal fiume Varo al Monte Nevoso, nella Venezia Giulia storica.

Nessuno nega che il “nord” non sia del tutto omogeneo e che, al suo interno, vi siano alcune differenze peculiari. Lasciando da parte le minoranze storiche, esiste certamente una distinzione tra l’ambito alpino/prealpino e padano, così come tra ovest ed est, e la realtà romagnola appare periferica e tendente all’ambito tosco-mediano. Anche la geografia è variegata, sebbene l’areale grande-lombardo sia primariamente continentale e sub-mediterraneo. Ma è altrettanto innegabile che la dimensione nazionale abbracci l’intero contesto padano-alpino, a partire dalla Lombardia etnica.

Presentazione

Paolo Sizzi

Salute a tutti voi, chi scrive è Paolo Sizzi, cultore di lombardità sulla rete ormai da 16 anni. Ho aperto questo nuovo spazio virtuale nell’autunno scorso, sentendo l’esigenza di riconciliarmi pienamente con le mie origini, nonché con la mia terra e la sua vera natura. Coloro che mi seguono avranno notato che ho rimosso gli articoli precedenti, dopo aver tenuto il sito privato in modalità provvisoria, contestualmente all’abbandono marzolino del vecchio “Cinguettatore”. Tale scelta deriva da motivi, per così dire, professionali, che mi hanno spinto ad una riconsiderazione della mia presenza sul web, accantonando per il momento questioni politico-ideologiche e, soprattutto, cambiando registro comunicativo. Non ho voluto, tuttavia, sacrificare Lombarditas, e si è deciso, dunque, di privilegiare il lato culturale dell’opera sizziana – sperando di fare cosa gradita ai lettori – a vantaggio di scientificità e imparzialità.

In questo blog, come anticipato nelle Informazioni, troveranno posto le classiche tematiche a me care, discusse dal 2006 a questa parte: storia, geografia, linguistica, dialettologia, araldica, onomastica, cognomastica, toponomastica, folclore, così come i “cavalli di battaglia” del sottoscritto, antropologia (fisica) e genetica delle popolazioni. Di politica, metapolitica e ideologia tratterò in altra sede; qui, allo stato dell’arte, si è scelto di dare degno risalto a tutto quello che concerne la cultura bergamasca e lombarda, dove ‘lombarda’ significa cisalpina, a partire dal nucleo fondante della nostra realtà etnica e nazionale, che è il bacino padano. Non mancherò di dare uno sguardo anche all’Italia e all’Europa.

Ho preservato gli articoli, scritti in tutto questo tempo, valevoli da un punto di vista culturale, e che per questo riproporrò senz’altro, con i dovuti aggiornamenti e miglioramenti. Essendo il frutto di un lavoro di studio e di ricerca, appare salutare un recupero del materiale più pregevole, aumentandone lo spessore scientifico con note, citazioni, bibliografia e/o sitografia. Il nuovo taglio assunto da questo giornale di bordo su internet, a differenza dell’impostazione originaria, pone maggior enfasi sull’erudizione, sebbene la divulgazione sia sempre stata l’intento principale dei miei scritti. Come ho più volte ricordato, a che pro darsi all’impegno ideologico e politico se non si sa nulla della storia del proprio territorio, della sua identità e del peculiare profilo delle genti che lo abitano? insomma, se non ci si conosce?

Oltretutto, si vuole raggiungere un duplice obiettivo: da una parte continuare la storia sizziana di trattazione etnoantropologica (segnatamente lombarda), dall’altra rendere affascinante, agli occhi soprattutto dei più giovani, la disamina di tutto quello che concerne la patria alpino-padana, una patria che Carlo Cattaneo definiva “artificiale” in quanto «immenso deposito di fatiche». Il pensiero del sottoscritto ormai è ben noto, e in attesa di tempi più propizi è giunto il momento di dare spazio alla cultura a tutto campo, senza per questo rinunciare alla discussione antropogenetica, che non verrà snaturata. Sarà per me un onore e un vanto riuscire a conquistare l’attenzione delle generazioni lombarde, in nome di quel sentimento d’appartenenza comunitario che è linfa vitale di ogni popolo.

Potremmo dire che questa è una novella, intrigante, tenzone poiché si vuole dimostrare come, al di là della visione politica lombardista – e quindi della personale prospettiva etnonazionalista – esista un insieme di genti etnicamente e storicamente lombarde ben differenziate nel quadro europeo, a partire dal confronto con la penisola vera e propria, che è la primigenia Italia mediterranea, italica, romana e influenzata dal mondo greco. Il mio punto di vista non può, certamente, essere del tutto neutro, ma, conciliando le esigenze di cui sopra con la volontà di adottare un’ottica razionale, cercherò di illustrare, senza faziosità, la bontà del sentimento patrio in chiave grande-lombarda. Attenzione: la “Grande Lombardia” non è una velleità espansionistica dello scrivente, è semplicemente il nome impiegato per definire il contesto subalpino storico, in quanto sovrapposizione della Langobardia (Maior) alla (Gallia) Cisalpina. Non si parla certo di opinioni.

Avrò modo di citare diverse fonti documentarie utili a chi ha l’interesse e il piacere di approfondire quanto verrà trattato, perché lo scopo principale di questo spazio virtuale rimane quello di suscitare un desiderio di conoscenza con ricadute concrete sul sapere dei lettori. La grande sfida che riguarda il presente e il futuro dei nostri popoli concerne la salvaguardia del patrimonio tradizionale, mortalmente minacciato dalla società mondializzata, e questo dovrebbe essere un dovere trasversale da parte di tutti i lombardi, nello specifico, e degli europei, in generale. Se la lingua, la tradizione, l’identità, la mentalità, gli usi e costumi e, non da ultimo, l’etnia di una nazione muoiono a rimetterci non sono solo le fasce della società più avanti negli anni ma anche, e soprattutto, i più giovani e coloro che verranno. Avrà ancora un senso chiamare ‘Lombardia’ la Lombardia?

Anche per questa ragione, e non solo per quella palesata in apertura, appare utile avvicinare alle tematiche trattate coloro che sentono il bisogno di ampliare lo scibile in materia di lombardità – come da titolo di questo blog – poiché le Lombardie sono una ricchezza di ogni lombardo, e hanno il diritto di difendere le radici per alimentare un futuro roseo che passi per l’autodeterminazione dei propri virgulti. Naturalmente non rinuncerò mai alle mie idee e al mio retroterra ideologico e dottrinale, frutto del profondo legame col territorio orobico e padano-alpino, ma vorrei passasse il concetto che lo spirito d’appartenenza non è appannaggio di qualche movimento o partito (che, peraltro, nel tempo si è perso per strada). Ogni riferimento a via Bellerio è puramente casuale…

Lombarditas mira, quindi, al recupero di quel sano orgoglio lombardo che non significa odio, razzismo, discriminazione, bensì amore e rispetto, anzitutto per sé stessi, per il proprio suolo natio, per la propria cultura; i lombardi possono dirsi etnia e nazione, come i sardi e gli italiani etnici. Togliamoci dalla testa l’idea che difendere l’identità sia un attacco nei confronti degli altri, poiché solo dalla difesa del rispettivo onore comunitario può nascere il riconoscimento di quello altrui. Qualcuno storce il naso perché parlo di ‘nazione lombarda’? Che dire, dunque, della Confraternita dei Lombardi in Roma, una compagnia religiosa creata per dare assistenza spirituale e materiale ai lombardi presenti nella capitale italica nel XV secolo, la cui denominazione seriore fu “Arciconfraternita dei Santi Ambrogio e Carlo della Nazione Lombarda”? La fierezza per i relativi natali non può essere preclusa alle popolazioni europee, a differenza di quelle del Sud del pianeta: il rullo compressore della globalizzazione capitalistica è una minaccia per tutti gli uomini, senza distinzione.

Vi auguro buona lettura e buona discussione, invitando a mantenere, nei commenti, toni civili e rispettosi, proprio perché l’intenzione è quella di confezionare un prodotto di qualità che, anche nel confronto, possa rappresentare un’occasione di edificazione per tutti, in particolare, torno a dire, pei più giovani. I commenti riguardo ideologia e politica non sono banditi, ma vi raccomando di non andare fuori tema e di rispettare questa nuova veste contenutistica del blog. Prossimamente rifletterò sull’opportunità di riprendere qualche tematica di trattazione (meta)politica, anticipandovi che in cantiere c’è dell’altro, ma di questo parleremo poi. Sfruttare la dimensione educativa dello strumento internettiano, soprattutto oggi, è un’occasione da non lasciarsi sfuggire, eziandio per il giovamento di ciò che, spregiativamente, viene liquidato come localismo.

P.S.: mi potete trovare sui nuovi profili Twitter e Instagram, da cui, fra le altre cose, diffondo gli articoli del weblog. Attualmente sono account incentrati per lo più sulla divulgazione culturale, a mo’ di appoggio all’opera di Lombarditas. Parimenti, vi segnalo il canale Telegram omonimo nel quale pubblico, con cadenza settimanale, dei brevi video circa la natura delle Lombardie, affiancato dal nuovo canale YouTube. A quanti vorranno contattarmi o chiedere in merito ad approfondimenti e questioni varie, ricordo l’indirizzo di posta elettronica lombarditas@gmail.com.