Lombardia altomedievale

Regnum Italiae

I Longobardi, gli “uomini dalle lunghe barbe”, già Vinnili (“i combattenti vittoriosi”), si stanziarono dunque in Lombardia e le tramandarono il nome.

Questo non fa di noi dei germanici, si capisce, bensì dei gallo-romani germanizzati in superficie, europei sudoccidentali con influenze centrali, dunque europei centromeridionali.

I Longobardi hanno corroborato, dove più e dove meno, la toponomastica, l’onomastica, gli usi e costumi, il diritto, gli idiomi, la mentalità e naturalmente l’etnia, ma tutto sommato in maniera contenuta.

Grazie ad essi in Lombardia sorsero il complesso di Castelseprio e il monastero di San Salvatore a Brescia, capolavori dell’arte longobarda oggi patrimonio dell’umanità (sebbene non serva certo l’Unesco per ritenerli tali). Anche la Corona Ferrea conservata a Monza è un gioiello dell’arte altomedievale, simbolo cisalpino prestato ad una dubbia italianità di cartapesta. Ricordiamo, naturalmente, l’importante lascito nordico in territorio friulano, pure in termini artistici.

Vengono convenzionalmente chiamati “barbari” ma l’appellativo è ingiusto; sebbene popolo straniero invasore, inizialmente duro conquistatore e padrone, col tempo i Longobardi assorbirono la cultura classica e la latinità fondendosi con gli autoctoni e guidando la nazione, assieme alla Toscana. L’eredità germanica in genere e longobarda nello specifico si mantenne viva segnatamente grazie ai nobili, anche se un apporto biologico e antropologico è ancor oggi riscontrabile in tutti i lombardi. E il Regno longobardo raggiunse un grado di civiltà unico, nel panorama dell’Europa occidentale del tempo.

La Lombardia divenne grande con Agilulfo e Teodolinda, e poi con Rotari (il sovrano dell’Editto del 643), Grimoaldo, Pertarito, Liutprando (con cui il regno giunse all’apogeo, annettendo i due ducati centromeridionali di Spoleto e Benevento), per quanto ormai la nostra terra fosse quasi del tutto cattolicizzata; nella battaglia di Cornate d’Adda, 689, il re cattolico Cuniperto e l’esercito sconfissero la fronda ariana del duca di Trento Alachis e dei rivoltosi dell’Austria longobarda, spianando così la strada alla conversione cattolica di tutti i Longobardi, certamente un fatale passo verso la Roma papalina.

Liutprando, il più grande sovrano longobardo, sostenendo il cattolicesimo a spada tratta spinse anche per la fusione definitiva dell’elemento longobardo con quello romanico, cosa che prima non era vista di buon occhio dai conquistatori, fautori di una rigida endogamia [1].

Con Ratchis e Astolfo l’epopea longobarda giunse ormai quasi al termine, nonostante il valore soprattutto dell’ultimo, fiero avversario della Chiesa, di Bisanzio e dei Franchi.

La Langobardia Maior aveva via via conquistato tutta la Val Padana, la Liguria, l’Emilia estrema, parte della Romagna, e i Longobardi si erano spinti nell’Italia etnica sconfiggendo ripetutamente i Bizantini, accaparrandosi territori italici, e ricongiungendosi alla riottosa Langobardia Minor meridionale.

Certamente avrebbero voluto riunire in maniera duratura l’antico regno di Teodorico, ma il papa impedì in ogni modo possibile l’innaturale unificazione di un finto Paese, certo complottando e intrigando con lo straniero, affinché calasse a sud delle Alpi per sconfiggere i Longobardi. Il Vaticano ci farcisce di stranieri fin dal primo Medioevo, per quanto abbia sempre meritoriamente ostacolato l’unità dell’Italia artificiale.

I Longobardi avrebbero dovuto limitarsi al settore padano-alpino, a nord dell’Appennino, poiché già la Toscana risulta essere un territorio forestiero, nel contesto della Lombardia storica.

I maneggi tra pontifici e Franchi segnarono il destino del regno dei Longobardi, ma non dei Longobardi che, di fatto, anche con i Franchi, continuarono a tenere ben salde le redini del comando territoriale, fondendosi sempre più con i vecchi autoctoni gallo-romani e mantenendo una certa autonomia dirigenziale.

La fine giunse con Pipino e poi con suo figlio Carlo Magno, quando a Roma sedevano sul soglio pontificio prima Stefano II e poi Adriano I, che non fecero altro che lagnarsi all’indirizzo della Francia affinché sgominasse la Langobardia e il pericolo che gravava sul Vaticano, e sul territorio che tiranneggiava, il Ducato romano.

Grazie a Pipino, che sconfisse per primo i Longobardi rompendo i buoni rapporti che intercorrevano con essi in quel momento storico, nacque lo Stato della Chiesa (756), e nel 773-774 scoppiò la fatale guerra tra i due popoli germanici che portò al tracollo del regno sotto Desiderio e suo figlio Adelchi; nel 774 i Franchi conquistarono Pavia e Carlo Magno, secondo vincitore dei Longobardi, divenne “gratia Dei rex Francorum et Langobardorum“. Egli riorganizzò l’entità statuale longobarda con conti al posto dei duchi, collocati nelle città già sedi di ducati.

Nel 776 fallì la ribellione anti-franca nella Padania orientale e la regalità longobarda si spostò così nel centrosud, a Spoleto, Benevento, Capua e Salerno.

Ciò nonostante il grosso dei Longobardi rimase al “nord”, la classe dirigente si mantenne longobarda e il diritto longobardo rimase in vigore sino a ‘400 inoltrato, in taluni casi, chiaro segno che l’etnia indigena non aveva perso e si era armonicamente fusa con i “vinti” di un tempo, gallo-romani, portando a compimento l’etnogenesi subalpina. Non dimentichiamoci però che i Longobardi influirono discretamente anche in Toscana e più a sud, in alcune località soprattutto del Sannio, sebbene nel meridione non siano state trovate necropoli di quel popolo.

Nel 781 Carlo Magno riconfermò a Pavia la dignità di sede centrale del Regno italico (o meglio, del Regno longobardo non più sovrano che assunse il nome di Regnum Italiae, fondamentalmente Padania e Toscana, già Langobardia Maior) ponendo sul trono suo figlio Pipino I. Successivamente, il potentato passò a Lotario, figlio di Ludovico il Pio, nuovo imperatore dopo il padre Carlo Magno, che lo strappò a Bernardo, figlio di Pipino I.

Le vicende franche prima ed imperiali poi, portarono alla calata in Lombardia di alcuni gruppi di immigrati teutischi tra cui, oltre ai Franchi, vanno ricordati Svevi, Alemanni, Bavari, stranieri che andarono a rimpolpare la nobiltà, più che il popolo.

Nell’888, in seguito allo sfaldamento dell’Impero carolingio, Berengario, marchese del Friuli, divenne il primo dei reucci italici, che battagliarono per il possesso dell’attuale nord della Repubblica Italiana. Di fatto, il Regno d’Italia, era un’entità vassalla dei transalpini, con un nome che rievocava fasti romani ma senza alcuna connessione al reale elemento etnico della Lombardia. Oltretutto, il regno si allargò poi comprendendo anche l’Italia mediana.

Nell’891 nacque invece la Marca di Lombardia, per volontà dell’imperatore del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica (succeduto a quello franco) Guido da Spoleto, che riuniva i comitati di Milano, Como, Pavia, Seprio, Bergamo, Lodi, Cremona, Brescia, Mantova, Piacenza, Parma, Reggio di Lombardia, Modena.

Il Regno d’Italia medievale (781-1014) non fu mai una compagine statale capace di imporre la propria autorità, e la corona fu un titolo meramente formale, per quanto prestigioso e ambito potesse essere. Chi comandava fattivamente era l’imperatore germanico di turno.

Nel 950-951 il re Berengario II riorganizzò il territorio del nordovest “italiano” creando tre marche imperiali: Marca Aleramica (Liguria centro-occidentale e Piemonte centromeridionale), Marca Arduinica, già Anscarica (resto del Piemonte, Torino e Ivrea, con la Liguria occidentale) e la Marca Obertenga, che assorbì la precedente marca lombarda (Lombardia transpadana e cispadana più la Liguria orientale e l’Apuania). Queste tre entità territoriali presero il nome dai nobili che le governarono per primi.

Gli Obertenghi erano un nobile casato longobardo di origine milanese, il cui capostipite Oberto I fu il primo reggente della marca suddetta. Da essi si generarono grandi dinastie come i Pallavicino, i Cavalcabò, i Malaspina e soprattutto gli Estensi.

Le tre marche suddette riunivano il territorio della Grande Lombardia occidentale, che già a partire dalla tarda epoca imperiale (romana) veniva indicato come “Liguria” [2]. La porzione orientale, invece, come “Venetia” [3].

Nel 961-962 l’imperatore Ottone I unisce la corona d’Italia-Lombardia al Sacro Romano Impero; egli investì i vescovi di poteri politici inserendoli come vescovi-conti nel sistema feudale, aprendo le famigerate lotte per le investiture e gettando il seme dei futuri scontri tra autonomia comunale (e strumentalizzazione papalina) e autorità imperiale, tra guelfi e ghibellini, tra signori longobardi-lombardi (un esempio è la saga di Matilde di Canossa) e imperatori.

La corona d’Italia venne ereditata ai successori di Ottone fino al 1002. In quell’anno prese il potere Arduino d’Ivrea, desideroso di colmare il vuoto di potere lasciato dall’Impero nella Padania, divenendo re d’Italia.

Ebbe filo da torcere sia dalla Germania che dalla Chiesa e proprio per questo viene romanticamente visto, dalla retorica risorgimentale, come primo re “nazionale” d’Italia, per l’affrancamento dal potere d’Oltralpe e da quello clericale.

Regnò fino al 1014, quando, circondato da nemici, alleati dell’imperatore Enrico II, depose le insegne regali e si ritirò in un’abbazia. Con la sua abdicazione finì il Regnum Italiae.

Esso cessò di fatto di esistere con l’avvento delle autonomie comunali, volte a sostituire il potere politico dei vescovi.

Abbiamo così varcato il 1000, fine convenzionale dell’Alto Medioevo (e non del mondo), e germe della stagione comunale, certamente vanto e fiore all’occhiello della Lombardia medievale.

Chiudo questo articolo con una riflessione sul toponimo ed etnonimo lombardo: il susseguirsi delle vicende altomedievali fa capire come ‘Lombardia’ non sia che la contrazione di ‘Langobardia/Longobardia’, un nome di conio bizantino invalso ad indicare i possessi longobardi sia tosco-padani che italiani; mantenendo il potere, seppur simbolico, a Pavia (già capitale del Regno longobardo), il toponimo ‘Lombardia’ passò squisitamente a designare il settentrione [4] della RI, la Cisalpina, che diventò Regno d’Italia medievale, certo con Toscana e Italia centrale.

La frammentazione dei potentati padani portò Piemonte, Liguria, Emilia e Lombardia convenzionale a seguire strade differenti e tale nome, nell’accezione contemporanea, è passato ad indicare soltanto l’omonima regione creata da Roma.

Chiaro, la Regione Lombardia ha un precedente in quella che era la Lombardia austriaca, ma per come la conosciamo oggi resta un ente artificiale, un moncone di Lombardia etnica, per quanto centrale. Nondimeno, sino alla sciagurata unità ottocentesca, il concetto di Lombardia storica, figlio del Medioevo e dell’etnogenesi lombarda realizzatasi grazie proprio ai Longobardi, comprendeva buona parte della Cisalpina, soprattutto nel suo cuore padano.

Note

[1] Va comunque detto che la rilettura moderna dell’Editto di Rotari non mette in luce una chiara discriminazione nei riguardi degli assoggettati, perciò non si può parlare pacificamente di leggi atte alla difesa dell’endogamia germanica, e ad un “razzismo” nordico. Appare, altresì, utile rammentare che gli stessi Longobardi non erano un popolo puramente germanico.

[2] Gunther di Pairis compose un’opera, Ligurinus, dedicata alle gesta del Barbarossa proprio nella Padania occidentale.

[3] C’è da dire che il concetto di ‘Veneto’ è affatto moderno; prima di esso v’era la Serenissima e, prima ancora, la suddivisione medievale in comuni e signorie. Allo stesso modo, attorno al 1000, l’odierno Veneto era parte della Marca di Verona, eccettuate le lagune, erede del potere longobardo. Insomma, anche il Veneto è Lombardia storica.

[4] In particolar modo la porzione occidentale.

Lombardia germanica

L'”Italia” di Alboino

Eravamo rimasti a Odoacre.

Questo sciro re degli Eruli nel 476 divenne re d’Italia, fino al 493 quando, asserragliato a Ravenna, fu deposto e ucciso da Teodorico, re degli Ostrogoti.

Il regno romano-barbarico che ci interessa più da vicino è dunque quello dei Goti di Teodorico che durò più o meno dal 489 al 553.

Nel 489 egli invase la Pianura Padana e nel giro di 4 anni se ne impossessò scacciando Odoacre a Ravenna dove, capitolando nel 493, fu poi ucciso dal re goto durante un banchetto.

I Goti, Ostrogoti in questo caso, erano un popolo germanico originario della Svezia meridionale che verso il finire dell’Impero diedero moltissimo filo da torcere all’agonizzante Roma, anche per tutta una serie di batoste inflitte all’esercito romano.

Prima di giungere in Lombardia, erano stanziati nel settore orientale del Mar Nero, mentre in quello occidentale vi erano i Visigoti; pressati dalla minaccia unna che infuriava sul limes, sbaragliando i Romani si spostarono verso occidente sinché invasero l’Italia romana stabilendosi, più che altro, nel settore settentrionale e centrale.

Centri cruciali Pavia, Milano, Verona, Ravenna.

A Pavia Teodorico aveva il suo palazzo imperiale nonostante che la capitale fosse la romagnola Ravenna (dove fu poi tumulato).

I Goti erano di religione ariana, seguaci dell’eresia cristiana di Ario, ma una volta stanziati in Italia non diedero troppe rogne alla popolazione cattolica, al clero romano, o alla classe senatoria romana, che preservava ancora, in taluni casi, gli antichi culti pagani.

Il Regno ostrogoto non fu esperienza negativa, e col tempo risollevò la Lombardia sconquassata dal crollo romano, rinsanguando superficialmente la sua popolazione.

I guerrieri germanici comandavano e amministravano, combattendo, mentre i Latini badavano al diritto, all’arte, alla religione, alla cultura. Questa formula si rivelò vincente perché da una parte difese il territorio col valore dei combattenti goti, e dall’altra la mantenne a galla culturalmente evitando che sprofondasse del tutto nella barbarie. Un fatto che, ovviamente, non vale per il grosso del popolo, si capisce. Il crollo dell’Impero e l’inizio del Medioevo [1] furono vissuti drammaticamente dall’Europa romana e in particolar modo dall’Italia [2].

Si calcola che circa 250.000 individui [3] tra Ostrogoti e altri Germani (Rugi e Gepidi) calarono nella Pianura Padana agli ordini di Teodorico, provenienti dai Balcani; il loro impatto sulla popolazione autoctona fu del tutto contenuto, e i Longobardi influirono molto più di essi sull’Italia romana, specialmente su Padania e Toscana.

L’Italia gotica, però, aveva due problemi: Bisanzio e Roma.

I primi, in perenne combutta coi preti romani, intrigarono coi loro ruffiani d’Occidente per danneggiare in ogni modo gli Ostrogoti, tanto che nel 535 si arrivò alla famosa Guerra greco-gotica, culminata nel 553 con la vittoria di Bisanzio.

Lo scontro fra il mondo latino, cattolico, mediterraneo, e anche bizantino, e quello germanico, ariano, continentale, “barbarico” come ci si ostina ancor oggi a chiamarlo nonostante che i moderni migranti siano, invece, etichettati a guisa di “risorse” e “ricchezza” (i Goti, almeno, erano integralmente europei), sfociò in questa sanguinosissima guerra che vide soccombere soprattutto il popolo, sopraffatto da carestie, pestilenze, epidemie, e scorribande da ambo i lati.

La guerra impegnò celebri comandanti goti come Teodato, Vitige, Totila, Teia ma fu vinta dal valore di Belisario e dalla levantina scaltrezza dell’eunuco Narsete.

A dar man forte ai Goti vi furono anche Franchi e Alemanni.

Non per darsi al nordicismo, ma c’è da dire che Teodorico diede vita ad un regno comunque buono, per i tempi, e pian piano aiutò l’Italia ad uscire dalla crisi, per quanto la presenza gota fosse per lo più dislocata al di qua del Po, per motivi militari e strategici. Alla Roma senatoria e papalina questo non stava bene e fu il primo episodio di tutta una serie di ingerenze religiose negli affari di stato, che condussero a sud delle Alpi truppe straniere (e oggi allogeni).

La capitolazione degli Ostrogoti portò molti di essi ad emigrare, ma una minima parte rimase, nonostante l’intera Italia cadesse nelle mani di Giustiniano e dei Bizantini. E si diedero alla resistenza.

La Guerra greco-gotica fu un immane disastro per la popolazione, come ricordato, grandemente falcidiata soprattutto al “nord” dai mille flagelli che la guerra e la crisi recano seco.

Chiesa e Costantinopoli, deserto e Levante, parevano i vincitori, ma non durò a lungo.

Nel 568 un fiero e valoroso popolo nordico si affacciò sulla Carnia, provenendo dalla Pannonia, attuale Ungheria: i Longobardi, guidati dal loro re Alboino.

Tra il 569 e il 572 si impossessarono del grosso della Cisalpina e della Toscana, sbaragliando i fiacchi Bizantini e ricacciandoli da dove erano venuti, oppure costringendoli in sacche costiere come le Venezie e la Romagna (oltre naturalmente alla Roma del papa).

La Lombardia deve il suo nome ai Longobardi, ma tale etnonimo le fu dato indirettamente dai Bizantini, che chiamavano Langobardia i territori soggetti ai Germani in questione, quindi la Padania, la Toscana, e chiaramente i successivi ducati di Spoleto e Benevento (Langobardia Minor).

Tuttavia, il nome ‘Lombardia’ divenne appannaggio del settentrione, grazie alla forte impronta lasciata dagli antichi Vinnili, e per questo è il miglior termine per indicare la nostra nazione.

I Longobardi conquistarono la parte continentale e la penisola, ma a noi interessa il fulcro del loro dominio ossia la Pianura Padana, la Lombardia storica.

Questi bellicosissimi Germani erano anch’essi originari della Scandinavia, della Scania pare, e in seguito a diverse peripezie attraversarono l’Europa centrale giungendo prima in Pannonia, via attuale Austria, poi appunto in Val Padana, dove, divenendo del tutto stanziali, portarono a termine la loro epopea.

In 150.000 al massimo [4], il 2 aprile 568, varcarono il Passo del Predil (o il Matajur) per dilagare nella pianura occupando saldamente quasi tutto il “nord”, ma è chiaro che i Longobardi di stirpe non fossero esattamente 150.000: al loro seguito, infatti, 20.000 Sassoni e altri fra Gepidi, Rugi, Svevi, Bavari, Alemanni, Bulgari.

La nobiltà longobarda, e il fulcro etnico del popolo conquistatore, erano razzialmente nordidi o cromagnonoidi, ariani di fede assieme al pagano culto di Godan-Odino. Tra di essi anche elementi fenotipicamente indogermanici come i Corded Nordid e i Battle-Axe. La presenza dell’aplogruppo protoindoeuropeo R1a1a nelle terre subalpine è da attribuirsi agli invasori germanici, oppure all’influsso slavo nel settore orientale estremo della Grande Lombardia.

Di certo i Vinnili incrementarono il nordicismo della Val Padana, soprattutto, e dell’Italia etnica peninsulare (Toscana, Umbria, Sannio), impattando più dei Goti e di altri Germani. Studi genetici recenti calcolano che l’apporto biologico nordeuropeo alla Lombardia storica ammonti ad un 20%. Avremo modo di riparlarne, a proposito del calcolatore Eurogenes Global25, grazie a cui alcuni sodali lombardisti hanno messo a punto interessanti modelli, indicativi del profilo antropogenetico della Padania. Anticipiamo, comunque, che le aree più germanizzate (al di là, per ovvie ragioni storiche, dell’arco alpino) paiono il Triveneto di terraferma e le plaghe a cavallo fra Insubria e Piemonte, oltre al Piemonte stesso.

Discreta ma decisiva fu l’influenza di questi nordici sul nostro territorio, nonostante la perdita della lingua e delle loro ancestrali credenze religiose e tradizioni, via via abbandonate stabilendosi nel dominio italico-romano; anche i Franchi, i Burgundi, i Visigoti, in parte gli Anglo-Sassoni, i Normanni, venendo in contatto con la superiorità culturale di stampo latino preferirono abbracciarla che combatterla e distruggerla, e questo fu certamente un bene per l’Europa. Col tempo giunsero anche a fondersi con gli indigeni romanici. La forza guerriera germanica e la grandezza culturale greco-latina furono la rinascita dell’Europa dopo il crollo dell’Impero romano d’Occidente.

Alboino conquistò Milano il 3 settembre 569 dando vita al Regno longobardo, e Pavia nel 572, ove pose la capitale del regno dopo un assedio durato anni.

Esso comprendeva quattro aree fondamentali: l’Austria (dall’Adda al Friuli), la parte più turbolenta del regno perché più bellicosa, aggressiva, conservatrice, ariana, pagana che in Bergamo, Brescia, Trento, Verona e Cividale aveva i suoi capisaldi; la Neustria (dall’Adda alla Val di Susa), ov’era la capitale della Langobardia Maior, il settore più pragmatico, realista, “civilizzato”, ma anche filo-romano e poi cattolico, i cui centri principali erano Milano, Pavia, il Seprio, il Ticino, Torino; l’Emilia fino a Spilamberto (degna di nota la germanizzazione degli Appennini); la Tuscia, che fu colonizzata e corroborata dal sangue longobardo così come da quello gotico, accostandola per molti versi alla Lombardia.

Successivamente nacquero il Ducato di Spoleto e quello di Benevento, piuttosto autonomi e riottosi al dominio centrale, sebbene venissero più tardi annessi.

I Longobardi si organizzarono in ducati ricalcando le precedenti suddivisioni bizantine, spesso in lotta col potere centrale pavese, e prima che la situazione si normalizzasse dovette esaurirsi la cosiddetta anarchia dei duchi, che durò una decina di anni, subito dopo la morte dell’indiscusso duce Alboino e del suo successore Clefi, e che terminò con l’avvento del figlio Autari.

Ancor più decisivo il regno di Agilulfo, con le sue grandi conquiste nella Pianura Padana bizantina (Cremona, Mantova, Padova), e Teodolinda, la regina cattolica di dinastia bavarese che molto incise sulle sorti del popolo longobardo.

Note

[1] Tradizionalmente, l’inizio del Medioevo a sud delle Alpi è sancito dall’invasione longobarda del 568-569.

[2] Se di tanto in tanto usiamo il termine equivoco ‘Italia’ è soltanto per indicare i territori che furono dell’Italia romana, dunque per comodità.

[3] Claudio Azzara fa una stima al ribasso, parlando di 100-125.000 unità, di cui 25.000 guerrieri.

[4] Stando alle classiche stime di studiosi come Jarnut, Gasparri, Azzara, Pohl.

La Lombardia transpadana occidentale (Insubria)

Biscione visconteo

La Lombardia transpadana occidentale, o Insubria [1] etnica come la si potrebbe chiamare per comodità, è il fulcro della Grande Lombardia, il centro della nazione, suo cervello, cuore e motore.

‘Insubria’ deriva dal termine celtico, rafforzato, *suebro- ‘forte, violento’, riferito agli antichi celto-liguri Insubri [2]. Tale etnonimo passò poi ai Galli storici del IV secolo avanti era volgare (probabilmente Biturigi) che occuparono il territorio lombardo fino al fiume Oglio (a Bergamo, contrariamente a quanto si crede comunemente, si stanziarono proprio questi, e non i Cenomani, e il Bergamasco infatti venne inserito, dai Romani, con Milano nella Gallia Transpadana, e non nella Venetia con Brescia). Anche la Cultura di Golasecca andava dal fiume Sesia fino al Serio, altro corso d’acqua locale, in territorio orobico, dove si trovavano appunto i celto-liguri Orobi.

L’Insubria corrisponde all’antico territorio abitato fondamentalmente dai celto-liguri Insubri e Leponzi, e dopo Roma discretamente germanizzato dai Longobardi che si diedero come centri vitali Milano, Monza, e il Seprio (Pavia, la capitale, è situata nella fascia insubrica meridionale, influenzata dal mondo padano) e che più tardi corrisponderà al nerbo del Ducato di Milano.

Milano, la grande capitale della Lombardia etnica e della Lombardia storica, è da sempre il perno dell’Insubria, la città che ha plasmato il territorio circostante, da Lodi al Ticino. Socialmente, politicamente, culturalmente, linguisticamente.

L’area insubrica genuina è formata dalle terre di Milano, Lodi, Monza, Brianza, Lecco, Como, Legnano, Busto Arsizio, Varese, Novara, Intra e Pallanza (Verbania), Canton Ticino e Mesolcina (quest’ultimi, oggi, sotto la Confederazione Elvetica). La Svizzera inoltre comprende anche la valle del Sempione, essa pure parte insubrica del bacino del Po, come la restante regione lombarda. Noi lombardisti tendiamo inoltre a legare all’Insubria, intesa in senso statistico e demografico, Pavia, Valsesia, Vercelli e Biella.

Si tratta, come fulcro storico, di una regione piuttosto omogenea, sia etnicamente che culturalmente, con un solido sostrato proto-celtico/celto-ligure (Golasecca e Canegrate) e gallico (Insubres romani), corroborato dalla dominazione longobarda che ha profondamente inciso sul territorio, e poi dalla signoria dei Visconti, che sotto l’egida del germanico Bisson ha retto le sorti dell’Insubria ducale si può dire fino al 1500.

La romanizzazione, per quanto fondamentale in termini culturali e identitari, non stravolse il territorio, e portò ad una lenta assimilazione dell’elemento celtico nativo, che adottò spontaneamente i costumi latini. Questo, certamente, dopo i ben noti fatti bellici che contrapposero i Galli ai Romani, portando alla sconfitta e alla pacificazione dei primi.

L’area è omogenea pure linguisticamente perché la koinè milanese ha costituito un ottimo collante politico-culturale, anche se degni di nota sono pure il ticinese, il brianzolo, il laghee, il lodigiano e le parlate più occidentali influenzate dal piemontese.

Parimenti, Valtellina, Grigioni lombardofono e Pavese risentono degli influssi del milanese e le parlate di quei luoghi, i primi due soprattutto, sono classificate come lombardo occidentale (che nella terminologia dei moderni linguisti indica l’insubrico/cisbaduano). I dialetti di Pavia (eccetto quelli della Lomellina), invece, sono di transizione con l’emiliano. Un discorso simile si potrebbe fare con la Valsesia, stretta fra Piemonte e Insubria, fermo restando che il piemontese orientale mostra certamente alcuni fenomeni di transizione.

Volendo suddividere amministrativamente la Lombardia transpadana occidentale, che è poi la Lombardia etnica centrale di noi lombardisti (con l’aggiunta del territorio pavese e del Piemonte orientale), avremmo i seguenti ambiti cantonali, con relativi distretti:

  • Milano (Bassa Insubria), con Busto Arsizio, Monza, Lodi e Pavia;
  • Como (Alta Insubria), con Lecco, Lugano e Varese;
  • Novara (Lebecia), con Vercelli, Biella, Varallo e Vigevano;
  • Locarno (Leponzia), con Domodossola, Intra e Bellinzona.

Attenzione: il lombardesimo non propugna, nel contesto grande-lombardo, la creazione di vere e proprie regioni, bensì di cantoni, e loro distretti,  blandamente federati. Non siamo certo regionalisti, anche se riconosciamo tranquillamente l’esistenza di realtà storico-culturali, come la stessa Insubria in termini correnti (e poetici).

Non serve dunque un’insegna globale insubrica perché quella classica del Ducale visconteo (Aquila imperiale e Biscione), a mio avviso, è l’ideale stemma della Lombardia intera, emblema dell’etnostato cisalpino. I cantoni, invece, possono tranquillamente utilizzare le insegne delle loro città precipue (o dei territori storici), e dunque Croce di San Giorgio per Milano, bandiera sepriese a scacchi bianco-rossi per Como, Croce di San Giovanni Battista per Novara, bipartito rosso-blu ticinese per Locarno. Segnaliamo, comunque sia, la nota Scrofa semilanuta, uno dei simboli gallici della capitale lombarda.

La Croce di San Giorgio milanese, anche se non può vantare le origini e la storia della genovese (che ha inciso su quella d’Albione), ha un profilo autonomo, all’interno delle vicende medievali; emblema del comune di Milano, della Lega Lombarda, di moltissime città padane guelfe esprime la coscienza patriottica dei lombardi e il loro spirito d’appartenenza, mirabilmente sfociati nel giuramento di Pontida e, soprattutto, nella battaglia di Legnano. Unita alla Croce di San Giovanni Battista, ghibellina, e allo Swastika camuno, appare quale ideale bandiera nazionale cisalpina.

Naturalmente abbiamo poi il Biscione e il Ducale viscontei, originari dell’Insubria, che costituiscono, il primo, il simbolo se vogliamo del popolo lombardo, del suo retaggio celto-germanico (essendo di ascendenze nordiche) e della sua cultura storica, il secondo, il miglior emblema possibile per la nazione lombarda, rappresentato da un quadripartito bianco-dorato in cui, alternandosi, troviamo l’Aquila del Sacro Romano Impero, latino-germanica, e il Bisson, blasone prima visconteo (ma in origine della città ambrosiana e delle sue milizie comunali) e poi sforzesco, indissolubilmente legato a Milano e alla Lombardia intera.

Per quanto riguarda invece la questione linguistica diamo qui una veloce carrellata dei principali dialetti occidentali – in realtà centrali – del lombardo: milanese (il lombardo per antonomasia), dialetti milanesi, legnanese, brianzolo, ticinese, ossolano, varesotto, bustocco, comasco, laghee, lecchese, lodigiano, novarese, lomellino e alcune parlate gergali. Inoltre, dobbiamo aggiungere le parlate della Valtellina e del Grigioni lombardo, in territorio orientale ma tassonomicamente insubriche.

Questione etnica. Il grosso della Lombardia transpadana occidentale è etnicamente celto-romanzo, gallo-italico, e le sue componenti principali sono la ligure arcaica, la celto-ligure, la gallica (insubrica), la coloniale italo-romana e quella germanica (Goti e Longobardi). A livello sub-razziale/fenotipico, predomina il tipo alpino assieme a quello atlanto-mediterranide, o meglio ancora padanide (dinaride + atlanto-mediterranide), con spruzzate nordiche qua e là, soprattutto in area prealpina e alpina. L’unica minoranza indigena è quella degli alemannici walser che si trovano nel nordovest del territorio.

L’Insubria tradizionale è racchiusa nel bacino imbrifero del Padus, zona tipicamente lacustre, ed è delimitata a nord dalle Alpi Lepontine, ad ovest dal Sesia, a sud dal Po, e ad est dall’Adda. Pavia, come abbiamo visto, è una via di mezzo tra Insubria e Padania (intesa qui come Emilia), rammentando che l’Oltrepò è da considerarsi cispadano in tutti i sensi.

È da sempre il motore della Lombardia, l’area economicamente più ricca e avanzata, animata da intraprendente spirito imprenditoriale perfettamente incarnato dai milanesi e dal Ducato che fu. Dal secondo dopoguerra, per via del boom economico e anche di sciagurate politiche romane, il cosiddetto triangolo industriale capeggiato da Milano è stato investito da milioni di sud-italiani che hanno, volenti o nolenti, stravolto il tessuto etnico e sociale del cuore etnico lombardo, soprattutto per arricchire i soliti noti, a scapito degli indigeni.

Tutte le immigrazioni di massa sono sbagliate, in particolare qualora comportino l’afflusso di realtà etniche e razziali incompatibili. Se l’Insubria oggi annaspa sotto il peso di smog, cemento, inquinamento e traffico “indiano” è anche per questo.

Assieme agli italiani meridionali, circa un milione di veneti si è spostato in territorio occidentale, uniti agli esuli istro-dalmati cacciati dal criminale Tito. Anche molti orobici cercarono fortuna ad ovest.

L’Insubria oggi è piuttosto malridotta e martoriata da una densità demografica mostruosa, dovuta a immigrazione selvaggia (da ogni dove), e dall’industrializzazione scriteriata, ed è un vero peccato perché il territorio insubrico è incantevole, tra laghi prealpini, fiumi, aree collinari, campi e pianure, risaie, e ovviamente Prealpi e Alpi.

La soluzione a questi guai, ovviamente, è l’indipendentismo. Prima ancora, il comunitarismo, che permette il recupero della solidarietà fondamentale, tra connazionali, al fine di riscoprire e dunque difendere le proprie radici.

Gli insubrici sono in via d’estinzione, e in talune zone purtroppo già estinti, anche per colpe proprie, si capisce. Dobbiamo promuovere serie politiche etniciste per far riguadagnare ad essi terreno, perché con la loro scomparsa parlare di Insubria non avrebbe più senso. E allo stesso modo, parlare di Lombardia e di Europa senza più i rispettivi autoctoni.

Note

[1] In senso geografico può essere chiamata Insubria tutta la fascia prealpina e collinare della Regione Lombardia.

[2] L’etimologia viene suggerita qui.